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sabato 10 giugno 2017

Fuori dal fango al Testaccio

FUORI DAL FANGO: Un appuntamento a teatro da non mancare alla vigilia dell’estate
di Karmel Attolico
Dopo la prima nazionale a Melegnano del 21 aprile e la replica al Salone Liberty a Milano del 23 aprile, a giorni va in scena al Teatro Testaccio di Roma – in calendario il 17 giugno alle ore 21 – “Fuori dal fango”, l’ultimo lavoro teatrale di Sergio Scorzillo in cui i valori umani dei personaggi prevalgono sulle contrastanti ideologie dominanti alla data del 25 aprile 1945, giorno-simbolo della Liberazione dell’Italia dal regime fascista.
La commedia di Scorzillo , autore e regista eclettico, ricalcando le orme di un noir di guerra al chiuso di una stanza, affronta grandi temi  e ideali che non possono prescindere da un confronto difficile e complesso su quello che vuol dire perseguire il bene di un’intera collettività nazionale, con ciò confermando a lungo raggio l’importanza dell’attuale dibattito politico nella nostra Italia vessata da qualsivoglia problematica di carattere sociale in tempi di crisi culturale ed economica.
La rappresentazione della vicenda narrativa si svolge in una Casa cantoniera del milanese dall’ambiente spartano che mette in evidenza le difficoltà del vivere quotidiano in un contesto dove l’unico barlume di speranza visibile allo spettatore ai primi impatti con la scena è costituito da una radio che trasmette solo canzoni d’amore.
Sul palcoscenico troviamo tre uomini che incarnano altrettanti personaggi avvincenti nelle loro vesti, con differenti destini e concezioni della vita che si intersecano in un continuo incontro-scontro. Accade che il partigiano Macchia – interpretato da Luigi Vitale – supportato dal compagno soprannominato Treno – nei cui panni si cimenta Matteo Bevilacqua – se la prende con Giuliano – incarnato dal giovane Bruno Petrosino – e sospettandolo essere fascista arriva alla decisione di recluderlo nella cantoniera dove lavora Treno. Cosa succederà nella prigione partigiana è un delirio che va dalla vendetta personale all’esibizione di un fanatismo ideologico, forse esagerato e proveniente da altro vissuto personale del partigiano.
Il recluso ha solo la sua umanità come strumento per replicare alle accuse di essere fascista, una umanità che si esprime nella custodia simbolica dei versi di Eliot – tratti da “The Waste Land” (La terra desolata), complesso poema pubblicato quattro anni dopo la fine della prima guerra mondiale – in un’armonica a bocca, in poesie scritte a mano da lui stesso ed altro ancora.
Lo scenario, in un crescendo emozionale, per le dinamiche narrative ispirate a fatti realmente accaduti a poche ore dal 25 aprile 1945, offre tuttavia la possibilità di esprimere sentimenti di forte intensità ai protagonisti della pièce, riunificati nella speranza di ritrovarsi “fuori dal fango” in cui la guerra li aveva costretti.
Uno spettacolo che in 75 minuti e in unico atto consegna agli spettatori uno squarcio poetico di un’umanità storica, politica e sociale che induce a riflettere sul carattere di un popolo come quello italiano – che tanto ha dovuto faticare per trovare l’unità e l’identità nazionale – rappresentando persone che riescono ad emozionarsi nonostante l’asprezza del momento storico in cui vivono, della quotidianità non certo esaltante, fatta di rinunce e poche prospettive. Ma il sogno della libertà è dietro l’angolo e i personaggi dello spettacolo non riescono a nasconderlo perché è l’essenza di loro stessi, intimamente convinti che solo “fuori dal fango” la vita torna ad avere senso.

lunedì 5 giugno 2017

“Fuori dal fango”: in scena l'ultima pièce di Sergio Scorzillo

di Marisa Gorza
Al Circolo Cooperativo Ferrovieri di Milano, dopo la prima a Melegnano, l’ultimo lavoro teatrale del poliedrico autore-regista in cui i valori vincono sulle discordanti ideologie
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio......(T.S.Eliot 1922)
Non è certo casuale che all'interno dell'ultima pièce di Sergio Scorzillo siano reiterati i versi di T.S. Eliot tratti da “ The Waste Land”(La terra desolata). Complesso poema pubblicato appena quattro anni dopo la fine della prima guerra mondiale. Metafora della sterilità della cultura occidentale e oggettiva critica alla folle e inutile strage di vite, causata dall'immane conflitto.
La commedia di Scorzillo, se pure biasima la guerra, risulta soprattutto un racconto di ravvedimento, di liberazione catartica e di difficoltoso recupero dei valori umani. Ma procediamo con ordine. “Fuori dal fango”, lavoro teatrale in un unico atto, scritto e diretto appunto dal nostro poliedrico autore-regista, rappresentato domenica 23/4 presso il Circolo Cooperativo Ferrovieri di Milano, si ispira a dei fatti realmente accaduti a poche ore dal 25 aprile 1945. Giorno della Liberazione d'Italia.
In scena tre uomini, tre personaggi emblematici con tre differenti destini e concezioni che si incontrano, si scontrano, si incrociano. La vicenda si svolge in una imprecisata Casa Cantoniera ferroviaria del milanese, un ambiente frugale che ben rispecchia le difficoltà contingenti. Unico lusso una radio che trasmette le canzoni del momento. Tutte d'amore... Mentre si consuma questo noir al chiuso di stanza.
Il partigiano Macchia (un irruente, sanguigno Luigi Vitale), aiutato dal compagno, denominato Treno (un timido, scrupoloso Matteo Bevilacqua), intercettano Giuliano (un distaccato, raffinato sognatore perfettamente reso dal giovane Bruno Petrosino) che suppongono essere fascista e lo nascondono nella cantoniera dove Treno lavora. Per inciso va detto che tutti e tre gli attori sono perfettamente calati nella parte in una mimesi ad hoc che li identifica in pieno con i personaggi.
Le prime scene vedono il malcapitato Giuliano alquanto maltrattato dall'impetuoso Macchia che sembra deciso ad ucciderlo e a torturarlo. Significativo il dialogo tra i due caratterizzato dai toni da popolano arrabbiato dell'uno, contrapposti agli accentui colti e ricercati dell'altro. Sembra inutile l'opposizione di Treno che non capisce questa valanga di odio che si ripercuote sullo sfortunato ragazzo. “La guerra è finita!”-continua a ripetere all'amico, già intravvedendo l'inutilità di fanatismi e accanimenti pseudo ideologici. Forse si tratta di una vendetta personale? Mano a mano che la vicenda si dipana verità supposte o confermate si alternano e si ribaltano. Il gioco dei tradimenti si fa teso e drammatico. Anzi vengono svelate tragedie inconcepibili. Nel tascapane di Giuliano, prima perso e poi ritrovato, ci sono i versi di Eliot(si tratta di un messaggio in codice?) una armonica a bocca, poesie scritte a mano da egli stesso e la fotografia di quello che viene chiamato “l'uomo della fisarmonica”, ucciso senza ragione proprio dai compari del ragazzo. Forse un amore mai dimenticato, una fiamma speciale accesa dall'affinità elettiva? Prove che Giuliano è davvero un fascista? Nel suonare l'armonica, il recluso accenna alle struggenti note di Lili Marleen, canzone che, se pur nata tedesca, durante la seconda guerra mondiale era diventata il motivo preferito di ogni soldato che per andare al fronte aveva dovuto abbandonare la sua “Lili”.

Sentimenti umani

Dunque “il fascista” è capace di commozione e sentimenti? La conoscenza dell'umanità reciproca finisce per alterare la percezione delle cose, le complica e impedisce di giudicare i fatti dal punto di vista “politico” e strettamente di parte. Dov'è allora il confine tra giusto e sbagliato? Chi è il buono e chi è il cattivo? Ebbene si scopre che i due si erano davvero incontrati, soprattutto avevano amato la stessa donna: Ester, di cui Macchia ha una fotografia. Anzi la fotografia la ritrae insieme a Giuliano. La generosa ragazza aveva aiutato il partigiano, catturato dai nazisti e in procinto di essere deportato, a fuggire. Fuggire con lei. Lo aveva aiutato a ricredere nella vita proprio parlandogli del suo amore per quello splendido ragazzo che sapeva apprezzare musica e poesia. Poi Ester era stata catturata né dai fascisti e né dai partigiani, ma da balordi cani sciolti. Era stata ripetutamente violentata e soppressa in modo atroce e indegno.
Ma il vero incontro tra i due protagonisti avverrà successivamente. Comandato di fare una rappresaglia alle Casermette, con l'ordine di far fuori un gruppo di fascisti, Macchia, debitamente mascherato, si trova davanti Giuliano. Vorrebbe ubbidire agli ordini, ma non se la sente di uccidere il ragazzo amato da Ester e lo ferisce semplicemente. Quando lo rivede, lo riconosce e gli assale la rabbia di non essere stato il freddo esecutore come gli era stato richiesto. Una rabbia che non sa come gestire, tra l'altro subisce in pieno il fascino del giovane colto, così diverso da lui. Vuole ucciderlo per chiudere quel cerchio rimasto aperto, ma ancora una volta non ci riuscirà. Nella sua confusione -che va di pari passo con le variazioni di ritmo tra una scena l'altra- intuisce quanto tutto sia complesso e sfaccettato, quanto i fanatismi li abbiano impantanati in valenze che non appaiono più tali. Dopotutto Giuliano, quando viene catturato, stava veramente ritornando da sua madre, ritornando alla terra che purifica e nutre, fuggendo da ideologie che già non gli appartenevano proprio più.
Tutti e tre si siedono ad aspettare che arrivino gli “altri” a sbrogliare la matassa, nella speranza di ritrovarsi insieme fuori dal fango in cui la guerra li aveva relegati.

Tra i lavori che Sergio Scorzillo ha portato al successo ci sono, “La via della Croce”, “Ballata lirica”, liberamente tratta dalla “Ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde e “Taccuino di una sbronza”, quest'ultimo ispirato alla vita Charles Bukowski. Nonché “La guerra di Alvise”, la storia di un alpino dal cuore puro e patriottico. Non di meno Scorzillo ha vinto due premi Carlo D'Angelo come autore al Concorso Nazionale Vallecorsi di Pistoia. Drammaturgo, attore poliedrico, regista, cabarettista, insegnante di recitazione, consulente di editoria musicale.. e che altro? La sua grande passione è il teatro, la mimesi, tutto quello che rappresenta la metafora della vita. Senza trascurare i grandi temi e i grandi ideali. Anche quando questi comportano un confronto difficile e complesso, come nel caso di quest'ultima pièce.