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martedì 29 novembre 2022

 Annamaria Trevale intervista Sergio Scorzillo a proposito di "Non ti preoccupare"


Annamaria Trevale è nata e vive a Milano. La scrittura è sempre stata una delle sue passioni, in coppia con la lettura. Ha pubblicato una raccolta di racconti, Solitudini (2008), il romanzo Tutta colpa di mia sorella! (2016) diversi racconti in antologie con altri autori e ha partecipato all'esperienza del multiblog Ibridamenti, creato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, da cui sono scaturiti i due libri Pratiche collaborative in rete e Dai blog ai social network. Organizza serate di reading letterari. Dalla passione per la fotografia è nata la rubrica per Sul Romanzo Grandi fotografi grandi narratori, a cui ha fatto seguito Scrittori da riscoprire.  Scrive recensioni su https://www.thepodd.it/


Tu scrivi da sempre, dalle canzoni ai testi teatrali, ma solo adesso hai deciso di

dedicarti alla narrativa. Cosa ti ha fatto scegliere la forma del romanzo?

Infatti scrivo da sempre, ho sempre scritto anche romanzi, soprattutto gialli e noir, ma li

trovi solo in fondo ai miei cassetti. Dopo che ho vinto un paio di premi nazionali come

drammaturgo mi sono dedicato a scrivere e a far girare soltanto i mei testi di teatro. Lì mi

sentivo più “forte”, se vogliamo…visto che il riscontro esterno era sempre positivo. Da

alcuni anni i testi per la scena mi vengono “richiesti”, nel senso che mi viene affidato un

tema da un committente e poi lavoro io su come rendere sul palco quel tema. Ha iniziato

lo scrittore Paolo Roversi, affidandomi la scrittura teatrale del suo romanzo “Taccuino di

una sbronza”, poi tutto è venuto di conseguenza grazie al passaparola. Mi scrivi uno

spettacolo sulla Prima guerra mondiale? Sulla seconda? Su una parabola a sfondo

familiare? Da Oscar Wilde? Ed ecco i miei “La guerra di Alvise”, “Fuori dal fango”,

“Prodigus”, “Ballata lirica”. Il più delle volte mi si chiede di farne anche la regia, e li

porto in scena con la mia compagnia Reading Gaol.

Anche questa volta l’idea non è venuta da me. Francesco Danile, che ha aperto

l’Associazione Antonio Danile che si occupa di raccogliere fondi per la depressione, mi ha

chiesto di scrivere un libro sulla storia di suo fratello, suicidatosi nel 2018. Ho accettato

con entusiasmo perché i grandi temi, importanti, mi interessano moltissimo. Mi piace

scrivere di argomenti forti. Mi piace l’idea di lasciare un segno, di emozionare, non di

“divertire”. Gli ho subito detto che non avrei voluto fare un racconto giornalistico, volevo

proprio farne un romanzo, che raccontasse la storia vera, ma che fosse anche emblematico,

poetico…

In realtà, “Non ti preoccupare” è un libro ibrido, perché utilizza due forme differenti

per raccontare la stessa storia: il romanzo esprime la voce narrante di Francesco, il

testo teatrale che segue è incentrato sul fratello Antonio. Quale dei due è nato per

primo?

È nato per primo il testo teatrale. Lo spettacolo avrebbe dovuto andare in scena subito

dopo l’approvazione del testo, purtroppo per la pandemia in corso non è stato possibile, e

conto di portarlo sul palco i primi mesi del 2023. Quando ho scritto il copione mi sono

immedesimato in Antonio, soprattutto. Mi sono figurato di essere lui, nella sua stanza,

intento a prepararmi al gesto finale. Pochi oggetti in scena, un letto, una valigia grande,

una valigia piccola…E negli ultimi istanti prima di compiere l’atto, rivedere (proiettare

fuori di me) momenti del passato, dialoghi col fratello, con un dottore, frammenti di cose

sentite e rielaborate. Il testo è molto simbolico. Avevo poche informazioni in quel

momento e mi sono basato soprattutto su impressioni e visioni mie. Figura chiave della

vicenda la presenza di una Lei, che inizialmente sembra una delle donne di Antonio, in

realtà si tratta della Depressione, che lo guida e lo manipola fino all’epilogo. Il romanzo

invece l’ho scritto dal punto di vista del fratello Francesco, è una sorta di diario, un

monologo in prima persona, in cui Francesco si rivolge continuamente ad Antonio,

ricordandogli il passato, e quello che è accaduto fino a questo momento, il momento in cui

lui sta andando a vedere in casa del fratello cosa è successo.

Quale delle due voci è stata per te più difficile da raccontare?

Direi il romanzo, dove sono Francesco. Perché i fatti che avrei dovuto riportare, veri,

erano molti. Si parla della famiglia nel suo complesso, indietro nel tempo fino ai nonni. La

struttura che ho voluto utilizzare non segue la vicenda in modo lineare. Parto dal momento

in cui Francesco si reca, chiamato da una donna delle pulizie, in casa di Antonio che non

vede da qualche tempo e più si avvicina al luogo più la mente lo ributta indietro,

continuamente indietro, a ripensare fatti, situazioni, a momenti felici e altri drammatici, e

questo gioco di rimandi e ritorni rende il tutto faticoso. Come se la parola finale definitiva

non volesse essere raggiunta. Come se fosse appunto faticoso scoprire la realtà. Credo sia

(e i molti riscontri positivi che ho avuto me lo confermano) la chiave vincente e

avvincente del libro. La sua struttura labirintica.

Si parla abbastanza di depressione, oggi, oppure continuiamo a sottovalutare la sua

gravità e le conseguenze che ha sulla vita non solo dei soggetti malati, ma anche delle

persone costrette a relazionarsi con loro, dai familiari agli amici o colleghi?

Se ne parla un po’ più che nel passato, ma ancora viene molto sottovalutata. Se ne ha

vergogna anche a parlarne. Se ne vergogna chi è colpito, i familiari…Decidere di andare

da uno psicologo risulta difficile. È come ammettere di essere mentalmente non stabili,

“matti”.

Dal racconto in prima persona di Francesco, che ci trasmette tutta la sua impotenza

di fronte alla depressione che distrugge la vita del fratello, emerge prima di tutto la

sensazione che sia quasi impossibile comunicare in modo corretto con una persona

seriamente depressa, e quindi molto complicato aiutarla a superare la malattia. Pensi

che il tuo libro possa aiutare qualcuno nella stessa situazione ad agire meglio, per

esempio evitando gli errori che Francesco ritiene di aver compiuto lungo il percorso?

Infatti. La storia del rapporto tra Antonio e Francesco credo di averla trattata proprio in

modo da fare rilevare questo. La difficoltà a rilevare la malattia, sia da parte del malato

che da parte di chi si relaziona con lui. La confusione, l’impossibilità, gli errori, le prove,

la rabbia, la frustrazione, la negazione, il desiderio di fuga, i sensi di colpa. Penso che

molti si possano riconoscere. È difficile dare risposte, più che altro sei costretto a farti

domande. Cosa avrei fatto io? Cosa ho fatto io che avrei potuto non fare? Come mi

comporterei in futuro dopo avere superato un’esperienza simile?

Dal racconto emerge un paradosso, comune a tutte le terapie volte a curare malattie

psichiche: spesso gli psicoterapeuti instaurano un rapporto col soggetto malato senza

prendere in considerazione i punti di vista delle persone che lo circondano, e che

potrebbero smentire i suoi racconti, non sempre sinceri perché alterati dalla

malattia. Ti sei fatto un’opinione a questo riguardo?

Infatti. Anche di questo parlo. Dello sconcerto che prende Francesco (e gli altri familiari)

nel capire di essere tagliati fuori dal percorso di terapia. I dottori si relazionano solo col

malato, non informano, se non in casi eccezionali. Insomma, si ha la sensazione, anche se

si fa qualcosa, di essere trascurati, ininfluenti, soli. Salvo poi capire che invece si è

fondamentali nel dare delle direttive precise. Nel mio romanzo cerco di trattare tutto

questo, in maniera non distaccata ma empatica, e, ne sono certo, emozionante.

lunedì 31 luglio 2017

ORTENSIA HA DETTO: “ME NE FREGO” di Georges Feydeau


ORTENSIA HA DETTO: “ME NE FREGO”
di Georges Feydeau







Personaggi:

FOLLBRAGUET, dentista
MARCELLA FOLLBRAGUET, sua moglie
VILDAMOUR, paziente
IL SIGNOR GIOVANNI, assistente di Follbraguet
ADRIANO, segretario di Follbraguet
LEBOUCQ, paziente
ORTENSIA, cameriera
LA SIGNORA DINGUE, paziente
LA CUOCA


Scene:

Gabinetto dentistico in casa di Follbraguet. In fondo, porte a destra e a sinistra. Fra le due porte, al centro della parete, un lavabo. A destra, in secondo piano, porta imbottita. In primo piano, contro il muro, su un tavolino, un’autoclave. A sinistra, il caminetto. Al di là, porta che immette nelle stanze della signora Follbraguet. Mobilio: a destra della scena, un tavolino-scrivania disposto perpendicolarmente alla ribalta. Fra il muro e la scrivania, poltrona da ufficio. Mobilio a piacere. Nel bel mezzo della scena, davanti alla buca del suggeritore e di fronte al pubblico, la poltrona odontoiatrica. A sinistra della poltrona, un mobiletto con cassetti, montato su piedini, nel quale sono gli strumenti e i medicamenti. Nelle vicinanze, il trapano. A destra della poltrona, la sputacchiera col tubo di vetro per aspirare la saliva dei pazienti.























ATTO UNICO

SCENA PRIMA
FOLLBRAGUET, VILDAMOUR, poi ADRIANO, poi MARCELLA, poi il SIGNOR GIOVANNI

All’alzarsi del sipario, Vildamour è seduto sulla poltrona odontoiatrica con una salvietta attorno al collo e la bocca imbavagliata da un quadrato di gomma nera, in mezzo al quale appare soltanto il dente da curare. Il Pezzo di gomma è fissato al lati della bocca da una pinza, collegata a una sorta di elastico di gomma che gira attorno alla nuca. Per completare il supplizio, alla piega sinistra della bocca l’aspiratore della saliva prima indicato. Follbraguet è all’1, a destra di Vildamour, che è al 2, e armeggia nella bocca di questi col trapano.

VILDAMOUR - (scalpitando) Ooooohoh-ohi.
FOLLBRAGUET - (intento nel sito lavoro) Un po’ di pazienza! Ne ho ancora per poco! Aprite la bocca!
VILDAMOUR - (dolorosamente) Ooh-oh-oh.
FOLLBRAGUET - (sempre lavorando) Non fateci caso. Pensate a cose allegre.
VILDAMOUR - (in maniera incomprensibile, a causa del bavaglio) Eh!… i… a… e-o a i-o! (Che significa, Per quanto è possibile capire: Eh! Si fa presto a dirlo)
FOLLIBRAGUET. Non muovetevi, per favore. Aprite la bocca… Non vi faccio male, ve lo assicuro, non vi faccio male.
VILDAMOUR - (gemendo) Oooh-oh-oh.
FOLLBRAGUET - Ma no, ma no; se devo farvi male, vi avverto prima.
VILDAMOUR - (angosciato) Oh! oh!
FOLLBRAGUET - Non abbiate paura! (Si ferma per cambiare strumento)
VILDAMOUR - I-I… a-e u a-o i o-e-e, oi! (Sì! Sì! Fate un sacco di promesse, voi!)
FOLLBRAGUET - (che ha preso un altro strumento) Ecco! Aprite la bocca… bene… attenzione!
VILDAMOUR - (impallidendo) Oa? (Cosa?)
FOLLBRAGUET - Non abbiate paura… ora vi dovrò fare un pochino di male.
VILDAMOUR - (inquieto) Ah? (Bruscamente) Oh!
FOLLBRAGUET - Vedete? Non vi ho preso a tradimento. No, no, non girate la testa… oh!
VILDAMOUR - (esausto) A-e-a-e! A-e-a-e u o-e-o! (Aspettate, aspettate un momento) Ah! A-o io! Ah! (Santo Dio!)
FOLLBRAGUET - Ecco, è finito. È finito.
VILDAMOUR - Ah! a-o io! oi o a-e-e o-a uo i-e, oi! È a-e-o-o… e-a e i i-a-o a-a-a-o i e-e-o. A! A! I a-i-a a uo-e… È e-i-i-e! (Ah! Santo Dio, voi non sapete cosa vuol dire, voi! È spaventoso… sembra che vi stiano trapanando il cervello. Zan! Zan! Vi arriva al cuore… È terribile)
FOLLBRAGUET - (meccanicamente) Sì, sì, signore! Sì!
VILDAMOUR - O o i a i-e-a-o i a i e-i, a e-e e-e-e u a-i-a-e o-u-o! (Non so chi ha inventato il mal di denti, ma deve essere un animale fottuto!) O ià a-u-o, ue a-i a, u a i e-i o-e ue-o, e-ò ue-a o-a… (Ho già avuto, due anni fa, un mal di denti come questo, però quella volta…)
FOLLBRAGUET - (avvicinandosi, con uno strumento all’estremità del trapano) Su! Aprite la bocca!
VILDAMOUR - Oh! A-o-a i a-a-o! (Oh! Ancora il trapano!)
FOLLBRAGUET - Una sciocchezza! Roba da ridere! (Agisce) Vedete? Non vi faccio male.
VILDAMOUR - (con convinzione) Hi! (Sì!)
FOLLBRAGUET - È per il vostro bene… Ecco… Ecco, vedete? Vi state abituando; aprite la bocca! Vi basterebbe ritornare per otto giorni di seguito e non potreste più farne a meno.
VILDAMOUR - (gemendo) Oh! Oh! Oh!
FOLLBRAGUET - No, no, è un’idea. Ecco, è finito! (Continuando ugualmente) È finito…
VILDAMOUR - Oh! Oh!
FOLLBRAGUET - È finito, ecco! (Si ferma)
VILDAMOUR - (alzandosi) Ah!
FOLLBRAGUET - Aspettate! Aspettate non ho finito!
VILDAMOUR - (sedendosi di nuovo) I-e e-e e a-e-e i-i-o e oi o i-i-e ai! (Dite sempre che avete finito e poi non finite mai!)
FOLLBRAGUET - (che durante le battute precedenti ha acceso un fornellino a spirito e vi scalda sopra il soffietto ad aria calda) Ora non è niente. Non abbiate paura! Aprite la bocca.
VILDAMOUR - (ad ogni colpo di soffietto) Ah! Ah! Ah!
FOLLBRAGUET - Fatto!
VILDAMOUR - Oh! O-è a-e-o-e! (Oh! com’è sgradevole!)
FOLLBRAGUET - (animatamente) Non chiudete la bocca! Tenetela bene aperta! (Avvolge un batuffolo di cotone attorno a un bastoncino d’acciaio e dopo averlo imbevuto di una sostanza medicamentosa, contenuta in una fialetta, lo introduce nel dente che ha preparato) Ecco! Non è poi così terribile! (Scioglie la fascia di gomma, toglie l’aspiratore e tende un bicchiere, riempito per un quarto di acqua e dentifricio) Sputate!
VILDAMOUR - (obbedisce e dopo essersi sciacquala la bocca) Grazie… siete molto gentile… quanto mi avete torturato!
FOLLBRAGUET - (dirigendosi verso la scrivania) Ma no, ma no! È mettendovi in mente queste cose che sentite male! Dunque! Voi tenete la medicazione per un giorno o due, poi tornate qui che vi metto l’oro. (Sfogliando l’agenda) Vediamo un po’… che appuntamenti ho? Aspettate… dopodomani alle cinque, siete libero?
VILDAMOUR - Dopodomani alle cinque? No, ho un appuntamento!
FOLLBRAGUET - Ah, ah! (Si appresta a cercare un altro giorno) Allora, vediamo…
VILDAMOUR - Oh! Ma va benissimo! Devo vedere un creditore. Resterà con un palmo di naso. È un’occasione d’oro.
FOLLBRAGUET - Benissimo! Dunque, (scrivendo) undici febbraio, ore cinque, signor Vildamour. Non dimenticatevi.
VILDAMOUR - Vedete bene che non dimentico niente, dal momento che ricordo un appuntamento con un creditore. (Pausa) Bene. (Pausa) Sapete? Mi fa ancora male.
FOLLBRAGUET - (indifferente) Sì, sì.
VILDAMOUR - Sembra che non vi faccia né caldo né freddo.
FOLLBRAGUET - Non mi fa né caldo né freddo perché è nell’ordine delle cose. Soffrirete per un quarto d’ora, poi il dolore andrà diminuendo. Ho appena praticato il foro, ci vuole un po’ di tempo prima che il dolore scompaia.
VILDAMOUR - Ah!
FOLLBRAGUET - (mentre parla va a premere il tasto di un campanello elettrico) Però, se il dolore continua, tornate pure. Vedrò di farvi passare fra un appuntamento e l’altro.
VILDAMOUR - Oh! Siete il dentista più cortese che ci sia. Comunque, non è da oggi. Quando parlo di voi, sapete… potete chiedere in giro… dico sempre: ah, il mio dentista, è un fenomeno. Ha una mano… È un piacere, non si sente assolutamente niente.
FOL.LBRAGUET - (lusingato) Ah! E che cosa vi rispondono?
VILDAMOUR - Mi rispondono: « Anche il mio! ».
FOLLBRAGUET - (intiepidito) Ah!
ADRIANO - (comparendo sul fondo) Signore?
FOLLBRAGUET - Accompagnate il signore! Intanto dite al signor Giovanni di venire qui… (A Vildamour) A dopodomani alle cinque, dunque.
VILDAMOUR - D’accordo.
FOLLBRAGUET - E poi tenete la bocca coperta. Badate di non prendere freddo al dente! Ma voi mi portate via la salvietta! (Posa la salvietta sullo schienale della poltrona odontoiatrica. Adriano apre la porta per lasciare passare Vildamour: si vede in anticamera Marcella che sta disputando con Ortensia. Parlano tutt’e due assieme)
MARCELLA - E adesso basta! Quando dico una cosa è quella! Non mi si risponde che non è vero.
FOLLBRAGUET - Cosa, cosa? Cosa c’è?
VILDAMOUR - (passa davanti a Marcella, seguìto da Adriano) Scusate, signora!
MARCELLA - (con rapidità e seccamente) Buongiorno, signore!
FOLLBRAGUET - L’anticamera non è il posto adatto per discutere con le persone di servizio, specialmente nelle ore di visita.
MARCELLA - (irrompe nello studio di Follbraguet e porge a questi un manicotto che ha in mano) Caro, ti dispiacerebbe toccare?
FOLLBRAGUET - Ti ho detto che l’anticamera…
MARCELLA - Ebbene! In anticamera io non ci sono! Sono nel tuo studio. Ti dispiace toccare?
FOLLBRAGUET - (toccando macchinalmente) Ma perché? Ah! Cos’è? È bagnato.
MARCELLA - (trionfante) Ah! Lo senti anche tu che è bagnato!
ORTENSIA - (rimasta nel vano della porta) Non ho mai detto il contrario.
FOLLBRAGUET - (fiutandosi macchinalmente le dita) Beh, e poi? È acqua.
MARCELLA - Acqua? Eh! È acqua, secondo te?
FOLLBRAGUET - Diamine! Dal momento che è bagnato!
ORTENSIA - Ecco!
MARCELLA - È pipì di gatto!
FOLLBRAGUET - (furioso) Oh! Sei disgustosa!
MARCELLA - Proprio non capisci niente.
FOLLBRAGUET - (V a lavarsi le mani al lavabo) E tu me lo fai toccare!
ORTENSIA - Ma no, signore! È la signora che pretende assolutamente che la mia gatta sia andata… a perdere ogni ritegno sul suo manicotto! Ora, essendo noto universalmente che la mia gatta non va mai nel resto dell’appartamento mi domando come abbia potuto farlo.
MARCELLA - Ma perdinci, basta fiutare! (A Follbraguet) Toh, fiuta!
FOLLBRAGUET - Ma no!
SIGNOR GIOVANNI - (compare a destra, è in divisa da lavoro, giacca bianca di tela) Avete chiesto di me, signor Follbraguet?
FOLLBRAGUET - (asciugandosi) Sì.
MARCELLA - (tendendogli il manicotto) Signor Giovanni, volete dirmi che odore ha?
FOLLBRAGUIET. Ah! No, ti prego.
MARCELLA - Ti prego anch’io, non influenzarlo!
SIGNOR GIOVANNI - (fiutando per compiacenza) Non mi piace tanto, questo odore.
MARCELLA - Non è questo che vi chiedo. Che odore è?
FOLLBRAGUET - (mentre il signor Giovanni fiuta a lungo) È matta!
SIGNOR GIOVANNI - È eucaliptus.
MARCELLA - (ritirando vivacemente il manicotto, che spazzola il naso del signor Giovanni) No, signore, è pipì di gatto.
SIGNOR GIOVANNI - (asciugandosi il naso) Non mi piace tanto, questo odore.
MARCELLA - (a Ortensia) Come vedete, sono d’accordo tutti. Non mi direte più ora…
FOLLBRAGUET - (spingendole fuori) Sì, ebbene, pipì o non pipì, mi farete il santo piacere di continuare le vostre liti altrove e non nel mio studio. C’è gente che aspetta e non ha nessun bisogno di assistere alle vostre beghe!
MARCELLA - (continuando a discutere mentre, assieme a Ortensia, si lascia spingere fuori) Non mi direte più che non è stata la gatta…
ORTENSIA - Oh! La signora mi scusi! Ma la signora non mi farà dire una cosa contraria alla verità.
MARCELLA - Vi prego di stare zitta! Non ammetto che mi si risponda quando dico una cosa…
FOLLBRAGUET - Insomma, porco cane! Lasciatemi lavorare in pace! (Spinge le donne fuori dallo studio e chiude la porta. Si sente, dietro la porta, che la discussione continua, allontanandosi)
FOLLBRAGUET. Oh! È spaventoso che non si possa avere un momento di tranquillità. (Al signor Giovanni) Cosa volevo dire? Sì… c’è gente di là?
SIGNOR GIOVANNI - Non c’è più nessuno. C’era la signora Otero poco fa; le sta spuntando un dente del giudizio.
FOLLBRAGUET - Guarda, guarda!
SIGNOR GIOVANNI - Ho inciso 1a gengiva per facilitare l’eruzione.
FOLLBRAGUET - Benissimo. Sempre carina?
SIGNOR GIOVANNI - Caspita!
FOLLBRAGUET - Perché non me l’avete detto? Mi sarebbe piaciuto vederla.
SIGNOR GIOVANNI - Eravate occupato con un cliente; allora l’ho presa io.
FOLLBRAGUET - Non perdete mai un’occasione, voi!
SIGNOR GIOVANNI - Oh! Signor Follbraguet, la signora Otero e io non ci abbiamo pensato… né l’uno né l’altra.
FOLLBRAGUET - (Ironico) Oh!
SIGNOR GIOVANNI - (solenne) Ve lo giuro!
FOLLBRAGUET - Sì, sì, d’accordo! Volevo dire! Bisognerebbe passare da coso… quello che ci fornisce l’amalgama…
SIGNOR GIOVANNI - Bringuet.
FOLLBRAGUET - Sì, per dirgli che l’ultima fornitura non vale niente. Le ultime otturazioni che ho fatto si sgretolano tutte e vengono via; non è serio, deve cambiarci il prodotto.
SIGNOR GIOVANNI - Bene, signore.
FOLLBRAGUET - Ecco, tutto qui.
SIGNOR GIOVANNI - D’accordo, signore.
SCENA SECONDA
Gli stessi, MARCELLA, poi ORTENSIA

MARCELLA - Ti prego, caro…
FOLLBRAGUET - Oh! Ancora tu!
MARCELLA - Come? Se non c’è nessuno!
FOLLBRAGUET - Scusami, c’è gente che aspetta.
MARCELLA - Bene! Può aspettare! Quando uno ha mal di denti, aspetta. Ti prego di licenziare Ortensia sui due piedi.
FOLLBRAGUET - Oh! Cosa c’è ancora?
MARCELLA - Le ho fatto un’osservazione e lei mi ha risposto: « Me ne frego! ».
FOLLBRAGUET - Beh! Fa’ anche tu la stessa cosa!
MARCFLLA. E tu ammetti una cosa del genere? Tu ammetti che lei mi risponda: « Me ne frego! ».
FOLLBRAGUET - Vuol dire che prende le cose con filosofia. (Risatina soffocata del signor Giovanni)
MARCELLA - Cosa avete da ridere voi?
SIGNOR GIOVANNI - Oh! Niente, signora.
MARCELLA - (a suo marito) Oh! Che spirito. Del resto non mi meraviglio. Tutti sanno che non t’importa niente se mi insultano. È proprio perché sanno che non ho nessuno che sappia farmi rispettare che si permettono…
FOLLBRAGUET - Ma no, cosa vai a cercare? Se tu non fossi così opprimente con quella ragazza…
MARCELLA - Ah, io sono opprimente. Io sono opprimente! Ma benissimo!
SIGNOR GIOVANNI - Posso andare, signore?
FOLLBRAGUET - Sì, signor Giovanni. Capisco bene che questa discussione non vi interessi!
SIGNOR GIOVANNI - Oh! Non è questo!
FOLLBRAGUET - Non avete bisogno dì scusarvi… andate pure, signor Giovanni, andate! (Il signor Giovanni esce)
MARCELLA - Vedi? Vedi cosa succede? Anche questo qui, come vuoi che mi rispetti, se hai tutta l’aria di prendermi in giro di fronte a liti?
FOLLBRAGUET - Come? Non ti ha mica mancato di rispetto!
MARCELLA - No, ma lo farà. Difendi, difendi quella ragazza!
FOLLBRAGUET - Ma non la difendo mica.
MARCELLA - Bene, d’ora in avanti saprò che i miei manicotti servono da cuccia alle gatte della donna di servizio. (Torna verso il fondo)
FOLLBRAGUET - Ah! No, ti prego! Basta con questa storia della gatta! Fatene una fricassea e che non se ne parli più.
MARCELLA - Insomma, la vuoi mandare via, sì o no?
FOLLBRAGUET - Oh! Come sei noiosa!
MARCELLA - (ritorna verso il fondo e chiama) Ortensia! Ortensia!
FOLLBRAGUET - No! Ti prego! Ti prego!
MARCELLA - Ortensia!
ORTENSIA - (da fuori) Signora?
FOLLBRAGUET - Oh! Che vita!
MARCELLA - (a Ortensia, che compare) Entrate che il signore vi mette alla porta!
FOLLBRAGUET - Ma niente affatto! Niente affatto!
MARCELLA - Ma sì, sì, come no!
FOLLBRAGUET - Oh!
MARCELLA - Ho appena riferito al signore il modo con cui vi siete permesso di parlarmi. È indignato!
FOLLBRAGUET - (scalpitando) Ah, è esasperante.
MARCELLA - Ecco! Sentite? Il signore dice che è esasperante!
ORTENSIA - Lo dice davvero per me, il signore?
MARCELLA - Non vorrete insinuare che lo dice per me!
ORTENSIA - Non lo so.
MARCELLA - Hai sentito? Hai sentito come mi parla? Ma insomma, dì qualcosa! Abbi il coraggio di dire le cose in faccia alla gente!
FOLLBRAGUET - Ma cosa vuoi che dica?
MARCELLA - Qui c’è una ragazza che a una mia osservazione ha risposto: « Me ne frego! ». Tu lo ammetti?
FOLLBRAGUET - (senza convinzione) No…
MARCELLA - E allora, se non l’ammetti, dimostralo e mandala via! (Pausa) E allora?
FOLLBRAGUET - Beh! Aspetta, no?
ORTENSIA - Mi dispiacerebbe, naturalmente, lasciare la casa, per il signore che è sempre stato buono con me, ma se il signore lo esige…
FOLLBRAGUET - Anche voi, ragazza mia. Chissà in che modo avete detto alla signora: « Me ne frego! ».
MARCELLA - Non si tratta di sapere in che modo: non ci sono molti modi di dire: « Me ne frego! ». Io non ammetto che una donna di servizio usi nei miei confronti queste espressioni da carrettiere. Mi ha detto« Me ne frego! »? Bene! E tu frega lei e sbattila fuori. Punto e basta.
FOLLBRAGUET - (a Ortensia) E va bene! Cosa volete, figlia mia, visto che la signora ci tiene tanto, vi sbatto fuori.
ORTENSIA - Bene, signore. (Pausa) Rimpiangerò il signore, che è sempre stato buono con le persone di servizio.
MARCELLA - Sì, va bene! Andate a prendere il libretto, che vi paghiamo. (Ortensia esce)


SCENA TERZA
FOLLBRAGUET, MARCELLA, poi ADRIANO, poi la SIGNORA DINGUE

FOLLBRAGUET - (appoggiato alla scrivania) Perché strapazzi quella ragazza, solo perché mi ha detto una parola gentile?
MARCELLA - Sì, naturalmente! Tu ti lasci accalappiare. Se non capisci che è un’altra impertinenza nei miei confronti… devo concludere…
FOLLBRAGUET - Oh! Tu vedi machiavellismi dappertutto.
MARCELLA - E tu sei un debole! Sì, un debole! Ah! Che rammollito!
FOLLBRAGUET - Si capisce! Quando uno non è del tuo parere, è un rammollito. (Sentendo bussare) Avanti!
ADRIANO - Il signore non dimentichi che in salotto c’è sempre una persona che lo attende.
FOLLBRAGUET - Cosa volete che vi dica? La signora non vuole lasciarmi in pace un momento!
MARCELLA - Questo sì che è tatto! Questo sì che è tatto!
FOLLBRAGUET - Ma è la verità! (Ad Adriano) Fate entrare la persona.
MARCELLA - Che rammollito! (Esce a sinistra)
FOLLBRAGUET - Sì, Sì, d’accordo. (Vedendo entrare la signora Dingue) Accomodatevi, signora.
SIGNORA DINGUE - (ad Adriano, che si tira da parte) Scusate! (Adriano esce)
FOLLBRAGUET - Avevate appuntamento?
SIGNORA DINGUE - No, dottore. È la prima volta che vengo. Disgraziatamente il mio dentista è morto. D’altra parte non ho fortuna coi dentisti, è il terzo che perdo!
FOLLBRAGUET - Ah! Non è incoraggiante.
SIGNORA DINGUE - Oh! questo non vuol dire niente. Comunque vedremo.
FOLLBRAGUET - Grazie, signora.
SIGNORA DINGUE - So che siete il dentista di un mio caro amico. Mi ha mandato lui, il signor Bienassis.
FOLLBRAGUET - Ah!
SIGNORA DINGUE - Lo conoscete bene?
FOLLBRAGUET - Certamente, ho una causa con lui.
SIGNORA DINGUE - Ah! Questo non me l’ha detto.
FOLLBRAGUET - Oh! Mi deve dei soldi, tutto qui.
SIGNORA DINGUE - Oh! Allora non è grave! Il denaro non fa la felicità.
FOLLBRAGUET - Sì, c’è solo da chiedersi come mai i ricchi ci tengano tanto!
SIGNORA DINGUE - Ah! Questo poi! Ma noi chiacchieriamo e vi faccio perdere tempo! Ecco, caro dottore, quel che mi è capitato. Oh! Un guaio da poco, mangiando delle lenticchie… I domestici sono così poco coscienziosi nel loro lavoro! Hanno lasciato una pietruzza e mi sono rotta un dente.
FOLLBRAGUET - Ah! Peccato! Se non vi dispiace accomodarvi…
SIGNORA DINGUE - Molto volentieri. (Siede sulla poltrona odontoiatrica)
FOLLBRAGUET - (apprestandosi a guardare) Qual è il dente rotto? (Fa salire la poltrona)
SIGNORA DINGUE - Ora ve lo faccio vedere. (Estraendo una dentiera dalla sua borsa a rete) Eccolo qui!
FOLLBRAGUET - Ah, ah!
SIGNORA DINGUE - Naturalmente, resti fra di noi!
FOLLBRAGUET - Oh! Segreto professionale!
SIGNORA DINGUE - (contemplando la dentiera) Sono carini, no? (Cenno di approvazione con la testa da parte di Follbraguet) È l’ultimo lavoro del povero defunto.
FOLLBRAGUET - Ah! Sì! L’ultimo dentista… prima di me.
SIGNORA DINGUE - Sì. Gli avevo chiesto un lavoro speciale… Non so se siete del mio parere, ma l’attrattiva principale di una donna, secondo me, è di avere dei bei denti.
FOLLBRAGUET - Tanto più che costano.
SIGNORA DINGUE - Non è vero?
FOLLBRAGUET - Non sarà un dentista che vi dirà il contrario. (Fa abbassare la poltrona)
SIGNORA DINGUE - Oh! Dove sto andando?
FOLLBRAGUET - Non preoccupatevi. Siete già arrivata.
SIGNORA DINGUE - Che squisitezza!
FOLLBRAGUET - Dio mio, signora, si tratta di rimettere un dente… Però ci vorrà qualche giorno. Avete fretta?
SIGNORA DINGUE - Oh! Mi rimane la dentiera numero due, quella di tutti i giorni, e mentre aspetto…
FOLLBRAGUET - Già, questa è la dentiera della festa.
SIGNORA DINGUE - Oh! No, odio mettermi in ghingheri! Però, quando vado a un ricevimento o a un pranzo importante… Ma non ho in previsione ricevimenti o pranzi importanti.
FOLLBRAGUET - Allora, benissimo! (Aprendo la porta imbottita) Signor Giovanni, per favore.
SIGNOR GIOVANNI - (da fuori) Vengo subito, signore.
FOLLBRAGUET - (dietro la scrivania, aprendo l’agenda) Se volete darmi il vostro nome e indirizzo…
SIGNORA DINGUE - Dingue… Isa… Isa Dingue, rue Bugeaud 8.
FOLLBRAGUET - (terminando di scrivere) Signora Isa Dingue… rue Bugeaud 8… Riparazione « Gnam, gnam, gnam ».
SIGNORA DINGUE - Come, riparazione « Gnam, gnam, gnam »?
FOLLBRAGUET - Sì, lo scrivo per me; io capisco. Voi non ci tenete, evidentemente, che qualcuno, aprendo per caso la mia agenda, ci trovi scritto: « Signora Dingue, riparazione della dentiera »…
SIGNORA DINGUE - Ah! No!
FOLLBRAGUET - Ecco perché « Gnam, gnam, gnam »; io so cosa vuol dire e i profani non capiscono.
SIGNORA DINGUE - Ah! Veramente geniale.
FOLLBRAGUET - Sì, lo faccio sempre in questi casi… Non siete la sola. (Sfogliando l’agenda) Ecco qua… Signora Rethel-Pajon. « Gnam, gnam, gnam », aggiungere un incisivo.
SIGNORA DINGUE - Rethel-Pajon? La moglie del signor Armando Rethel-Pajon?
FOLLBRAGUET - Precisamente.
SIGNORA DINGUE - Oh! La conosco molto bene. Come, ha la dentiera?
FOLLBRAGUET - (smarrito) Sì… eh? No! no!
SIGNORA DINGUE - Ma allora, il « gnam, gnam, gnam »?
FOLLBRAGUET - (animatamente) È un errore, non è lei.
SIGNORA DIN GUE. Oh! Non abbiate timore, sarò discreta.
FOLLBRAGUET - Oh! Vi prego, non abusate del momento di sbadataggine che ho avuto. Del resto, discrezione per discrezione… voi mi capite.
SIGNORA DINGUE - Sì, sì! Ah! Non avrei mai creduto, ho sempre tanto ammirato i suoi denti!
FOLLBRAGUET - (inchinandosi) Siete davvero troppo indulgente.
SIGNORA DINGUE - Ah! Sono vostri?
FOLLBRAGUET - Sono miei.
SIGNORA DINGUE - Siete un artista!
SIGNOR GIOVANNI - Mi avete chiamato, signor Follbraguet?
FOLLBRAGUET - (premendo il bottone del campanello elettrico) Sì, per la signora; ma dove l’ho messa?
SIGNORA DINGUE - Che cosa?
FOLLBRAGUET - La dentiera… (Cerca nelle tasche) Ah! L’avevo messa in tasca. (Porgendo la dentiera al signor Giovanni) Ecco!
SIGNOR GIOVANNI - (senza alcuna malizia) Ah!
SIGNORA DINGUE - Come « Ah »?
FOLLBRAGUET - Bisogna rimettere il secondo molare superiore di sinistra…
SIGNOR GIOVANNI - Benissimo!
FOLLBRAGUET - Mi raccomando, faccia un lavoro molto accurato. È la dentiera fine.
SIGNOR GIOVANNI - Bene, signore. La signora ha un giorno speciale per il bridge?
SIGNORA DINGUE - Il bridge? Quale bridge? Io non gioco a bridge…
SIGNOR GIOVANNI - No, è per la…
FOLLBRAGUET - (alla signora Dingue) Sì, la chiamiamo anche bridge.
SIGNORA DINGUE - Ah! Non lo sapevo.
FOLLBRAGUET - (congedandolo) Bene, signor Giovanni… Ora fisso l’appuntamento alla signora… (Giovanni esce portando con sé la dentiera)
ADRIANO - (entrando) Il signore ha suonato?
FOLLBRAGUET - (ad Adriano, che è comparso sulla porta di sinistra) Accompagnate la signora.
ADRIANO - Bene, signore.
SIGNORA DINGUE - Grazie, dottore. (Va prendere il suo manicotto sulla scrivania)
FOLLBRAGUET - C’è ancora gente di là?
ADRIANO - Nessuno per il momento, ma Ortensia è in anticamera che aspetta di parlare al signore.
FOLLBRAGUET - (con un gesto di malumore) Ah! (Dopo una pausa) D’accordo, quando la signora è uscita.
SIGNORA DINGUE - Allora, dottore, per quando?
FOLLBRAGUET - Che cosa signora?
SIGNORA DINGUE - Il mio « gnam, gnam, gnam ».
FOLLBRAGUET - (comprendendo) Ah!
ADRIANO - (fra i denti, ironicamente) Toh!
FOLLBRAGUET - Oh! Fate conto sette o otto giorni, ve la manderò a casa.
SIGNORA DINGUE - D’accordo, dottore, arrivederci
FOLLBRAGUET - I miei rispetti, signora. (Sul vano della porta) Venite, voi.


SCENA QUARTA
FOLLBRAGUET, ORTENSIA

ORTENSIA - Signore, ho portato il libretto.
FOLLBRAGUET - Bene, date qua! (Prende il libretto e va a sedersi alla scrivania)
ORTENSIA - Come il signore può vedere, arriva fino al 30 gennaio; rimane quindi il conto dal primo al nove.
FOLLBRAGUET - (scorrendo il libretto) Bene, bene!
ORTENSIA - Più quindi il mio mese che parte dal 16, fa un mese meno sette giorni, più gli otto giorni a cui ho diritto, fa un mese e un giorno, in tutto sessantadue franchi…
FOLLBRAGUET - È spaventoso. Le cose inutili che ci sono qui dentro!
ORTENSIA - (piccata) Caspita! sSono le spese della signora.
FOLLBRAGUET - Sì, oh! Lo so bene…
ORTENSIA - Oh! Lo so bene che il signore lo sa bene!
FOLLBRAGUET - Ma guardate qua! Tulle, tulle, veletta, tulle, tulle, tulle, tulle, veletta, tulle. Ma cosa ne fa di tutto questo tulle?
ORTENSIA - Fronzoli!
FOLLBRAGUET - Qui cosa c’è?
ORTENSIA - (avvicinandosi a Follbraguet) Scusate… (Leggendo) Lòdano.
FOLLBRAGUET - (Un po’ ironico) Ah!
ORTENSIA - Non ho una bella calligrafia.
FOLLBRAGUET - Oh! Non è questo!
ORTENSIA - Nella mia condizione, vero?
FOLLBRAGUET - Laudano, sì, sì. Perché l’avete comprato, ce l’abbiamo qui.
ORTENSIA - Fu una sera che il signore era uscito. La signora doveva fare un cataplasma e siccome non aveva il lòdano mi ha mandato dal farmacista.
FOLLBRAGUET - Sì, dopotutto… (Leggendo) Lavanda 75 centesimi; amido 80. Eh? Come, come? Cosa avete scritto qui?
ORTENSIA - (dando un’occhiata) Pene di struzzo.
FOLLBRAGUET - Ah! Ma si scrive con due enne.
ORTENSIA - Ah, sì? Può darsi.
FOLLBRAGUET - In tutto, sono ottantasei franchi e venti centesimi, più sessantadue, fanno centoquarantotto franchi e venti centesimi. Scrivete: « Ricevo a saldo di ogni mia spettanza, centoquarantotto franchi e venti centesimi; per quietanza » e la vostra firma.
ORTENSIA - Oh! Oh! Se il signore volesse scrivere lui, con tutte queste parole straniere… da sola non me la caverei mai.
FOLLBRAGUET - D’accordo… (Scrive)
ORTENSIA - Il signore mi può rilasciare il benservito?
FOLLBRAGUET - (mentre scrive) Oh! Non oggi, ve lo faccio domani. (Terminando di scrivere) Centoquarantotto franchi e venti! Nove febbraio 1915. Ecco, scrivete sotto, per quietanza, e firmate.
ORTENSIA - (prendendo la penna) Sì, signore.
FOLLBRAGUET - No, no! « Quietanza » è una parola sola! (Scandendo) P-e-r, poi, staccato, q-u-i-e-t-a-n-z-a!… Con la q.
ORTENSIA - Mi sono dimenticata di mettere la maiuscola.
FOLLBRAGUET - Tanto non serve. Firmate.
ORTENSIA - (firma) Ecco.
FOLLBRAGUET - (alzandosi) Vado a prendere la somma che vi devo.
ORTENSIA - Spero che il signore non mi serberà rancore.
FOLLBRAGUET - Sì… ah! C’era proprio bisogno di combinarmi questo guaio!
ORTENSIA - Mi dispiace molto, ma se la signora non mi avesse detto…
FOLLBRAGUET - Non vi avesse detto che cosa?
ORTENSIA - Che la mia gatta aveva fatto…
FOLLBRAGUET - Ah! La vostra gatta. Cosa ve ne importa della gatta? Non vorrete mica avere dell’amor proprio per la gatta! Non è né vostra madre né vostra sorella. Non è il caso di farne un affare Dreyfus!
ORTENSIA - Il signore deve comprendere… siamo domestiche ma non per questo dobbiamo lasciarci dire qualsiasi cosa!
FOLLBRAGUET - Bell’affare! Ma è inutile, è più forte di voi! Dovete sempre rispondere.
ORTENSIA - Insomma, il signore sa bene com’è la signora. Usa un certo tono quando vi rivolge la parola!
FOLLBRAGUET - Non lo nego…
ORTENSIA - Il signore dovrebbe saperlo già per conto suo. Basta pensare al modo con cui la signora, tratta il signore…
FOLLBRAGUET - Sì, oh! Beh, io…
ORTENSIA - E davanti a noi! Tanto che ci sentiamo a disagio.
FOLLBRAGUET - Sì, oh! Lo so bene…
ORTENSIA - Ne parlavamo ancora ultimamente in cucina: Adriano era indignato.
FOLLBRAGUET - Ah!
ORTENSIA - Diceva, perché Adriano è una persona che non parla a vanvera, ma sa giudicare, diceva: « Veramente, ammiro il signore. Con una donna come la signora, io non sarei rimasto nemmeno ventiquattro ore ».
FOLLBRAGUET - Cosa volete…
ORTENSIA - E quel modo, ancora ieri, quando servivo a tavola, di dare al signore tutti quei titoli… di chiamarlo cappone.
FOLLBRAGUET - E non è vero!
ORTENSIA - Ma io non lo so, signore, e non devo saperlo.
FOLLBRAGUET - Ah! Sì, ma il fatto è che…
ORTENSIA - Cappone! Sono cose da dire davanti ai domestici?
FOLLBRAGUET - Già!
ORTENSIA - Come vuole, signore che i domestici poi la rispettino? « Cappone »!
FOLLBRAGUET - Sì, questo è vero…
ORTENSIA - Ah! Se i padroni sapessero il torto che fanno a se stessi, quando si comportano in questo modo! I domestici si mettono forse a parlare delle loro faccende davanti ai padroni? Ah! No! Mica scemi!
FOLLBRAGUET - Sì. Ah! È Proprio una disgrazia, sentite, che non possiate dire tutte queste cose a mia moglie.
ORTENSIA - È difficile!
FOLLBRAGUET - Gliele ho ripetute fino alla nausea… Ma è più forte di lei… Appena ci sono degli spettatori, si ha l’impressione che si senta stuzzicata… Se per disgrazia le dico una cosa che le dispiace, non so, che non mi piace il suo vestito o che è pettinata male… Apriti cielo! Ne vengono fuori di tutti i colori, su di me e sulla mia famiglia: « Ah! Naturalmente, preferiresti che io avessi l’aspetto di una sgualdrina, come tua sorella! ».
ORTENSIA - E Dio sa che la sorella del signore…
FOLLBRAGUET - Insomma, eravate presente anche voi l’altro giorno, quando mi ha fatto quella scenata… (Senza transizione) Sedetevi.
ORTENSIA - Sì, signore.
FOLLBRAGUET - A proposito del suo vestito… che non le do i soldi per prendersi gli abiti, e che non aveva niente da mettersi.
ORTENSIA - È insensato!
FOLLBRAGUET - Insomma, voi ne sapete qualcosa. Sapete quanto mi costano, in ogni momento, le fatture… E per che cosa? Futilità, cianfrusaglie, come nel vostro libretto.
ORTENSIA - Tulle, tulle, tulle, veletta, tulle, tulle, tulle.
FOLLBRAGUET - Già.
ORTENSIA - Però, anche il signore, perché si lascia sopraffare?
FOLLBRAGUET - Cosa volete che faccia?
ORTENSIA - Dire una buona volta: « Ora basta! Ti do tanto per i vestiti e non un soldo di più! ». FOLLBRAGUET - Facile… Ma quando arrivano i conti, la roba è comprata.
ORTENSIA - Ebbene, si dice: « Mi dispiace ma non pago ». La seconda volta, la signora capisce.
FOLLBRAGUET - (assorto) Evidentemente…
ORTENSIA - Il signore è troppo buono, e si fa mettere i piedi sulla testa.
FOLLBRAGUET - Cosa volete? Per avere la tranquillità, ci si rimette di tasca propria…
ORTENSIA - Ah! Se è per questo!
FOLLBRAGUET - Già! È quello che avreste dovuto fare anche voi… invece di ostinarvi a discutere.
ORTENSIA - Evidentemente il signore ha un carattere migliore del mio.
FOLLBRAGUET - La signora è uno zolfanello, d’accordo, ma se non le si tiene testa… Sono convinto che domani… quando vi vede al vostro posto… non si ricorda nemmeno che vi ha licenziata.
ORTENSIA - Sì, ma il signore deve capire… servire in queste condizioni…
FOLLBRAGUET - No, sentite! Sentite! In questo avete torto! Siete voi in questo momento che siete maldisposta!
ORTENSIA - Vedere che non si riconosce mai niente di quel che uno fa! Insomma, signore, un esempio; quando sono entrata a servizio dalla signora, avevo chiesto settanta franchi… La signora mi ha detto: « No, sessanta e se dopo sei mesi sono contenta di voi, vi aumento di dieci franchi ». Per non fare discussioni, ho accettato.
FOLLBRAGUET - E allora?
ORTENSIA - Bene, sono qui da otto mesi e la signora non mi ha ancora dato l’aumento.
FOLLBRAGUET - Se ne sarà dimenticata..
ORTENSIA - No, no! Gliel’ho ricordato e lei mi ha risposto: « Sì, sì, avremo tempo di parlarne ».
FOLLBRAGUET - Oh! Beh. Se si tratta di dieci franchi…
ORTENSIA - Oh! So bene che il signore non è la persona che me li rifiuta.
FOLLBRAGUET - È chiaro che dieci franchi non sono una gran somma.
ORTENSIA - Mille grazie, signore.
FOLLBRAGUET - Di che?
ORI’ENSIA. Dei dieci franchi.
FOLLBRAGUET - Ah! Sì… va beh… Però, vi prego cercate di moderarvi! Evitate le scenate; mi mandano su tutte le furie. Preferirei qualsiasi altra cosa, piuttosto.
ORTENSIA - Sì, signore!
FOLLBRAGUET - Vado a prendere il vostro denaro, visto che avete firmato la ricevuta…
ORTENSIA - Se il signore lo desidera… (Bussano alla porta)
FOLLBRAGUET - (al momento di uscire) Avanti!


SCENA QUINTA
Gli stessi, la CUOCA

CUOCA - Sono io, signore.
FOLLBRAGUET - Cosa fate in giro? Perché non siete in cucina?
CUOCA - Ho aiutato la signora a vestirsi, perché non ha nessuno. È la signora che mi manda.
FOLLBRAGUET - Sì, va bene, subito. (Esce a destra, dalla porta imbottita)
CUOCA - (appena Follbraguet è uscito) Allora?
ORTENSIA - Cosa?
CUOCA - Allora, te ne vai?
ORTENSIA - No.
CUOCA - Credevo che ti avessero mandata via.
ORTENSIA - Sì.
CUOCA - Per aver detto alla signora: « Me ne frego! ».
ORTENSIA - Sì.
CUOCA - E allora?
ORTENSIA - Il signore mi ha dato un aumento di dieci franchi.
CUOCA - (sbalordita) Eh?
FOLLBRAGUET - (rientrando) Beh, siete ancora qui?
CUOCA - La signora mi ha incaricato di chiedere al signore…
FOLLBRAGUET - Che cosa ancora?
CUOCA - Di chiedergli se la cosa era fatta.
FOLLBRAGUET - (guardando Ortensia scuotendo la testa, come per dire: « Eh? Incredibile! », poi alla cuoca) Sì, va bene. Dite alla signora che glielo dirò io.
CUOCA - Bene, signore. (Esce)


SCENA SESTA
ORTENSIA, FOLLBRAGUET, poi MARCELLA

FOLLBRAGUET - (con un ghigno) Non demorde! (Ortensia fa un gesto a significare che conosce la situazione da lungo tempo) Dunque, figliola mia… dicevamo centoquarantotto franchi e venti centesimi… Innanzitutto ecco i venti centesimi… Poi centoquarantotto; da 48 a 60… Avete il resto di 60 franchi?
ORTENSIA - Sì, signore. (Estrae il portamonete e ne cava due franchi) Ecco signore i due franchi.
FOLLBRAGUET - No, no! Da quarantotto a sessanta sono dodici franchi.
ORTENSIA - Ma ci sono i dieci franchi di aumento.
FOLLBRAGUET - Ah! I… sì… sì… effettivamente, i…
ORTENSIA - Grazie, signore.
MARCELLA - (irrompe e scorge Ortensia che, seduta, si alza quando Marcella entra) Ah? È così? Facciamo conversazione, adesso?
FOLLBRAGUET - Eh? No! Stavo facendole le mie osservazioni.
MARCELLA - E la fai sedere, per questo?
FOLLBRAGUET - È una cosa un po’ lunga… A conti fatti, sai, è una brava ragazza… e in fondo al cuore…
MARCELLA - Questo non c’entra… l’hai pagata?
FOLLBRAGUET - (turbato) Si… sì, l’ho pagata… Per questo, l’ho pagata… (A Ortensia) Non è vero?
ORTENSIA - Sì, signore.
MARCELLA - E allora, cosa aspetta per andarsene?
FOLLBRAGUET - Cosa aspetta… sì, sì, certo: cosa aspetta? Per l’appunto si parlava… mi diceva un gran bene di te… che sei una signora molto distinta.
MARCELLA - Troppo buona. Chi le ha chiesto il suo parere?
FOLLBRAGUET - Nessuno… non è per questo che mi stava dicendo… Solo, bisogna riconoscere che spesso hai un modo così perentorio di parlare…
MARCELLA - Eh?
FOLLBRAGUET - Con me, per esempio… È chiaro che in fondo tu non sei cattiva… Però, come mi diceva lei: ci sono cose che non si devono dire di fronte ai domestici.
MARCELLA - Ah? E tu vai a chiedere ai domestici cosa pensano di me?
FOLLBRAGUET - No, no, è saltato fuori così, nella conversazione… Come… come, per esempio, nevvero? Le avevi promesso un aumento di dieci franchi… Quindi, siccome le avevi promesso…
MARCELLA - E allora?
FOLLBRAGUET - E allora, le ho detto che glieli avrei dati.
MARCELLA - (con un balzo) Eh?
FOLLBRAGUET - Penso che tu mi approverai…
MARCELLA - Ah! È meraviglioso! Io ti dico di mandarla via e tu le aumenti la paga di dieci franchi!
FOLLBRAGUET - Ascolta…
MARCELLA - No, no, basta! Dal momento che non sono più padrona in casa mia! Dal momento che fra la mia donna di servizio e me, tu dai ragione alla mia donna di servizio… Benissimo; so quel che mi resta da fare.
FOLLBRAGUET - Ma non inalberarti subito così, Dio mio! Oh!
MARCELLA - Oh! Io m’inalbero… Solo, prendo la decisione che la mia dignità mi ordina. Ti lascio.
FOLLBRAGUET - Marcella, senti…
MARCELLA - No, no, è inutile! Me ne vado…
FOLLBRAGUET - Ah! Ma sì, vattene, alla fine! Io non ti trattengo…
MARCELLA - (tornando verso il fondo) Non aver paura, non me lo faccio dire due volte. Ah! No, perdinci!
FOLLBRAGUET - (a Ortensia) Che carattere! (Ortensia approva alzando gli occhi al cielo)
ORTENSIA - Il signore è un santo!
MARCELLA - (venendo avanti) E ti lascio anche la mia camera. Ci puoi sistemare Ortensia; così ce l’hai vicina e ti sarà più facile andare a letto con la tua cameriera!
FOLLBRAGUET - Cosa?
ORTENSIA - Che dice la signora?
MARCELLA - Addio! (Esce a sinistra)
FOLLBRAGUET - È pazza! È completamente pazza!
ORTENSIA - Ah, no! Ah, no! Non ammetto che mi si parli in questo modo!
FOLLBRAGUET - Ma non fateci caso…
ORTENSIA - Sono soltanto una domestica, ma non per questo si ha diritto di parlarmi a questo modo!
FOLLBRAGUET - Certo! E questa è la mia vita, ragazza mia, questa è la mia vita…
ORTENSIA - Può darsi che sia la vita del signore; ma non sarà la mia! Me ne vado, signore! Me ne vado!
FOLLBRAGUET - Che inferno, mio Dio! Che inferno! (Bussano alla porta) Avanti!


SCENA SETTIMA
Gli stessi, ADRIANO, LEBOUCQ, poi il SIGNOR GIOVANNI

ADRIANO - Signore, c’è una persona che è venuta per un gonfiore.
FOLLBRAGUET - Ah! Che seccatura!
ADRIANO - (vedendo Ortensia che viene frignando verso il fondo) Cos’hai?
ORTENSIA - (scostandolo leggermente, ma di malumore, e passandogli davanti per uscire) Niente, lasciami stare!
ADRIANO - Ma no, perché?
ORTENSIA - (da fuori) Niente…
FOLLBRAGUET - Oh! Oh! Oh! (Ritorna fino alla porta di fondo, il cui battente è rimasto aperto) Cosa volete, signore?
LEBOUCQ - (con un fazzoletto legato attorno alla faccia) Signore, soffro… Ho la guancia tutta gonfia!
FOLLBRAGUET - (arrabbiato) Sì, questo si vede! Sedetevi lì! E toglietevi il fazzoletto… (Si dirige al lavabo e riempie il bicchiere con acqua e dentifricio)
LEBOUCQ - (obbedendo) Sì, signore! (Siede. Dopo una pausa) Tutto dipende, credo, dall’essere andato a teatro, ieri; c’era una corrente d’aria.
FOLLBRAGUET - Sì, signore! Questo non interessa, nel nostro caso.
LEBOUCQ - Ah! Bene!
FOLLBRAGUET - (posando il bicchiere sul mobile che sta accanto alla poltrona) Aprite la bocca! (Scalpitando, mentre Leboucq obbedisce) Oh! Ma adesso basta! È ora di finirla!
LEBOUCQ - Come?
FOLLBRAGUET - No! Niente! Aprite la bocca!
LEBOUCQ - (indicando il dente) È questo!
FOLLBRAGUET - Sì, beh, è un dente guasto!
LEBOUCQ - (Con angoscia) Oh! Allora…
FOLLBRAGUET - Bisogna toglierlo.
LEBOUCQ - Non potete conservarlo?
FOLLBRAGUET - Perché? Non faccio mica la raccolta…
LEBOUCQ - No, conservarlo a me.
FOLLBRAGUET - Oh! Se vi preme tanto, tenetevelo
LEBOUCQ - Oh! Come siete sgarbato!
FOLLBRAGUET - (cercando uno strumento nel letto) Ah! Se foste al mio posto! Aprite la bocca! (Gli introduce lo strumento in bocca e si accinge a strappargli il dente)
LEBOUCQ - Ah! Ah! Ah!
FOLLBRAGUET - (tirando) Ma non gridate! Sono già abbastanza nervoso! Issa!
LEBOUCQ - Oh!
FOLLBRAGUET - Oh, ecco! È grazioso, il vostro spunzone! Vi consiglio di tenervelo caro. (Mette il dente in una scatoletta simile a una scatola di pillole)
LEBOUCQ - (ansimando) Oh! Porco cane! Oh! Porco cane!
FOLLBRAGUET - Su! Sciacquatevi la bocca!
LEBOUCQ - (che è lì lì per svenire) Ah! (Beve il contenuto del bicchiere)
FOLLBRAGUET - Ma non è da bere, accidenti!
LEBOUCQ - (come sopra) Ah! Lasciatemi… Ah! Lasciatemi!
FOLLBRAGUET - Su! Su! Non vorrete mica sentirvi male?
LEBOUCQ - Ah! Sento che sto per andarmene…
FOLLBRAGUET - Non lasciatevi andare… Su, stendetevi un momento! (Va alla porta, secondo piano a destra) Signor Giovanni! Signor Giovanni!
SIGNOR GIOVANNI - (comparendo) Signore!
FOLLBRAGUET - (che è venuto avanti verso Leboucq) Su, accompagnate il signore, fatelo riposare sulla chaise longue.
SIGNOR GIOVANNI - Sì, signore. (Prende Leboucq che Follbraguet gli consegna) Venite, signore.
FOLLBRAGUET - Aspettate!
LEBOUCQ - (con voce morente) Eh?
FOLLBRAGUET - (tendendogli la scatoletta che contiene il dente) Il vostro dente, signore! Ci tenevate tanto a conservarlo…
LEBOUCQ - (Prendendo la scatoletta per scrupolo di coscienza) Oh! Ora non ci tengo più! Me ne vado… Sento che me ne vado.
FOLLBRAGUET - Sì, sì, andate!
SIGNOR GIOVANNI - (accompagnando Leboucq) Da questa parte, signore, da questa parte. (Escono a destra)
FOLLBRAGUET - (va a sedersi alla scrivania) Che giornata, mio Dio! Che giornata! (Bussano) Avanti!


SCENA OTTAVA
Gli Stessi, ADRIANO, Poi ORTENSIA, Poi MARCEI,LA

ADRIANO - (freddo e dignitoso, fermandosi nel vano della porta) Sono io, signore.
FOLLBRAGUET - Come, siete voi?
ADRIANO - Desidero avere un colloquio col signore.
FOLLBRAGUET - Cosa? Cosa? Che c’è ancora?
ADRIANO - Ho aspettato che il signore terminasse col cliente. Quando ho sentito che lo faceva accompagnare dal signor Giovanni, ho bussato.
FOLLBRAGUET - Sì, sì, va bene, parlate!
ADRIANO - (venendo avanti) Dunque! Il signore non ignora che la signora ha gravemente offeso Ortensia.
FOLLBRAGUET - Ah! No! No! Non vorrete tornare a rompermi le scatole con questa faccenda!
ADRIANO - Mi dispiace di tornare a rompere le scatole al signore, ma non lo faccio per divertirmi. Senz’altro il signore saprà che io con Ortensia ci frequento.
FOLLBRAGUET - Cosa?
ADRIANO - Insomma, ci siamo sedotti.
FOLLBRAGUET - Ah!
ADRIANO - Oh! Con intenzioni serie, e infatti, nonostante questo, ho intenzione di sposarla.
FOLLBRAGUET - Ah! E allora?
ADRIANO - Beh! In quanto marito, non posso ammettere che la signora dica che Ortensia va a letto col signore. È infamante!
FOLLBRAGUET - Infamante! Infamante! Prima di tutto spero bene che voi non ci crediate!
ADRIANO - Oh! No, conosco Ortensia.
FOLLBRAGUET - Grazie per me.
ADRIANO - E poi, basta ricordarsi del modo con cui la signora chiamava il signore, quando diceva che era un cappone.
FOLLBRAGUET - Ehi, ma dico!
ADRIANO - Non lo dico per indisporre il signore, ma per mostrargli l’illogicità delle donne.
FOLLBRAGUET - Non dico di no, però…
ADRIANO - Per farla breve, signore, stando così le cose, mi dispiace di annunciare che sarò costretto a lasciare il servizio.
FOLLBRAGUET - Ebbene, lasciatelo! Cosa volete che vi dica?
ADRIANO - (dignitoso) Bene, signore. A questo punto riprendo il mio posto nella società e posso parlarvi da pari a pari.
FOLLBRAGUET - Cosa?
ADRIANO - Sono soltanto un marito che difende l’onore di sua moglie. O la signora ritira quel che ha detto e chiede scusa a Ortensia…
FOLLBRAGUET - (sbuffando nervosamente) A Ortensia!
ADRIANO - Oppure, non dimentico che al reggimento ero sottomaestro di scherma e avrò l’onore di mandare i padrini al signore.
FOLLBRAGUET - I padrini! Questa poi! Mi prendete in giro! Non penserete che voglia battermi col mio cameriere!
ADRIANO - Non sono più cameriere.
FOLLBRAGUET - (gli si avvicina) Ma io li metto alle porta, i vostri padrini.
ADRIANO - In questo caso, rimarrà stabilito che dopo avere offeso una persona il signore ha rifiutato di battersi: sarà protestato.
FOLLBRAGUET - (contorcendosi per la rabbia) Sarò protestato… sarò protestato… è stupefacente! Ebbene, mi si protesti! Cosa importa a me?
ADRIANO - Sono affari del signore!
FOLLBRAGUET - (strappandosi i capelli) Dio mio! Dio mio! Ma perché devono capitare tutte a me? Cosa c’entro io in tutto questo?
ADRIANO - Oh! So bene che la colpa non è del signore. Ma dato che il marito risponde per la moglie! Io aspetterò fino a stasera la decisione del signore… O la signora chiede scusa…
FOLLBRAGUET - Ah! C’è poco da sperare!
ADRIANO - O domani manderò dal signore due miei amici.
FOLLBRAGUET - Innanzitutto, se credete che la signora acconsenta…
ADRIANO - Oh! Questo accade perché il signore lo permette; in definitiva, secondo la legge è il signore che comanda. Il signore deve solo fare un atto d’autorità e dire: « Adesso basta! Sono il padrone e lo esigo! ».
FOLLBRAGUET - Ah! Sì… Fate presto a dirlo.
ADRIANO - Insomma, il signore ha tempo fino a stasera, prima di ricevere i padrini.
ORTENSIA - (che doveva essere in ascolto da qualche tempo dietro la porta, compare e si precipita su Adriano) Cosa dici? Dei padrini? Ti vuoi battere?
ADRIANO - (liberandosi dalla stretta) Ah! Senti per favore, sono cose da uomini: sta’ zitta!
ORTENSIA - Ah! No, non puoi sfidare a duello gente del genere!
ADRIANO - Basta, ti dico! Il padrone sono io! E lo esigo. (Ortensia se lo tiene per detto. Nello stesso momento si sente suonare in anticamera. Con tono diverso, a Follbraguet) Fino a stasera continuo il servizio. Vado ad aprire.
MARCELLA - (uscendo a valanga dalla camera) Que… (incontra Ortensia, si ferma, fulmina con lo sguardo i domestici, che escono dignitosamente. Quando sono usciti, getta la chiave sul tavolo) Questa è la chiave! la camera è libera, è a tua disposizione!
FOLLBRAGUET - Ah! Sì? Bene, ecco quel che faccio della tua chiave, la butto nel fuoco! (La getta a viva forza nel caminetto)
MARCELLA - Come ti pare!
FOLLBRAGUET - Lo sai cosa mi combini con le tue storie?
MARCELLA - Non sono curiosa di saperlo.
FOLLBRAGUET - Ho un duello col mio cameriere!
MARCELLA - (ironica) Ma guarda!
FOLLBRAGUET - C’è poco da dire « ma guarda »! Poiché Adriano è fidanzato con Ortensia e tu l’hai insultata, mi chiede ragione.
MARCELLA - Benissimo! Va benissimo! Questo prova che lui non è come certa gente. Quando insultano la sua donna, la difende. Non è un vigliacco!
FOLLBRAGUET - Sì, va bene! Intanto, hai offeso Ortensia e mi fai il piacere di chiederle scusa.
MARCELLA - Io? Ah! Beh…
FOLLBRAGUET - E seduta stante.
MARCELLA - Perché, hai paura?
FOLLBRAGUET - Ma cosa dici, cretina? E adesso basta. Sono il padrone e lo esigo! (Compare Adriano che si ferma nel vano della porta)
MARCELLA - Ah! Tu esigi! Toh! (Gli dà uno schiaffo)
FOLLBRAGUET - Oh!
MARCELLA - Esige, il signore! (Esce a sinistra)
FOLLBRAGUET - (ad Adriano) Ebbene, amico mio, lo vedete cosa mi succede quando dimostro autorità? Ecco!
ADRIANO - Ah! Certo… Quando si deve risalire la corrente…
FOLLBRAGUET - (esasperato) Oh!! No! No!
ADRIANO - Oh! Il signore ha tutta la giornata davanti a sé…
FOLLBRAGUET - Ah!! Lasciatemi in pace!
ADRIANO - C’è il signore che il signore ha già curato prima.
FOLLBRAGUET - Quale signore?
ADRIANO - Quello che c’era qui prima della signora che è venuta per il suo « gnam, gnam, gnam ».
FOLLBRAGUET - Ah!
ADRIANO - A quanto pare gli fa sempre male.
FOLLBRAGUET - E va bene! E va bene!


SCENA NONA
Gli stessi, MARCELLA, la CUOCA

MARCELLA - (entrando dal fondo a sinistra) E ora ti porto la cuoca.
FOLLBRAGUET - Cosa? Cosa? La cuoca?
MARCELLA - (alla cuoca che si vede in anticamera attraverso il vano della porta) Su, su, ragazza mia, venite avanti! (Al marito, mentre la cuoca entra) Poiché è stabilito che non conto più niente in questa casa…
FOLLBRAGUET - (scalpitando) Oh!
MARCELLA - Che i domestici contano più di me…
FOLLBRAGUET - Ma no, no.
MARCELLA - Sì, sì! Ebbene, ti cedo il comando! Ora ti dovrai occupare della cuoca, dei suoi conti e dei suoi piatti! (Alla cuoca) Ormai dovete rivolgervi al signore, io do le dimissioni! Addio! (Esce infuriata)
FOLLBRAGUET - (correndole dietro) Marcella! Marcella!
VOCE DI MARCELLA - Lasciami in pace!
CUOCA - Allora, cosa desidera il signore, per cena, stasera?
FOLLBRAGUET - (furioso) Me ne frego!
CUOCA - (anch’essa a voce alta) E io pure.
FOLLBRAGUET - Cos’avete detto? A me, avete detto « Me ne frego! »?
CUOCA - (a cui è venuta a mancare tutta l’audacia) Ma, signore…
FOLLBRAGUET - Andate! Andate! Vi butto fuori, via. Andate a fare le valigie. Ve ne andrete seduta stante…
CUOCA - Oh! Ma, signore, non l’ho detto con l’intenzione di offendere.
FOLLBRAGUET - Andate! Filate via! Ve ne andrete lo stesso!
CUOCA - Volevo avere un aumento… come Ortensia.
FOLLBRAGUET - Andate! Andate! E di corsa! (La spinge fuori e chiude la porta facendola sbattere) Ah! Ma qui mi prendono in giro tutti!
ADRIANO - (che ha assistito a tutto, in disparte in un angolo) Devo fare entrare il cliente?
FOLLBRAGUET - Sì! No! Accidenti sì!


SCENA DECIMA
FOLLBRAGUET, VILDAMOUR, ADRIANO

ADRIANO - (aprendo la porta in fondo a destra) Se il signore vuole entrare!
VILDAMOUR - (viene avanti in scena) Oh! Sì! (A Follbraguet, mentre Adriano esce) Oh! Signore, non ho potuto più resistere… mi fa più male di prima…
FOLLBRAGUET - (indicando la poltrona) D’accordo, sedetevi lì!
VILDAMOUR - Sì, signore.
FOLLBRAGUET - (con la mente altrove, i gomiti aderenti al corpo, agitando convulsamente i pugni e con tono di sorda minaccia) Oh! Oh! Oh! Oh! Oh!
VILDAMOUR - Come?
FOLLBRAGUET - No, niente, parlo da solo. (Gli lega una salvietta attorno al collo)
VILDAMOUR - Aspettate, avete preso dentro anche il mento! (Follbraguet gli libera il mento)
FOLLBRAGUET - E state più attento, no?
VILDAMOUR - (vedendo che Follbraguet prepara i1 bavaglio di gomma) Mi mettete ancora tutto quell’arsenale in bocca?
FOLLBRAGUET - Faccio quello che devo fare.
VILDAMOUR - Oh! Mi sento rodere dentro…
FOLLBRAGUET - (pensando a sé) Ah! Se credete di essere il solo!
VILDAMOUR - Ah! Ma degli altri a me non importa!
FOLLBRAGUET - Sì… oh! Naturalmente… Egoista! Aprite la bocca!
VILDAMOUR - Mi farete male?
FOLLBRAGUET - Ma no! Ma no! Aprite! (Applica, il bavaglio di gomma alla bocca, fermandolo dietro; introduce l’aspiratore in bocca. Poi va a riempire il bicchiere al lavabo: dentifricio e acqua)
VILDAMOUR - (in maniera incomprensibile, a causa del bavaglio; solo le vocali si possono percepire) In verità questo dente aveva bisogno di essere riparato già da molto tempo, ma non mi sono mai deciso, perché non mi faceva male.
FOLLBRAGUET - (tornando col bicchiere) Sì! Sì! Sì!
VILDAMOUR - (allo stesso modo) Ma quanto ho sofferto stanotte!
FOLLBRAGUET - (con in mano uno strumento per medicare il dente) Sì, aprite la bocca! (Vildamour obbedisce. Follbraguet estrae il cotone dal dente e lo getta)
VILDAMOUR - (come sopra) Non ho potuto chiudere occhio un istante, era come se mi trapanassero li cervello.
FOLLBRAGUET - (irritato) Ah! Vi prego, non parlate continuamente… non mi lasciate lavorare.
VILDAMOUR - (sconcertato, se lo tiene per detto) Ah!
FOLLBRAGUET - (col pensiero altrove e lavorando) Quando si pensa che si è tanto sciocchi da prender moglie! (Vildamour spaventato e stupito, gira gli occhi verso Follbraguet) Aprite! (Opera sul dente)


SCENA TREDICESIMA
Gli stessi, MARCELLA

MARCELLA - (entrando come un fulmine) Cosa mi dice la cuoca, che l’hai mandata via?
FOLLBRAGUET - (esasperato) Ah! Lasciami in pace, tu! (Si accorge che muovendosi, con lo strumento sempre in rotazione, ha scalfito la bocca di Vildamour) Scusate! (A sua moglie) Sono occupato, ti prego, lasciami lavorare.
MARCELLA - Va bene! Ma non ammetto che mandi via Noemi, dal momento che sono sempre stata contenta di lei.
FOLLBRAGUET - E io, quando la cuoca mi parla villanamente, la sbatto fuori! E poi finiamola! Sono con un cliente, e ti prego di lasciarmi.
MARCELLA - Va bene! (A Vildamour) Scusate., signore. (A Follbraguet) Ne riparleremo fra poco. (Esce in fondo a sinistra)
FOLLBRAGUET - Non ha senso! Non ha senso, signore! È così da stamattina, caro signore!… Oh! Aprite la bocca! (Riprende il lavoro)
MARCELLA - (in quinta) Non dovete farvi cattivo sangue, ragazza mia, il signore non è in uno stato normale, basta non badarci! (Follbraguet, che ha sentito tutto. fatica a contenersi) Non si formalizza per sua moglie, ma per sé ci riesce benissimo. (Come sopra, per Follbraguet) Comunque, voi resterete, ve lo dico io! Penso di essere la padrona qui! Se c’è qualcuno che comanda, sono io.
FOLLBRAGUET - (posa lo strumento con violenza sul ripiano e si precipita in anticamera richiudendo la porta dietro di sé; questo non impedisce che si senta ogni cosa) Scusa tanto, ma prima di te ci sono io!
MARCELLA - Tu? Ah! Ah! Ah!
FOLLBRAGUET - C’è poco da fare « Ah! Ah! Ah! ». Tu qui dentro hai solo l’autorità che io ti ho lasciato prendere, ma tu dimentichi che l’unico padrone sono io, e la prova è che ho mandato via la tua cuoca e la cuoca deve sloggiare all’istante.
CUOCA - Ma signore, la colpa non è mia.
FOLLIBRAGUET. Sì, ebbene, ve ne andrete lo stesso!
MARCELLA - Ma lasciatelo perdere… è matto!
FOLLBRAGUET - Può darsi, ma intendo essere ubbidito! È ora di finirla! Ah! (Torna sbattendo la porta; viene avanti verso Vildamour) Aprite la bocca! È una bella rompiscatole, alla fine! (Tendendo macchinalmente il bicchiere a Vildamour) Prendete! (Sentendo che il colloquio continua in anticamera, si slancia verso la porta e l’apre) E vi ripeto che dovete andarvene di qui! Ne ho abbastanza delle vostre discussioni! Andatevene!
MARCELLA - Oh! Ma dico!
FOLLBRAGUET - Ho parlato! Ubbidite! (Chiude la porta dietro di sé e viene avanti) Ma chi mi ha dato… (Senza transizione a Vildamour) Sputate! (Vildamour ubbidisce)
MARCELLA - Oh! Ne ho abbastanza! Io in questa casa non ci resto più!
FOLLBRAGUET - (aprendo la porta) E vattene! Lo dici sempre ma non lo fai mai! Vattene!
MARCELLA - Proprio così, me ne vado.
FOLLBRAGUET - Bene! Tanto di guadagnato! (Chiudendo la porta dietro di sé) Oh! Che peste!
MARCELLA - (riaprendo rapidamente la porta) Cos’hai detto?
FOLLBRAGUET - (facendole fare una giravolta e mandandola via) Ma va’ al diavolo! (Chiude la porta e dà il chiavistello)
MARCELLA - (dietro la porta, scuotendola per aprire) Apri! Apri!
FOLLBRAGUET - Ma piantala! (A Vildamour) Vi chiedo scusa per questo intermezzo grottesco.
VILDAMOUR - (indulgente) Oh!
MARCELLA - (apparendo sul fondo, a destra, e venendo avanti fino a Vildamour) Signore! Siete testimone! Siete testimone che ha detto che sono una peste!
VILDAMOUR - (sotto il bavaglio) Ma signora!
MARCELLA - Siete testimone che vuole cacciarmi! E che mi ha detto che devo lasciare questa casa!
FOLLBRAGUET - Ah! Sì, certo. Ah! Sì!
MARCELLA - Sì? Ebbene, no, non me ne vado! Tu dimentichi che l’affitto è a mio nome… per via dei tuoi creditori… sono in casa mia! Sei tu che devi andartene!
FOLLBRAGUET - Ah! Sì? Bene, ti prendo in parola! La lascio io, questa casa! Sono un bel cretino ad accopparmi di lavoro per te! Pretendi tutti i diritti! Bene! Ti lascio anche le incombenze! Tieni, qui ci sono i ferri, questo è un cliente, io do le dimissioni. Forza! Lavora tu al mio posto!
MARCELLA - Io!
VILDAMOUR - (terrorizzato dalla prospettiva) Oh, no!
MARCELLA - Neanche per idea! Questo va bene per te! Cacciare le dita in quelle bocche disgustose, per me sarebbe troppo ripugnante.
FOLLBRAGUET - (togliendosi rabbiosamente la giacca da lavoro e sostituendola con la giacca dell’abito, che stacca dal muro assieme al cappello) Ciò non toglie che grazie a queste bocche disgustose (istintivamente indica Vildamour) nelle quali caccio le dita, io posso pagarti i vestiti e i « tulle, tulle, tulle ». Ormai arrangiati, queste cose te le guadagni da sola; io ti lascio e tanti saluti.
MIARCELLA - Come ti pare! Però ti avverto, stasera a casa non mi trovi più!
FOLLBRAGUET - E tu lo stesso! Addio! (Esce dal fondo)
MARCELLA - Addio! (Esce a sinistra)
VILDAMOUR - (che ha seguìto con angoscia quest’ultima parte del dialogo, si alza, preoccupatissimo nel vedersi abbandonato a se stesso con tutto l’armamentario in bocca) E adesso? E adesso? E adesso?


SIPARIO