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martedì 19 aprile 2011

Re Lear: Edmund

Edmund

Tu sei, Natura, l’unica mia dea;
alla tua legge son solo legati
i miei servigi. Perché dovrei io
acconciarmi a dannate convenzioni
e lasciare ai sofismi delle genti
di privarmi del mio,
solo perché tra mio fratello e me
ci corron dodici o tredici lune?
Perché bastardo? Perché sarei ignobile,
se le mie membra sono ben costrutte,
il mio ingegno altrettanto vivace,
la mia struttura altrettanto verace
che quelli d’un qualsiasi altro rampollo
di un’onesta madama?
Perché ci devono marchiar d’“ignobili”,
di “bassa nascita”, di “bastardia”?
Ignobili, bastardi…
noi che dal clandestino godimento
dell’umana natura abbiamo tratto
più forte tempra e più fiero vigore
di quello che s’impiega a procreare
tra sonno e veglia, in letti pigri e stracchi,
tra fredde, frolle e squallide lenzuola
un’intera tribù di smidollati?
Allora, dunque, legittimo Edgardo,
la tua terra mi spetta, come a te.
Nostro padre vuol ugualmente bene
al bastardo Edmondo e al legittimo…
Bella parola, questo tuo “legittimo”!…
Ebbene, mio legittimo,
se questa lettera coglie nel segno,
e mi riesce il colpo, il basso Edmondo
scavalcherà il legittimo Edgardo.
Io salgo, prospero. È ora, o dèi,
che vi ergiate in favore dei bastardi!…”

Traduzione di Goffredo Raponi
immagine di Jack Cushman

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