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sabato 22 novembre 2014

Arringa al popolo di Roma



Se considerato è come crimine l’incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei; né mi parrebbe di averne rimordimento. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l’Italia. Tutte le azioni necessarie assolve la legge di Roma. Ascoltatemi. Intendetemi.
Il tradimento è oggi manifesto. Non ne respiriamo soltanto l’orribile odore, ma ne sentiamo già tutto il peso obbrobrioso. Il tradimento si compie in Roma, nella città dell’anima, nella città di vita!
Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di Berlino. In Roma si compie l’assassinio. E se io sono il primo a gridarlo, e se io sono il solo, di questo coraggio voi mi terrete conto domani. Ma non me ne importa. Udite. Ascoltatemi. [...]
Noi siamo sul punto d’essere venduti come una greggia infetta. Su la nostra dignità umana, su la dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su quella dei non nati, sta la minaccia d’un marchio servile. Chiamarsi Italiano sarà nome da rossore, nome da nascondere, nome da averne bruciate la labbra. Intendete? Avete inteso? Questo vuol fare di noi il mestatore di Dronero, intruglio osceno. [...]
Questo vuol fare di noi quell’altro ansimante leccatore di sudici piedi prussiani, che abita qui presso; contro il quale la lapidazione e l’arsione, subito deliberate e attuate, sarebbero assai lieve castigo. Questo vuol fare di noi la loro seguace canaglia. Questo non faranno. Voi me ne siate mallevadori, o Romani. Giuriamo, giurate che non prevarranno. [...]
Basta! Rovesciate i banchi! Spezzate le false bilance! Stanotte su noi pesa il fato romano; stanotte su noi pesa la legge romana. Accettiamo il fato, accettiamo la legge.
Imponiamo il fato, imponiamo la legge. Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga. Però col bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i leccazampe dell’ex cancelliere tedesco che sopra un colle quirite fa il grosso Giove trasformandosi a volta a volta in bue tenero e in pioggia d’oro.
Codesto servidorame di bassa`mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha spavento del castigo corporale. lo ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi. Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta, per pigliarli, per catturarli.
Non una folla urlante, ma siate una milizia vigilante. Questo vi chiedo. Questo è necessario…
Da Gabriele d’Annunzio, Arringa al popolo di Roma in tumulto (13 maggio 1915), in Per la più grande Italia, Milano 1920.

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