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sabato 10 giugno 2017

Fuori dal fango al Testaccio

FUORI DAL FANGO: Un appuntamento a teatro da non mancare alla vigilia dell’estate
di Karmel Attolico
Dopo la prima nazionale a Melegnano del 21 aprile e la replica al Salone Liberty a Milano del 23 aprile, a giorni va in scena al Teatro Testaccio di Roma – in calendario il 17 giugno alle ore 21 – “Fuori dal fango”, l’ultimo lavoro teatrale di Sergio Scorzillo in cui i valori umani dei personaggi prevalgono sulle contrastanti ideologie dominanti alla data del 25 aprile 1945, giorno-simbolo della Liberazione dell’Italia dal regime fascista.
La commedia di Scorzillo , autore e regista eclettico, ricalcando le orme di un noir di guerra al chiuso di una stanza, affronta grandi temi  e ideali che non possono prescindere da un confronto difficile e complesso su quello che vuol dire perseguire il bene di un’intera collettività nazionale, con ciò confermando a lungo raggio l’importanza dell’attuale dibattito politico nella nostra Italia vessata da qualsivoglia problematica di carattere sociale in tempi di crisi culturale ed economica.
La rappresentazione della vicenda narrativa si svolge in una Casa cantoniera del milanese dall’ambiente spartano che mette in evidenza le difficoltà del vivere quotidiano in un contesto dove l’unico barlume di speranza visibile allo spettatore ai primi impatti con la scena è costituito da una radio che trasmette solo canzoni d’amore.
Sul palcoscenico troviamo tre uomini che incarnano altrettanti personaggi avvincenti nelle loro vesti, con differenti destini e concezioni della vita che si intersecano in un continuo incontro-scontro. Accade che il partigiano Macchia – interpretato da Luigi Vitale – supportato dal compagno soprannominato Treno – nei cui panni si cimenta Matteo Bevilacqua – se la prende con Giuliano – incarnato dal giovane Bruno Petrosino – e sospettandolo essere fascista arriva alla decisione di recluderlo nella cantoniera dove lavora Treno. Cosa succederà nella prigione partigiana è un delirio che va dalla vendetta personale all’esibizione di un fanatismo ideologico, forse esagerato e proveniente da altro vissuto personale del partigiano.
Il recluso ha solo la sua umanità come strumento per replicare alle accuse di essere fascista, una umanità che si esprime nella custodia simbolica dei versi di Eliot – tratti da “The Waste Land” (La terra desolata), complesso poema pubblicato quattro anni dopo la fine della prima guerra mondiale – in un’armonica a bocca, in poesie scritte a mano da lui stesso ed altro ancora.
Lo scenario, in un crescendo emozionale, per le dinamiche narrative ispirate a fatti realmente accaduti a poche ore dal 25 aprile 1945, offre tuttavia la possibilità di esprimere sentimenti di forte intensità ai protagonisti della pièce, riunificati nella speranza di ritrovarsi “fuori dal fango” in cui la guerra li aveva costretti.
Uno spettacolo che in 75 minuti e in unico atto consegna agli spettatori uno squarcio poetico di un’umanità storica, politica e sociale che induce a riflettere sul carattere di un popolo come quello italiano – che tanto ha dovuto faticare per trovare l’unità e l’identità nazionale – rappresentando persone che riescono ad emozionarsi nonostante l’asprezza del momento storico in cui vivono, della quotidianità non certo esaltante, fatta di rinunce e poche prospettive. Ma il sogno della libertà è dietro l’angolo e i personaggi dello spettacolo non riescono a nasconderlo perché è l’essenza di loro stessi, intimamente convinti che solo “fuori dal fango” la vita torna ad avere senso.

lunedì 5 giugno 2017

“Fuori dal fango”: in scena l'ultima pièce di Sergio Scorzillo

di Marisa Gorza
Al Circolo Cooperativo Ferrovieri di Milano, dopo la prima a Melegnano, l’ultimo lavoro teatrale del poliedrico autore-regista in cui i valori vincono sulle discordanti ideologie
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio......(T.S.Eliot 1922)
Non è certo casuale che all'interno dell'ultima pièce di Sergio Scorzillo siano reiterati i versi di T.S. Eliot tratti da “ The Waste Land”(La terra desolata). Complesso poema pubblicato appena quattro anni dopo la fine della prima guerra mondiale. Metafora della sterilità della cultura occidentale e oggettiva critica alla folle e inutile strage di vite, causata dall'immane conflitto.
La commedia di Scorzillo, se pure biasima la guerra, risulta soprattutto un racconto di ravvedimento, di liberazione catartica e di difficoltoso recupero dei valori umani. Ma procediamo con ordine. “Fuori dal fango”, lavoro teatrale in un unico atto, scritto e diretto appunto dal nostro poliedrico autore-regista, rappresentato domenica 23/4 presso il Circolo Cooperativo Ferrovieri di Milano, si ispira a dei fatti realmente accaduti a poche ore dal 25 aprile 1945. Giorno della Liberazione d'Italia.
In scena tre uomini, tre personaggi emblematici con tre differenti destini e concezioni che si incontrano, si scontrano, si incrociano. La vicenda si svolge in una imprecisata Casa Cantoniera ferroviaria del milanese, un ambiente frugale che ben rispecchia le difficoltà contingenti. Unico lusso una radio che trasmette le canzoni del momento. Tutte d'amore... Mentre si consuma questo noir al chiuso di stanza.
Il partigiano Macchia (un irruente, sanguigno Luigi Vitale), aiutato dal compagno, denominato Treno (un timido, scrupoloso Matteo Bevilacqua), intercettano Giuliano (un distaccato, raffinato sognatore perfettamente reso dal giovane Bruno Petrosino) che suppongono essere fascista e lo nascondono nella cantoniera dove Treno lavora. Per inciso va detto che tutti e tre gli attori sono perfettamente calati nella parte in una mimesi ad hoc che li identifica in pieno con i personaggi.
Le prime scene vedono il malcapitato Giuliano alquanto maltrattato dall'impetuoso Macchia che sembra deciso ad ucciderlo e a torturarlo. Significativo il dialogo tra i due caratterizzato dai toni da popolano arrabbiato dell'uno, contrapposti agli accentui colti e ricercati dell'altro. Sembra inutile l'opposizione di Treno che non capisce questa valanga di odio che si ripercuote sullo sfortunato ragazzo. “La guerra è finita!”-continua a ripetere all'amico, già intravvedendo l'inutilità di fanatismi e accanimenti pseudo ideologici. Forse si tratta di una vendetta personale? Mano a mano che la vicenda si dipana verità supposte o confermate si alternano e si ribaltano. Il gioco dei tradimenti si fa teso e drammatico. Anzi vengono svelate tragedie inconcepibili. Nel tascapane di Giuliano, prima perso e poi ritrovato, ci sono i versi di Eliot(si tratta di un messaggio in codice?) una armonica a bocca, poesie scritte a mano da egli stesso e la fotografia di quello che viene chiamato “l'uomo della fisarmonica”, ucciso senza ragione proprio dai compari del ragazzo. Forse un amore mai dimenticato, una fiamma speciale accesa dall'affinità elettiva? Prove che Giuliano è davvero un fascista? Nel suonare l'armonica, il recluso accenna alle struggenti note di Lili Marleen, canzone che, se pur nata tedesca, durante la seconda guerra mondiale era diventata il motivo preferito di ogni soldato che per andare al fronte aveva dovuto abbandonare la sua “Lili”.

Sentimenti umani

Dunque “il fascista” è capace di commozione e sentimenti? La conoscenza dell'umanità reciproca finisce per alterare la percezione delle cose, le complica e impedisce di giudicare i fatti dal punto di vista “politico” e strettamente di parte. Dov'è allora il confine tra giusto e sbagliato? Chi è il buono e chi è il cattivo? Ebbene si scopre che i due si erano davvero incontrati, soprattutto avevano amato la stessa donna: Ester, di cui Macchia ha una fotografia. Anzi la fotografia la ritrae insieme a Giuliano. La generosa ragazza aveva aiutato il partigiano, catturato dai nazisti e in procinto di essere deportato, a fuggire. Fuggire con lei. Lo aveva aiutato a ricredere nella vita proprio parlandogli del suo amore per quello splendido ragazzo che sapeva apprezzare musica e poesia. Poi Ester era stata catturata né dai fascisti e né dai partigiani, ma da balordi cani sciolti. Era stata ripetutamente violentata e soppressa in modo atroce e indegno.
Ma il vero incontro tra i due protagonisti avverrà successivamente. Comandato di fare una rappresaglia alle Casermette, con l'ordine di far fuori un gruppo di fascisti, Macchia, debitamente mascherato, si trova davanti Giuliano. Vorrebbe ubbidire agli ordini, ma non se la sente di uccidere il ragazzo amato da Ester e lo ferisce semplicemente. Quando lo rivede, lo riconosce e gli assale la rabbia di non essere stato il freddo esecutore come gli era stato richiesto. Una rabbia che non sa come gestire, tra l'altro subisce in pieno il fascino del giovane colto, così diverso da lui. Vuole ucciderlo per chiudere quel cerchio rimasto aperto, ma ancora una volta non ci riuscirà. Nella sua confusione -che va di pari passo con le variazioni di ritmo tra una scena l'altra- intuisce quanto tutto sia complesso e sfaccettato, quanto i fanatismi li abbiano impantanati in valenze che non appaiono più tali. Dopotutto Giuliano, quando viene catturato, stava veramente ritornando da sua madre, ritornando alla terra che purifica e nutre, fuggendo da ideologie che già non gli appartenevano proprio più.
Tutti e tre si siedono ad aspettare che arrivino gli “altri” a sbrogliare la matassa, nella speranza di ritrovarsi insieme fuori dal fango in cui la guerra li aveva relegati.

Tra i lavori che Sergio Scorzillo ha portato al successo ci sono, “La via della Croce”, “Ballata lirica”, liberamente tratta dalla “Ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde e “Taccuino di una sbronza”, quest'ultimo ispirato alla vita Charles Bukowski. Nonché “La guerra di Alvise”, la storia di un alpino dal cuore puro e patriottico. Non di meno Scorzillo ha vinto due premi Carlo D'Angelo come autore al Concorso Nazionale Vallecorsi di Pistoia. Drammaturgo, attore poliedrico, regista, cabarettista, insegnante di recitazione, consulente di editoria musicale.. e che altro? La sua grande passione è il teatro, la mimesi, tutto quello che rappresenta la metafora della vita. Senza trascurare i grandi temi e i grandi ideali. Anche quando questi comportano un confronto difficile e complesso, come nel caso di quest'ultima pièce.

lunedì 23 maggio 2016


Achab (da Moby Dick di John Huston)


...è una giornata tranquilla, Starbuck,
e un cielo d’un azzurro dolcissimo.
Lento nel rotolio della risacca
schiuma il Pacifico a lambire i corpi
immobili degli Indios in attesa,
dipinti e ornati per l’ultimo viaggio;
salpano pigramente per l’eterno,
da madre a madre saldando l’anello.
Noi siamo cacciatori di balene,
non pescatori d’anime, e l’arida 
pietà che ci è concessa affonda al cuore
sul ferro acuminato dei ramponi,
perchè la bestia sia spacciata in fretta
e in fretta poi sia sbrigato il lavoro.
Ma sotto gli occhi assenti di altri cieli,
dai viali dei cecchini alle boscaglie
flebili di sussurri al cauto lume
di profughi bivacchi, ancora l’uomo
dal cuore delle tenebre si apposta,
e d’altri corpi, e di ben altra strage
caninamente si nutre e si appaga.
E al lugubre rintocco di campana
che grida al mondo la notte dei vivi,
nello schioccare all’osso dei machetes,
nel miagolio selvaggio degli shrapnels
su piazze inermi in coda per il pane
uguale rulla il canto, uguale ringhia
la consegna: non fate prigionieri.
Non più sarà possibile innocenza,
nessuna verità sarà accordata,
nessuna fede più, se non l’orrore
di cui rendiamo il computo esatto
nei nostri inutili libri di bordo,
Starbuck. 
E tutto il tempo questo cielo
sorridente, e questo mare insondato,
e la lusinga nel vento propizio
d’altre dolci giornate come questa
nel nostro tranquillo villaggio, quando
sul molo sciamano i ragazzi in frotta
al trepido richiamo dei battelli
che annunciano il ritorno, e buona pesca;
e mentre già si sta facendo sera,
e calmo e lento si richiude il solco
dietro le nostre spalle, sulle carte
sbiadisce il segno, e affonda la memoria,
ad inghiottire insieme i vivi e i morti.

martedì 23 febbraio 2016

UN “TRANQUILLO” VENERDÌ MILANESE




Ciondolavo pigramente per Milano. Ci tornavo dopo alcuni anni e volevo riscoprirla nella calma serale, per vedere quanto era cambiata in mia assenza.
Di colpo il vento si alzò. Il cappello, calzato con cura, prese il volo da quella palla da biliardo della mia testa e rotolò giù per via Cusani. Arrancai all’inseguimento del feltro volatile che si fermò tra le ruote di un autobus, parcheggiato di traverso sul marciapiede. <Che strano> pensai. <Cosa ci fa un pullman della Zani qui a quest’ora? Sembra buttato lì per caso>. La famosa agenzia di viaggi era di certo chiusa alle 9.00 di quel venerdì sera tipicamente meneghino, dedicato a relax e apericena assortiti.
Mi fermai a guardarlo. Sulla fiancata del rosso e vecchiotto double-decker campeggiava una gigantesca scritta: “Milano Misteriosa - Mistery Tour”. <Ecco. La solita baggianata per attirare i creduloni e gli allocchi>, riflettei scettico, <chi vuoi che ci creda a queste frottole>. Mi guardai attorno, la strada era stranamente deserta. In giro non si vedeva proprio nessuno, nemmeno l’immancabile questuante con nenia straccia-zebedei incorporata. Solo in quel momento ci feci caso: dall’autobus risaliva un sordo brontolio, sembrava quasi un rantolo meccanico. Una porta cigolò sul fondo e lentamente si aprì, sbirciai all’interno: sembrava vuoto. Una mano comparve dal buio e mi fece segno di salire, era bianca in maniera innaturale e quasi scheletrica. <Però!L’hanno organizzata bene la messinscena>, mi dissi. Sempre più deciso a smascherare la farsa salii rapidamente i pochi gradini ed entrai. La porta si chiuse di scatto intrappolandomi. <Cazzarola!>, pensarlo e dirlo fu un tutt’uno. Mentre cercavo di riprendermi dal coccolone, sentii provenire dal fondo una voce debolissima: <Aiutami, ti prego aiutami. Vogliono mandarmi al rogo>. Riuscii a scorgere una ragazza pallidissima, rannicchiata sui sedili. <Siiii, figurati se ci casco. Mica siamo nel Medio Evo>, le dissi ridendo. <Ormai l’unico fumo che si alza in piazza Vetra è quello delle canne>. Per chi mi avevano preso? Mi avvicinai per guardarla meglio e per cercare di capire se fingeva o stava male sul serio, ma i capelli lunghi e ramati le nascondevano buona parte del volto. <Mi chiamo Caterina, Caterina Medici e mi accusano di stregoneria>, rantolò. <Vabbeh, ora stanno proprio esagerando>, pensai. E poi, di chi era la mano che mi aveva invitato a salire?
La presunta strega sembrava incapace persino di respirare.
Solo in quel momento scorsi al posto di guida qualcuno: un barbuto incappucciato si nascondeva nella penombra.
Lo strano monaco diede gas e l’autobus a due piani partì.
L’orrore ebbe inizio.


Per sapere come va a finire, si deve solo prenotare il prossimo Mistery Tour di Zani Viaggi. Ogni venerdì sera, i bravissimi Carlotta Oggioni e Massimo Barberi vi guideranno attraverso i segreti più nascosti di Milano e vi sveleranno le nere leggende che si sono stratificate nei secoli, a partire da quella legata al Biscione, dalla “scrofa semilanuta”, passando per il Diavolo di Porta Romana, le streghe di piazza Vetra, il tribunale della Santa Inquisizione di Sant’Eustorgio. Lo sapevate che Re Magi e cavalieri Templari convivono in Sant’Ambrogio? E che fu il Diavolo in persona a richiedere la costruzione del Duomo? Attenzione, poi, ai fantasmi, quelli abbondano in Parco Sempione e dintorni. 

di Gianpiero Di Bari

mercoledì 23 dicembre 2015

La Chicago degli anni venti si colora di rosa

Milano, 22 dicembre 2015

La Chicago degli anni venti si colora di rosa

di Marisa Gorza
Con il musical “Pink Chicago”di Sergio Scorzillo vanno in scena al Pime di Milano le atmosfere torbide e incandescenti del Proibizionismo americano
musical
La storia è ambientata nella iconografica Chicago degli annni Venti. Centro nevralgico del jazz e del blues, capitale del gioco d'azzardo e  delle lotte tra le bande di gangster, dei fumosi night club che pullulano di contrabbandieri e tipi loschi, di flapper scatenate nel charleston, di seduzione, tentazione e fascino del proibito. Quell'atmosfera torbida e incandescente propria del Proibizionismo  americano, dove trasgredire era d'obbligo. Trasgressione, delitto, passione, ricerca della fama ad ogni costo... elementi ritrovati sul palcoscenico del teatro milanese Pime, con il debutto(17 e 18 dicembre) del musical/parodia“Pink Chicago”di Sergio Scorzillo, già nostro amico(autore tra l'altro de “La guerra di Alvise”, ricordate?) e la regia di Raffaella Marchegiano. Tutti i tipici componenti in primo piano, dicevamo, più uno che domina da cima a fondo lo spettacolo: una spassosissima ironia.
Ma ritorniamo alla vicenda che si svolge, appunto, nella città della musica nero-americana, dello spettacolo e della vita vissuta come sulla scena. E' è in questo clima che le due protagoniste inseguono la gloria del palcoscenico e pur di raggiungerla, non si arrendono davanti a nulla.Vilma(Raffaella Marchegiano) è una star dalla fama offuscata(l'oscura anche l'ombra di un delitto d'amore e gelosia) in cerca della riconferma come donna e come show girl, mentre la giovaneRoky(Thomas Centaro) è una novellina dal carattere d'acciaio, determinata a sfondare. Tuttavia non è come sembra,  sotto le mentite spoglie dell'intraprendente attricetta si nascondono il talento e la risolutezza di un uomo, capace di travestirsi e trasformarsi in una credibile sexy biondona, pur di arrivare alle luci della ribalta, pur di diventare la regina delle notti di  Chicago. Per questo finirà con corrompere e perfino  uccidere. Il delitto si compierà alle spese di Jimmy(l'attore e coreografo Bruno Giotta), un losco trafficante che aveva promesso la fama alla “bella” Roky, ma per la verità mirava solo a portarla a letto(?). La bellona riuscirà ad ingannare tutti, dalla carceriera Mama(Sara Orlacchio) alle compagne di cella( le ballerine  Laura PavanFrancesca DurantiMariangela MuroloStefania LomonacoLuciana Rossi) e perfino il suo scafato, avido avvocato Billy Flann(un esilarante Sergio Scorzillo). Tuttavia Roky, che prenderà il nome di  Roxie, non sarà solo in questa avventura. A sostenerlo, ad aiutarlo  fino alla negazione di se', sarà lo smisurato amore della moglie, la dolce Amy(la deliziosa Chiara Rossi),una dotata ballerina che in qualche modo lo porterà al successo. Anzi al successo arriveranno insieme i tre protagonisti uniti in un vivacissimo trio: la piccola Amy, che inaspettatamente si svela avvenente e talentuosa, Roxie en travesti e Vilma che ritorna in auge.
                                Pensierino natalizio
Questa è la vicenda snocciolata lungo una trama anticonvenzionale e inframezzata dalle note briose della colonna sonora con brani d'atmosfera, tra i quali “And All that Jazz”, “Razzle Dazzle” e “Cell Block Tango”. Tuttavia l'opera non si basa solo sul mero divertimento, bensì fa rimarcare la diffusa difficoltà di superare i pregiudizi sociali e di portarsi al passo con i tempi. Ciò succedeva negli anni Venti, esattamente come  ai giorni nostri.
Con questo lavoro -spiega Raffaella Marchegiano- abbiamo cercato di realizzare il nostro intento( va sottolineato che Raffaella è alla direzione di Doppio Sogno, l'associazione culturale che ha promosso la pièce), cioè di non lasciarsi relegare da ruoli imposti dalla società e di essere sempre sé stessi. Quello di Roky che si traveste al femminile è un paradosso, ma tutti, prima o poi siamo costretti ad indossare una maschera. In particolare mi riferisco alle donne che per fare carriera devono assumere atteggiamenti aggressivi e magari mascolini, altrimenti addio promozione. Uomo o donna cosa importa cosa sei? Basta con preconcetti ed evviva la tolleranza!”
-La commedia lascia però intravvedere che per raggiungere il successo bisogna lottare, magari in maniera sleale e ricorrere al bluff...
E' così, ma alla fine della commedia a vincere è la dolce e sincera Amy, professionale e preparata e che non ha certo bisogno di ricorrere a sovrastrutture infide...”, inoltre  per dare maggior enfasi   a  un caloroso mood di stagione e rimarcare la serietà dell'impegno di Doppio Sogno, una parte del ricavato dello spettacolo  è stata devoluta in beneficenza. Dopo il debutto milanese, lo spettacolo approderà a gennaio al teatro Fratello Sole di Busto Arsizio. Per iniziare l'anno con tutti i buoni propositi ...teatrali di questo mondo.

mercoledì 4 novembre 2015

arriva Pink Chicago


Info spettacolo

Un pizzico di  ironia e trasgressione Pink Chicago, il musical che, per la prima volta a Milano, sarà on stage Il 17 e il 18 dicembre al teatro Pime, in via Mosè Bianchi 94. L'associazione culturale Doppio Sogno porta in scena la pièce in due atti scritta da Sergio Scorzillo con la collaborazione di Raffaella Marchegiano, che cura anche la regia, la direzione musicale diSara Orlacchio e le coreografie di Bruno Giotta. Protagonista l'attore e cantante Thomas Centaro. Pink Chicago è anche serietà e impegno sociale, parte del ricavato sarà devoluto in beneficenza all’Associazione SAMARI per infanzia in Congo.  Per ulteriori info:www.pinkchicagoilmusical.it
Chicago anni '20. La storia comincia da qui, da quella che fu la capitale del gioco d'azzardo, dei gangster e dei night club in pieno Proibizionismo americano. Nel sottobosco notturno dei locali fumosi, delle orchestre di jazz e dei contrabbandieri le due protagoniste Vilma e Roky cercano la gloria del palcoscenico e non si fermano davanti a nulla pur di arrivare. Vilma (Raffaella Marchegiano) è una stella ormai offuscata che cerca il riscatto di sè, mentre Roky è una novellina, decisa a tutto pur di sfondare. Ma a Chicago niente é come sembra e sotto le mentite spoglie di Roky si nascondono il talento e la determinazione di un uomo capace di travestirsi per arrivare alla ribalta. Così, in una frenetica girandola di colpi di scena, Thomas Centaro, l'attore giusto per superare a teatro il confine tra uomo e donna, porterà la sua showgirl en travesti a uccidere, corrompere e a mentire a tutti pur di diventare famosa. A farne le spese saranno: Jimmy (l'attore e coreografo Bruno Giotta), un losco trafficante che promette a Roky la fama, ma che poi muore per mano di quest'ultima, il suo avvocato Billy (interpretato dall'autore Sergio Scorzillo), la carceriera Mama (Sara Orlacchio) e le compagne di cella (le ballerine e cantanti Laura PavanFrancesca DurantiMariangela MuroloChiara Rossi,Stefania LomonacoLuciana Rossi). Roky, alias Thomas, non è sola in quest'avventura, ad aiutarla l'amore smisurato di Amy (Chiara Rossi), sua moglie, una ballerina di fila che lo sosterrà fino al successo.
Argutamente mascherata tra le risate e le note jazz della colonna sonora, la trama anti convenzionale di quest'opera mette in risalto la difficoltà che hanno uomini e donne di portarsi al passo con i tempi e di superare qualsiasi pregiudizio, sociale e lavorativo. Nel 1920 e ancora oggi. A rimarcare la serietà dell'impegno sociale del musical e dell'associazione culturale Doppio Sogno, parte dell'incasso delle serate sarà destinata  ad Associazione SAMARI Via Mosè Bianchi, 2 Milano,  per i bimbi del Congo. Informazioni più approfondite si possono trovare sul sito: www.pinkchicagoilmusical.it 
Dopo il debutto milanese, Pink Chicago approderà a Busto Arsizio il 16 gennaio 2016, al teatro Fratello Sole e poi a Torino, il 16 aprile 2016, sul palcoscenico del teatro Cardinal Massaia.

Note

Roky Heet / Thomas CentaroVilma Killing / Raffaella MarchegianoBilly Flann / Sergio ScorzilloAmy Heet / Chiara RossiJimmy Cash / Bruno GiottaMama / Sara OrlacchioMrs Sunny / Maria Marchegiano
CORPO DI BALLO E CANTO:
Francesca Duranti - Morris Faccin - Bruno Giotta - Stefania Lomonaco- Laura Pavan- -Mariangela Murolo- Chiara Rossi – Luciana Rossi
Direzione Musicale Sara Orlacchio – Coreografie Bruno Giotta – Sound & Light  directions Roberto Bruno – Loris Zigliani
Scenografie digitali & Sound  Andrea Centaro – Tecnico scene digitali Daniele Viola Trucco e Acconciature Accademia DIADEMA
Scenografie on stage  Marco Brandellero – Stefania Lomonaco   
Acting Coach Sergio Scorzillo - Regia Raffaella Marchegiano  

Informazioni sull'organizzatore

Doppio Sogno
VIA MONTE LEONE - 21013
Località: GALLARATE VA
cartella stampa a cura di Gianpiero Di Bari

lunedì 26 ottobre 2015

Kitsch me Licia, tanta voglia di Ottanta

Kitsch me Licia, tanta voglia di Ottanta

Torna a Milano il musical di Thomas Centaro. In scena al Pime, il 31 ottobre, una brillante parodia dei rutilanti anni '80 e del cartone cult di quel decennio: Kiss Me Licia, riletto in chiave ironica e accompagnato con canzoni degli Spandau Ballet, di Madonna, Bonnie Tyler e dei Culture Club

di Gianpiero Di Bari

Molti di noi li hanno vissuti appieno, tanti ne hanno solo sentito parlare, alcuni li ricordano con nostalgia e altri vorrebbero riviverli ora. Tornano a Milano i mitici anni '80, quelli degli Spandau Ballet e degli Wham, quelli di Madonna con pizzi e crocifissi, quelli dei paninari con le Lumberjack e dei colori primari fluo sparati su tutto.

Al teatro Pime e solo per la sera di Halloween, va in scena lo spettacolo Kitch me Licia, di e con Thomas Centaro e con una nutrita schiera di scatenati attori, che sul palco ballano e cantano sulle note delle canzoni più famose di quel decennio. La storia se la ricordano un po' tutti, è tratta dal famoso manga Aishite Knit, di Kaoru Tada, da cui fu tratto l'altrettanto famoso cartone animato Kiss me Licia. In breve: ci sono Licia e Mirko, lei è una diciottenne ingenuotta che lavora nel ristorantino paterno, lui è uno studente universitario e il leader della rock band dei Bee Hive. Complice l'amore non corrisposto di Satomi, le amiche gelose e impiccione e via dicendo, ai due ne succedono di ogni prima di innamorarsi e stare, finalmente, insieme. Se la storia è già di per se funambolica, Centaro pigia ancora di più sull'acceleratore dell'ironia, per ricavarne una graffiante parodia che mette alla berlina tutti i luoghi comuni del periodo. Ed ecco spiegato il "kitsch" del titolo. Accanto all'autore, sul palco svettano Silvia Romeo, nei panni di Licia, Alessandro Fortarezza, che interpreta Satomi, l'innamorato non corrisposto della protagonista e Andrea Bonati, un improbabile e baffuto Marrabbio, padre di Licia. Contornati anche da Alessandra Ruta, che impersona Marika la manager del gruppo, da Elena Centaro, nei panni di Manuela, la migliore amica di Licia, da Annalisa Longo a cui è toccato il ruolo di Andrea il fratello minore di Mirko e da Francesca Tretto nei panni del gatto Giuliano. Insomma, gli ingredienti per uno spettacolo di successo ci sono tutti, complice anche la particolare attenzione ai dettagli di scena, rigorosamente eighties, e alla selezione dei 22 brani cantati dai protagonisti, che vanno da Bonnie Tyler a Madonna, da Spagna ai Culture Club, tradotti e adattati in italiano, per sottolineare l'ironia voluta da Centaro nel musical. Le coreografie sono di Bruno Giotta. 

martedì 16 giugno 2015

“La guerra di Alvise"

Desio, 15 giugno 2015

“La guerra di Alvise". Certezze e illusioni di un giovane lombardo di un secolo fa

di Marisa Gorza
Al teatro "Il Centro" di Desio una pièce, scritta e diretta da Sergio Scorzillo, che restituisce in pieno lo spirito e i puri valori del Corpo degli Alpini
alpini spettacoli
“Ci sono dentro tutti e se bisogna fare una cosa la si deve fare e basta, senza troppo pensare...” Parole semplici ed ingenue, tuttavia piene di determinazione, amor di patria, entusiasmo e soprattutto di una grande fede nei valori in cui il giovane contadino Alvise crede in modo incondizionato.
Parole pronunciate alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, quando infervorato dal suo animo puro e generoso, decide di arruolarsi nel Corpo degli Alpini, il più consono al suo sogno romantico di diventare un degno soldato. Alvise con tutte le sue certezze, le sue illusioni e le inevitabili disillusioni, è il personaggio chiave della pièce “La guerra di Alvise”, appunto, scritta e diretta da Sergio Scorzillo, rappresentata in anteprima assoluta nel Teatro Il Centro di Desio lo scorso sabato con toccante partecipazione della audience.
C'è difatti uno stretto legame tra le terre del Seveso e le gloriose gesta del Corpo degli Alpini di cui, qui, si hanno molte memorie. Oltretutto i temi principali del lavoro teatrale sono stati illustrati ed enfatizzati dai canti di montagna più popolari e vibranti. Ad eseguirli dal vivo l'affiatato Coro A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini) Nikolajewka. Si comincia sulle note di:
"E Cadorna manda a dire
che si trova là sui confini
e ha bisogno degli Alpini
per potersi avanzar...”

La morte di Alvise
Eccolo, quindi, lo stato d'animo di Alvise (un convincente Luigi Vitale), quando si accomiata dalla fidanzata Bianca (Monica Gianfreda) per recarsi, senza indugi, al fronte, dove incontrerà l'amico Tonio (un intenso Matteo Bevilacqua) che, al contrario di lui, è un disincantato intellettuale, proveniente da una famiglia borghese. Tra i due, durante l'addestramento, sono subito scintille, ideologiche, mitigate da quella che diventerà una vera e solidale amicizia.
È uno dei punti principali dell'opera, proprio come sottolinea Sergio Scorzillo: “Questo lavoro non vuol essere una ricostruzione fedele di uno dei momenti più drammatici della nostra storia, ma una messa in scena , tra il realistico e il simbolico, di temi quali l'abnegazione, l'amicizia, la disperazione, la fede, la pochezza umana, la speranza in qualcosa che cerchiamo di raggiungere, ma non riusciamo a raggiungere mai...”.
Risalta, in modo particolare, il personaggio del genuino Alvise, soprattutto quando racconta del suo “corpo a corpo” con il nemico. Ed ecco che si rende conto, con vera disperazione, che si tratta di un essere umano, qualcuno come lui che lo fissa spaventato negli occhi. Il buon ragazzo non ha il coraggio di finirlo, ma gli sorgono, poi, molti dubbi: “Non me la son sentita. Non sono un vigliacco”. Ricorda la guerra com'era nei racconti di suo nonno, quando gli appariva una bella favola di coraggio e di eroismo. Si rende conto che non è così e comincia la paura:
“Era una notte che pioveva
e che tirava un forte vento
immaginatevi il gran tormento
per un alpino che stava a vegliar”
Il dramma si sta per compiere. Il nostro protagonista si accinge a raggiungere Tonio in trincea, con il tricolore che gli è stato affidato dal sergente. Però cade ferito al cuore da una scheggia di granata e farfuglia tra sé: “Eccola qua. La mia bandiera. La nostra. Devo metterla qui, sennò si sporca di sangue. Sangue italiano. Il nostro sangue è il mio...
Gli alpini in coro accompagnano la sua ultima disillusione:
“Dio del cielo,
Signore delle cime,
un nostro amico
hai chiesto alla montagna.
Ma ti preghiamo:
su nel Paradiso
lascialo andare per le tue montagne...”
Tra i lavori che Sergio Scorzillo ha portato al successo ci sono, “La via della Croce”, “Ballata lirica”, liberamente tratta dalla “Ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde e “Taccuino di una sbronza”, quest'ultimo ispirato alla vita Charles Bukowski. Non di meno ha vinto due premi Carlo D'Angelo come autore al Concorso Nazionale Vallecorsi di Pistoia. Drammaturgo, attore poliedrico, regista, cabarettista, insegnante di recitazione, consulente di editoria musicale.. e che altro? La sua grande passione è il teatro, la mimesi, tutto quello che rappresenta la metafora della vita. Senza trascurare i grandi temi e i grandi ideali. Quindi non è casuale questo connubio con l'autentico spirito del Corpo degli Alpini.
Come nasce il Coro A.N.A. Nikolajewka? Da un'idea del capo gruppo Ottone Iachelini e di una ventina di persone del Gruppo Alpini di Desio, formulata nel 1994. Il tradizionale spirito di corpo guida gli attuali trenta componenti alla conoscenza, interpretazione e diffusione dei canti popolari di guerra e di montagna, tant'è che intervengono a diverse esibizioni, sia in Italia che all'estero, come a Sonthofen (2007), Praga (2010), Vienna (2014). Molto viva è la partecipazione a piccoli e grandi eventi, sempre con lo scopo di portarvi i canti delle nostre Alpi. Tutto per non dimenticare.

venerdì 10 aprile 2015

I bastardi (piccolo racconto noir)


Si leccò il dorso della destra e se lo passò sul sopracciglio destro, socchiudendo gli occhi, docilmente.
Come un gatto sornione, soddisfatto di se, del profumo primaverile che sentiva aleggiare nella stanza, proveniente, portato dalla brezza, dalla finestra socchiusa.
-Non mollare- aveva detto la voce, poco prima
-Non mollare-
Una voce calda, corroborante. Che ti rassicurava scuotendoti.
E adesso aveva ancora quella sensazione addosso, di non essere solo, di essere adagiato in una coltre morbida, protetto e sereno.
Niente paura più. Niente paura.
Di là dalla parete sottile, rivestita di consunta carta a fiorami striata dagli sbaffi verticali del calorifero, poteva sentire il cambiamento compulsivo di canali televisivi del vicino straniero.
Avrebbe aspettato che smettesse. Avrebbe atteso di sentirlo andare a letto.
Avrebbe raggiunto il bagno.
Allungò la mano che aveva poc'anzi umettato, riaprendo gli occhi, e indugiò sul tavolino di fianco, tra la scatola dei sigari e quella degli incensi a cono.
Decise per il sigaro.
Ci voleva.
"Ci vuole".
Liberò il piccolo sigaro della carta dorata, che lasciò scivolare a terra, lo infilò tra le labbra e lo serrò delicatamente coi denti. Poi prese i fiammiferi e ne accese uno.
Il rumore scoppiettante della capocchia lo fece trasalire.
Restò a osservare la fiamma, avvinto, ammaliato.
Quel colore arancione chiaro...quella lamella azzurrina all'interno...
Lasciò che il fiammifero si consumasse del tutto. Non provò dolore quando gli bruciò, spegnendosi, i polpastrelli, annerendoli.
Ne accese un altro.
E con esso il sigaro.
Il fumo caldo e forte gl'incendiò i polmoni. Deglutì, mentre una piccola goccia di sudore gl'imperlò un lato della fronte.
Bene.
Molto bene.
Non si era mai sentito così.
Il fumo scivolava verso l'alto, poi piegava d'improvviso verso il corridoio: doveva essere la corrente d'aria che creavano le due finestre aperte. Quella della sala, dove lui sedeva.
E quella del bagno.
Dove sarebbe tornato tra poco.
Se chiudeva ancora gli occhi vedeva dei colori.
Il nero e il viola, soprattutto.
Ma anche il blu.
Una massa blu indaco stupenda, che cambiava forma, roteava, si allungava, saliva e scendeva lì davanti, sembrava, ma nella sua testa, certo.
Fumò tutto il sigaro con gli occhi chiusi, seguendo le evoluzioni dell' ameba colorata.
Poi seppe che il vicino era ormai a dormire.
Niente più tele. Niente rumori.
Niente.
Guardò svogliatamente l'orologio a muro. Dovevano essere le due.
Infatti.
E i rumori da fuori? Un motorino lontano, solamente.
Si alzò sospirando, reinfilandosi i guanti che aveva appoggiato sul divano.
Andò alla libreria di fronte e contò i portaritratti.
Otto portaritratti in argento.
Angelo alla sua prima comunione.
Suo padre e sua madre il giorno delle nozze.
Angelo in tenuta d'alpino, durante il giuramento.
Restò a guardare se stesso secoli prima, seduto su uno spalto di legno, vestito in maniera ridicola, che guardava verso il fratello soldato, ed applaudiva serio, distante nello spazio e nel tempo.
E poi sua madre con lui che stringeva Toby, quando il cane era ben lontano dall'ammalarsi.
Nonna Ava. Nonno Abele. Zia Antonietta. Zio Leo.
Appoggiò i ritratti sul ripiano, occultandone il contenuto sorridendo.
Pensò a come sbarazzarsi della pistola mentre camminava in corridoio, il solito corridoio lungo delle vecchie case.
In bagno non c'era nessun odore. Aveva fatto bene a lasciare la finestra aperta.
Accese la luce.
Non si era mai sentito così.
Libero.
Erano bastati tre piccoli fori in quegli stupidi inutili corpi abitati da chissachì.
Da fuori sembravano ancora suo padre, sua madre, suo fratello.
Anche adesso sembravano loro, mentre li toglieva dalla vasca da bagno, dove li aveva ammonticchiati in attesa...
...Mentre li faceva scivolare fuori dalla vasca, li infilava con fatica nel grosso sacco nero e li trascinava vicino alla porta d'entrata...
Sembravano ancora loro.
Ma a lui non la davano a bere.
Quei bastardi.

Sergio Scorzillo
(tutti i diritti riservati)