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venerdì 10 aprile 2015

I bastardi (piccolo racconto noir)


Si leccò il dorso della destra e se lo passò sul sopracciglio destro, socchiudendo gli occhi, docilmente.
Come un gatto sornione, soddisfatto di se, del profumo primaverile che sentiva aleggiare nella stanza, proveniente, portato dalla brezza, dalla finestra socchiusa.
-Non mollare- aveva detto la voce, poco prima
-Non mollare-
Una voce calda, corroborante. Che ti rassicurava scuotendoti.
E adesso aveva ancora quella sensazione addosso, di non essere solo, di essere adagiato in una coltre morbida, protetto e sereno.
Niente paura più. Niente paura.
Di là dalla parete sottile, rivestita di consunta carta a fiorami striata dagli sbaffi verticali del calorifero, poteva sentire il cambiamento compulsivo di canali televisivi del vicino straniero.
Avrebbe aspettato che smettesse. Avrebbe atteso di sentirlo andare a letto.
Avrebbe raggiunto il bagno.
Allungò la mano che aveva poc'anzi umettato, riaprendo gli occhi, e indugiò sul tavolino di fianco, tra la scatola dei sigari e quella degli incensi a cono.
Decise per il sigaro.
Ci voleva.
"Ci vuole".
Liberò il piccolo sigaro della carta dorata, che lasciò scivolare a terra, lo infilò tra le labbra e lo serrò delicatamente coi denti. Poi prese i fiammiferi e ne accese uno.
Il rumore scoppiettante della capocchia lo fece trasalire.
Restò a osservare la fiamma, avvinto, ammaliato.
Quel colore arancione chiaro...quella lamella azzurrina all'interno...
Lasciò che il fiammifero si consumasse del tutto. Non provò dolore quando gli bruciò, spegnendosi, i polpastrelli, annerendoli.
Ne accese un altro.
E con esso il sigaro.
Il fumo caldo e forte gl'incendiò i polmoni. Deglutì, mentre una piccola goccia di sudore gl'imperlò un lato della fronte.
Bene.
Molto bene.
Non si era mai sentito così.
Il fumo scivolava verso l'alto, poi piegava d'improvviso verso il corridoio: doveva essere la corrente d'aria che creavano le due finestre aperte. Quella della sala, dove lui sedeva.
E quella del bagno.
Dove sarebbe tornato tra poco.
Se chiudeva ancora gli occhi vedeva dei colori.
Il nero e il viola, soprattutto.
Ma anche il blu.
Una massa blu indaco stupenda, che cambiava forma, roteava, si allungava, saliva e scendeva lì davanti, sembrava, ma nella sua testa, certo.
Fumò tutto il sigaro con gli occhi chiusi, seguendo le evoluzioni dell' ameba colorata.
Poi seppe che il vicino era ormai a dormire.
Niente più tele. Niente rumori.
Niente.
Guardò svogliatamente l'orologio a muro. Dovevano essere le due.
Infatti.
E i rumori da fuori? Un motorino lontano, solamente.
Si alzò sospirando, reinfilandosi i guanti che aveva appoggiato sul divano.
Andò alla libreria di fronte e contò i portaritratti.
Otto portaritratti in argento.
Angelo alla sua prima comunione.
Suo padre e sua madre il giorno delle nozze.
Angelo in tenuta d'alpino, durante il giuramento.
Restò a guardare se stesso secoli prima, seduto su uno spalto di legno, vestito in maniera ridicola, che guardava verso il fratello soldato, ed applaudiva serio, distante nello spazio e nel tempo.
E poi sua madre con lui che stringeva Toby, quando il cane era ben lontano dall'ammalarsi.
Nonna Ava. Nonno Abele. Zia Antonietta. Zio Leo.
Appoggiò i ritratti sul ripiano, occultandone il contenuto sorridendo.
Pensò a come sbarazzarsi della pistola mentre camminava in corridoio, il solito corridoio lungo delle vecchie case.
In bagno non c'era nessun odore. Aveva fatto bene a lasciare la finestra aperta.
Accese la luce.
Non si era mai sentito così.
Libero.
Erano bastati tre piccoli fori in quegli stupidi inutili corpi abitati da chissachì.
Da fuori sembravano ancora suo padre, sua madre, suo fratello.
Anche adesso sembravano loro, mentre li toglieva dalla vasca da bagno, dove li aveva ammonticchiati in attesa...
...Mentre li faceva scivolare fuori dalla vasca, li infilava con fatica nel grosso sacco nero e li trascinava vicino alla porta d'entrata...
Sembravano ancora loro.
Ma a lui non la davano a bere.
Quei bastardi.

Sergio Scorzillo
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