Powered By Blogger

mercoledì 6 aprile 2011

"J'ACCUSE"

Pubblicata su "L'Aurore" il 13 gennaio 1898.

Mi permette, Signor presidente, nella mia gratitudine per la benevola accoglienza che Lei un giorno mi ha riservato, di darmi pensiero della Sua gloria e di dirle che la Sua stella, finora così luminosa, è minacciata da una macchia assolutamente vergognosa e incancellabile?
Lei è uscito sano e salvo dalle vili calunnie, ha conquistato i cuori. E' apparso raggiante nell'apoteosi di questa festa patriottica che l'alleanza russa è stata per la Francia, e ora si prepara a presiedere al trionfo solenne della nostra Esposizione universale che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di verità e di libertà. Ma quale macchia di fango sul Suo nome - starei per dire sul Suo regno - rappresenta questo abominevole caso Dreyfus! Un tribunale militare ha appena osato, in seguito a un ordine, assolvere un Esterhazy, schiaffo supremo a qualsiasi verità, a qualsiasi giustizia. E' finita, la Francia ha sul volto questa sozzura, la storia scriverà che proprio sotto la sua presidenza è stato possibile commettere un crimine del genere.
Poiché essi hanno osato, oserò anch'io. La verità io la dirò, perché ho promesso di dirla, se la giustizia, dopo regolare processo, non l'avesse acclarata, piena e intera. E' mio dovere parlare, non intendo rendermi complice. Le mie notti sarebbero ossessionate dallo spettro dell'innocente che espia laggiù, con la tortura più orribile, un crimine che non ha commesso.
E' a Lei, Signor presidente, che io la griderò questa verità e con tutta la forza della mia ribellione di galantuomo. Per il Suo onore, sono convinto che Lei la ignori. E a chi potrei mai denunciare la turba malefica dei veri colpevoli se non a Lei, primo magistrato del paese?
Prima di tutto, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus.
Un individuo nefasto ha diretto tutto, ha fatto tutto, ed è il tenente colonnello du Paty de Clam, allora semplice comandante. Il caso Dreyfus è lui; un caso che sarà possibile comprendere soltanto dopo che un'inchiesta leale avrà stabilito con esattezza le azioni e le responsabilità di costui. Appare come un animo quanto mai fumoso, quanto mai complicato, con l'ossessione degli intrighi romanzeschi, che si compiace dei mezzi cari al romanzo d'appendice, i documenti rubati, le lettere anonime, gli appuntamenti in luoghi appartati, donne misteriose che riferiscono, di notte, prove schiaccianti. E' lui quello che ebbe l'idea di dettare il "bordereau" a Dreyfus; è lui quello che sognava di chiuderlo dentro una stanza completamente rivestita di vetri per osservarlo; è lui quello che il comandante Forzinetti ci rappresenta armato di una lanterna cieca, deciso a farsi introdurre nella cella dell'accusato immerso nel sonno, per proiettargli sul viso un brusco fiotto di luce e smascherare così il suo crimine, nella confusione del risveglio. E non occorre che io dica tutto, chi vuole cerchi, e troverà. Mi limito a dichiarare che il comandante du Paty de Clam, incaricato di istruire il caso Dreyfus come ufficiale giudiziario, è, in ordine di date e di responsabilità, il primo colpevole del tremendo errore giudiziario che è stato commesso.
Il "bordereau" era già da qualche tempo nelle mani del colonnello Sandherr, direttore dell'ufficio informazioni, in seguito morto di paralisi. Avvenivano "fughe", sparivano carte, come ne spariscono ancora oggi; e l'autore del "bordereau" era ricercato, quando a poco a poco nacque l'idea, a priori, il concetto che quell'autore altri non potesse essere che un ufficiale dello Stato maggiore e per di più di artiglieria: doppio errore manifesto, che mostra con quale superficialità era stato studiato quel "bordereau", poiché un esame ragionato dimostra che doveva invece trattarsi di un ufficiale di fanteria.
Si cercava dunque in casa, si esaminavano le grafie, era un po' un affare di famiglia, un traditore da smascherare dentro gli uffici stessi, per espellerlo. Ed ecco, senza ripercorrere qui per intero una storia in parte già nota, che non appena un primo sospetto cade su Dreyfus, entra in scena il comandante du Paty de Clam. Da quel momento, è lui che inventa Dreyfus, il caso diventa il suo caso, egli si dice sicuro di confondere il traditore, di indurlo a rendere piena confessione. C'è pure il ministro della Guerra, generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c'è il capo dello Stato maggiore, generale de Boisdeffre, che sembra abbia ceduto al suo fanatismo clericale, e il vicecapo dello Stato maggiore, generale Gonse, la cui coscienza si è adattata facilmente a una quantità di cose. Ma, in sostanza, da principio c'è soltanto il comandante du Paty de Clam, che li manovra tutti, li ipnotizza, visto che si occupa anche di spiritismo, di occultismo, e conversa con gli spiriti. Sembrerebbero inconcepibili le esperienze alle quali ha sottoposto il malcapitato Dreyfus, i tranelli in cui ha cercato di farlo cadere, le inchieste folli, le fantasie mostruose, frutto di una demenza straziante.
Ah! questa prima fase è un incubo, per chi ne conosce veramente i dettagli! Il comandante du Paty de Clam arresta Dreyfus, lo mette in cella di rigore. Corre a casa della signora Dreyfus, la terrorizza, le dice che, se lei parla, suo marito è perduto. Nel frattempo, l'infelice si strappava i capelli, urlava la sua innocenza. E l'istruttoria è stata condotta così, come in una cronaca del quindicesimo secolo, nel più assoluto mistero, con la complicazione di truci espedienti, il tutto basato su un'unica accusa infantile, quel ridicolo "bordereau", che non era soltanto un volgare tradimento, ma era anche una frode di impudenza inaudita, perché i famosi segreti venduti erano tutti, o quasi, privi di valore. Se insisto, è perché è qui il nocciolo dal quale uscirà in seguito il vero crimine, lo spaventoso rifiuto di giustizia di cui la Francia è malata. Vorrei far toccare con mano come si è potuto produrre l'errore giudiziario, come sia nato dalle macchinazioni del comandante du Paty de Clam, come il generale Mercier, i generali de Boisdeffre e Gonse abbiano potuto lasciarsi invischiare, abbiano potuto impegnare un po' alla volta la loro responsabilità in questo errore che, in seguito, hanno ritenuto loro dovere imporre come verità sacrosanta, una verità da non mettere neppure in discussione. All'inizio, quindi, da parte loro c'è stata soltanto incuria e mancanza d'intelligenza. Tutt'al più, si ha l'impressione che abbiano ceduto al fanatismo religioso dell'ambiente e ai pregiudizi dello spirito di corpo. Hanno lasciato commettere una bestialità.
Ma ecco Dreyfus dinnanzi al tribunale militare. Si esige nel modo più assoluto che l'udienza sia a porte chiuse. Neppure se un traditore avesse aperto le frontiere al nemico, per condurre l'imperatore tedesco fino a Notre Dame, si sarebbero prese misure di silenzio e di mistero così rigorose. La nazione è allibita per lo stupore; sente voci di fatti terribili, di tradimenti mostruosi, tali da indignare la storia; e, naturalmente, s'inchina. Non c'è castigo che le sembri abbastanza severo, applaude alla degradazione pubblica, approva che il colpevole resti sulla sua rupe d'infamia, divorato dai rimorsi. Sono vere le cose indicibili, pericolose, capaci di mettere in fiamme l'Europa, che è stato necessario seppellire con cura dietro quelle porte chiuse? Macché! dietro quelle porte, c'era soltanto la fantasia romanzesca e demente del comandante du Paty de Clam. Tanta messinscena al solo fine di nascondere un assurdo romanzo d'appendice. Per assicurarsene, basta leggere con attenzione l'atto d'accusa, letto davanti al tribunale militare.
Ah! l'inconsistenza di quell'atto d'accusa! Che si sia potuto condannare qualcuno in base a un atto come quello, è un autentico prodigio d'iniquità. Sfido la gente onesta a leggerlo senza fremere d'indignazione e senza levare un grido di rivolta al pensiero dell'espiazione smisurata, laggiù all'isola del Diavolo.
Dreyfus conosce diverse lingue, delitto; in casa sua non si sono trovate delle carte compromettenti, delitto; si reca talvolta nel suo paese d'origine, delitto; è laborioso, si preoccupa di sapere tutto, delitto; non si scompone, delitto; si scompone, delitto. E le ingenuità di redazione, le asserzioni formali campate in aria!
Avevamo sentito parlare di quattordici capi d'accusa: stringi stringi, ne troviamo uno solo, quello del "bordereau"; e veniamo addirittura a sapere che gli esperti non erano d'accordo, che uno di loro, Gobert, è stato strapazzato militarmente per essersi permesso di non concludere nel senso desiderato. Si è anche parlato di ventitré ufficiali che avevano contribuito a schiacciare Dreyfus con la loro testimonianza. Non conosciamo ancora i loro interrogatori, ma è certo che non tutti l'avevano accusato; e non va dimenticato, inoltre, che appartenevano tutti agli uffici del ministero della Guerra. Un processo di famiglia, insomma, svoltosi tra quattro mura, ed è bene tenerlo presente; lo Stato maggiore ha voluto il processo, ha giudicato e ha appena finito di giudicare per la seconda volta.
Come dicevo, non rimane che il "bordereau", su cui gli esperti non si sono trovati d'accordo. Si dice che, in camera di consiglio, i giudici intendessero assolvere, naturalmente. E, di conseguenza, è più che comprensibile l'ostinazione disperata con la quale, per giustificare la condanna, si afferma oggi l'esistenza di un documento segreto, schiacciante, il documento che non è possibile mostrare, che legittima tutto, davanti al quale dobbiamo inchinarci, il buon Dio invisibile e inconoscibile. Io lo nego, questo documento, lo nego con tutte le mie forze! Un ridicolo pezzo di carta, sì, dove forse si parla di donnicciole, e in cui si accenna a un certo D. diventato troppo esigente: qualche marito, scommetto, che accampava pretese perché la moglie non gli veniva pagata a sufficienza. Ma un documento interessante ai fini della difesa nazionale, che sarebbe impossibile produrre senza che all'indomani venisse dichiarata la guerra, no, no! è una menzogna!
E una menzogna tanto più odiosa e cinica in quanto costoro mentono impunemente senza che sia possibile accusarli di falso.
Ammutinando la Francia, si nascondono dietro il suo legittimo turbamento, sconvolgono i cuori e pervertono gli spiriti pur di chiudere le bocche. Non esiste crimine civico peggiore di questo.
Ecco, Signor presidente, i fatti che spiegano come si sia potuto commettere un errore giudiziario; e le prove morali, le condizioni patrimoniali di Dreyfus, l'assenza di moventi, il suo continuo grido d'innocenza non fanno che mostrarcelo come una vittima della straordinaria fantasia del comandante du Paty de Clam, dell'ambiente clericale in cui questi si muove, della caccia agli "sporchi ebrei" che disonora la nostra epoca.
E veniamo al caso Esterhazy. Sono passati tre anni e molte coscienze continuano a essere profondamente turbate, si tormentano, cercano, finiscono per convincersi dell'innocenza di Dreyfus.
Non farò la storia dei dubbi, poi della convinzione del senatore Scheurer-Kestner. Ma, mentre dal canto suo egli indagava, nello Stato maggiore stesso accadevano fatti gravi. Il colonnello Sandherr era morto, e a capo dell'ufficio informazioni gli era succeduto il tenente colonnello Picquart. E a questo titolo, ossia nell'esercizio delle sue funzioni, quest'ultimo si trovò un giorno tra le mani una lettera-telegramma, indirizzata al comandante Esterhazy da parte di un agente di una potenza straniera. Era suo preciso dovere aprire un'inchiesta. Quel che è certo è che egli non ha mai agito in contrasto con la volontà dei suoi superiori.
Di conseguenza, sottopose i suoi aspetti ai suoi diretti superiori gerarchici, il generale Gonse, poi il generale de Boisdeffre, infine il generale Billot che, nel frattempo, era succeduto al generale Mercier come ministro della Guerra. Il famoso dossier Picquart, di cui si è tanto parlato, altro non era, in sostanza, che il dossier Billot, vale a dire l'incartamento preparato da un subordinato per il suo ministro, incartamento che deve esistere tuttora al ministero della Guerra. Le ricerche durano dal maggio al settembre 1896 e, particolare che va proclamato a gran voce, il generale Gonse era convinto della colpevolezza di Esterhazy, così come i generali de Boisdeffre e Billot non mettevano affatto in dubbio che il "bordereau" fosse di pugno di Esterhazy. L'inchiesta del tenente colonnello Picquart era approdata a questa constatazione certa. L'ansia, tuttavia, era grande, poiché la condanna di Esterhazy traeva con sé inevitabilmente la revisione del processo Dreyfus; e questo, lo Stato maggiore voleva evitarlo a qualunque costo.
Dev'essersi trattato di un momento psicologico pieno d'angoscia.
Tenga presente che il generale Billot non era minimamente compromesso, era giunto da poco, poteva fare piena luce. Non osò, sicuramente per paura dell'opinione pubblica, altrettanto sicuramente per paura di doverle dare in pasto l'intero Stato maggiore, il generale di Boisdeffre, il generale Gonse, per non parlare dei subalterni. Poi, tra la sua coscienza e ciò che riteneva essere l'interesse militare, si creò un conflitto, che sarà durato un minuto al massimo. Trascorso quel minuto, ahimè!
era già troppo tardi. Billot si era ormai impegnato, era compromesso. E, da allora, la sua responsabilità non ha fatto altro che aumentare, egli ha preso a suo carico i crimini altrui, è colpevole quanto gli altri, anzi è più colpevole, perché è stato padrone di far giustizia, e non ha fatto niente. Se ne rende conto? E' un anno, ormai, che il generale Billot, che i generali de Boisdeffre e Gonse sanno che Dreyfus è innocente e hanno serbato per sé questa spaventosa realtà! E costoro dormono, e hanno mogli e figli che amano!
Il tenente colonnello Picquart aveva compiuto il suo dovere di galantuomo. Egli insisteva presso i suoi superiori, in nome della giustizia. Li supplicava, perfino, facendo notare quanto i loro indugi fossero impolitici, di fronte alla terribile tempesta che si addensava via via, che non poteva non scoppiare, una volta che la verità fosse venuta a galla. Lo stesso linguaggio, in seguito, lo usò il senatore Scheurer-Kestner nei confronti del generale Billot, scongiurandolo in nome del patriottismo di prendere le redini del caso, di non permettere che si aggravasse al punto da trasformarsi in un pubblico disastro. No! il crimine era stato commesso, lo Stato maggiore non poteva più confessarlo. E il tenente colonnello Picquart venne mandato in missione, allontanato sempre di più, fino in Tunisia dove, un giorno, vollero addirittura onorare il suo coraggio affidandogli una missione che sicuramente l'avrebbe condotto al massacro, nei paraggi in cui ha trovato la morte il marchese de Morès. Non era in disgrazia; il generale Gonse era in cordiale corrispondenza con lui. Solo che ci sono segreti di cui non conviene essere a conoscenza.
A Parigi, la verità si faceva strada, irresistibile, e sappiamo bene in che modo la tempesta attesa scoppiò. Mathieu Dreyfus denunciava il comandante Esterhazy come vero autore del "bordereau" e, contemporaneamente, il senatore Scheurer-Kestner consegnava nelle mani del guardasigilli una domanda di revisione del processo. Ed è qui che appare in scena il comandante Esterhazy. Alcune testimonianze ce lo mostrano dapprima sconvolto, pronto al suicidio o alla fuga. Poi, di punto in bianco, gioca d'audacia, sbalordisce Parigi con la violenza del suo atteggiamento. In realtà qualcuno gli era venuto in soccorso, aveva ricevuto una lettera anonima che lo avvertiva degli intrighi dei suoi amici, una dama misteriosa si era addirittura presa il disturbo, nottetempo, di consegnargli un documento sottratto allo Stato maggiore, un documento che lo avrebbe salvato. E non posso fare a meno di ritrovare in tutto questo il tenente colonnello du Paty de Clam, poiché riconosco gli espedienti della sua fertile immaginazione. La sua opera, la colpevolezza di Dreyfus, era in pericolo e senza dubbio avrà voluto difendere la propria opera. La revisione del processo? Ma significava il crollo del romanzo d'appendice così grottesco e tragico, la cui conclusione abominevole si svolge all'isola del Diavolo! E lui certo non poteva permetterlo. Da quel momento, il duello ha per protagonisti il tenente colonnello Picquart e il tenente colonnello du Paty de Clam, l'uno a viso scoperto, l'altro mascherato. Prossimamente, li ritroveremo entrambi davanti alla giustizia civile. In realtà, è sempre lo Stato maggiore quello che si difende, che non può confessare il suo delitto, di un abominio che cresce di ora in ora.
Qualcuno si è chiesto, con stupore, quali siano i protettori del comandante Esterhazy. Prima di tutto, nell'ombra, c'è il tenente colonnello du Paty de Clam che ha macchinato e diretto tutto. Che ci sia la sua mano, lo rivelano i mezzi bizzarri. Poi, c'è il generale de Boisdeffre, c'è il generale Gonse, c'è lo stesso generale Billot, che sono assolutamente obbligati a far assolvere il comandante, poiché non possono permettere che venga riconosciuta l'innocenza di Dreyfus senza che il ministero della Guerra venga sommerso dal pubblico biasimo. E il bel risultato di questa situazione che ha del prodigioso è che il galantuomo, là in mezzo, l'unico che abbia fatto il suo dovere, finisce per essere la vittima, quello che dev'essere schernito e punito. O giustizia, quanta desolante disperazione ci stringe il cuore! Si arriva al punto di asserire che è lui il falsario, che quel documento- telegramma l'ha fabbricato lui, per perdere Esterhazy. Ma perché, gran Dio! a che scopo? Dateci un motivo. Forse pure lui sarebbe stato pagato dagli ebrei? Il lato più divertente è che si tratta, per l'appunto, di un antisemita. Sì! assistiamo a questo spettacolo infame e cioè che si proclama l'innocenza di individui carichi di debiti e di reati, mentre si colpisce l'onore stesso, ossia un uomo dalla vita integerrima! Quando una società arriva a tanto, cade in decomposizione.
Ecco, Signor presidente, questo è il caso Esterhazy: un colpevole da dichiarare innocente a tutti i costi. Da ben due mesi, possiamo seguire ora per ora la bella impresa. Abbrevio, perché questo è soltanto il riassunto, per sommi capi, di una storia le cui pagine roventi verranno scritte un giorno per esteso. E abbiamo visto prima il generale de Pellieux, poi il comandante Ravary, condurre un'inchiesta scellerata da cui i mascalzoni escono trasfigurati e la gente onesta infangata. Infine, è stato convocato il tribunale militare.
Come si poteva sperare che un tribunale militare disfacesse ciò che un tribunale militare aveva fatto?
Non accenno neanche alle scelte sempre possibili dei giudici. Il concetto superiore di disciplina, che quei soldati hanno nel sangue, non è già sufficiente in sé a infirmare il loro potere d'equità? Chi dice disciplina, dice obbedienza. Quando il ministro della Guerra, il capo supremo, ha stabilito pubblicamente, tra le acclamazioni della rappresentanza nazionale, l'autorità del giudizio dato, vuole che un consiglio di guerra gli dia una smentita formale? E' gerarchicamente impossibile. Il generale Billot con la sua dichiarazione ha suggestionato i giudici ed essi hanno giudicato così come si va all'attacco, senza ragionare.
L'opinione preconcetta che essi hanno portato sui loro scranni, è stata evidentemente: "Dreyfus è stato condannato per alto tradimento da un tribunale militare, ragion per cui è colpevole; e noi, tribunale militare, non possiamo certo dichiararlo innocente; ora, sappiamo bene che riconoscere la colpevolezza di Esterhazy equivarrebbe a proclamare l'innocenza di Dreyfus". Niente li poteva smuovere da quell'atteggiamento.
Hanno emesso una sentenza iniqua, che peserà per sempre sui nostri tribunali militari, che d'ora in poi vizierà tutte le loro sentenze come sospette. Il primo tribunale militare potrebbe anche avere peccato di poca intelligenza, il secondo è per forza di cose criminale. La sua scusa, lo ripeto, è che aveva parlato il capo supremo, dichiarando che il giudizio già espresso era inattaccabile, santo al di sopra degli uomini, ragion per cui chi era al di sotto non poteva sostenere il contrario. Ci parlano dell'onore dell'esercito, vogliono che lo amiamo, che lo rispettiamo. Ah sì, certo, l'esercito che insorgerebbe alla prima minaccia, quello che difenderebbe la terra francese, rappresenta il popolo tutto, e per esso non possiamo che avere tenerezza e rispetto. Ma non si tratta dell'esercito, di cui, nel nostro bisogno di giustizia, vogliamo per l'appunto la dignità. Si tratta del potere militare, il padrone che domani, forse, ci sarà dato. E baciare devotamente il pugno di ferro del potere militare, del dio, questo no!
Del resto, l'ho dimostrato: il caso Dreyfus era il caso degli uffici del ministero della Guerra, di un ufficiale dello Stato maggiore denunciato dai suoi colleghi dello Stato maggiore e condannato sotto la pressione dei capi dello Stato maggiore. Lo ripeto ancora, egli non può tornare innocente senza che l'intero Stato maggiore sia colpevole. Così quegli uffici, con tutti i mezzi immaginabili, con le campagne di stampa, le comunicazioni, l'ascendente personale, hanno coperto Esterhazy solo e unicamente per perdere una seconda volta Dreyfus. Che repulisti dovrebbe fare il governo repubblicano in questo covo di gesuiti, come lo stesso generale Billot li definisce! Dov'è il ministero veramente forte e di un saggio patriottismo che oserà fare piazza pulita e rinnovare tutto? Quanta gente conosco che, al pensiero di una possibile guerra, trema d'angoscia sapendo in che mani è la difesa nazionale! e che nido di bassi intrighi, di pettegolezzi e di dilapidazioni è diventato quel dannato manicomio nel quale si decidono le sorti della patria! C'è da tremare al pensiero della luce orribile che vi ha appena gettato il caso Dreyfus, vero sacrificio umano di un infelice, di uno "sporco ebreo"! Ah! che cosa non si agitava là dentro di demenza e di idiozia, di fantasie assurde, di pratiche di bassa polizia, di comportamenti da inquisizione, da tirannide, e tutto perché pochi gallonati potessero mettersi sotto gli stivali la nazione, cacciandole in gola la sua invocazione di verità e di giustizia col pretesto menzognero e sacrilego della ragion di stato!
Ed è un delitto anche l'essersi appoggiati alla stampa ignobile, l'essersi lasciati difendere da tutta la teppaglia di Parigi, per cui eccola che trionfa insolentemente, la teppaglia, di fronte alla disfatta del diritto e della semplice probità. E' un delitto aver accusato di turbare la Francia quelli che la vogliono generosa, alla testa delle nazioni libere e giuste, quando gli accusatori stessi ordinavano l'impudente complotto di imporre l'errore davanti al mondo intero. E' un delitto fuorviare l'opinione pubblica, utilizzarla per un'impresa di morte, quest'opinione pubblica, dopo averla pervertita al punto di farla delirare. E' un delitto avvelenare gli oscuri e gli umili, esasperare le passioni di reazione e d'intolleranza barricandosi dietro l'odioso antisemitismo, di cui la grande Francia liberale dei diritti dell'uomo morirà, se non ne è ancora guarita. E' un delitto sfruttare il patriottismo ai fini dell'odio, è un delitto, infine, fare del potere militare il dio moderno, quando tutta la scienza umana è al lavoro per il progresso della verità e della giustizia.
Questa verità, questa giustizia che abbiamo voluto con tanta passione, che angoscia vederle schiaffeggiare così, più misconosciute e oscurate che mai! Immagino il crollo che ci sarà stato nell'animo di Scheurer-Kestner, e sono certo che egli finirà per provare un rimorso, quello di non aver agito in modo rivoluzionario, il giorno dell'interpellanza al Senato, lanciando l'intero pacchetto per fare piazza pulita. Ha voluto agire da quel gran galantuomo che è stato in tutta la sua leale vita, si è illuso che la verità bastasse a se stessa, dato soprattutto che a lui appariva chiara come la luce del giorno. A che scopo turbare gli animi, se da un momento all'altro avrebbero visto splendere il sole? Ed è proprio per questa fiduciosa serenità che ora viene così crudelmente punito. Lo stesso si dica del tenente colonnello Picquart, il quale, per alto senso di dignità, non ha voluto pubblicare le lettere del generale Gonse. E questi scrupoli tanto più l'onorano in quanto, mentre lui si manteneva rispettoso della disciplina, i suoi superiori lo facevano coprire di fango, istruivano essi stessi il suo processo nel modo più inaspettato e più oltraggioso. Ci sono due vittime, due brave persone, due cuori semplici, che hanno lasciato fare a Dio intanto che il diavolo era all'opera. E nel caso del tenente colonnello Picquart si è assistito addirittura a questa cosa ignobile: che un tribunale francese, dopo avere permesso al giudice relatore di incriminare pubblicamente un testimone e di gettare su di lui tutte le colpe, ha poi proceduto a porte chiuse quando questo testimone è stato chiamato a spiegarsi e a difendersi. Io dico che questo è un delitto in più e che questo delitto solleverà la coscienza universale. Decisamente, i tribunali militari hanno un concetto singolare della giustizia.
Questa è dunque la pura verità, Signor presidente, ed è spaventosa, e rimarrà una macchia per la sua presidenza. Sono convinto che Lei non ha alcun potere in questa faccenda, che è prigioniero della Costituzione nonché del suo entourage. Ciò nondimeno Lei ha un dovere d'uomo, al quale pensare, e da adempiere. D'altronde, non creda che io disperi minimamente del trionfo. Lo ripeto con certezza più veemente: la verità è in cammino e niente potrà fermarla. Il caso comincia soltanto oggi, poiché oggi soltanto le posizioni sono nette: da una parte, i colpevoli i quali non vogliono che si faccia luce; dall' altra i giustizieri i quali daranno la vita perché luce sia fatta. Del resto, l'ho detto, e lo ripeto: quando la verità viene rinchiusa sotto terra, ci si ammassa, acquista una forza d'esplosione tale che, quando scoppia, tutto salta in aria. Poi vedremo se non è vero che si sono create le premesse di un'esplosione che, quando avverrà, sarà totale.
Ma questa lettera è lunga, Signor presidente, ed è tempo di concludere.
Accuso il tenente colonnello du Paty de Clam di essere stato l'artefice diabolico dell'errore giudiziario, incoscientemente, voglio sperare, e di avere in seguito difeso la sua opera nefasta, per ben tre anni, ricorrendo alle macchinazioni più bizzarre e più colpevoli.
Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, non fosse che per debolezza di spirito, di una delle peggiori iniquità del secolo.
Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole del delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, a fini politici e per salvare lo Stato maggiore.
Accuso il generale de Boisdeffre e il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto, l'uno sicuramente per fanatismo clericale, l'altro forse per quello spirito di corpo che fa degli uffici del ministero della Guerra l'arca santa, inattaccabile.
Accuso il generale de Pellieux e il comandante Ravary di aver condotto un'inchiesta scellerata, intendo, con questo, dominata dalla parzialità più mostruosa, di cui, nel rapporto del secondo, abbiamo un monumento imperituro di ingenua audacia.
Accuso i tre esperti calligrafi, i signori Belhomme, Varinard e Couard, di aver fatto rapporti menzogneri e fraudolenti, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da malattie della vista e del giudizio.
Accuso gli uffici del ministero della Guerra di aver condotto sulla stampa, e in particolare su "L'Eclair" e "L'Echo de Paris", una campagna abominevole, per fuorviare l'opinione pubblica e nascondere la propria colpa.
Accuso infine il primo tribunale militare di aver violato il diritto, condannando un accusato in base a un documento rimasto segreto, e accuso il secondo tribunale militare di avere coperto, in obbedienza agli ordini, questa illegalità, commettendo a sua volta il delitto giuridico di assolvere scientemente un colpevole.
Nel muovere queste accuse, non ignoro affatto di incorrere negli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce i reati di diffamazione. E vi incorro per mia precisa volontà.
Quanto alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, non ho contro di loro né rancore né odio. Per me sono soltanto delle identità, degli spiriti di malvagità sociale. E l'atto che qui io compio altro non è che un mezzo rivoluzionario per affrettare l'esplosione della verità e della giustizia.
Sono mosso da un'unica passione, che si faccia luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità.
La mia infiammata protesta è soltanto il grido della mia anima.
Osino pure, perciò, tradurmi in Corre d'assise, e che l'inchiesta si svolga sotto gli occhi di tutti!
Aspetto, Voglia gradire, Signor presidente, l'espressione del mio profondo rispetto. 

E.Zola



LETTERA A FÉLIX FAURE, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Nessun commento:

Posta un commento