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martedì 30 agosto 2011

DoppioSognoInterview: lo stato dell'arte. Luca Ciammarughi


Intervista al musicista Luca Ciammarughi 

Presentati in pochissime parole. Chi sei?
Mi sento un ragazzo come un altro, con la fortuna di poter comunicare il proprio mondo interiore attraverso il suono.

Quando hai iniziato a pensare te stesso come musicista?
Fin da bambino mettevo in scena spettacoli musicali, coreografia compresa, in casa con i miei due fratelli. Cantando, ballando, suonando a istinto. Il resto è venuto spontaneamente: ricordo che dopo aver eseguito la Sesta Partita di Bach al diploma di Conservatorio ho pensato che non avrei mai potuto fare a meno del pianoforte.

Come ti sei formato?
Ho iniziato relativamente tardi, a 11 anni e per mia volontà, in una scuola media a sperimentazione musicale. Poi insieme al Liceo classico ho fatto il Conservatorio di Milano, anni duri e intensi; avevo appena perso mio padre, e Paolo Bordoni -un musicista straordinario- è stato come un secondo padre: ha capito la mia personalità e mi ha aiutato a far delle scelte, senza gettarmi in pasto ai leoni. Ho completato la mia formazione con un diploma accademico di musica vocale da camera, nella classe dell'eccellente Stelia Doz, e con un periodo di tirocinio con il noto liederista americano Dalton Baldwin: mi ha fatto capire che il canto della voce umana dovrebbe essere il miraggio di ogni strumentista.

Autori di musica di riferimento?
Jean Philippe Rameau e Franz Schubert: non sono certo i più grandi in assoluto, ma con loro l'immedesimazione è totale. Bach è la totalità, Mozart la pienezza. Schumann è la mia passione insana: mi specchio in lui come in nessun altro, ma a volte ne fuggo gli abissi.

Letture oltre quelle musicali per studio?
In adolescenza divoravo romanzi: una dozzina ogni estate. Dal settecento francese agli americani contemporanei (Cunningham, per esempio). Oggi sono meno vorace, più esigente: la letteratura accompagna la mia vita, non è un rifugio.

Cosa ami oltre la musica?
I viaggi, gli amici, il teatro (più del cinema), i pomeriggi alla radio dove conduco trasmissioni di musica classica. E anche la Leggerezza della vita, a patto che non diventi così leggera da essere insostenibile!

Musicisti esecutori di riferimento?
Sono perlopiù degli outsider di lusso: i pianisti Vladimir Sofronitzky, Youri Egorov, Marcelle Meyer, Alexandre Tharaud, Radu Lupu. Musicisti capaci di ridiscutere ogni volta la legittimità del loro presentarsi davanti a un pubblico: sensibili, tormentati, come fu il violinista Christian Ferras. Un Rubinstein, un Horowitz sono strepitosi ma troppo dimostrativi della propria bravura: finiscono per ingabbiare la mia immaginazione di ascoltatore.

Come vedi la situazione in Italia a proposito di spettacoli/concerti dal vivo?
Il parziale ripristino del Fondo Unico per lo Spettacolo, quest'anno, ha ridato un po' di respiro a una situazione che sembrava tragica. Il problema, naturalmente, rimane la ripartizione del FUS: è giustissimo che i grandi fari dell'Italia nel mondo, come la Scala, abbiano la maggioranza dei fondi, ma ciò si traduce per loro in una grande responsabilità. Se penso che la Scala quest'anno ha ignorato il centenario di un genio come Gian Carlo Menotti, operista raffinato e popolare fra i più eseguiti al mondo, mi suona strano sentir poi parlare di difesa della Cultura! Il prossim'anno c'è un balletto con musiche di Vasco Rossi. Nulla di male, ma se inseguiamo lo show-business all'americana, perché allora chiedere soldi allo Stato? Poi ci sono gli eccessi opposti, come la Fenice di Venezia, che ha pagato una sfilza di percussionisti extra-organico per mettere in scena “Intolleranza” di Nono, quasi un puro vezzo per un'élite di nostalgici.
Per il resto, la grande sfida dei prossimi anni sarà decentralizzare spettacoli e concerti, anche nelle città, coinvolgendo gli strati sociali più disparati e le zone periferiche. Qualcuno già lo fa, è uno sforzo non indifferente, ma credo ne valga la pena.

Ultimo concerto a cui hai partecipato?
7 agosto, ho chiuso il Festival di Clusone con un récital per violino e pianoforte insieme al mio fratello gemello Jacopo. Fra gli ultimi mi piace citare anche la partecipazione al Festival di Spoleto, è stato emozionante eseguire musica di Menotti nei suoi luoghi.

Prossimi impegni?
Sto portando avanti un'integrale discografica delle Sonate per pianoforte di Franz Schubert, un progetto che mi impegna e mi appassiona molto. Questo autunno esce il secondo volume (per l'etichetta ClassicaViva). In settembre tengo un recital a 4 mani insieme a Danilo Lorenzini, grande musicista e amico, al Festival “Guadalquivir” in Andalusia.

Quali consideri essere i tuoi punti di forza?
Mah, preferirei parlare dei miei punti deboli! (ride) Credo che proprio il sondare continuamente i miei limiti sia un punto di forza. Oggi ti fanno credere che tutto è possibile, ma non è così. Ognuno di noi è diverso e deve sapere fin dove può spingersi. Fauré, diventato quasi sordo, componeva solo nelle due ottave centrali della tastiera: ma lo faceva meravigliosamente! Comunque, alcune mie caratteristiche sono l'attitudine a riflettere (posso stare su un pezzo anche quattro o cinque anni, prima di suonarlo) e il considerare la tecnica esclusivamente come origine del suono: la ricerca sul suono è ciò che mi interessa, perché è ciò che rende un musicista in grado di manifestare la propria interiorità.

Cosa ti senti di dover migliorare o in cosa ti piacerebbe cimentarti?
Tecnicamente, sono ossessionato dal “legato”: non è mai abbastanza. Negli anni di studio la digitalità è fondamentale, ma bisogna stare all'erta perché non vada a discapito di una capacità di legare i suoni e creare la frase lunga. Poi dovrei aumentare la potenza, ma mi interessa già di meno, perché sento che la mia struttura fisica è fatta più per le nuances che per i grandi exploits. Fra qualche anno mi piacerebbe cimentarmi in alcuni grandi cicli romantici che finora ho tenuto solo sul leggio di casa, come “Davidsbuendlertaenze” e “Kreisleriana” di Schumann: non troppo tardi però, perché necessitano di passione giovanile, a tratti sregolata. Devo vincere la pigrizia!

Veniamo ora ad alcune Domande “scomode”…


Sei mai sceso a compromessi o lo faresti?
Non con altri, ma con me stesso sì! Sarebbe ipocrita dire il contrario. Se hai chi ti sostiene, puoi fingere di essere libero e bohémien. Se devi crescere da solo e fare la gavetta, devi accettare per forza, ad esempio, di suonare in condizioni non proprio ideali. Se invece per compromessi intendiamo favori di genere personale o sessuale, beh, allora no. Il sesso è un elemento importantissimo della vita, farne un uso economico-carrieristico è un boomerang, in tutti i sensi.

Qualcuno ti è passato davanti perché è sceso a compromessi?
Credo di sì, ma nella mia prospettiva questo loro passare avanti è un grande passo indietro.

Cosa pensi delle agenzie di spettacolo?
Non ne so molto. In genere il modo di parlare degli agenti mi indispettisce parecchio. Mi capita di ricevere telefonate in radio: sono così sicuri di sé, pronti a smerciarti il prodotto! Mi viene da dire: ma rilassati un po'! Oggi che quasi tutto gira intorno al marketing, si sentono spesso più protagonisti degli artisti: ridicolo. Naturalmente ci sono le eccezioni.

Un provino che non avresti voluto fare?
Ai tempi del Conservatorio, un'audizione per partecipare alla masterclass della famosa pianista bachiana Angela Hewitt. Alcune commissarie, in particolare la docente Maria Rosa Bodini, mi esclusero dicendomi in faccia che il mio Bach era di un'esagerata espressività tardoromantica, arrivando a definirlo “inutile”. Ma non mi lascio ferire facilmente: ho inscenato una Querelle di cui si parla ancora a quasi dieci anni di distanza. Ho una vocazione teatrale frustrata! (ride)

Un concerto che non avresti voluto fare?
Qualche aperitivo musicale con gente che si aspetta che gli suoni “Besame mucho” mentre sorseggia un long-drink. Io suonavo le Partite di Bach o i brani più esoterici di Debussy, per gusto dello straniamento, ma alla fine risultava troppo alienante!

Parteciperesti a una trasmissione televisiva per altro che non sia eseguire?
Lo faccio già, come introduttore di video musicali sul canale “Classica” di Sky. Ti dirò: paradossalmente ciò che non farei in diretta è proprio eseguire, perché davanti alla massa degli spettatori subentrano per forza una serie di modificazioni di quella che è la tua idea originaria. Essere show-man con le parole potrebbe anche divertirmi, con il piano non so...

Cosa ti pesa di più nella musica o non ti va giù nel suo ambiente?
Fuggo dalla tirannia assoluta della musica. La musica è in gran parte la mia vita, ma esistono molte altre cose. Mi sbalordiscono le frasi del tipo “dove c'è musica non ci può essere cosa cattiva” o i musicisti che si sentono superiori al resto del mondo: è un'arroganza inconcepibile! Amo quei musicisti che alternano momenti di assoluta compenetrazione estetica ad altri di rigetto: il silenzio è fondamentale, e perfino il rumore. Se ci tappezziamo le orecchie di splendori musicali da mattina a sera, neghiamo a noi stessi la ruvidezza della vita. E' il problema dell'ambiente classico: l'ovatta.

Chi o cosa non sopporti?
La stupidità, non mi diverte affatto. Non siamo più ai tempi di Sartre e della cultura al potere, ma a forza di sparare sulla classe intellettuale e di smascherare i biechi istinti di artisti e letterati siamo arrivati all'eccesso opposto: per essere in voga devi quantomeno far finta di non pensare, se non proprio essere decerebrato, ossia manipolabile.

In letteratura e in arte molti cercano il proprio stile. Tu ne hai uno? Lo 
cerchi? O non ti poni il problema?
Direi che è il principale problema che mi pongo quotidianamente. Non è affatto facile, ma è necessario individuare una propria estetica. Non so se l'ho trovata. Mi sono scelto dei numi, a partire dagli amati Rameau e Schubert, che soddisfino il mio bisogno di una poesia che sia fragile e terribile, che viva la propria caducità in modo nostalgico e sfrontato allo stesso tempo. Cerco la dolcezza, ma senza compiacimento, anzi con un'elevata dose di sofferenza.

Qualcosa di scaramantico che fai o dici prima di entrare in scena?
Nulla.

Cosa consigli a un giovane che voglia intraprendere questa strada?
Ricordare sempre che il bene di coloro che ti danno dei consigli non è necessariamente il tuo bene. Tutto il resto è molto soggettivo, in base a ciò che ognuno cerca.

Una frase per te significativa di un autore con cui finiresti quest’intervista…o una musica che rappresenti quel che vorresti comunicare ora?
Ogni verità non è che una mezza verità” (dal testo ermetico “Kyballion”). La musica è l'Humoresque di Schumann, fatta di slanci celestiali e di salutari ricadute nel terrestre.

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