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martedì 30 agosto 2011

Antigone: il Messo

O sovrana diletta, ero presente e parlerò; 
né a te parola alcuna io celerò del vero. 
A che dovrei lusinghe offrirti, 
quando infin mendace apparirei? 
Sta sempre in piedi il vero.  
Io col tuo sposo mossi; e gli fui guida  
al piano estremo, ove giaceva il corpo  
lanïato dai cani. E qui la Dea  
invocammo dei tramiti, e Plutone,  
ché, posto freno all'ira, a noi benevoli  
fossero. E il corpo, di lavacri casti  
purificammo; e sopra rami svelti  
allora allora, ardemmo i tristi avanzi,  
ed erigemmo un tumulo alto, sopra  
la terra patria; e alla caverna d'Ade  
quindi movemmo, al talamo di rocce  
dove giaceva la fanciulla. Ed ecco,  
uno dei nostri, ode da lungi, intorno  
a quel sepolcro senza esequie, il suono  
d'acuti ululi, e corre, ed a Creonte  
ne reca annunzio; e quando questi, piú  
si fa vicino, un indistinto suono  
l'avvolge d'urli miseri; e singhiozza  
egli, lagrima, e rompe in questi accenti;  
«Misero me, sono io dunque indovino?  
Questa è dunque la piú funesta via  
di quante io prima ne battei? La voce  
mi molce il cuor del figlio mio. Correte  
ivi presso, o famigli, ove del tumulo,
fra le rocce scalzate, il vano s'apre,
presso la fauce stessa introducetevi,
alla tomba accostatevi, e guardate se la voce è
d'Emón quella che ascolto, o se di me si fanno gioco i Numi!»
E noi guardammo, come l'ansio re ordine dava;
e dalla tomba al fondo pel collo stretta la fanciulla,
avvinta vedemmo a un laccio di ritorto lino,
ed Emon presso lei, che, abbandonato,
a mezza vita la stringea, le nozze piangea distrutte nell'Averno,
e l'opere empie del padre, e l'infelice talamo.
Come il padre lo vide, un fiero gemito levò,
gli si fe' presso, e con un ululo a lui si volse:
«Misero, che fai? A che sei qui venuto?
In che sciagura la ragione perdesti?
Esci di lí, figlio, ti prego, ti scongiuro!» -
E il figlio con selvagge pupille lo guatò,
e gli sputò sul viso, e nulla disse,
e per la duplice elsa il ferro trasse.
Ma il padre via fuggí; né quei lo colse;
e con se stesso irato allora, oh misero!,
si gittò su la spada, e a mezzo il petto se la confisse.
E, ancora in sé, si stringe,
col braccio già mancante, alla fanciulla,
e sbuffa, e avventa su la bianca guancia
di rosse stille impetuoso fiotto.
E poi che i riti nuzïali, o misero,
nell'Averno compie', giace cadavere a un cadavere avvinto;
e insegna agli uomini che d'ogni male,
avventatezza è il pessimo.
.......
Sofocle

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