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mercoledì 25 gennaio 2012

Ci rivedremo ad Harvard


Perché Kathleen si è fatta assumere dal professor
Brackish? Perché gli è così ostile? Perché lui è così
strano con lei? Grande teatro, trama intrigante,
ironia fino all'imprevisto finale in questa divertente,
malinconica, toccante, intelligente commedia che ha
trionfato a Broadway e a Parigi.

Avvenire
Uno degli spettacoli, per noi tra i più riusciti, di questo
scorcio di stagione [...] è stato accolto con commozione dal
pubblico [...] Se un critico si fosse affacciato nella minuscola
sala teatrale, probabilmente sarebbe stato lieto di dire bene
dell'allestimento.

Rivista Teatro Gatal
Il lavoro ha un terzo personaggio: la musica, che percorre
continuamente lo svolgersi delle vicende, accompagna come
un amico/avversario i due protagonisti, che entrano nel
cuore di chi assiste al loro travaglio e non li dimentica più.
Li interpretano con vera bravura Gianni Busatto e Licia
Guastelluccia, diretti da Scorzillo con una misura e con una
passione da far dire che lo spettacolo è uno dei migliori visti
in questo arco di stagione.

Il Giornale
Un sottobosco tipicamente statunitense dell'epoca
postindustriale risalta [...] nella messinscena di “Ci rivedremo
ad Harvard”, il primo allestimento italiano del lavoro di Israel
Horovitz, firmato da Sergio Scorzillo.

ALTRE IMPRESSIONI SULLA STAMPA
"....Il testo è di un americano, e la cultura empiristica degli americani è sempre presente. I dialoghi e le situazioni conservano sempre la concretezza, il riferimento alla vita di una classe media che fa parte di quella cultura. La storia si conclude senza un vero vincitore, come accade sempre, quando non si dipingono le cose in astratto."

DALLE NOTE DI REGIA
"...Il vecchio professore e la sua ex alunna badante diventano emblemi tragici dell'eterna lotta per la vita, per la sopravvivenza, per l'affermazione dell'io e dell'essere, per la conquista faticosa di Tutto, amore e amicizia comprese.
E conquistano la nostra comprensione, o meglio la nostra "con-passione" ...la stessa che riserveremmo a noi stessi, se imparassimo a vederci come siamo e ci volessimo bene."

Anche se una parte di me spingeva a cercare soluzioni registiche ardite, la sfida è stata quella di cercare di rimanere, invece, il più possibile ancorato al testo e alle cose "come succedono". Il lavoro con gli attori ha fatto il resto. 

L'importanza data da Horovitz a suoni e musica è stata amplificata a dismisura, inserendo il piccolo mondo dei due protagonisti (grazie alla Società del Teletrasporto, che ha curato il sound design) in un universo sonoro preciso, continuo e incombente, altro vero protagonista ( insieme al bofonchiante DJ che, dalla sua postazione radio, rappresenta "tutti gli altri") della pièce..... "


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