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giovedì 3 marzo 2011

LE CONVULSIONI


di Francesco Albergati Capacelli



Commedia in prosa d'un atto solo



PREFAZIONE


Chi non conosce il mondo, chi non condusse vita socievole, chi non bene osservò i vari sintomi delle passioni, dei difetti, dei vizî esser potrebbe un eccellente scrittore di tutt'altro che di commedie. Manca tutto ad uno scrittor di commedie se non ha passati in rivista molti originali, molti e molti avvenimenti, moltissime combinazioni.
Ma dall'altro canto se poi l'autor di commedie ha molto veduto, osservato, sperimentato, dovrà soffrire in se medesimo un freno gagliardo, un ritegno a scrivere liberamente. Temerà sempre che dai leggitori e dagli spettatori si facciano nelle vicende ch'ei loro espone allusioni, applicazioni, imputazioni mordaci a tale o tal'altro soggetto, e avrà l'angustia nell'animo di promovere la derisione e il motteggio contro d'alcuno.
Chi troppo generalizza nella commedia, non sta in natura. Chi troppo particolarizzar vuole colpisce piú facilmente nel segno, ma col pericolo di commettere un'azion rea, che in fatti rea ed infame sarà sempre l'azione di richiamar il pensiero degli spettatori sopra le debolezze e i difetti d'un individuo, anzi di fare che il pensiero di tutto rivolgasi sopra di quello solo. E ben dà segno manifesto d'esser senza onore colui che sí poco apprezza l'onore degl'altri.
Quando scelsi a scrivere sull'argomento di questa breve commedia confesso che mi fe' povero e misero l'abbondanza della materia. Non già per una commediuola d'un atto, io ne possedeva per un poema di dodici canti almeno. Non volli abbandonar l'argomento che parevami nato fatto per esser comico, né volli poi scostarmi da quelle massime di onoratezza che ci debbono esser compagne e regolatrici in ogni passo.
Io ho veduto, ho osservato, ho profondamente conosciuto ciò che sieno le Convulsioni smaniose e loquaci. Le poche situazioni che ne offro non sono inventate ma da me stesso furono piú volte mirate e derise. Tropp'altre ancora ne avrei avute degnissime della scena. A forza di sopprimerne, a forza di sceglier pur quelle sole che non possono scoprire gli originali che vi si trovarono, in somma a forza d'una indispensabile prudenza non m'è riuscito di ricavare da vena perenne nulla piú che una commediuola brevissima.
Sarò contento se questa commediuola potrà alcuni momenti promovere un innocente riso, e se il bel sesso vorrà persuadersi che non sopra di esso si scagliano questi leggeri miei colpi, ma ben piuttosto sopra chi lo seconda, lo seduce, e lo adula; giacché a dir vero la dabbenaggine d'un marito, la vile adorazione d'un galante, le interessate smorfie d'un medico recano alle abbagliate donne quei danni che non sarebbero capaci di farsi da se medesime.




Attori

Donna Laura, moglie del
Signor Bernardino
Domenica, cameriera moglie di
Lorenzo, servitore
Don Alfonso, padre di donna Laura
Marchese Aurelio, cicisbeo di donna Laura
Dottor Francuccio, medico
Ruffino, servitore del Marchese Aurelio

Altre serve e servitori che non parlano.

La scena si finge nella casa del signor Bernardino.



Scena prima

Camera con porta in mezzo e porte laterali; due finestre praticabili; tavolino con sopra vari libri; sedie e un sofà.

Domenica, Lorenzo.

LORENZO (ch'esce in fretta dalla porta di mezzo con scaldaletto in mano, e va alle camere di Laura, che avranno una delle porte laterali) Oh! io non posso e non voglio far questa vita.
DOMENICA (ch'esce d'altra camera e va verso la padrona in fretta anch'essa, e con in mano una tazza da brodo, e incontrasi con Lorenzo) Oh! figurati che non voglio crepar neppur io.
LORENZO Appena giorno dovermi levare per accendere il fuoco.
DOMENICA A letto tardissimo; e nel piú bel del dormire: «Domenica, una tazza di brodo».
LORENZO Io non voglio continuare cosí.
DOMENICA Non lo vorrei né men io se non amassi la mia padrona.
LORENZO Oh! veramente puoi dire d'amare qualche cosa di buono.
DOMENICA Poveraccia, perché le si è alterata la salute non meriterà piú...
LORENZO Eh, cara Domenica! non è mancanza di salute, ma di giudizio. È pazza la meschinella.
DOMENICA Lorenzo, parla bene della padrona, altrimenti...
LORENZO Sí, sí, hai ragione di difenderla, mentre tu ancora, moglie mia garbatissima, t'incammineresti per quella strada.
DOMENICA Per quale strada? Non t'intendo.
LORENZO Per quella della pazzia, della frascheria, della civetteria. M'hai inteso adesso?
DOMENICA T'ho inteso. Ma non capisco per qual motivo ti lamenti...
LORENZO Fa' pur finta di non capire; e torna un'altra volta a galanteggiar con Ruffino, come facesti iersera. Vedrai di che cosa sarò capace.
DOMENICA Sei un ingrato, un briccone, un bugiardo. Non è vero niente. Sono savia ed onesta. (Piangente) Mi vuoi... far morire... dalla disperazione... Ohimè! ohimè! (Fa contorsioni e moti convulsivi) Sento che non ne posso piú.
LORENZO Orsú, non mi far la sguaiata, che, poter del mondo, io ti guarirò senza spender nulla nel medico.
DOMENICA (come sopra) Ahi! ahi! misera me, misera me!
LORENZO Or ora col manico di questo scaldaletto te ne do tante, che ti fo ben io passare le convulsioni.
DOMENICA Gran bestia che sei. Mi passano, sí, ma non posso impedir che non vengano.
LORENZO Benissimo; e non potrai impedirmi ch'io non le faccia andar via. Se tu volessi far la scimia della padrona, io non sarò mai sí sciocco come il padrone.
DOMENICA (con calore) E che vuoi tu che faccia il signor Bernardino?
LORENZO (con calore anch'esso) Quello che far deve un marito ch'abbia la testa. Mettersi risoluto... (dalle camere di Donna Laura si ode una campanella che suona in molta fretta).
DOMENICA (intimorita) Oh, cospetto! la padrona che chiama. Andiamo subito.
LORENZO (guardando nello scaldaletto) Va', va' pur tu... Mi si è smorzato il fuoco, e bisogna che corra a prenderne dell'altro.
DOMENICA Bene... povera me! mi si è rovesciato tutto il brodo...
LORENZO Per le tue maledette convulsioni.
DOMENICA Pel tuo maledetto contrastare (campanella come sopra).
DOMENICA Prendi, prendi la tazza. Tu porterai brodo e fuoco venendo dalla parte ove stanno le donne (ed entra).
LORENZO Sí, sí, porterò tutto. Cosí il diavolo portasse via queste due matte (s'incammina alla porta di mezzo).



Scena seconda

Ruffino e detto.

RUFFINO (incontrando Lorenzo) Oh! oh!
LORENZO Eh! eh!
RUFFINO Sei alzato sí di buon'ora?
LORENZO Neppur tu sei in letto, mi pare.
RUFFINO Purtroppo.
LORENZO E che cosa vuoi?
RUFFINO E che cosa fai?
LORENZO Non lo vedi? Vado per brodo e per fuoco.
RUFFINO Ed io vengo...
LORENZO A romperci il capo, come fa il tuo padrone.
RUFFINO Che cosa vorresti dire?
LORENZO Voglio dire quello che ognuno già può vedere. In una casa entra precisamente il demonio quando ci entrano i pazzi amori. Oh! lasciami andare...
RUFFINO Il mio padrone vorrebbe che la tua padrona sapesse...
LORENZO Io non porto di queste ambasciate.
RUFFINO Ma noi altri servitori siamo obbligati...
LORENZO Sí, siamo obbligati a servire, ma se intimamente possiamo accorgerci di cose non permesse, allora non si obbedisce; e occorrendo si pianta anche i padroni.
RUFFINO Bene: farò l'ambasciata a tua moglie.
LORENZO Sí, per questa volta fagliela pure, ch'ella l'accetterà. Ma o in questa casa si cangeranno costumi, o giur'a Bacco, mia moglie ed io cangerem casa (e via in fretta).



Scena terza

Ruffino, poi Domenica.

RUFFINO Che razza d'animale è colui! Durerà fatica a trovar casa dove fermarsi, se vuol trovarne ove non regni e predomini la moda dei cavalieri serventi. Povero sciocco, pretenderebbe che le donne dovessero invecchiare e finire con sempre ai fianchi il solo marito?
DOMENICA (esce frettolosa) Lorenzo, Lorenzo; il brodo, il fuoco, presto, presto... Oh! sei qui, Ruffino? Addio, hai qualche cosa...
RUFFINO Addio, cara Menghina; Lorenzo, sí, è andato a fare ciò che doveva. Io poi ho da dirti una cosa importantissima per la tua padrona.
DOMENICA Dilla pure, ma presto.
RUFFINO Lascia almeno che ti tocchi prima la mano...
DOMENICA No, no, sta pur savio. Sai già che non ti accorderò mai nessuna confidenza che di parole.
RUFFINO Ma non sono il tuo caro, il tuo galante, il tuo cavaliere servente?
DOMENICA Oh sí? ci s'intende (freddamente).
RUFFINO Dunque dobbiam far all'amore insieme.
DOMENICA Quanto poi all'amore, io non ne ho e non ne avrò mai che per mio marito.
RUFFINO A che ti serve dunque il galante?
DOMENICA Il galante... il galante... Veggo che la mia padrona lo vuole; veggo che ciò s'usa fra tutte le persone nobili; cosí credo che sia cosa nobile e per conseguenza innocente; quindi anche a me piace d'averlo... Orsú, sbrigati; che hai da dirmi?
RUFFINO Una pessima nuova. Ma dimmi tu prima: il signor Bernardino è in casa?
DOMENICA No, è uscito allo spuntare del giorno per suoi affari.
RUFFINO Eh! li so ben io i suoi affari di questa mattina.
DOMENICA E quali sono?
RUFFINO Ho saputo che ieri sera ha dato ordine che si mandi ad avvisare il dottor Carota che non s'incomodi piú di venir qua, ed egli stesso poi il signor Bernardino col mezzo di Don Alfonso padre di sua moglie vuol procurare che venga il dottore Francuccio. E di questo son corso ad avvisarti.
DOMENICA Che cosa mai mi racconti! Il dottor Carota che da tanti e tanti anni serviva questa casa...
RUFFINO Sí, è licenziato. E questo è un malanno per noi, perché sai che teco, colla padrona tua, e col mio padrone il dottor Carota andava perfettamente d'accordo, e diceva tutto quello che gli volevamo far dire. Ma il dottore Francuccio...
DOMENICA È un satanasso; lo so benissimo, e che te la dice bella e lampante senza misericordia. Mi consola per altro ch'egli non vuole medicar donne e massime se sieno dame, onde non acconsentirà di venire...
RUFFINO Oh! acconsentirà benissimo, sí. Egli è troppo amico di Don Alfonso e gli ha troppe obbligazioni. A lui certamente non potrà dire di no.
DOMENICA Ed ecco il bell'effetto delle pazzie del tuo padrone.
RUFFINO Brava. Cosí va bene. Direi, delle pazze convulsioni della padrona tua.
DOMENICA E perché il marchese Aurelio tuo padrone la fa continuamente inquietare?
RUFFINO E perché Donna Laura s'inviperisce per ogni piccola cosa?
DOMENICA Eh! non sono poi sí piccole cose quelle per cui s'arrabbia. M'ha raccontato ch'anche iersera...
RUFFINO Ma, cara Domenica, tu eri a casa, e io ero là, a quella festa di ballo, e benché stessi di fuori, pure mi riuscí di vedere e di capir tutto.
DOMENICA Ebbene?
RUFFINO Ebbene; Donna Laura e il marchese che parevano in una perfetta armonia cominciano a contrastare da disperati perché il marchese per sola civiltà s'era alzato ed aveva ceduta la sedia alla contessa Clorinda che stava in piedi.
DOMENICA Oh! cosa mi dici mai! la contessa Clorinda? È sempre stata quella signora una spina agli occhi e al cuore della mia padrona.
RUFFINO E subito uno svenimento.
DOMENICA Me lo figuro.
RUFFINO Portata di peso in carrozza...
DOMENICA E subito condotta a casa...
RUFFINO Sí, a briglia sciolta...
DOMENICA E qui, poi, smanie, vaneggiamenti, strepiti e convulsioni.
RUFFINO Ma già me l'aspettavo.
DOMENICA Ora lasciami, che vada ad informarla del cangiamento di medico (e s'incammina).
RUFFINO Vanne, vanne pure, mia cara, che parto anch'io; né molto tarderà a venire il mio padrone (s'accosta per pigliar la mano a Domenica).
DOMENICA (con forza) Lasciami andare ti dico.
RUFFINO (con insolenza) Oh! il bacio poi sulla mano non può negarsi.
DOMENICA (sbarazzandosi) Se la mia mano ti piace tanto, impertinente, ricevila sulla faccia (gli una guanciata ed entra).



Scena quarta

Lorenzo e Ruffino.

LORENZO (che arriva nel rumore dello schiaffo senza averlo veduto) Che cosa si è rotto?
RUFFINO (alquanto sbalordito, e tenendosi la mano sulla guancia percossa) Eh! nulla, nulla.
LORENZO (mostrandosi mezzo insospettito, e con ironia) Assolutamente è caduta in terra qualche cosa (fingendo di guardar per terra).
RUFFINO (come sopra) Oh! t'assicuro che nulla è caduto in terra. Addio. A rivederci (O ch'io non so fare il cavaliere servente, o che la Domenica non sa fare la dama servita) (da sé, e parte).
LORENZO (guardandogli dietro) Giurerei che mia moglie ha dato a quell'insolente uno schiaffo. Gli sta bene; ma non istà bene a mia moglie il mettersi nell'occasione di darne. Il bel modello della padrona invoglia la mia cara metà ad imitarlo; ma io senza punto biasimare gli andamenti e le usanze nobili bastonerò la mia cara metà da plebeo. Ho saputo intanto dal guardaportone una nuova che mi consola. Non verrà piú quel dottor Carota adulator maledetto; e spero che venga...



Scena quinta

Domenica e Lorenzo.

DOMENICA La padrona domanda se sia venuto a casa il signor Bernardino.
LORENZO Cioè la padrona domanda se sia venuto a casa il padrone, che è suo marito. Il signor Bernardino non è suo marito, non è padrone anch'egli di casa?
DOMENICA E chi lo nega?
LORENZO Non basta non negarlo, bisogna avere talvolta la bontà di pronunziarlo.
DOMENICA Oh! insomma...
LORENZO Oh! insomma non è venuto.
DOMENICA Cosí le ho detto ancor io. Già appena arriva che vien da lei.
LORENZO E circa quello schiaffo, dimmi un po' come fu?
DOMENICA (alquanto confusa) Che schiaffo? Io non so nulla di schiaffo.
LORENZO Eh! Signora pettegola, cosí succede. Si vorrebbe dar libertà agli uomini in modo che non conviene; e poi a cosa che già non conviene si vorrebbe porre dei limiti. Mattaccie, mattaccie...
DOMENICA Per carità finiscila, e bada che v'è gente in anticamera.
LORENZO Sí, sí, farò il dovere di servitore, ma non per tanto mi scorderò quel di marito (e parte).
DOMENICA Veggo che m'è impossibile il metter colui sul buon gusto e sul corrente sistema. Gli voglio bene, né lo tradirò mai, ma vorrei anch'io divertirmi come fan l'altre.



Scena sesta

Lorenzo che introduce il dottor Francuccio, e Domenica.

LORENZO Resti servita illustrissimo signor dottore.
FRANCUCCIO Non sono illustrissimo, figliuol caro, sono un galantuomo.
LORENZO E non si può essere galantuomo e illustrissimo?
FRANCUCCIO Sí, sí; ma mi piace di essere trattato senza questi titoli insulsi. Buon giorno quella giovine.
DOMENICA Serva sua (un po' dispettosa).
FRANCUCCIO Son io forse venuto troppo presto?
DOMENICA Veramente questa non par ora propria per visitare una dama.
FRANCUCCIO Avete ragione. Ma io non vengo a visitar una dama; vengo a visitare una ammalata, e credo che le malattie mettano tutti del pari. Mi hanno fatta grandissima fretta perch'io venga. M'hanno detto che il bisogno è pressante; onde...
DOMENICA Onde, onde la padrona adesso non è certamente visibile.
FRANCUCCIO Benissimo, sia pur invisibile. Desidero quando sarà visibile di poterla trovare ancora sanabile. Anderò, e poi tornerò. Intanto mi basta che la padrona, voi, e tutti di questa casa sappiate ch'io son venuto a solo oggetto d'obbedire al mio rispettabile padrone ed amico il signor Don Alfonso, padre di questa dama invisibile; che per altro io non medico donne, e molto meno, poi se sieno dame. Ho avuta sempre grandissima cura del mio onore e della mia riputazione, né mai ho voluto che la malattia d'una femmina mi faccia perdere due cose tanto preziose.
DOMENICA Come parla, signore?
LORENZO Eh! che parla benissimo; bravo.
DOMENICA Che cosa siamo noi altre donne?
FRANCUCCIO Siete fatte a posta per disonorare la medicina. Bisogna quasi sempre guarirvi quando già non siete ammalate, o ammazzarvi quando facilmente si potrebbe guarirvi... Ma io non son venuto per disputare con voi. Fra poco ritornerò. Già mi sono impegnato per una visita sola (s'incammina per partire).
DOMENICA (La sà lunga costui, e non lo vorrei disgustare) (da sé). Favorisca; aspetti. Avviserò la padrona. O introdurrò Vossignoria illustrissima, o qui verrà la mia padrona ella stessa.
FRANCUCCIO Come volete. Aspetterò; e mi sarà piacevolissima cosa di vedere che l'ammalata venga ella stessa ad incontrare il medico (ironicamente). Dunque non istà in letto? si leva.
LORENZO Oh bella! se è stata levata e fuori di casa tutta la notte.
FRANCUCCIO Me ne rallegro; quest'è indizio di buona salute.
LORENZO Certo, è indizio di buona salute; ma è anche una buona spinta a crepare.
DOMENICA Tu non sai ciò che tu dica. È stata fuori di casa per necessità, per convenienza... Orsú, corro ad avvisarla. (Mio marito, e piú poi questo medico mi fanno tremare. Ho paura che il bel tempo sia finito per noi) (da sé, entra).



Scena settima

Francuccio e Lorenzo.

FRANCUCCIO (che è andato a sedere sul sofà, e mentre va osservando i vari titoli de' libri che sono sul tavolino va rispondendo ancora a Lorenzo) Parmi che questa dama sia amante assai della lettura.
LORENZO Oh! sí signore, legge quando non ha nessuno, quando non sa né che fare, né dove andare, in somma credo che legga per disperazione.
FRANCUCCIO Benissimo. Le dame infatti non denno leggere che per ingannare il tempo; e spesso ancora per ingannar sé medesime.
LORENZO Basta; io poi non me ne intendo.
FRANCUCCIO (legge) Le notti di Young.
LORENZO Oh! queste fanno a proposito per la mia padrona. Sarà stato forse colui un qualche vagabondo che passava le notti ballando, giocando, e non dormendo mai.
FRANCUCCIO No, no, t'inganni di molto. Il libro anzi è pazzamente malenconico; e par che l'autore miri a far impazzir chi lo legge.
LORENZO A dir vero, l'impresa non è difficile. Se mi permette, vado ad alcune faccende. Già fra poco...
FRANCUCCIO Sí, vanne pure. Io mi diverto per ora con questi libri, dai quali giudico e dello spirito e delle massime della tua padrona, e forse ancora dei suoi mali.
LORENZO Piacesse pur al cielo ch'ella le trovasse il rimedio opportuno. Anche mia moglie... ma ora non serve dir altro. Quando avrà guarita la padrona, le raccomanderò poi la cameriera.
FRANCUCCIO Che è quella che era qui, ed è tua moglie?
LORENZO Sí, signore, per mia fortuna se guarisce; e per disgrazia mia, e di mia moglie se quel suo male si ostina. A riverirla (entra).



Scena ottava

Francuccio solo.

FRANCUCCIO Ora ho capito benissimo quello ch'io già m'ero immaginato. La padrona si trae dietro per sciocca imitazione la cameriera. Ma io parlerò chiaro, e me ne sbrigherò con onore. Qualor debba sacrificarsi la riputazione del medico, o quella dell'ammalata, è bene stolido quel medico che voglia esitare un momento. (Legge) L'Ottimismo o sia il Candido. Qui la dama studierà con profitto le massime del buon costume. Giulia, o sia la nuova Eloisa. Non è da dubitarsi che qui la dama non trovi tutta la piú sublime metafisica dell'amore. Il sistema della natura del signor Mirabeàu[1]. E con questo bel libro terminerà costei il corso della in oggi tanto applaudita filosofia. Oh che nobile scelta di libri! Essa fa vedere la testa di chi scelse, la quale sarà di qualche sguaiato servente, e l'anima corrotta d'una femmina leggitrice. Ma odo gente. È l'ammalata che viene.



Scena nona


Donna Laura in abito dimesso, ma decente, e come uscita
dal letto s'appoggia a Domenica, e Francuccio.

FRANCUCCIO (che le va incontro) Umilissimo servitore di Vostra Eccellenza.
LAURA (languidamente, con sussiego, e buttandosi a sedere sul sofà) La riverisco.
DOMENICA Sente tropp'aria? Le finestre son chiuse; vuole ch'io chiuda ancora le porte?
FRANCUCCIO No, anzi è ben fatto il non rendersi nemica l'aria, e respirarne della piú aperta appena alzata dal letto.
LAURA Certo, ciò sarà cosa buona per le villane, ma non già per le dame, signor mio caro.
FRANCUCCIO Vostra Eccellenza ne saprà piú di me, ma io dico sempre quello che penso (si mette a sedere nello stesso canapè). Vuol favorire il suo polso?
LAURA È inutile, perché già non ho febbre.
FRANCUCCIO Come comanda. Dorme la notte?
LAURA Dormo quand'ho sonno, e sinché ho sonno.
FRANCUCCIO Me ne rallegro. E l'appetito?
LAURA Mangio quando...
FRANCUCCIO Ho inteso, ho inteso; mangia quando ha fame, e sinché ha fame.
LAURA (sempre con dispetto) Giust'appunto.
FRANCUCCIO Ottimamente. Or sappia l'Eccellenza Vostra che per solo comando del suo signor padre...
LAURA Lo so, lo so, si è incomodata di venire da me, ma tutto tempo perduto. In questa casa, fra tanti disgusti, con sí frequenti contrasti io non istarò mai bene, mai bene. E già la mia salute se n'è andata.
FRANCUCCIO Tornerà, signora, tornerà. Basta solamente ch'ella il voglia...
LAURA Ohimè! che è questa fumana che mi si solleva alla testa? Un qualche odor nella camera... Domenica, Domenica, qui ci è dell'odore.
DOMENICA Perdoni, qui non ci è odore alcuno (dopo aver guardato e fiutato).
LAURA Ah! che ne sento ben io. La testa mi va in giro... Ormai non ci vedo piú.
FRANCUCCIO Qui certamente non parmi...
DOMENICA Foss'ella mai, signor dottore, che avesse indosso senza saperlo?... (va ad annusargli la parrucca e il vestito) Ella, ella appunto, signore.
FRANCUCCIO Ma come è possibile. Io non porto, né mai mi spargo d'odori.
DOMENICA Oh! sí, sí, sí. Ella ha indosso un tanfo di spezieria che fa propriamente svenire. Oh che roba, che roba! Gira la testa anche a me.
FRANCUCCIO (si alza in piedi) Me ne dispiace (mette una sedia in mezzo alla camera, e in quella siede). Già posso anche in distanza servire Vostra Eccellenza (che maledette streghe sono queste due donne!) Or dunque da quanto ella mi dice pare che possa dedursi l'essere il suo male prodotto dalla scontentezza dell'animo.
LAURA (rabbiosa) Io non so poi altro né d'animo, né di corpo. So che mi sento male, e che mai non istò bene.
FRANCUCCIO Mi figuro che in tale stato di salute farà una vita regolata...
LAURA Regolata certo, ci s'intende, regolata a mio modo. E come la dovrei regolare?
FRANCUCCIO A norma della sua complessione, de' vari molesti assalti a cui è soggetta...
DOMENICA Eh! che le convulsioni vogliono svagamento, allegria...
FRANCUCCIO Lo concedo ancor io. Anzi vogliono che non ci si pensi né meno. Pure un moderato sistema...
LAURA Una giovane ridotta a moderato sistema! la ringrazio tanto e poi tanto. Suggerisce cosí la vera maniera di farmi crepare piú presto.



Scena decima

Lorenzo in fretta, e detti.

LORENZO (da sé) (Quest'è un'ambasciata convulsa. Riderò) Signora.
LAURA Che cosa vuoi?
LORENZO Quel mercante di ieri mattina è ritornato, e dice...
LAURA (con rabbia che poi và crescendo) E dice, e dice, e che diavolo dice?
LORENZO Dice che viene per riscuotere...
LAURA Viene anch'egli per farmi inquietare. Pare che tutti s'uniscano per mandarmi presto in sepoltura... Oh Cielo! Oh me infelice!... non posso piú... sento che non posso piú.
DOMENICA (a Lorenzo) Sei un balordo. Perché vieni ad inquietar la padrona?
LORENZO Ma bisogna pur che eseguisca...
LAURA Non mi tormentare per carità; non mi tormentare. Lasciami in pace, se pure potrò aver pace giammai (illanguidendosi).
LORENZO Il mercante non vuole già toglierle la pace, gli basta d'avere i cinquanta zecchini che Vostra Eccellenza gli deve.
FRANCUCCIO (Ohimè! quest'è peggio del tanfo di spezieria).
LAURA (balza in piedi) E perché non va da mio marito? Non ci è mio marito? Ho pur fatto dire a colui che vada da mio marito. A mio marito e non a me si fanno queste ambasciate.
LORENZO Ma il mercante dice che andò già ieri mattina dal padrone ancora, il quale lo mandò via colle brusche dicendogli che non voleva piú pagar altri debiti per la moglie.
LAURA (in grandi smanie) Che indiscretezza! che asinità! Marito crudele, barbaro, senza compassion, senza amore (fa grandissimi sforzi; Domenica la tiene, Francuccio non si muove).
DOMENICA (a Lorenzo) Su presto, presto; non parlar piú del mercante, e corri a prender un bicchier d'acqua.
LORENZO Corro subito. (E farò bevere un bicchier d'acqua fresca ancora al creditore) (e via; poi tornerà); (in tanto Laura seguita a smaniarsi e a contorcersi).
DOMENICA Ed ella, signor dottore, non favorisce, non degnasi d'aiutarmi a tener questa dama?
FRANCUCCIO Non ho né buona maniera, né pratica di tale uffizio; e poi temo che torni ad offenderla il tanfo di spezieria.
DOMENICA (Che galeotto è costui!) Lorenzo, Lorenzo, vieni, o non vieni?
LORENZO Eccomi, eccomi (col bicchiere).
DOMENICA Prenda, signora, un po' d'acqua. Questa le suol giovare.
LAURA (le accosta languidamente le labbra, e ne beve pochi sorsi) Basta, basta cosí; via, via.
DOMENICA Porta via, su porta via (a Lorenzo).
LORENZO La porto via, sí, la porto via. Credi di comandare a un can barbino?
LAURA (con voce bassa, ma rabbiosa) Quel birbante è partito?
LORENZO Vuol dire quel creditore?
LAURA Sí, colui se ne è andato?
LORENZO Gli ho detto che il padrone è fuori, e ch'ella sta poco bene. È partito, e ha detto che tornerà domani. (Che bel comodo sarebbe di pagare i suoi debiti con quattro convulsioni!)
FRANCUCCIO Si sente meglio?
LAURA Non, Signore; mai bene, mai meglio; sempre e sempre poi male.
FRANCUCCIO (alzandosi in piedi) (Oh! la finirò io) Ella ora ha bisogno di quiete. Ho già conosciuto abbastanza il suo temperamento, il suo male, e qual rimedio le occorra. La servirò come suggerire mi possono le mie cognizioni.
LAURA (con rabbia soppressa) E che penserebbe di fare? Che penserebbe ella d'ordinarmi? Lo ha da sapere ancor'io.
FRANCUCCIO Non v'ha dubbio. Nulla può farsi senza di lei. Parlerò prima col signor Don Alfonso suo padre, poscia col signor Bernardino che non ho l'onor di conoscere, e spero che allora...



Scena undicesima

Marchese Aurelio ch'entra francamente saltellante e brioso, e detti.

AURELIO Addio, donna Laura, come state? (Laura lo risaluta con piccola inchinazione di capo).
DOMENICA Male, male assai.
FRANCUCCIO (che va incontro ad Aurelio) Io veniva appunto in traccia di lei...
AURELIO (che non lo aveva osservato, dice con sorpresa) E chi è questo signore?
FRANCUCCIO Sono il dottor Francuccio, ai comandi di Vostra Eccellenza.
AURELIO Perdonate, io non vi conosceva.
FRANCUCCIO Lo so, signore, lo so. Il signor Don Alfonso è quegli che m'ha imposto di qua venire a visitare la sua signora moglie...
AURELIO (con derisione) Mia moglie! mia moglie! donna Laura mia moglie! Oh! non ho quest'onore.
FRANCUCCIO Domando scusa. Ella dunque non è il signor Bernardino?
AURELIO (come sopra) Oh! io non sono né Bernardin, né marito. Sono buon servitore ed amico di questa dama, e nulla piú.
FRANCUCCIO (Ora m'accorgo chi è; e me ne doveva accorgere dalla franchezza colla quale si è presentato) Domando scusa di nuovo. Di nuovo m'inchino alla signora donna Laura; e riverendo questo cavaliere vado, come debbo, a ritrovare il signor Don Alfonso.
AURELIO Ma dite, dite; che vi pare di lei? Che ne giudicate?
FRANCUCCIO Io ne giudico quello che ora è inutile l'esporre qui.
AURELIO Avete fretta? Avete molti ammalati?
FRANCUCCIO Non, signor; ne ho pochissimi, perché non son solito a voler curare che i veri (andando).
DOMENICA (a Laura) (Questa è una sassatina che viene a lei).
LAURA (a Domenica) (Asinaccio).
AURELIO (con scherno) E avevate preso me pel marito! Troppe grazie in verità, troppe grazie. Io maritato! Non son sí balordo, caro amico, non son sí balordo. Finirà il mondo prima ch'io faccia tale pazzia.
FRANCUCCIO (ironicamente) Ed io sono persuasissimo ch'ella abbia ogni ragione di credere una pazzia il maritarsi. Servo suo.
AURELIO E non volete dirmi ciò che giudichiate di questa dama?
FRANCUCCIO Lo dirò al marito, ed al padre. Quest'è il mio preciso dovere. (Cicisbeo sguaiato, insolente, maligno morbo contro cui la medicina non ha rimedio che vaglia).



Scena dodicesima

Laura, Domenica, Aurelio.

AURELIO Che razza di bestia è quel dottore! (si mette a sedere sul sofà). Ebbene Donna Laura, come va? come vi sentite? Come passaste la notte?
LAURA (lo guarda, e non risponde).
AURELIO Via, siate buona, rispondetemi. Sapete la mia premura... (le vuole baciar la mano).
LAURA (ritira la mano, e volgesi ad altra parte).
AURELIO E non vorrete perdonarmi un fallo che non ho commesso? (dà in qualche smania).
DOMENICA (che la trattiene) Si calmi, Signora padrona, si arrenda. Ella sa pure che questo cavaliere è pieno di stima per lei, e che non è capace...
LAURA (con rabbia e voce alta) Mi vuoi disgustare tu ancora? Tu pur mi tradisci? Tutti, tutti contro di me! Oh! quest'è poi troppo, è poi troppo.
DOMENICA No, perdoni; siamo anzi tutti tutti per lei; e nessuno la vuol tradir certamente.
AURELIO Lo sa il cielo s'io mai...
LAURA (balza in piedi con impeto e dice con moltissima forza) E che cosa sa il Cielo? Il Cielo che cosa sa in questo che non lo sappia ancor io? siete un finto, un ingannatore; e fareste meglio a non piú comparirmi dinanzi.
AURELIO Questo sarebbe lo stesso che togliermi la vita.
LAURA Eh! andate dalla contessa Clorinda, andate da lei, andate a vagheggiarla, a servirla. Quella vita ch'io potessi togliervi, ella ve la ridonerà a mille doppi.
AURELIO Ma s'io penso a Clorinda, come se non l'avessi mai né conosciuta, né veduta (si è alzato in piedi anch'egli, e va seguitando Laura che passeggia con qualche impeto. Domenica li va seguitando tutti due, ma stando vicinissima a Laura).
LAURA Io non so se vi pensiate, o non vi pensiate che non veggo i vostri pensieri. Veggo le vostre azioni, veggo gli sgarbi vostri, veggo i vostri perfidi tradimenti. Perciò torno a ripetervi, non mi comparite piú innanzi.
AURELIO (si butta in ginocchioni, e la va per un poco seguitando in tale positura) Piuttosto che privarmi della vostra preziosa amicizia, imponetemi qualunque cosa, e prontamente l'eseguirò; a costo di sacrificar tutto, e civiltà e convenienza, e interamente me stesso.
LAURA (con ironia) Eh! Signor Marchese Aurelio, non esibisca di troppo. Rifletta che la pulitezza del tratto deve superare ogni altro riguardo. Si alzi; non istia in cosí umile positura. Potrebbe arrivar qua la signora contessa Clorinda e ritrovarla in tale atto. E che direbbe la dama? Si alzi e vegga se qui ci sia alcuna seggiola, o poltrona, o sofà degno di esserle offerto, e lo scelga, e lo prepari, e poi gliel offra quando verrà...
AURELIO (balza in piedi) Eh via quietatevi, Donna Laura carissima. Che deve mai venire a far qua la contessa Clorinda?...
LAURA (infuriatissima) Oh! corpo di mille diavoli che portino e voi e lei. Lo so ancor io che quella strega non verrà qua. Mancherebbe anche questa che avessi a soffrirla in casa mia. Colei non c'è mai venuta. Voi non ci verrete più; no, no, no. Ohimè! ohimè! ohimè! (smaniosa e mezza svenuta cade nelle braccia di Domenica).
DOMENICA Oh! guardate come mai s'inquieta per poco! (le fa odorare una boccettina di spirito) Animo, animo, signora, si faccia coraggio; non è niente.
LAURA (rinvenuta) Mi si spezza propriamente la testa.
AURELIO Ma vedete ciò che vi fanno le vostre collere?
LAURA E perché mi fate voi incollerire?
AURELIO Io sono innocente, scusatemi; a torto voi vi lamentate di me.
LAURA Negherete il fatto di ieri sera?
AURELIO Ma che fatto? Che fatto? In che cosa ho mancato? La creanza...
LAURA E ancora persistete nella vostra malvagia opinione.
AURELIO Ma lo stesso marito vostro mostra pur anch'egli tutto il rispetto per quella dama.
LAURA Eh! che mi venite voi ora a dire di mio marito? Mi romperete il capo su questo ancora? Egli è una cosa, e voi siete un'altra. Abbia egli la sua libertà com'io ho la mia. Egli non dipende da nessun, da nessuna. Ma voi, voi, non conoscete il vostro dovere. Quando si serve una dama non se ne abbandona il fianco giammai né alle conversazioni, né ai teatri, né alle feste di ballo. Quando se le dà di braccio ai passeggi non si guarda in faccia a nessun'altra donna, non se ne saluta nessuna, anzi non si salutano, e non si conoscono allora né pure gli amici. Avete capito? Ma voi siete, e sarete sempre un somaro, e non capirete mai nulla.
AURELIO (con collera) Oh! questo strappazzare poi m'ha seccato e v'ho detto altre volte che non lo voglio soffrire.
LAURA (con rabbia che va crescendo) Benissimo; e voi andate a cercare una donna che v'accarezzi.
AURELIO Non cercherò donna che m'accarezzi, ma non ne soffrirò che mi strapazzi.
LAURA Eh! che l'avete trovata già la donna carezzatrice.
AURELIO Mi fate torto; non è vero.
LAURA La contessa Clorinda (con riso amaro).
AURELIO Vi dico che non è vero, e che penso a voi sola.
LAURA Ma dopo la contessa Clorinda.
AURELIO Per carità non mi fate uscire dai gangheri.
LAURA Vi rimetterà in gangheri la contessa Clorinda.
AURELIO (con impetuosissima rabbia) Che siate tutte due maledette. Saria tempo ormai di finirla.
LAURA Maledetto tu mille volte, mostro, demonio, furia di casa del diavolo.
AURELIO Abbiatemi compassione, son fuori di me; non so quel ch'io mi dica.
LAURA (rabbiosissima) Impertinente, temerario, briccone... Ohimè! ohimè! ohimè (Domenica la tiene con forza. Laura prosegue) M'accopperò contro un muro. Mi getterò dal balcone per renderti contento e per lasciarti tutto a Clo... a Clo... a Clo...
DOMENICA (che non può piú tenerla) Lorenzo, Lorenzo. Un bicchier d'acqua, un bicchier d'acqua.
LAURA (sempre furente) A Clo... a Clo...
DOMENICA Lorenzo, Margarita, Francesca.
LAURA (sempre come fuori di sé) Rinda, rinda, tutto a Clorinda (e resta svenuta. Sono già venuti Lorenzo col bicchier d'acqua, e due donne che trattengono Laura).
AURELIO (agitato) No, no, tutto ai comandi vostri, tutto disposto a servire la sola mia Donna Laura.
LORENZO (con in mano l'acqua) (Eh! se tu fossi mia moglie) Vuol l'acqua, o non la vuole?
DOMENICA Ti pare che possa neppur accostarsela alla bocca in questo stato? Sei orbo?
LORENZO Non sono orbo, no, non son orbo; e t'accorgerai ben tu se ci vedo. (È meglio che per poco ancora usi prudenza. Debiti, amori, gelosie, contrasti, queste sono le convulsion delle mogli, e la rovina dei troppo buoni mariti) (e parte, in tanto le tre cameriere sono intorno a Laura per farla rinvenire. Aurelio mostrasi agitatissimo).
DOMENICA Bisogna trasportarla sul letto. Aiutatemi voi altre (si mettono in atto di trasportarla, quando improvvisa e furibonda Laura respinge da se le tre donne, e dice)
LAURA Scostatevi tutte, femmine sciagurate. Voglio esser io padrona della mia vita; e voglio piuttosto perderla che sopportarla in mezzo a tanti che mi tradiscono, e mi odiano (e corre alle sue stanze. Margarita, e Francesca le corrono dietro).
DOMENICA (anch'essa correndole dietro dice ad Aurelio) Povera padroncina, voi, voi siete che me la fate crepare (e corre via).
AURELIO (sempre agitato) No, non son io, non ne ho colpa. Ella vuol tormentarsi, e tormentarmi senza ragione. Ma non resisto, e voglio pur veder di placarla. (S'incammina in fretta alle camere di Laura. Poi tutt'ad un tratto s'arresta) Ma giunge alcuno. È il marito. Sarà meglio che lo saluti, e men vada.



Scena tredicesima

Bernardino seguito da Lorenzo che ne ha in mano il cappello, e la spada e che porta tutto alle stanze di Bernardino dirimpetto a quelle di Laura, e detto.

AURELIO (confuso) Oh! Signor Bernardino, le rassegno il mio ossequio.
BERNARDINO Ed io a lei la dovuta mia servitú (con molta sostenutezza).
AURELIO Se mi permette, io parto.
BERNARDINO Quest'è un permesso ch'io non gliel negherò mai.
AURELIO (Non l'ho ancor veduto sí serio) (resta confuso).
BERNARDINO Ha qualche cosa da comandarmi? (accompagnandolo verso la porta d'uscita).
AURELIO Eh! nulla, signore, nulla. Ero venuto per saper nuove della salute...
BERNARDINO Di mia moglie. Le ha sapute?
AURELIO Sí, signore.
BERNARDINO Tutte?
AURELIO Interamente. Anche adesso...
BERNARDINO È stata assalita dalle sue convulsioni. Me l'hanno detto.
AURELIO (sempre confuso) Ma voglio sperare...
BERNARDINO Che guarirà (gentilmente lo prende per un braccio, e lo va conducendo fuori).
AURELIO Oh! guarirà certamente. Sono mali...
BERNARDINO Che vanno e vengono.
AURELIO (che già è fuori della porta) Che vanno e vengono. Servitor obbligato.
BERNARDINO Obbligatissimo servitore (partito Aurelio). Che vanno e vengono. Ma tu sei fra quei mali che non verran piú.



Scena quattordicesima

Bernardino, poi Lorenzo.

BERNARDINO (che si butta a sedere) Ho finalmente aperto gli occhi, ed ho con ogni fermezza risoluto. Amo mia moglie, ma vincerò quest'amore s'ella con pari amore non vi corrisponda. Dopo tre anni di matrimonio l'economia, la giocondità, la pace regnavano in casa nostra. Pare che Laura al vedere l'altrui mal costume che troppo in oggi predomina abbia sentito rossore di non trovarsi nel maggior numero. Tutto ad un tratto ella in tutto si cangia. Il pessim'uso d'un cicisbeo dichiarato la involge ancora negli altri perniciosi disordini che traggono le famiglie all'estremo loro precipizio. Un pazzo lusso, uno sfrenato gioco, un continuo fare di notte giorno, un darsi in abbandono all'ira focosa e cieca la riducono a mali infinti per ora, ma che poi col tempo potriano diventar veri pur troppo. Ebbene, mi farò forza, ed eseguirò quanto ho promesso ai consigli di Don Alfonso, e ai suggerimenti dell'esperto e sagace dottor Francuccio. Questa breve e semplice ricetta mi fa ridere... (levandosi di tasca un pezzetto di carta) Sí, mi fa ridere; ma seriamente l'adoprerò.



Scena quindicesima

Lorenzo e detto.

BERNARDINO (a Lorenzo che passa, inchinandolo per uscire) Lorenzo, ascoltami.
LORENZO Eccomi pronto a servirla.
BERNARDINO Tu vedi, e sai i disordini, gli sconvolgimenti della mia casa.
LORENZO (abbassa il capo mostrando rammarico).
BERNARDINO Tu sai che, mesi sono, qui tutto era tranquillità, buon ordine, perfetta allegria, e che nessun male turbava né la mia quiete, né la salute di mia moglie.
LORENZO (come sopra).
BERNARDINO No, no, puoi parlare liberamente. Te lo permetto, anzi te lo comando.
LORENZO Che vuol che le dica? Veggo, purtroppo, e ne ho dolore grandissimo. Venni da giovinetto a servire in questa casa. Sono vent'anni e piú che ci servo, e sempre contento, e sempre sviscerato pei miei padroni. Ma...
BERNARDINO Ma da cinque o sei mesi in qua il cangiamento si è reso insoffribile. Son pochi mesi ancora che tu hai preso moglie, ed io ben volentieri ho ricevuta al mio servigio anche la moglie tua...
LORENZO La quale corrisponde malissimo, lo veggo, a tanta carità e beneficenza. Ella forse ha sviata e guastata la testa della padroncina...
BERNARDINO Eh via, caro Lorenzo, non dare a tua moglie piú colpa di quella che ha. Non tocca ai servitori e alle serve d'educare e regolare i padroni. Dipendono essi da noi, e non già noi altri da loro. La famiglia servente è sempre buona nella casa dei veramente buoni padroni. Orsú alle corte. Oggi succeder deve la gran mutazione e nella moglie mia e nella tua.
LORENZO (con trasporto) Oh! il ciel lo volesse, lo volesse pur il cielo; poiché troppo mi spiacerebbe di dover abbandonar questa casa; ed io sicuramente cosí non ci duro.
BERNARDINO (accennando la carta che ha in mano) Il dottore Francuccio...
LORENZO Benedetto mille volte quell'uomo. Lo so, lo so che è un uom grande. Egli senz'altro le ha data una ricetta che non potrà andar in fallo. Signor padrone dia, dia a me. Corro subito dallo speziale a provvedere ciò che abbisogna.
BERNARDINO (con sorriso) Non serve, no, l'incomodarsi neppur tanto. Le necessarie droghe le abbiamo in casa. Basta che tu ed io abbiamo il necessario coraggio per adoprarle. Le nostre mogli guariran subito.
LORENZO Oh che consolazione per tutti due! Permetta caro padrone, ch'io di giubilo gliene baci anticipatamente la mano. Ma favorisca; ella dice che guariranno, e guariranno colla ricetta d'un medico. Dunque, poverette, non era né falso, né finto il loro male; e quelle sciagurate convulsioni...
BERNARDINO (recandogli la carta) Osserva, leggi la ricetta medesima, essa ti servirà di risposta. So che sai leggere.
LORENZO Sí, signore, so leggere; ma del latino non ne intendo neppur un acca.
BERNARDINO Eh! non è scritta in latino. Il dottore Francuccio non è sí stolido di voler scrivere le ricette in cifre e in latino. Leggi, leggi. Son due versetti soli.
LORENZO (avendo subito letto piano si mette a saltare per allegria) Evviva, evviva. Ho letto, sí, ho inteso. Farò quello che debbo fare. Ella, signor padrone, non si perda d'animo. È deciso che eravamo ingannati, e ch'eravamo, mi perdoni, condotti pel naso tutti due. Non è cosí?
BERNARDINO Ma non si può piú dubitarne. Io ne aveva concepito molto sospetto; la soverchia mia tenerezza m'impediva di formarlo interamente. Due uomini savi ed illuminati m'hanno convinto... Ecco mia moglie, e Domenica.
LORENZO Brave, brave. Vengono a farsi medicare.
BERNARDINO Bada a quel che fo io; e tu a suo tempo...
LORENZO Non tema, no, non tema. Per mia moglie ho già scelta la dose piú caricata.



Scena sedicesima

Laura che languidamente s'appoggia a Domenica, e che languidamente s'asside sul sofà. Domenica sempre vicina. Bernardino si mette a sedere in faccia sopra una poltrona. Lorenzo dalla porta di mezzo in osservazione.

LAURA Addio caro marito.
BERNARDINO (con freddezza) Vi saluto.
LAURA Siete di mal umore?
BERNARDINO Ho nessun motivo di esserlo?
LAURA No, ch'io sappia.
BERNARDINO Dunque non lo sono.
LAURA Siete tornato a casa senza venirmi a trovare.
BERNARDINO Non ci è quest'obbligo.
LAURA Non parlo d'obbligo; parlo d'una finezza che è solita.
BERNARDINO Appunto perché è solita, può divenire noiosa.
LAURA Per me non sarà noiosa giammai, che v'amo sí teneramente.
BERNARDINO Bene, ci ho gusto.
LAURA (a Domenica) (Che diavolo ha?)
DOMENICA (a Laura) (Mi fa tremare quel dottore).
LAURA M'avete favorito di pagare per me alla marchesa Angelica li cento zecchini che perdetti ieri mattina in casa sua?
BERNARDINO No (bruscamente).
LAURA No. Perché?
BERNARDINO Perché non voglio spender nulla pei vizi di mia moglie.
LAURA (con qualche calore) Oh! questa è bella. Vizio, o non vizio; se gli ho perduti, come ho da pagarli?
BERNARDINO (sempre freddamente) E come pensavate di pagarli nel tempo che li perdevate?
LAURA (Comincia qualche smania e contorsione) Voi già mi volete far disperare.
BERNARDINO Oh! in questo poi siete assoluta padrona.
LAURA (con rabbia) Come sono assoluta padrona!
BERNARDINO E chi può togliere ad alcuno la libertà di disperarsi?
LAURA (a Domenica) (Che nuova maniera è mai questa?)
DOMENICA (a Laura) (Ah! Francuccio, Francuccio).
LAURA (con tenerezza) Vi ringrazio, vi ringrazio. Quest'è il grand'amor che mi avete!
BERNARDINO Vi amo, e vi amo tenerissimamente; ma non voglio andar in malora, poiché questo sarebbe un non amare né voi, né me.
LAURA Anche il mercante...
BERNARDINO Che ha da avere cinquanta zecchini spesi in blonde ed in penne...
LAURA (rabbiosa) Viene da me per esser pagato...
BERNARDINO Guardate che indiscretezza!
LAURA Ed io l'ho mandato da voi.
BERNARDINO Aspettate (si tocca il vestito e la testa). Io non ho blonde, io non ho penne. Dunque a voi toccherà pagare ciò che compraste e ciò che portate. Mancano i vostri assegnamenti? Son io puntuale?
LAURA Sí, lo siete; veramente gran cosa. Essi non bastano.
BERNARDINO Bisognava ch'io prima lo avessi saputo. O ve li avrei destinati maggiori, o non vi avrei presa in moglie.
LAURA (con furore) O non mi avreste presa; o non mi avreste presa! Mi dite queste insolenze? Oh! povera, povera me! (e ricade illanguidita).
DOMENICA (con premura subito le accosta la solita boccettina al naso) Non s'inquieti, no, non s'inquieti. Il padroncino l'ama di cuore e pagherà tutto.
BERNARDINO Sí, dici bene, l'amo di cuore; ma non pagherò niente. (Or viene il buono).
LAURA (in fortissima convulsione) Dove sono? Chi mi soccorre? Non ho un marito; ho un cane, una tigre, un carnefice, un vero carnefice... sí... sí... sí...
DOMENICA Non ho forza che basti. Margarita, Francesca, aiutatemi, aiutatemi... (vengono le due donne, le quali si accingono per tener Laura).
BERNARDINO (si alza in piedi e dice con risolutezza) Scostatevi tutte tre voi altre femmine e lasciate che possa liberamente sfogarsi (si scostano intimorite).
DOMENICA (tremante) S'accopperà, Signore, s'accopperà. Almeno un bicchier d'acqua. Lorenzo... (Lorenzo che sta per eseguire).
BERNARDINO (a Lorenzo) Non ti muovere. Qui non ci vuol né acqua, né vino. Donna Laura, è tempo di mutar lo stile: io con voi, voi con me.
LAURA (che non essendo piú tenuta, ha moderati subito gli sforzi, balza in piedi anch'essa, ma furente) Come sarebbe a dire?
BERNARDINO Capitemi, se volete. So che potete capirmi.
LAURA (sempre furibonda) Capisco che tu vuoi la mia morte. Dov'è un'arma, un coltello, un coltello...
BERNARDINO (mentre Laura gira per la scena, tira fuori un coltello da frutti, e sguainatolo, cortesemente gliel'offre) Eccola servita, signora; se questo le comodasse...
LAURA (dando un urto al braccio di Bernardino glielo fa cadere, ed egli freddamente lo raccoglie, e se lo rimette in saccoccia) Cosí mi tratti, uomo senza pietà? Cosí si tratta una dama?
BERNARDINO Mi pare anzi di trattarla da dama: la servo in tutto. (Che pena soffro a non cedere!)
LAURA Non ho bisogno che nessun m'aiuti a togliermi da questo mondo. Una muraglia, sí una muraglia mi romperà questa testa... (prende impetuosa corsa verso il fondo del teatro. Le donne vorrebbero trattenerla. Bernardino l'impedisce: Lorenzo ansioso osserva. Quando Laura è vicina colla testa al muro fa una voltata improvvisa, e si lascia cadere seduta sopra una sedia come in isvenimento).
BERNARDINO (Bravo Dottor Francuccio, bravissimo. Cosí appunto m'aveva egli pronosticato: non ci sarà né morte, né sangue).
LAURA (languidamente) In fine poi... ricorrerò... da mio padre. Mi accoglierà... mi ascolterà. In tre anni che son maritata non l'ho importunato giammai.
BERNARDINO E la consiglio a non importunarlo neppure.
LAURA Ah! ella ne ha soggezione, signorino. Vede d'aver torto. Conosce i mali trattamenti che in questa casa ricevo. Tanto meglio, tanto meglio per me.
BERNARDINO Tanto peggio, tanto peggio per lei, se si arrischierà di ricorrere al padre. Non ho soggezion di nessuno, quando la ragione m'assiste.
LAURA (con forza) Egli è che non voglio uscir sola, ma quando tornerà il marchese Aurelio che mi accompagni...
BERNARDINO Il Marchese Aurelio non metterà piú piede in questa casa.
LAURA Come! E chi lo comanda?
BERNARDINO Chi può a voi comandare.
LAURA E chi è che possa comandare a lui?
BERNARDINO Io medesimo, quando si tratti di venire in casa mia. Colui non ci verrà più.
LAURA (con somma furia) Anche questo di piú! Non potrò aver un amico a mio modo?
BERNARDINO Quegli non si chiama un amico. Gli amici non sono di quella tempera.
LAURA (con precipitosi passi scorre la scena) Non so chi mi tenga... Sento che la rabbia mi affoga... Son ridotta all'estrema disperazione... Giuro al cielo giú da una finestra mi getterò... Sí, sí.
BERNARDINO (subito va ad aprirle tutte due) Eccone due ai suoi comandi; scelga, e risolva. Or che siamo avvezzi ai palloni che volano all'insú, diamo un po' lo spettacolo d'una donna che vuol volare all'ingiú.
LAURA (che aveva presa la corsa veno le finestre rimane immobile e sbalordita) È un sogno questo, o è pur vero ciò che ora veggio? Tanta decision, tanto scherno; disprezzata cosí da un marito che mostrò sempre d'amarmi!
BERNARDINO E che v'ama pur tuttavia con la piú fervida svisceratezza.
LAURA (furente) No, che non mi ami, né mi amasti mai. Son tradita, son vilipesa. Benché nessuno mi segua, benché nessun m'accompagni, volerò io sola da mio padre, mi getterò nelle sue braccia; gli narrerò i miei affanni, i miei guai. Da mio padre, sí, da mio padre... (s'incammina velocemente).



Scena diciassettesima

Don Alfonso che comparisce in fondo alla scena e detti. .

LAURA (gli corre incontro) Ah! padre mio, siete qui!
ALFONSO (con sostenutezza) E che pretendi tu da tuo padre?
LAURA (con sommessione) Il vostro amore...
ALFONSO Questo non può mancarti, purché tu ti mantenga, o racquisti l'amore di lui (accennando Bernardino).
LAURA Ah! se mi amate davvero, la vostra autorità...
ALFONSO La mia autorità passò tutta nelle mani di tuo marito. T'inganni se credi di trovare in me contro lui un appoggio, una difesa, un ricovero, mentre ogni ragion ti condanna.
LAURA Ma voi non sapete le angustie mie; non sapete come schernita, derisa...
ALFONSO Sí, tutto so, figlia incauta, figlia ingrata a quel bene ch'io ti procurai collocandoti in questa casa, a quel tenero costante affetto che da un egregio marito ti viene evidentemente mostrato.
LAURA Ma, signore, che tenerezza, che affetto, se di continuo mi fa inquietare?...
ALFONSO Tu sei che alle tue nuove follie, ai nuovi insorti capricci sacrifichi la propria pace e quella di tuo marito. Egli ha l'obbligo di non darti giusta cagion d'inquietudini, ma non già di rinunziar per tua quiete né all'economia, né al decoro, né ai quei sacri diritti che gli competono. Se qui mi vedi comparir oggi, se qua venni informato de' tuoi andamenti, se ho scelto il punto di giungere che fra voi due son le contese piú ardenti, sappi che venni tuo giudice, e non tuo padre. Tuo giudice, ma senza bisogno che tu mi narri alcun fatto; tuo giudice, ma senza timore che tu m'acciechi, o mi nasconda la verità; tuo giudice, ma inesorabile, determinato e valevole a farti cangiar condotta, o a renderti donna misera ed infelice per tutto il tempo della tua vita. E che vorresti dal padre tuo, forsennata? Vorresti ch'io ti lodassi perché dispergi il tempo e il denaro nei scialacquamenti del gioco, e d'un teatrale vestiario? Dovrei biasimare tuo marito se ricusa di piú compiacerti nell'abuso che fai della sua condiscendenza? Lo biasimo, lo condanno per la troppa condiscendenza ch'ebbe finora. Tu pensa a vincere in te medesima il mal costume, e non a pretendere ch'egli ti secondi, e si lasci teco strascinare ad una irreparabil rovina.
LAURA (tremante) Dunque non potrò giocar come l'altre; non potrò vestirmi come l'altre giovani fanno?...
ALFONSO Sí, gioca come l'altre giovani tue pari. Vestiti pure come il comportano la tua età, la tua condizione, e la moda. Ma gioca come le giovani savie, e segui la moda piú contegnosa e decente. Son poche, ma pur vi sono le savie giovani, nobili come tu sei. E appunto perché son poche rendonsi esse modelli ognor piú degni d'essere imitati.
LAURA (sempre tremante) Mi viene anche tolto ed escluso un amico...
ALFONSO (con molto sdegno) E che mi parli d'amico? Che dici tu mai d'amicizia? Male troppo conosci questo bel nome, questo soave vincolo di società, questo dolce conforto del viver nostro. Ad un adulatore, ad un balordo damerino, ad un seduttore, ad un cavaliere servente darai tu il sublime titolo d'amico? Chiudi quel labbro che lo profana nel pronunziarlo. Voi, femmine, che in preda vi date ai corteggi, no, non ne avete degli amici, e non ne avrete giammai. Non m'obbligare a farti arrossire col dichiararti alla presenza di chi ci ascolta l'immenso divario che passa fra gli adoratori e gli amici.
LAURA (con qualche calore) Signore, perdonatemi; la mia onestà poi certamente...
ALFONSO La tua onestà io la giudico perfetta ed illesa. Sí, figlia, non t'adulo in ciò, né m'inganno. Ma qui appunto io t'aspettava. Per la tua onestà ti riscaldi? Tutto per essere e mantenerti onesta faresti, e nulla far vorrai per parerlo? Se tanto ti cale della riputazione, dell'onore, perché non sei gelosa a serbarne ancor le sembianze? Uno screditato giovinastro dovrà con assiduo corteggio starti vicino, e potrai sperare che mentre sei virtuosa, il mondo ancora ti creda tale? Potrai sperare che il corteggiatore deluso dalla tua illibata virtú non vorrà per proprio vanto con tronchi detti, con equivoche frasi, con maligni sorrisi renderla sospetta almeno, se non macchiata agli occhi del pubblico? Scuotiti una volta dall'inganno fatale; e giacché son pochi mesi ch'hai cominciato a traviare, ritorna intrepida sul buon sentiero. Qualch'altro padre forse in altra guisa aprirebbe le braccia ad una figlia traviata, e con lei s'unirebbe per muover guerra al marito. Peran coloro, e ben di cuore lo dico, i quali dopo aver pessimamente educate le figlie, e date in mogli a quegli sventurati che si presentano, ad ogn'incontro di contrasti domestici ripiglian di nuovo la perduta autorità paterna, quasi a solo fine di compiere la primiera pessima educazione. (Bernardino, durante il discorso si è mostrato commosso. Laura si è andata commovendo ancor essa; e messosi il fazzoletto agli occhi, cade ginocchioni tutta piangente ai piedi di suo padre).
ALFONSO Sei rabbiosa, convulsa, o pentita?
LAURA (piglia la mano a suo padre, gliela stringe e bacia con trasporto senza parlare).
ALFONSO T'hanno persuasa le mie parole?
LAURA (rinnova l'atto di baciargli la mano, e fa conoscere pentimento).
ALFONSO Se ti hanno persuasa, come credo, quest'è un nuovo indizio sicuro di tua virtú. Sí, figlia, sí amatissima figlia mia, era già nell'animo tuo la persuasione d'avere il torto, e la disposizione a pentirti; io colle mie parole non ho fatto che dartene l'ultimo eccitamento. Ritorna quale già fosti al tuo diletto marito, ch'io a lui ti ridono con reiterate benedizioni. (Laura senza parlare sarà balzata in piedi correndo a braccia aperte al marito che le è anch'egli corso incontro piangendo).
ALFONSO Mi figuro che ti disfarai di que' libri perversi, ai quali ne sottentreranno degli altri ad istruirti e piacerti, senza che ti avvelenino il cuore e la mente. Sarai discreta in ogni tua inchiesta al marito, il quale non nega di riparare i tuoi passati falli. E del marchese Aurelio in questa casa non se ne parli piú.
LAURA Sí, ancor io cosí voglio; e prometto che sarò in avvenire e moglie e figlia e dama; tre titoli i quali impongono sacri doveri da molte femmine non conosciuti, e ch'io pur troppo aveva fatalmente dimenticati.
BERNARDINO La consolazione improvvisa tolto m'aveva le parole. Cara sposa, saremo lieti e felici.
ALFONSO Sí, entriamo, o figlia, nelle tue stanze a ricomporti e a cancellare ogni memoria di ciò che è stato.
BERNARDINO Dò prima un ordine e vengo. Ehi! Lorenzo, Alessio, Agostino. Sieno quei libri portati al signor Don Alfonso mio suocero; e qualunque volta venisse il marchese Aurelio, per lui siam tutti e sempre fuori di casa (i servitori già son venuti, eseguiscono, e accennano di eseguire).
LORENZO Non dubiti; sarà servita. Se poi verrà Ruffino, lo caccieremo giú dalle scale.
DOMENICA (cade svenuta e convulsa sopra il sofà) Mi si oscura la vista... Ahi!... ahi!... ohimè!...
LORENZO Al rimedio, al rimedio; subito, subito, (correndo alla porta di mezzo, e tornando subito con in mano un grosso bastone; e tenendolo alzato corre contro la moglie, la quale ne' suoi sforzi è tenuta dall'altre donne) Largo, largo, voi altre pettegole, date luogo alla medicatura (le donne si scostano, e lascian Domenica).
DOMENICA (balza velocemente dal sofà, trattiene il braccio del marito, e se gli butta in ginocchioni) No, no, marito mio, no per carità. La paura mi basta, e ti giuro che non avrò piú convulsioni.
LORENZO Ah! uh! sei guarita eh? Abbi giudizio pur sempre. Ti perdono, e t'abbraccio. O ricetta eccellente del dottore Francuccio.
LAURA Deh! appagate la mia curiosità. Che cos'è questa ricetta?
BERNARDINO Volete saperla? Ora ve la leggerò.
Col disprezzo e lo scherno, o col bastone,
Si sana ogni donnesca convulsione.
Che ne dite?
LAURA (abbassa il capo, e sorride).
DOMENICA (abbassa il capo anch'essa, e resta mortificata, l'altre due donne si guardano e ridono fra di loro).
ALFONSO Diventerai una nemica del dottore Francuccio per tale ricetta?
LAURA No, perdonatemi, tutto al contrario. Egli deve anzi essere il medico di casa nostra, e sarà il migliore de' miei amici. Lo stimo, e lo ammiro. Non basta ad un medico l'esser pratico e dotto, conviene che sia ancora onorato, franco, e sincero.


Fine della commedia.

ALCUNE RIFLESSIONI


L'argomento di questa commedia aveva qualche inciampo che facilmente la poteva far cadere nell'indecenza. Due donne maritate e che vogliono avere il galante non si sogliono mettere sulla scena. Ciò corre tutto giorno quasi da per tutto, ma sul teatro non converrebbe. Parmi averle esposte in modo che toglie ogni ombra di scandalo.
Suppongo la cameriera invogliata scioccamente d'imitar la padrona, ma innamorata del marito, e onesta a segno di non lasciarsi neppure toccar la mano.
Suppongo la Dama entrata appena nel mal costume d'avere un servente; e l'unica scena ch'ella lo ha al fianco espone non già svenevoli leziosaggini, ma un contrasto feroce e ridicolo.
Altri avrebbe forse posto sulla scena un marito deluso, schernito, beffeggiato. lo ho creduto bene di porvi un marito innamorato, intrepido, e schernitore.
Altri forse avrebbe voluto che il galante trionfasse almeno in apparenza; ed io ho creduto di doverlo presentare quale esser, suole ognun di costoro, cioè balordo, vuoto, e pusillanime, cosicché s'inginocchia ai piedi d'una femmina che lo sgrida, s'intimorisce quando ne viene il marito, e si lascia beffamente discacciare.
L'eseguire le smanie, i furori, i violenti moti delle convulsioni esige verità e decenza; e ciò si otterrà da una abile attrice la quale non si abbandoni troppo ad impeti che la pongano in atteggiamenti immodesti; né troppo sia negli atteggiamenti contegnosa e studiata, onde tolgasi affatto la teatrale illusione.
La Domenica, la Margherita, la Francesca debbono essere veramente tre donne, non uomini vestiti da donna; e queste negli sforzi tenendo la loro padrona toglieranno ogni pericolo d'indecenza e di sconvenevolezza.
Si allude all'esperienze de' palloni aereostatici, che si fanno quasi universalmente in questi giorni.



[1] «È vergognosa cosa che due uomini illustri per letteratura, per costumi e per morale sanissima sieno in oggi sfregiati, quanto è possibile, da chi arditamente ne ha preso il nome, o lo ha messo in fronte al libro sacrilego Le systeme de la nature.
Giambattista Mirabeau, secretario perpetuo dell'Accademia francese, nato in Provenza, morto l'anno 1760 in età d'ottantasei anni.
Vittorio di Riquety, marchese di Mirabeau, socio delle Accademie di Marsilia e di Montalbano, nato anch'egli in Provenza. La sua opera l'ami des Hommes corrisponde al titolo, e fa l'elogio all'autore.
Il terzo, poi, è un finto Mirabeau usurpatore di nome sí benemerito e chiaro, autore d'empio e scandaloso libro, il quale perciò appunto trovasi sparso su quasi tutte le tolette delle moderne filosofesse e nei profumati gabinetti dei pretesi spiriti forti e veramente deboli teste.
Che notizia erudita in un autor di commedie! alcuni diranno. Oh, benedetti costoro che cosí parlano! risponderò io. Credono forse che un autor di commedie non debba legger mai altro che commedie?» [N.d.A.]

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