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mercoledì 30 novembre 2011

Le avventure di Tom Sawyer


Premessa

 Quasi tutte le avventure narrate in questo libro ebbero realmente luogo; una o due di esse furono
esperienze mie, le altre dei ragazzi che erano miei compagni di scuola. Huck Finn è tratteggiato dal vero;
e così Tom Sawyer, sebbene egli non sia la descrizione di un singolo individuo, ma compendi le
caratteristiche di tre ragazzi che conoscevo e appartenga pertanto a un genere di architettura composita.
 Le bizzarre superstizioni di cui si parla esistevano tutte, tra i ragazzi e gli schiavi dell’Ovest, nel periodo in
cui si svolge questo racconto, vale a dire trenta o quaranta anni or sono.
 Sebbene il mio libro si proponga soprattutto di divertire ragazzi e ragazze, spero che non sarà evitato per
questo dagli uomini e dalle donne, poiché, in parte, la mia intenzione è stata di tentar di ricordare
piacevolmente agli adulti com’erano un tempo essi stessi, che cosa provavano e pensavano, come si
esprimevano, e in quali strane imprese si imbarcavano a volte.
 L’Autore
 Hartsford, 1876


   1   «Tom!»      
 Nessuna risposta.
 «Tom!»
 Nessuna risposta.
 «Che cosa sta combinando quel ragazzo? Vorrei proprio saperlo. Ehi, Tom!»
 L’anziana signora abbassò gli occhiali e, al di sopra di essi guardò intorno a sé nella stanza; poi li spinse
di nuovo in su e guardò di sotto a essi. Di rado, o mai, guardava attraverso gli occhiali una cosa piccola
come un ragazzetto, poiché quello era il suo paio di occhiali da parata, l’orgoglio del cuore di lei, occhiali
fatti per “eleganza”, non per utilità; avrebbe potuto vederci altrettanto bene attraverso un paio di coperchi
per stufe. Ora, per un momento, parve perplessa e disse, non minacciosamente, ma con una voce così
forte da farsi sentire anche dai mobili:
 «Bene, se ti metto le mani addosso, io...»
 Non completò la frase perché, nel frattempo, si era chinata e stava sferrando colpi con la scopa sotto il
letto... e pertanto le occorreva fiato per ritmare i colpi stessi. Non riuscì a far risorgere altro che il gatto.
 «Non ho mai conosciuto nessuno più scavezzacollo di quel ragazzo!»
 Si avvicinò alla porta aperta, rimase in piedi sulla soglia e guardò fuori, tra le piante di pomodoro e
l’erba stramonio che costituivano l’orto. Niente Tom. Pertanto alzò ulteriormente la voce, a un angolo
proporzionato alla distanza, e urlò:
 «Ehi, tu-u-uu Tom!»
 Vi fu un lieve suono alle sue spalle e lei si girò giusto in tempo per afferrare un lembo della giacchetta del
ragazzino e bloccarne la fuga.
 «Preso! Avrei dovuto pensare a quell’armadio a muro. Che cosa ci stavi facendo, là dentro?»
 «Niente.»
 «Niente! Guarda in che stato hai le mani e la bocca. Cos’è quella roba?»
 «Non lo so, zia.»
 «Be’, lo so io. È marmellata, ecco che cos’è! Mille volte ti avrò detto che, se non ti fossi deciso a
lasciare stare la marmellata, ti avrei scorticato vivo. Dammi la bacchetta.»
 La bacchetta rimase librata a mezz’aria. Il pericolo era gravissimo.
 «Mamma mia! Guarda dietro di te, zietta!»
 L’anziana signora girò di scatto sui tacchi, sollevando al contempo, per prudenza, la gonna, e il ragazzo
fuggì all’istante, si arrampicò su per l’alta recinzione di assi e scomparve al di là di essa. Zia Polly rimase
immobile, sorpresa, per un momento, poi ridacchiò sommessamente.
 «Diavolo di un ragazzo, possibile che io non riesca a imparare mai niente? Non me ne ha giocatiabbastanza di tiri, ormai, perché debba stare in guardia? Ma i vecchi stolti sono i più grandi stolti che
esistano. Il cane troppo avanti negli anni non impara niente, come si suol dire. Però, santo cielo, quel
monello ne combina sempre di nuove ogni due giorni, e come può sapere, una povera creatura, che cosa
l’aspetta? Tom sembra capire fino a qual punto può tormentarmi prima che perda la pazienza, e sa come
farmi arrabbiare soltanto per un momento o farmi ridere, dopodiché tutto è passato e perdonato e non
riesco a dargliele come merita. Non sto facendo il mio dovere, con quel ragazzo, e questa è la pura
verità, Dio lo sa bene. Risparmia la verga e vizierai il bambino, come dice il buon libro. Sto preparando
peccati e sofferenze per entrambi, me ne rendo conto. È un ragazzino indemoniato, ma, il Signore mi
perdoni! è figlio della mia defunta sorella, povera creatura, e, non so come, non trovo il coraggio di dargli
bacchettate. Ogni volta che lo perdono, la coscienza mi tormenta a non finire; e, ogni volta che lo
punisco, per poco non mi si spezza questo vecchio cuore. Povera me, l’uomo che nasce da donna, già
dopo pochi giorni è causa di molti guai, come dicono le Sacre Scritture; dev’essere proprio così.
Marinerà la scuola e se ne andrà a zonzo come un fannullone, questo pomeriggio, e io, per punirlo, sarò
costretta a farlo lavorare domani. È una crudeltà costringerlo a darsi da fare il sabato, quando tutti gli altri
ragazzi hanno vacanza, ma lui odia il lavoro più di qualsiasi altra cosa, e bisognerà pure che io faccia
almeno in parte il mio dovere, con quel benedetto bambino, altrimenti lo rovinerò.»
 Tom andò effettivamente a zonzo, e se la spassò un mondo. Tornò a casa appena in tempo per aiutare
Jim, il ragazzetto di colore, a segare la legna del giorno dopo e a spaccare la legna minuta prima di cena,
o almeno arrivò in tempo per raccontare a Jim le sue avventure mentre Jim sbrigava i tre quarti del
lavoro. Il fratello minore di Tom (o meglio il fratellastro), Sid, aveva già fatto la sua parte (raccattare le
schegge) perché era un bambino tranquillo, non portato per le imprese avventurose e le marachelle.
Mentre Tom stava consumando la cena e rubava zucchero ogni qual volta se ne presentava l’occasione,
zia Polly gli pose domande colme d’astuzia e molto profonde, in quanto voleva farlo cadere in trappola e
indurlo a rivelazioni compromettenti. Come tante altre creature dal cuore semplice, aveva la vanità di
credersi dotata di talento per la diplomazia tenebrosa e misteriosa, e si compiaceva di considerare
meraviglie di estrema scaltrezza i suoi trucchetti più trasparenti. Disse, a un certo momento:
 «Tom, faceva piuttosto caldo, a scuola, vero?»
 «Eh, sì.»
 «Faceva un caldo da matti, non è così?»
 «Sì.»
 «Non ti è venuto voglia di andare a fare una nuotata, Tom?»
 Un piccolo fremito di paura percorse Tom... un’ombra di sgradevole sospetto. Egli scrutò il viso di zia
Polly, che però non gli rivelò un bel niente. Pertanto rispose:
 «No, non direi... be’, non molto.»
 L’anziana signora portò avanti la mano, tastò la camicia di Tom e disse:
 «Adesso non sei accaldato, però.»
 E si sentì molto lusingata essendo riuscita ad accertare che la camicia era asciutta senza lasciar capire a
nessuno di aver avuto proprio questa intenzione. Ma, nonostante la sua astuzia, Tom sapeva ormai in
quale direzione soffiasse il vento. Pertanto, prevenne quella che sarebbe potuta essere la mossa successiva.
 «Alcuni di noi si sono pompati acqua sulla testa... la mia è ancora umida. Senti?»
 Fu esasperante per zia Polly rendersi conto di avere trascurato quella prova indiziaria, lasciandosi
sfuggire uno stratagemma. Poi ebbe una nuova ispirazione:
 «Tom, non sarai stato costretto a strappare i punti del colletto della camicia, là dove io lo avevo cucito,
per pomparti acqua sulla testa, vero? Sbottonati la giacchetta!»
 Il turbamento svanì dal viso di Tom. Egli si sbottonò la giacchetta. Il colletto della camicia era ben cucito.
 «Uffa! Be’, meglio per te. Ero sicura che avessi marinato la scuola e fossi andato a nuotare. Ma devi
avere imparato immagino, come la gatta del proverbio che ci ha lasciato lo zampino... ti sei comportato
bene, questa volta.»
 Era in parte risentita perché la sua sagacia aveva fallito, e in parte lieta perché Tom, per una volta tanto,
dimostrava di saper essere ubbidiente.
 Sidney, però, disse:
 «Un momento, se non sbaglio gli avevi cucito il colletto con filo bianco, e questo filo è nero.»
 «Giusto, glielo avevo cucito con il filo bianco! Tom!»
 Ma Tom non stette ad aspettare il resto. Mentre correva fuori dalla porta, disse:
 «Sid, ti pesterò, per questo!»
 Una volta al sicuro, esaminò i due lunghi aghi infilati nei risvolti della giacchetta, con un tratto di filo
avvolto intorno a essi, filo bianco nel caso di un ago e filo nero nel caso dell’altro. Poi disse:
 «Non se ne sarebbe mai accorta se non fosse stato per Sid. Accidenti, a volte cuce il colletto con il filo
bianco e a volte con quello nero! Vorrei proprio che adoperasse sempre o l’uno o l’altro... non riesco a
starci dietro. Ma una cosa è certa, gliele suonerò, a Sid, per quello che ha fatto. Mi venga la coda se non
lo pesto!»
 Non era il ragazzo modello del villaggio. Conosceva benissimo, però, il ragazzo modello, e lo odiava.
 Due minuti dopo, o anche meno, aveva dimenticato tutti i suoi guai. Non perché quei guai fossero per lui
meno opprimenti e assillanti di quanto lo sono le difficoltà della vita per un adulto, ma soltanto perché una
nuova e formidabile distrazione li scacciò momentaneamente dai suoi pensieri, né più né meno come le
disgrazie di un uomo vengono dimenticate nell’entusiasmo di nuove imprese. Questa nuova distrazione
consisteva in una apprezzatissima novità nel fischiare, appena imparata da un negro, e ora egli stava
cercando di metterla in pratica indisturbato. La novità era un singolare gorgheggio tipo uccello, una sorta
di liquido trillo, prodotto toccando il palato con la punta della lingua a brevi intervalli nel bel mezzo della
melodia. Il lettore, se è mai stato ragazzo, ricorda probabilmente come si fa. Diligenza e attenzione gli
consentirono ben presto di scoprire il trucco per riuscirvi, e Tom si incamminò lungo la strada con la
bocca piena di armonia e l’anima colma di gratitudine. Si sentiva press’a poco come può sentirsi un
astronomo che abbia appena scoperto un nuovo pianeta. Ma, senza dubbio, per quanto concerne
l’intensità e la profondità di uno sconfinato piacere, a trovarsi in vantaggio era il ragazzo, e nonl’astronomo.
 I crepuscoli estivi erano lunghi. Non faceva ancora buio. Di lì a non molto, Tom smise di fischiare.
Davanti a lui si trovava uno sconosciuto; un ragazzo un pochino più robusto di quanto egli fosse. Ogni
nuovo venuto, di qualsiasi età e di entrambi i sessi, costituiva una novità favolosa nel misero e piccolo
villaggio di St Petersburg. Questo ragazzo era ben vestito, per giunta; ben vestito in un giorno feriale. La
cosa sembrava, né più né meno, stupefacente. Il berretto era molto elegante, la giacchetta di stoffa blu,
attillata e abbottonata, sembrava nuova e inappuntabile, come i pantaloni. Aveva persino le scarpe, anche
se era venerdì, e la cravatta, un pezzetto di nastro dal colore vivace. Aveva un’aria cittadina tale da far sì
che Tom si rodesse il fegato. Quanto più Tom fissava quella meraviglia, quanto più arricciava il naso di
fronte a tanta eleganza, tanto più miseri sembravano diventare i suoi panni. Nessuno dei due ragazzi
parlava. Se l’uno si muoveva, l’altro faceva altrettanto... ma soltanto di lato, in circolo. E sempre
restavano di fronte, fissandosi negli occhi continuamente. Infine, Tom disse:
 «Posso dartene un fracco!»
 «Mi piacerebbe che ci provassi.»
 «Be’, posso farlo.»
 «E io dico che non puoi.»
 «Sì che posso.»
 «No, non puoi.»
 «Posso.»
 «Non puoi.»
 «Posso.»
 «No.»
 Un silenzio imbarazzante. Poi Tom disse:
 «Come ti chiami?»
 «Questa è una cosa che non ti riguarda, forse.»
 «E invece posso fare in modo che mi riguardi, potrei scommetterci.»
 «Be’, perché non ci provi?»
 «Se lo dici ancora una volta ci provo.»
 «Lo ridico, lo ridico, lo ridico! Ecco fatto.»
 «Ah, credi di essere un furbone, vero? Potrei dartele con una mano legata dietro la schiena, se volessi.»
 «Be’, perché non me le dai? Lo dici di potermele dare.» «È quello che farò, se mi prendi in giro.»
 «Oh, sì... ho visto intere famiglie nei pasticci come te.»
 «Spiritoso! Credi di essere chissà chi, eh?»
 «Oh, che bel tipetto!»
 «Dovrai mandarlo giù, questo tipetto, anche se non ti piace. Ti sfido a toccarmi, perché chiunque osi
farlo verrà conciato per le feste.»
 «Sei un bugiardo!»
 «E tu lo sei più di me!»
 «Ti batti soltanto a parole, ma non osi farlo sul serio.»
 «Oh, cammina... va’!»
 «Senti... se continui con queste fanfaronate, prendo un sasso e te lo picchio sulla testa.»
 «Oh, sicuro.»
 «Puoi starne certo.»
 «Be’, perché non lo fai, allora? Perché continui a dire che lo farai? Vuoi sapere perché non lo fai?
Perché hai paura.»
 «Non ho paura.»
 «Sì che ce l’hai.»
 «Non ce l’ho.»
 «Ce l’hai.»
 Ancora un silenzio, con altri adocchiamenti, e altro girarsi attorno a vicenda. Di lì a non molto, vennero a
trovarsi spalla contro spalla. Tom disse:
 «Vattene di qui!»
 «Vattene tu!»
 «Non me ne andrò.»
 «Non me ne andrò nemmeno io.»
 E così rimasero, ognuno con un piede piazzato ad angolo, a mo’ di puntello, ognuno spingendo con tutte
le sue forze, ed entrambi guardando l’altro con odio. Ma nessuno dei due riuscì a prevalere. Dopo aver
spinto fino a essere entrambi sudati e accesi in faccia, si rilassarono tutti e due con guardinga cautela, eTom disse:
 «Sei un vigliacco e un cucciolo. Dirò di te al mio fratello maggiore, lui può dartele con il dito mignolo, e
io farò in modo che te le dia, per giunta.»
 «Che m’importa del tuo fratello maggiore? Io ho un fratello che è più grosso di lui; non solo, ma può
anche farlo volare al di là di quella staccionata.» (Entrambi i fratelli erano immaginari.)
 «Questa è una balla.»
 «Il fatto che tu lo dica non vuol dire che lo è.»
 Tom tracciò una linea sulla polvere della strada con l’alluce e disse:
 «Ti sfido a superare questa linea; fallo e ti pesto tanto che non riuscirai più a stare in piedi. Chiunque osi
farlo la pagherà.»
 Il nuovo venuto oltrepassò subito la linea e disse:
 «Avanti, hai detto che lo avresti fatto; vediamo adesso se lo farai!»
 «Ehi, non pestarmi i calli; faresti bene a stare attento.»
 «Be’, hai detto che lo avresti fatto: perché non lo fai?»
 «Accidenti, lo farei anche per due centesimi.»
 Il nuovo venuto si tolse di tasca due monetine di rame e gliele porse, beffardo.
 Tom le fece cadere a terra con un colpo della mano.
 Un attimo e i due ragazzi stavano rotolando sulla polvere, avvinghiati come gatti; e, per un minuto intero
si strattonarono, tirandosi per i capelli e i vestiti, mollandosi pugni, graffiandosi la faccia e coprendosi di
polverone e di gloria. Infine la confusione assunse una forma e, attraverso la bruma della battaglia, Tom
apparve seduto a cavalcioni sul nuovo ragazzo e intento a bersagliarlo con una gragnuola di pugni.
 «Grida basta!» disse.
 Il ragazzo si divincolava cercando di liberarsi. Stava piangendo, soprattutto per la rabbia.
 «Grida basta!» e il martellamento continuò.
 Infine lo sconosciuto si lasciò sfuggire un soffocato “Basta!” e Tom lasciò che si rialzasse e disse:
 «Bene, questo ti servirà da lezione. La prossima volta farai bene a stare attento prima di prendere in giro
qualcuno!»
 Il nuovo ragazzo si incamminò battendo le mani sul vestito per spolverarlo, singhiozzando, tirando su con
il naso e voltandosi di quando in quando per scuotere la testa e per minacciare Tom dicendogli che cosa
gli avrebbe fatto “la prossima volta” incontrandolo. Al che Tom rispose con lazzi e sberleffi, per poi
incamminarsi tutto tronfio nella direzione opposta; e, non appena ebbe voltato le spalle, il nuovo venutoraccattò un sasso, lo lanciò, colpì il nemico tra le scapole, poi girò sui tacchi e corse via come
un’antilope. Tom inseguì il traditore fino a casa e scoprì così dove abitava. Rimase poi al cancello per
qualche tempo, sfidando il nemico a uscire; ma il nemico si limitò a fargli smorfie dietro i vetri della
finestra e rifiutò. Infine fu la madre di lui a mostrarsi; gridò a Tom che era un ragazzetto cattivo, perverso
e volgare, e gli ordinò di andarsene. Così lui se ne andò, ma disse che gliel’avrebbe “fatta pagare”, al
“traditore”.
 Arrivò a casa molto tardi, quella sera, e quando, cautamente, entrò scavalcando il davanzale della
finestra, cadde nell’imboscata che gli aveva teso la zia; e allorché ella vide in quale stato si era ridotto i
vestiti, il suo proposito di tramutargli la vacanza del sabato in prigionia con lavori forzati divenne di una
fermezza adamantina.
.............
Mark Twain

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