Come potranno, ohimè, gli occhi dolenti
non far d'amaro pianto eterno un lago
finché d'ogni vigor fian scemi e spenti?
E come il cor di sospirar mai pago
vedrassi? Anzi sarà di giorno in giorno
d'arder mai sempre e d'agghiacciar pi` vago.
Poiché il Signor, che fe' di stelle adorno
il cielo, il creator di tutto il mondo,
in croce posto fu con tanto scorno.
O 'nfinito dolore, alto e profondo,
o pena, o pi` ch'ogn'altra acerba pena,
o martìr grave a null'altro secondo!
Deh, potess'io versar con larga vena
tanto dagli occhi umor che fosse uguale
a quel tormento ch'a languir mi mena.
Ecco che Dio s'è pur fatto mortale
per trar noi da la morte e farne aperto
qual sia il camin per cui nel ciel si sale.
Questo è del ben oprar, Cristo mio, il merto?
E questo è il guiderdin che con furore
in braccio t'hanno a crudeltade offerto?
O 'nfinita bontà del mio Signore,
che per saldar la nostra piaga eterna
a mortal piaga offerse il petto e 'l core!
Chi fia che 'n croce il suo Signor discerna
e non pianga, se fosse un uom di sasso?
Morto è chi 'l mondo e 'l ciel volge e governa.
Perch'io non son di questa vita or casso,
poiché vivo non è l'eterno bene,
l'eterno Dio, mai di ben far non lasso.
Popol, che rio chiamarti mi conviene,
popol iniquo, ingrato, empio e crudele,
per cui la vita, ohimè, morto sostiene!
A bever li donasti aceto e fèle,
ed ei, lasso, di manna t'ha cibato,
o popol crudo, o popol infedele!
T'ha come buon pastor sempre guidato,
popol ingiusto, e tu guidato l'hai
nanzi agli scribi nudo e flagellato.
Percosse e' faraon coi santi rai
di sua virtude, e tu sempre t'ingegni
batterli 'l volto e rinfrescarli guai.
Signor ti fe' d'alte città, di regni,
tu di corona di pungenti spine
signor l'hai fatto e d'oltraggiosi sdegni.
Te formòrno le mani alme e divine,
e tu con fieri chiodi fieramente
l'hai poste fuor del natural confine.
Deh, com'a tanto mal il ciel consente,
o duri chiodi, o chiodi alpestri e felli,
che fate il Re d'eterno ben dolente?
O mansueto agnello, ove son quelli
benigni accenti e pien d'ardente zelo,
che non fûrno a pietade unqua ribelli?
Ahi, che per romper di peccati il gelo
con l'accesa umiltà, non ti dispiacque
chiuderti in un mortal, terrestre velo!
Non tra real palagi il gran Re nacque
ma 'n solitaria e umil grotta, e ivi,
povero, ignudo, nel presepio giacque.
Come, in ciò ripensando, o cristian, vivi?
Come di pietra aver dimostri il petto,
se fuor non mandi lacrimosi rivi!
Vedi l'alto Motor come negletto
pende fra duo ladron, piagato a torto?
O di vera pietà pietoso obietto!
Deh, rendi, o morte, il viver mio pi` corto!
Deh, tronca omai questa mia morta vita,
poiché hai l'imperador del mondo morto!
Morto hai il pastor! Che fia della smarrita
greggia, che senza lui si riconduce
dove il desir, non la ragion, la 'nvita?
Morto hai, morte crudel, la vera luce.
Morto hai l'onor de la celeste corte.
Morto hai d'ogni ben far l'invitto duce.
Apransi dunque al mio dolor le porte,
e pianga l'aere e 'l mar, pianga la terra,
piangan del Redentor l'ingiusta morte.
Piangano i sassi, poi che 'n fiera guerra
per man degli empi e perfidi giudei
in un sasso il gran Dio si chiude e serra.
Ohimè, che tutto pianto esser vorrei,
e tutto voce a richiamar pietade,
e tutto lingua a dir gli affanni miei!
E' contro il mio Gesù la crudeltade,
ma da la schiera de' martìr mi sento
chiuse agli afflitti spirti omai le strade!
S'io t'ho, Signor mio, offeso, ecco mi pento
e ti chiedo perdon con umil voce.
Scampa questa alma d'infernal tormento
poiché per lei morir volesti in croce.
Capitolo alla morte di Cristo, mandato alla signora Laura Terracina lo Venerdì Santo e composto a compiacenza della sua sig. Formina
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