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mercoledì 20 aprile 2011

PETER PAN NEI GIARDINI DI KENSINGTON

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Peter Pan


Qualora voi domandiate alla vostra mamma se essa sapeva nulla intorno a Peter Pan quand’era ancora una bimba, essa vi risponderà: “Ma certo che ne sapevo, mio caro”; e qualora le domandiate se a quei tempi egli andava in giro sopra una capra, vi risponderà: “Ma che domande! Certo che ci andava”. Così, qualora domandiate alla nonna se sapeva nulla intorno a Peter Pan allorché era una bimba, essa pure vi risponderà: “Sicuro che ne sapevo, piccino”; ma qualora le domandiate se a quei tempi egli andava in giro sopra una capra, vi risponderà che essa non ha mai sentito dire che egli possedesse una capra. Forse lo ha dimenticato, precisamente come qualche volta dimentica il vostro nome e vi dà quello di un altro. Però sarebbe assai strano che avesse dimenticato una cosa così importante come la capra. E perciò è molto probabile che la capra non ci fosse ai tempi in cui la vostra nonna era ancora una bimba. Questo mostra che, nel raccontare la storia di Peter Pan, il cominciar dalla capra, come fanno tanti, è assai sciocco, non meno che mettersi la giacchetta prima della sottoveste.
Anche Peter Pan non è tanto vecchio quanto si potrebbe credere. Il vero è che egli ha sempre la stessa età, cosicché l’esser egli esistito anche ai tempi che la vostra mamma e la vostra nonna eran bimbe, non vuol dir proprio nulla. Egli ha solo una settimana di età e nonostante sia nato tanto e tanto tempo fa, non ha mai avuto un compleanno né c’è la minima speranza che sia mai per averne uno. La ragione ne è che egli scappò da essere una creatura umana quando aveva sette giorni; scappò per la finestra e rivolò addietro nei giardini di Kensington.
Se voi pensate che egli sia il solo bambino che abbia voluto scappare, ciò mostra solo quanto completamente abbiate dimenticato gli stessi vostri primi giorni.
Quando David udì questo fatto, dapprincipio era del tutto sicuro che egli non aveva cercato mai di scappare, ma io gli dissi di ripensarci su intensamente, con le tempie strette fra i pugni, e quando egli ci ebbe così ripensato intensamente e sempre più intensamente, finì col ricordarsi con la più grande chiarezza un suo giovenil desiderio di ritornare in sulle cime degli alberi e con tale ricordo ne vennero anche degli altri, come questo, che egli era a letto e meditava di scappare appena la mamma si fosse addormentata, e che una volta essa lo aveva ripreso a mezza via su per la cappa del camino. Tutti i bimbi possono farsi tornare simili ricordi stringendosi forte le tempie fra i pugni perché, essendo stati uccelli prima che creature umane, sono naturalmente dei piccoli esseri furastici durante le prime settimane, e si sentono un gran prurito alle spalle, al posto delle ali. Così mi dice David.
Io debbo spiegarvi che per le storie il nostro modo di procedere è questo: prima io racconto la storia a lui, e dopo lui rifà il racconto a me, colla differenza che non è più la stessa storia; e allora io torno a raccontarla ancora a lui colle sue addizioni e varianti, e così si va innanzi finché nessuno può più dire se la storia è mia oppure sua. In questa di Peter Pan, per esempio, la nuda narrazione e la maggior parte delle riflessioni morali sono mie, sebbene non tutte, perché anche David sa essere un severo moralista; ma i pezzi così interessanti circa gli usi e costumi dei bambini nello stadio uccellesco sono quasi esclusivamente reminiscenze di David, richiamate collo stringersi forte le tempie fra i pugni e pensare intensamente.
Dunque, Peter Pan andò via per la finestra, che per avventura era aperta. Stando sul davanzale egli potè vedere in gran lontananza degli alberi, che appartenevano senza dubbio ai giardini di Kensington, e nel momento che egli li vide, dimenticò completamente ch’egli era ormai un piccolo bimbo in camicia da notte e volò via diritto sopra le case verso i giardini. È una cosa maravigliosa che egli potesse volar senza ali, ma sentiva alle spalle un prurito tremendo e.... e.... forse che tutti quanti potremmo volare, se avessimo così profonda fiducia nella nostra capacità di farlo, come l’aveva l’audace Peter Pan quella sera.
Atterrò tutto allegro sull’ampio tappeto verde tra il Lago Rotondo e la Serpentina, e la prima cosa che fece fu di buttarsi sulla schiena e tirar de’ calci all’aria. Egli s’era affatto scordato di esser mai stato una creatura umana e pensava di essere un uccello, anche nell’aspetto, proprio come nei suoi primissimi giorni, e quando cercò di chiappare una mosca non si rese già conto che la ragione per cui l’aveva mancata era che aveva tentato di afferrarla con la mano, cosa che senza dubbio un uccello non fa. Si avvide, comunque, che doveva già esser passata l’ora della chiusura, perché c’era una gran quantità di fate e di gnomi in giro, ma troppo occupati per accorgersi di lui: erano intenti a prepararsi la cena e chi mungeva le mucche, chi tirava su l’acqua, chi faceva altra cosa.
A proposito, una cosa che bisogna io vi dica è che gli gnomi sono i maschi del popolo delle fate, il quale riceve il nome unicamente da queste solo perché alle signore spetta la preferenza. Anche noi abbiamo due nomi del tutto diversi per indicare i maschi e le femmine e cioè uomo e donna; solo che siamo meno gentili degli gnomi, poiché, se vogliam poi indicare tutti i maschi e tutte le femmine insieme, diciamo “gli uomini”.
Ora, la vista delle secchie fece venir sete a Peter Pan che volò per levarsela verso il Lago Rotondo. Si posò sulla sponda e tuffò il becco nell’acqua; egli credeva che fosse il becco, ma, certo, era solamente il naso, e perciò non venne su che poc’acqua e non così rinfrescante come di solito; allora volò in cerca di una pozza di acqua piovana, e trovatala, vi si calò giù con tanto impeto che ci cadde dentro. Quando un vero uccello cade dentro una pozza, esso gonfia le penne e le scrolla e le becca finché non sono asciugate, ma Peter non riuscì a ricordarsi che cosa fosse da fare, e decise piuttosto stizzito di andare a dormire sul salice piangente nel Viale dei Bimbi.
Dapprincipio trovò qualche difficoltà nello equilibrarsi sopra di un ramo, ma poi si ricordò la maniera, e si addormentò. Si svegliò molto prima dell’alba, rabbrividendo e dicendo a sé stesso: “Io non sono stato mai fuori con una notte cosi fredda”; realmente, egli era stato fuori in notti anche più fredde, quand’era un uccello, ma, senza dubbio, come ognun sa, quella che sembra una notte calda a un uccello è una notte fredda per un bimbo in camicia da notte. Peter perciò si sentiva stranamente indisposto, come se la sua testa fosse imbottita; udiva forti rombi che lo facevan guardare acutamente in giro, nonostante che non fossero che suoi propri starnuti. C’era qualche cosa che egli desiderava moltissimo, ma, sebbene sapesse che lo desiderava, non poteva rendersi conto che cosa mai fosse. Ciò che desiderava tanto era che sua madre gli soffiasse il naso, ma siccome non riusciva a venire mai in chiaro della cosa, così decise di rivolgersi alle fate per essere illuminato. Le fate hanno fama di esser molto sapienti.
Ce n’erano appunto due che se ne andavan passeggiando lungo il Viale dei Bimbi, tenendosi abbracciate per la cintura, ed egli si spiccò giù dal ramo per andarle a interrogare. Le fate hanno i loro motivi di malumore con gli uccelli, ma generalmente danno una risposta cortese a una cortese dimanda, ed egli restò molto male quando le vide scappar via a tutta corsa appena lo scorsero. Uno gnomo se ne stava sdraiato sur un seggiolone da giardino leggendo un francobollo che qualche creatura umana aveva lasciato cadere, ma come udì la voce di Peter si rifugiò rattamente, tutto spaventato, dietro un tulipano.
A sua gran confusione, Peter scoprì che la sua vista metteva in fuga ciascuno di quei piccoli esseri. Una schiera di operai che stava segando un fungo se la dette a gambe così precipitosamente che lasciò lì per terra tutti i suoi strumenti. Una ragazza che andava a munger del latte rivoltò la sua secchia e ci si nascose sotto. Presto i giardini furono tutti sossopra. Stuoli di fate andavan fuggendo in ogni senso, domandandosi fieramente tra loro chi era che aveva paura; tutte le luci si spengevano, tutte le porte venivano barricate, e dalle fondamenta del palazzo della regina Mab rimbombavano de’ rulli di tamburo, segno che la guardia reale era chiamata alle armi. Un reggimento di lanceri si precipitò alla carica giù per il Grande Viale. Erano armati di foglie d’agrifoglio con le quali nel passare sgraffiano terribilmente il nemico. Peter udiva il piccolo popolo gridar da ogni parte che c’era una creatura umana nei giardini dopo l’ora della chiusura, ma non gli venne fatto di pensare neppure un momento che la creatura umana fosse lui. Egli si sentiva la testa sempre più piena e imbottita, e sempre più desiderava sapere che cosa dovesse fare al suo naso, ma invano affrontava le fate con la importante domanda: le timide creature scappavano dinanzi a lui, ed anche i lanceri, quand’egli si trovò loro vicino sul pendio della Gobba, svoltarono lesti in un vialino di fianco, pretendendo di aver visto l’intruso fuggir per di là.
Disperando di ottener risposta dalle fate, egli risolse di consultare gli uccelli, ma nel tempo stesso si ricordò, come di una cosa stranissima, che tutti gli uccelli appollaiati sul salice erano volati via al posarsi di lui, e sebbene questo allora non lo avesse affatto colpito, adesso ne capì il significato. Ogni essere vivente scansava il suo incontro! Povero piccolo Peter Pan! Egli si sedette giù e pianse, e anche in quel momento non si accorse che, per un uccello, non sedeva sulla giusta parte. Fu una fortuna che non se ne accorgesse, perché altrimenti avrebbe perduto la fede nel suo potere di volare, e nel momento stesso che voi dubitate di poter volare, cessate anche dall’essere in grado di farlo. La ragione per cui gli uccelli possono volare, e noi no, è semplicemente questa, che essi hanno perfetta fede, perché avere la fede è avere le ali.
Ora, salvo che volando, nessuno può raggiungere l’isola che è in mezzo alla Serpentina, perché alle barche degli umani è proibito di approdarvi, e tutto in giro ci son tanti pali che spuntan fuori dall’acqua, su ciascuno dei quali siede di sentinella giorno e notte un uccello. Verso quest’isola spiccò adesso il volo Peter Pan, per andare ad esporre il suo strano caso al vecchio Salomone Gracchia, e vi atterrò con sollievo, molto contento di ritrovarsi finalmente a casa, come gli uccelli chiamano l’isola. Tutti dormivano, comprese le sentinelle, ma eccetto Salomone, che stava affatto sveglio sopra il suo ramo. Senza punto scomporsi, egli prestò tranquillamente orecchio al racconto che Peter gli fece del suo caso, e quindi altrettanto tranquillamente rivelò al consultante il motivo della generale paura.
— Guarda alla tua camicia da notte — gli disse — se non vuoi credere a me; — e Peter guardò con occhi sbarrati la sua camicia da notte e poi gli uccelli dormienti. Nessuno di questi portava addosso nulla di simile.
— Quante zampe hai? — domandò Salomone alquanto crudelmente, e Peter vide con sua grande costernazione che egli ne aveva due più del giusto. Il colpo fu così forte che gli vuotò subito la testa.
— Gonfia le tue penne — seguitò ancora Salomone, e Peter si sforzò disperatamente di arruffar le sue penne, ma non gli riuscì perché non ne aveva. Allora si levò su tutto tremante e per la prima volta dacché s’era posato sul davanzale della finestra, si ricordò di una bella signora che era stata veramente pazza di lui.
— Io penso che farò bene di ritornar da mia madre — disse con timida voce.
— Buon viaggio — replicò Salomone Gracchia guardandolo di sotto in su.
Ma Peter esitava.
Perché non parti dunque? — chiese il vecchio ironicamente.
— Io suppongo — disse Peter tossendo — io suppongo che potrò ancora volare? —
Voi vedete che egli aveva persa la fede.
Povero piccolo mezzo e mezzoesclamò Salomone, che, in fondo, non aveva il cuore duro. — Tu non sarai mai più capace di volare, neppure nei giorni di vento. Devi rassegnarti a vivere nell’isola per sempre.
— E non potrò neanche andare fino ai giardini? — chiese Peter con tragico accento.
— Come puoi traversare l’acqua? — gli obbiettò Salomone.
Tuttavia, molto gentilmente, il vecchio uccello promise a Peter di insegnargli tutti quegli usi uccelleschi che con una forma così sgraziata fosse per poter imparare.
— Allora io non sarò un vero e proprio essere umano?
— No.
— E neppure precisamente un uccello?
— Neppure.
— Che sarò dunque?
— Sarai un Forse-che-sì-forse-che-no — rispose Salomone, e certamente egli era un gran saggio, perché la predizione si avverò per l’appunto.
Gli uccelli dell’isola non potevano mai abituarsi a lui. Le sue singolarità li meravigliavano ugualmente ogni giorno, come se fossero cose sempre nuove, sebbene fossero piuttosto gli uccelli che erano sempre nuovi. Ne venivan fuori cotidianamente dal guscio e si divertivano un mondo a veder Peter Pan; dopo, ben presto, volavano a diventare dei bimbi, e altri piccoli rompevano il guscio; e così seguitava sempre. Le accorte mamme, quando i piccoli tardavano a mettere il capino fuori del guscio, solevano spingerli a sbrigarsi sussurrando loro che non si lasciassero sfuggir l’occasione di veder Peter che si lavava o mangiava o beveva. Migliaia di uccellini si affollavano intorno a lui ogni giorno per vederlo a far queste cose, precisamente come voi osservate gli uccellini, e mettevano grida di gioia quando egli chiappava con le mani invece che, come usa, con la bocca le croste gettategli. Il cibo glielo portavano dai giardini gli uccelli adulti su ordine ricevuto da Salomone. Egli non voleva mangiare né vermi né insetti (ciò che, a loro parere, era molto sciocco da parte sua), e perciò essi gli portavano del pane nei loro becchi. Così, voi che gridate: “Ingordo, ingordaccio! all’uccello che fugge via colla grossa crosta nel becco, ora sapete che non dovete farlo, perché esso molto probabilmente la porta a Peter Pan.
Peter non indossava più la camicia da notte. Dovete sapere che gli uccelli stavano sempre a pregarlo di darne loro un pezzetto per rivestirne i loro nidi, ed egli, siccome aveva buon cuore, non sapeva dire di no; cosicché per consiglio di Salomone aveva nascosto quel che gli era di essa rimasto. Ma, sebbene egli fosse ora completamente ignudo, non dovete già credere che avesse freddo e fosse infelice. Era invece abitualmente felicissimo e gaio, e la ragione era che Salomone aveva tenuto la sua promessa e gli aveva insegnato molti costumi degli uccelli: il contentarsi di poco, per esempio, e lo star sempre facendo qualche cosa, ed il credere che, a qualunque cosa attendesse, si trattasse sempre di una cosa della più alta importanza. Peter diventò anche molto bravo nell’aiutare gli uccelli a fabbricare i loro nidi; presto li seppe fabbricare meglio dei colombi selvatici, ed in seguito altrettanto bene quanto i merli, sebbene non riuscisse mai a soddisfare i fringuelli; e costruiva dei piccoli abbeveratoi assai graziosi in vicinanza dei nidi e con le dita raccoglieva vermi pei piccoli. Diventò, insomma, assai dotto nella scienza uccellesca, e imparò anche, per esempio, a riconoscere il vento di levante da quello di ponente al loro diverso sentore, e venne in grado di veder l’erba crescere, e udire i vermi camminare sotto la corteccia dei tronchi. Ma la cosa più bella che Salomone aveva fatto, era stata quella d’insegnargli ad avere un cuore sempre lieto. Tutti gli uccelli hanno sempre il cuore lieto, salvo che voi prediate loro i lor nidi, e perciò, siccome quella era l’unica specie di cuore che Salomone conoscesse, non gli era stato difficile d’insegnare a Peter come fare per averla.
Il cuore di Peter era così lieto, che egli si sentiva obbligato a cantar tutto il giorno, precisamente come gli uccelli cantano per gioia, ma, essendo in parte creatura umana, egli aveva bisogno di uno strumento, e perciò si fece una zampogna di canne. Usava la sera andare a sedersi sulla spiaggia dell’isola, afferrando l’odore del vento e il mormorare dell’acque e raccogliendo manciate di lume di luna, e metteva tutto ciò dentro la sua zampogna, e poi suonava così dolcemente che gli uccelli ne restavano ingannati e dicevano tra loro: “È un pesciolino che guizza nell’acqua o è Peter Pan che suona la sua zampogna?”
Qualche volta egli cantava la nascita degli uccelli, e allora le mamme si guardavano intorno nei nidi per vedere se non avessero deposto un altr’uovo. Chi frequenta i giardini conosce certamente il castagno vicino al ponte, che mette i fiori prima di tutti gli altri castagni, ma forse non ha inteso dire perché quell’albero ha questo privilegio. Ciò è perché Peter desidera molto l’estate e suona che essa è venuta, e il castagno essendo così vicino lo ode e resta ingannato.
Ma qualche volta, quando Peter sedeva così sulla spiaggia e suonava così divinamente sopra la sua zampogna, gli venivano dei tristi pensieri, e allora la musica diventava triste pur essa, e la ragione di tutta questa tristezza era che egli non poteva arrivare sino ai giardini, sebbene potesse vederli attraverso l’arcata del ponte. Egli sapeva che non avrebbe più potuto tornare ad essere una vera creatura umana e poco gl’importava in realtà, ma, oh!, quanto, quanto bramava di poter giocare come giocano i bimbi, e senza dubbio per giocare non c’è posto più splendido dei giardini. Gli uccelli gli portavano notizie del come giocano i bimbi e le bimbe, e grosse lacrime di desiderio rigavano la faccia attenta di Peter.
Forse voi vi maravigliate che egli non traversasse a nuoto il braccio della riviera. La ragione era che egli non sapeva nuotare.
Desiderava d’imparare come si fa, ma nessuno era pratico, salvo le anatre, e queste son tanto stupide. Avevano tutta la buona volontà possibile di insegnarglielo, ma quanto sapevano dirgli era tutto qui: “Tu ti siedi sull’acqua in questa maniera e poi dài dei colpi di piede all’acqua stessa così”. Peter si provò varie volte, ma ogni volta, prima che potesse menare i piedi, affondava. Quello che egli realmente aveva bisogno di sapere era come ci si siede sull’acqua senza affondare, e le anatre dicevano che era affatto impossibile di spiegare una cosa tanto facile quanto quella. Occasionalmente approdavano all’isola dei cigni, ed egli dava loro volentieri tutto il suo cibo di quel giorno per poi saperne in ricambio come ci si siede sull’acqua, ma appena egli non aveva più nulla da dar loro, quelle cattive bestiacce lo ricompensavano a fischi e salpavano subito via.
Una volta egli credette realmente di avere scoperto un mezzo per raggiungere i giardini. Uno strano oggetto bianco, simile a un foglio di giornale fuggiasco, svolazzava su in alto sopra l’isola e a poco a poco venne cadendo giù a terra, ondeggiando e sbandando come un uccello che ha avuto rotta una delle sue ali. Peter ne fu così spaventato che corse a rimpiattarsi, ma gli uccelli gli dissero che non era altro che un cervo volante, e gli spiegarono che cos’è un cervo volante e che quello doveva avere strappato la sua funicella di mano a un qualche ragazzo e così esser volato via. Dopo di che ebbero a burlare Peter, perché si mostrava tanto innamorato del cervo volante; egli ne era infatti così innamorato che dormì persino con una mano su esso, ma io penso che questo era anzi commovente e grazioso, perché la sua ragione era a trovarsi nel fatto che il cervo volante aveva appartenuto a un bimbo vero.
Per gli uccelli questa era una ragione molto meschina, ma i più vecchi fra essi erano in quel tempo pieni di gratitudine per lui perché aveva assistito un buon numero di piccini presi dalla rosolia, e perciò si offrirono di mostrargli come gli uccelli fanno volare un aquilone. Cinque di essi presero l’estremità della funicella nei loro becchi e staccarono il volo tenendola stretta; e con grande stupore di Peter l’aquilone volò dietro loro e si levò anche assai più in alto di loro.
— Un’altra volta, un’altra volta! — egli pregò, e gli uccelli gentilmente servizievoli lo rifecero parecchie volte, e sempre invece di ringraziarli egli esclamava con voce di preghiera: — Un’altra volta! — ciò che mostra come egli non avesse ancora dimenticato del tutto le abitudini dei bimbi.
Alla fine, chiudendo un gran disegno nel valoroso suo petto, egli li supplicò di farlo un’unica volta ancora, ma con lui aggrappato alla coda.
Questa volta non più cinque, ma un centinaio di uccelli strinsero la fune nel becco, mentre Peter serrava tra le mani la coda coll’intenzione di lasciarla andare appena fosse sopra i giardini. Ma per aria la coda si staccò e Peter sarebbe affogato nella Serpentina, se non si fosse aggrappato a due cigni invano reluttanti e non li avesse costretti a ritrasportarlo sino alla riva dell’isola. Dopo di che gli uccelli dichiararono che non lo avrebbero più aiutato nella sua matta intrapresa.
Ciò nondimeno, Peter alla fine riuscì a raggiungere i giardini coll’aiuto della barchetta di Shelley, come ora vi racconterò.
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J. M. BARRIE
l'illustrazione è: Magico Trio, di Nicola Aresta http://www.nikyart.com/index.htm

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