scritta e addrizzata dalla medesima
A
MILEDY
CONTESSA DI ROSCOMOND
AMBASCIATRICE DELLA CORTE DI FRANCIA
OPERA
DI
MADAMA RICCOBONI
CELEBRE AUTRICE FRANCESE
Traduzione arbitraria
DEL SIG. AVVOCATO CARLO GOLDONI
AL CHIARISSIMO SIGNOR
ABBATE GIAMMARIA MANENTI
L'AVVOCATO CARLO GOLDONI
Moltissime, e posso dire innumerabili, sono le grazie che ho ricevute dal dotto e amabile cavaliere il signor marchese Francesco Albergati Capacelli; ma quella che ha più lusingato il mio amor proprio, è l'onore ch'egli mi ha procurato della vostra conoscenza. Veggio nella lettera sua da Voi recatami, che Voi siete l'amico del di lui cuore. Posso vantarmi di esserlo stato io pure, e mi lusingo di esserlo ancora. Questa fraternità morale mi ha legato a voi nel primo istante, e le qualità vostre, e la dotta vostra conversazione, mi hanno fatto applaudire l'amico comune che vi rende giustizia, e lungi di destare in me lo spirito di rivalità, mi ha riempito per Voi di una sensibile ammirazione.
L'estensione di questa capitale immensa e le turbolenze dalle quali ella è attualmente agitata, non ci permettevano di frequentarci quanto avrei desiderato; ma incontrandoci soventi volte in casa di sua eccellenza il signor cavaliere Pisani ambasciatore veneto
Grande, istrutto, social, prudente, umano,
Virtudi ascose da modestia invano
agio Ebbi di communicarvi una mia traduzione, che non solo voi trovaste aggradevole, ma non indegna vi parve dell'approvazione del pubblico.
Parlovi della Storia di Miss Jenny, la cui lettura meritò i suffragi dell'erudito cavaliere il signor Antonio Bollani, patrizio veneto; che fece piangere l'egregio signor Lorenzo Vignola, secretario regio di questa veneta attuale ambasciata in Francia, e soavemente penetrò e commosse i cuori di tutti quelli che s'interessarono alla peripezie dell'eroina del libro.
Voi mi conoscete abbastanza, signor abate veneratissimo, per non credere ch'io ardisca far l'elogio della mia traduzione. Tutto il merito è riservato alla celebre autrice che fu dall'Europa tutta ammirata, ed in tutte le lingue tradotta.
Tremo anzi, che dall'opinione di molti, questo mio lavoro arbitrario non sia reputato soverchiamente ardito.
Madama Riccoboni in due volumi l'avea pubblicato. Io pure, comecché abbia ristretta di molto l'opera, l'ho ridotta in due tometti. Di molte bellezze ho privato quest'opera, lo confesso, poiché la penna erudita di questa donna immortale sa rendere interessanti le cose meno essenziali; ma invaghito di quest'opera, che nel suo genere può chiamarsi sublime, ho creduto aumentare il piacere della lettura approssimando con un poco più di rapidità i fatti, le immagini, le riflessioni, ed ho creduto far cosa grata alla mia nazione presentandole una catastrofe degna della femmina virtuosa, che dopo aver fatto tremare il lettore, trovasi in grado di consolarlo.
Vi sovverrete, signor abate amico e padrone mio stimatissimo, che questo mio lavoro copiato nettamente non era, quando l'onoraste della vostra attenzione; l'ho fatto trascrivere dopo la vostra partenza, e profitto dell'occasione per ispedirvelo.
Fatene parte, vi prego, al nostro intelligente, sincero amico Albergati, e s'egli unisce la sua approvazione alla vostra, fatene quell'uso che vi suggerirà la vostra prudenza, e quell'amicizia di cui mi onorate. Vi lascio padrone libero di quest'opera, scarso dono, se non riguardasi che la mia traduzione, ma rispettabile per il merito dell'originale; e conoscendo il mio paese, piacevol dono può essere per quei medesimi che fossero di questo romanzo istorico con altre traduzioni istruiti.
Parigi; 20 maggio 1791
PARTE PRIMA
L'ONORE, CHE ACCORDATO MI AVETE, madama, della graziosa vostra amicizia, mi ha sempre fatto desiderare di meritarla; e come le mie vicende, e quelle della defunta mia genitrice, ci hanno sovente esposte l'una e l'altra alla critica, credomi in necessità di giustificare agli occhi vostri la condotta sì dell'una, che dell'altra.
Lady Sara, che a me diede la vita, figlia era di milord Alderson, uomo altrettanto ricco de' beni di fortuna, quanto scarsamente ornato di quelli della natura; conosciuto voi non l'avete; e come dalla singolarità del suo carattere ebbero origine le nostre peripezie, necessario è ch'egli serva di preliminare alla storia della mia vita, ch'io intendo sottomettere al giudizio vostro.
Milord Alderson, uno de' più ricchi pari della Gran Bretagna, passò i suoi primi anni a Londra; egli era bello, e ben fatto. Dopo aver vedute le differenti corti di Europa, ritornò nella sua patria adornato di qualche conoscenza superfiziale. I suoi viaggi e le lunghe sue osservazioni gli instillarono un gusto particolare per tutto ciò che può rendere un uomo amabile. Ei conosceva la musica, ballava perfettamente, aveva bastante spirito, ma poco senno, e meno ancora dotato era di buoni principii; parlava bene, ma pensava male: era vano, ardito, inconsiderato; amante di se stesso, tutto trascurava, eccetto che la sua persona. Non ha mai conosciuto l'amore, ma però si dilettava di fingerlo, e si gloriava di saperlo inspirare.
Milord fu qualche tempo alla moda, ma terminò di piacere; cosa che lo rese inconsolabile. Arrivato all'età di esercitare gli impieghi convenienti al suo rango, egli vide preferire alla sua persona nelle nominazioni degl'uomini che gli parevano essere a lui inferiori, ma che per le loro qualità personali giustificavano la scelta del principe e la stima della nazione. Avendo appena toccato il trentesimo anno dell'età sua, lasciò Londra, si ritirò a Northumberland, dove aveva delle terre, risoluto di là soggiornare, di formarsi una corte, e di giammai ricomparire a quella di Londra.
ll suo naturale pieno di pretensione, un fasto più capace di rivoltare la nobiltà indigente, che di guadagnar la sua stima, niuna attenzione per chi che sia, grandissima presunzion di se stesso, molta alterigia, e nulla affatto di compiacenza, lo resero poco abile ad attirarsi l'amicizia de' suoi vicini. Egli ottenne dai gentiluomini di sua provincia i loro freddi omaggi dovuti ai grandi. Il suo rango meritava dei riguardi, ma la sua persona inspirava dell'allontanamento; e questi doveri essendosi limitati a delle brevi visite, Milord si trovò isolato. Comprese egli ben presto che la solitudine non può render l'uomo felice, e che non può convenire a tutti gli stati, né a tutti i caratteri.
La noia lo condusse a visitare i differenti luoghi del suo dominio. Fece un viaggio in Irlanda; contrasse colà la conoscenza di lady Onèale, vedova nobile, bella e giovine, ma senza fortune. La sposò, rivenne con essa in Inghilterra, e la perdette cinque anni dopo, avendo da lei avuto due figli, maschio l'uno, e l'altra femmina; la figlia, chiamata Sara, fu posta in una pensione vicina di Londra e l'erede del di lui nome, sol oggetto delle sue attenzioni, abitò nel castello di Alderson, ove Milord dimorava dopo il suo matrimonio.
Questo giovine figlio, rapito all'età di quattordici anni da una febbre maligna, lasciò a sua sorella la sicurezza della più gran fortuna. Io non vi dipingerò lady Sara, voi l'avete veduta, madama; educata con essa, voi avete avuto il tempo di conoscere le qualità del di lei animo. La tenera sorpresa vostra, e i trasporti di gioia che dimostrati avete alla vista del suo ritratto, ch'esiste ancora presso di me, mi hanno assicurata che la sua effigie non fu mai scancellata dal vostro cuore. Aggiungeva ella, vivendo, ai doni della natura quelli che collo studio e coll'educazione aveva acquistati. La sua conversazione era sempre eguale, il suo cuore sempre sensibile, e l'indole sua portata sempre alla bontà e alla dolcezza. L'elevatezza del suo spirito la rendeva capace di fermezza; ma un'estrema docilità la portava verso la compiacenza, e le dava quel carattere amabile che forma la felicità degl'altri, piucché la nostra.
Milord Alderson fu estremamente afflitto per la morte di suo figliuolo, perché dovea egli sostenere la sua casa vicina ad estinguersi, e portare un nome al quale Milord era sommamente attaccato. La morte del giovine distrusse le di lui speranze: richiamò sua figlia, e pensò di maritarla. La destinò al figlio di sua sorella, padre di sir Henri, volendo far passare i suoi titoli in testa di questo giovine, e obbligarlo a portar l'armi e il nome di milord Alderson; ma suo nipote essendo assente, e molto lontano dal regno, Milord non si pressò di partecipargli il suo disegno.
Lady Sara viveva da sei mesi presso suo padre, quando milord conte di Revell venne ad abitare Wersteney, terra assai bella, tre miglia lontana da Alderson. Una ferita considerabile lo costrinse a lasciare il servizio militare; ma non contava di allontanarsi dalla corte per molto tempo. La sua presenza e le sue sollecitazioni erano troppo necessarie ad un giovine lord, ch'egli amava come se stato fosse suo figlio: era questi unico rampollo di una famiglia illustre, l'unico figlio del duca di Salisbury. Voi saper dovete, madama, che questo duca, dopo essersi forzato per parecchi anni di sostenere un partito giusto, ma debole e sventurato, pagò in fine con la sua testa il nobile attaccamento ch'egli mostrava per il sangue de' suoi antichi padroni. La sua caduta tirò seco quella di tutti i suoi aderenti. La sua famiglia rovinata cercò un rifugio lungi dalla sua patria. Edoardo, suo figlio, ancor nella culla fu confidato all'amicizia di milord Revell, che lo guardò sempre gelosamente, come un pegno prezioso che desiderava di conservare, e sperava di far rivivere un giorno colle onorate prerogative de' suoi maggiori. Questo giovine, che portava il nome di Salisbury, e prometteva di aumentare sempre più l'antico lustro della sua famiglia, giunto era all'età di ventidue anni, quando il conte di Revell lo condusse seco alla terra di Wersteney ove passar destinava qualche mese, per terminar di guarire dalle conseguenze dolorose di una ferita, che riportata avea nell'ultima battaglia navale contro i francesi.
L'antica conoscenza fra il conte di Revell e milord Alderson, e la vicinanza delle loro abitazioni offerendo sovente ad Edoardo e a Sara l'occasion di vedersi, fecero ben presto comprendere, ch'erano formati tutti e due per piacersi. Lady Alderson ammirava Edoardo, ed egli concepì un desiderio ardente di essere da lei amato; ma non osando né parlar, né sperare, cadde in una melancolia, di cui milord Revell non tardò ad avvedersi. Egli se ne inquietò, e volle saperne la causa. Edoardo, naturalmente veritiero, non poté mancare di confidenza per un amico sì generoso; gli aprì il suo cuore con quella nobile franchezza ch'è inseparabile da una bell'anima, confessando a Milord che tutte le sue speranze di felicità erano distrutte, s'egli disapprovava i suoi sentimenti.
Il Conte avrebbe desiderato che la sua inclinazione si fosse manifestata per un'altra. Non faceva gran caso di milord Alderson, e lo vedeva di rado; nonostante rese giustizia al merito conosciuto della figliuola amata e rispettata da tutta la nobiltà di que' contorni. Da un'altra parte ella doveva godere di una grande fortuna, e questa ragione determinò il Conte a secondare le viste del suo protetto. Sollecitò a questo fine con maggior ardore il perdono del re alla memoria del padre di Edoardo, ed il ristabilimento del figlio. Un'illustre nascita, mille amabili qualità, i doni generosi di milord Revell, la sicurezza di essere il suo erede resero Edoardo un partito così vantaggioso, che milord Alderson non ha saputo trovar obbietti ad un progetto sì conveniente. Il conte di Revell domanda ad Alderson la sua amicizia, insegna all'amante di Sara l'arte di adattarsi senza viltà all'insopportabile vanità di quest'uomo orgoglioso, e mediante le saggie precauzioni e gli onesti artifizi della sua condotta gli riuscì di rendere Edoardo grato a milord Alderson, di maniera che nel momento medesimo in cui fu fatta l'apertura della desiderata unione, fu sentita con giubilo la proposizione, e fu senza difficoltà accettata.
Lady Sara non fu sopra di ciò consultata; ma il di lei cuore ben prevenuto in favore di Edoardo si sommise senza difficoltà ad accordare il suo consentimento. Le condizioni furono stabilite, fu fissato il giorno in cui stringere si doveano sì dolci nodi; ma il conte di Revell cadde perigliosamente ammalato. Egli si ritrovava al castello di Alderson, quando fu dalla febbre sorpreso. La sua ferita si riaprì, ed il suo male si dichiarò con tanta violenza, che si giudicò non poterlo trasportare senza pericolo. Egli dunque restò ad Alderson, ed Edoardo, sempre vicino a lui, mostrò tutta quella sensibilità che il di lui stato gli doveva inspirare: un'indole sì tenera, sì riconoscente, sì lontana da quelle viste interessate e basse colle quali un erede ordinariamente consola il suo dolore, qualità sì bene osservate da lady Sara, che il di lei amore divenne ancora più ardente. Edoardo avea uno di que' caratteri, che guadagnano molto nello svilupparsi, e nei quali le circostanze fanno discoprire delle nuove virtù.
Tutto il tempo che milord Revell guardò il letto, Edoardo e Sara non abbandonarono mai la di lui camera; eglino si disputavano l'uno e l'altro il piacere di raddolcirgli la tristezza della sua situazione, di consolarlo, di mitigare i suoi mali con delle attenzioni carezzanti; e quando si trovò meglio, d'inventare le maniere di divertirlo nella sua convalescenza. Passarono tre mesi senza che Milord potesse sortire dal suo appartamento. Durante questo tempo Edoardo e Sara sempre insieme presero l'abitudine di vedersi, di amarsi e di scambievolmente trattenersi del loro amore. I loro cuori si legarono con tutti que' vincoli che suol formare la confidenza; e questa dolce intrinsichezza aumenta ordinariamente gli allettamenti dell'amore, e riunisce alla sua vivacità i sentimenti solidi della stima e dell'amicizia.
La loro sorte dipendeva dal perfetto ristabilimento del Conte. Eglino lo desideravano con pari ardore. Alla fine il giorno tanto bramato fu dichiarato per la seconda volta. La vigilia di questo giorno, milord Alderson ha voluto rivedere gli articoli, e communicare al conte di Revell i cambiamenti che pensava di farvi. Arrivati i notai, ordinò loro di stipulare gli atti in conseguenza delle nuove sue idee, e si chiuse in compagnia del Conte per communicargliele.
Lady Sara, vicina di godere di una sorte felice che aveva desiderata tremando, e non avrebbe osato sperare così vicina, non ardiva ancora fissar gli occhi con sicurezza sopra l'oggetto dell'amor suo. Obbligata di corrispondere alle finezze con cui l'amante suo la trattava, e temendo di sorpassare i limiti permessi ad una onesta giovine promessa in isposa, ma non ancora col matrimonio legata, levossi di tavola dov'era restata col futuro sposo seduta. Sortì nel cortile, e come se bisogno avesse di prender aria, traversò i giardini, e si innoltrò verso un bosco, ov'era solita di passeggiare. Veggendo Edoardo ch'ella non riveniva sì presto come credeva e come desiderava, sortì per la porta medesima, la scoprì di lontano, affrettò i passi, e la raggiunse ben tosto. Sara arrossì, e si sconcertò sì fortemente veggendolo, ch'egli ne fu sorpreso ed afflitto. Edoardo rimproverò teneramente lady Alderson per quell'aria di confusione che appariva sul di lei volto. Mille dubbi nacquero nel di lui animo; per la prima volta ei cominciò a temere che accordandogli la mano ella non facesse che rassegnarsi al dovere dell'obbedienza. Questi sospetti, ch'egli non occultò a lady Sara, l'afflissero vivamente. Le proteste reiterate di lady Alderson della sua tenerezza, la confessione sincera dei movimenti involontari del di lei cuore, che l'agitavano, gl'ispiravano del timore, e l'aria di verità, dalla quale i suoi discorsi erano accompagnati, dissiparono ben presto l'error di Edoardo.
Una picciola pioggia incominciò ad incomodarli. Essi s'innoltrarono verso un boschetto contornato di alberi odorosi, e ornato de' più bei fiori della stagione. La sicurezza di questo asilo ve li trattenne. Si assisero sopra un sedile erboso, e stettero qualche momento senza parlare. Il comodo di questo luogo, il canto di un numero infinito di uccelli, il mormorio di una caduta d'acqua che avevano in perspettiva, fece arricordar loro quel passo di Milton, ove le due creature sovrane del mondo alzarono gli occhi per contemplare le meraviglie dalle quali erano circondate, e non furono penetrate di ammirazione che allora quando s'incontrarono i loro sguardi. Sara, calmato avendo il suo spirito, pareva nel di lei volto più tranquilla e serena. Il suo carattere naturalmente gioviale le faceva meschiare le grazie della leggiadria alle tenere espressioni del cuore; quando ella scoperse Edoardo in una profonda meditazione. Ella si sbigottì, lo pressò di dirle qual era il pensiere che l'occupava. Egli se ne esentò, sospirò, la scongiurò di non mostrargli una curiosità ch'egli non avrebbe osato di soddisfare. Parlandole, fissò sopra di lei gli occhi talmente appassionati, che scorgevasi nei di lui sguardi il desiderio che lo animava, e la resistenza che si sforzava di opporle. Prendeva egli le mani di Sara, le stringeva con ardore, le copriva di baci infiammati. Un momento appresso le respingeva dolcemente; mostrava evitar di toccarle, si allontanava, rivolgeva la faccia altrove, pareva che temesse di lasciarsi scoprire.
"Dubitare? Voi, mia cara Sara," gridò Edoardo "voi dubitare dell'amor mio? Ah! replicatemi cento mille volte che voi siete pronta ad unire le vostre viste alle mie." Lady Alderson lo giurò; ella invocò l'onore e la verità in conformazione del giuramento. Edoardo trasportato cadde a' suoi piedi, la strinse fra le sue braccia, e di un tuono basso e timido teneramente le disse: "Ah Sara! saremo maritati domani, domani sarete mia, e dovrò il piacere di possedervi all'atto autentico che si stipula in questo momento, ad una pubblica cerimonia, all'ordine di vostro padre, alle bontà di un amico! Ah perché non potrei dovere una sì grande felicità a voi sola, alla vostra scelta, al nostro amore, a nostri comuni desideri? La prova dei vostri sentimenti dipende oggi da voi; domani essa sarà la conseguenza indispensabile del voto di obbedienza, che voi avrete pronunziato appiè dell'altare. Ah, se voi mi amate, partecipate dell'ardor del mio cuore, colmate le mie brame, fate ch'io possa dire: Sara, la mia cara Sara, si è data ella stessa al suo fedele amante."
"Che osate voi di propormi?" interruppe lady Alderson. "A me un tal discorso? A quella da cui ricever dovete necessariamente la fede, voi tenete, voi avanzate de' sentimenti ingiuriosi? Quando un'obbligazione sacra è vicina a riempire le vostre speranze, volete voi?...
"No, io desidero, e non esigo" disse tristamente Edoardo. "Sono temerario, condannabile senza dubbio, se voi mi opponete un’osservanza di convenzione e i pregiudizi del mondo: catene crudeli, delle quali la politica e l'interesse fabbricarono il composto molesto. Un movimento che la natura ispira a tutti gli esseri sensibili, un sentimento vivo e sincero, i miei desideri, la libertà: ecco i miei diritti. La compiacenza, l'amore, la bontà devono farli valere nel vostro cuore. Io non ho alcuna ragione contro ai vostri rifiuti; ma sento una passione estrema di godere di un bene che mi sia volontariamente accordato, e mi assicuri ch'io sono veramente l'oggetto della vostra preferenza. Cedete," continuò egli in raddoppiando le sue carezze "cedete, mia cara Sara, fate che un dolce consentimento compisca la mia felicità, la mia vera e costante felicità. Ah! se ottengo questa grazia sì grande, riguarderò sempre mai in mia moglie un'amante tenera e generosa. Ripeterò ogni giorno con diletto, con riconoscenza: 'ella mi ha reso felice non da altri stimoli consigliata che dalla sua volontà'. Mi sovverrò sempre di avervi ricevuta dalle mani d'amore: giammai, giammai ripenserò a questa vostra amabile condiscendenza, senza esserne teneramente commosso; e se nel corso di nostra vita qualche avvenimento turbasse l'unione de' nostri cuori, se io ardissi resistere alle vostre brame, ricordatemi questa pruova di stima, di confidenza: essa mi farà cadere a' vostri piedi, e tutto vi sarà accordato."
Ah madama, qual linguaggio! L'uomo il meno artifizioso possede il talento di sedurre un cuore sensibile.
Sara, non potendo articolare accenti, versò delle lacrime. La sua collera si cangiò in pietà. Ella biasimava il capriccio del tenero amante; ma fremeva di veder in lui un desiderio, ch'ella non dovea soddisfare. Le di lui reiterate preghiere, le di lui rappresentazioni, qualche favor leggero condizionatamente accordatogli aumentarono nel sen dell'amante il fuoco ch'ella credeva diminuire. Voleva ella staccarsi dalle sue braccia, allontanarlo da lei; confusa, smarrita, smaniava inutilmente; la sua agitazione, i suoi pianti, il suo disordine la rendevano ancora più interessante. Edoardo trasportato dalla violenza della sua passione cessò di ascoltarla, cessò di temerla; egli ottenne quel favore sì caro, sì prezioso, sì vivamente desiderato, domandato con tanta imprudenza, e rifiutato con troppa debolezza.
Quale gioia negli occhi del giovine lord! Qual tenera confusione in quelli di lady Sara! Quai trasporti! Quali promesse! Quai giuramenti di non scordar giammai questo dolce momento!
Tre ore erano velocemente passate, quando lady Sara avvertì Edoardo ch'erano attesi per sottoscrivere forse il contratto e lo sollecitò di ritornare presso milord Revell. Ei non voleva lasciarla, le diede la mano per condurla al suo appartamento. Nel traversare una loggia, ella scoperse dei servitori in moto ed una carrozza attaccata, che riconobbe esser quella del conte Revell. Qualche momento dopo intese la voce del Conte medesimo che chiamava i suoi servi, ordinando loro con un tuono che dinotava ira e furore, che si cercasse Edoardo, e che fosse a lui immediatamente condotto.
Quest'annunzio fece tremare egualmente lady Sara ed Edoardo: temettero entrambi, che qualche inconveniente non sopravvenisse ad alterare quella dolce tranquillità di cui i loro cuori godevano; non s'ingannarono, ed ecco la crudele avventura che li sorprese.
Milord Alderson, dominato da una eccessiva ambizione e da uno smisurato amor proprio, perduta avea colla morte di suo figliuolo la speranza di far passare nella sua posterità il suo nome, i suoi titoli, e le sue dignità; pensato aveva di correggere gl'insulti della natura maritando lady Sara sua figlia con il figliuolo di una di lui sorella, il quale non essendo che un semplice gentiluomo, non avrebbe ricusato di cambiare il nome della sua famiglia con quello di Alderson; ma come il partito di Edoardo propostogli dal conte di Revell gli parve più elevato, e più avvantaggioso, si attaccò a questo più volentieri, e lasciò l'altro senza difficoltà.
Lo stato in cui trovavasi Edoardo, il di cui padre reo di ribellione proscritto era stato dal regno, fece credere al vano ed ambizioso Alderson che il nuovo genero non ricuserebbe di accettar colla mano di Sara il nome, i titoli, e le facoltà del suocero; così Milord, senza degnarsi di parlare al giovine di quello ch'ei meditava, credette solamente necessaria l'approvazione del Conte. Non immaginò di ritrovare la minima difficoltà, e con questa fiducia gli scoprì i suoi disegni; ma quando egli si lusingava di vederli da lui approvati, ignorava quanto milord Revell era attaccato alla memoria di un amico suo sventurato: posta aveva egli tutta la sua ambizione a rilevare una casa, il capo della quale viveva ancor nel suo cuore, col prezzo dei suoi passi, delle sue attenzioni, e forse della sua medesima vanità, se però si può senza ingiustizia dar questo titolo ai movimenti di un cuor generoso.
Giammai sorpresa eguagliò quella del Conte in ascoltando milord Alderson. Aveva egli consentito quasi per forza alle preghiere di Edoardo. Si pentì allora della sua condiscendenza. La proposizione di Milord lo rivoltò; ma senza lasciar comparire quanto la trovava stravagante e inonesta, intraprese di ricondurlo con dolcezza a seguire il primo piano, ed a sottoscrivere gli articoli, come li avevano estesi tre mesi innanzi.
Gli rappresentò che sarebbe una macchia indelebile alla riputazione di Edoardo, se abbandonasse il nome di un padre sventurato, che per quest'azione egli comparirebbe essere del partito degl'inimici della sua casa, farebbe credere ch'egli applaudisse al decreto funesto eseguito sopra il duca di Salisbury, e toglierebbe crudelmente ai suoi, dispersi pel mondo, la speranza di riveder giammai la loro patria, della quale poteva egli solo ancora riaprir loro il cammino; gli mostrò delle lettere, che assicuravano i fortunati successi delle di lui sollecitudini appresso il re; queste gli promettevano che al ritorno della campagna, la quale stava per cominciare, Edoardo sarebbe ristabilito alla corte nello splendore di uno de' più antichi pari del regno, ricupererebbe i suoi beni, riunirebbe sopra il suo capo i titoli di sua casa, e potrebbe col tempo pretendere alle cariche ed agl'impieghi che possedeva suo padre. Queste asserzioni avvantaggiose, queste brillanti promesse non fecero cambiamento alcuno nelle risoluzioni di milord Alderson. Egli era stato troppo mal contento della corte per amarla, e non credeva gli onori militari una giusta compensazione dei pericoli ai quali l'uomo si espone per acquistarli. Così lontano di cedere a ragioni che a lui comparivano frivole, manifestò nella sua risposta delle intenzioni assolutamente incompatibili con quelle del Conte. Non solamente egli si ostinò a voler far prendere il di lui nome a Edoardo, ma pretendeva ancora, che limitandosi alla fortuna di Sara, alle beneficenze di milord Revell, egli lasciasse il servizio militare, e rinunziasse al favor della corte.
Questi punti furono lungamente combattuti senza che milord Alderson cedesse sopra di alcuno. Sua figlia ed i suoi beni non poteano acquistarsi che a questo prezzo. Egli si espresse con tanto orgoglio, che il Conte alla fine s'impazientò.
"Se quegli che ho adottato," esclamò "se quegli di cui le mie lezioni hanno formato il cuore, rispondesse sì male alla mia aspettazione; s'egli avesse la bassezza di accettare la vostra parentela a queste condizioni vergognose, ei non meriterebbe né la mia amicizia, né la mia eredità. Consacrate ho l'una e l'altra ad Edoardo figlio del duca di Salisbury, al figlio di un amico che ho allevato io stesso, per metterlo in istato di rinnovare l'antico lustro della sua famiglia, ed avrei egual forza di abbandonarlo, s'egli osasse disonorarsi con una compiacenza indegna di lui e di me. Cambiar il nome della sua famiglia! Rinunziare al servizio militare! E in qual tempo? Quando la guerra accesa l'obbliga a unirsi ben presto ai generosi difensori della sua patria. Se l'amore che lady Sara gl'inspira fosse capace di bilanciar nel di lui cuore dei doveri sì sacri, cambierei per esso la mia stima in disprezzo: sì," continuò egli alzandosi impetuosamente "disprezzerei Edoardo medesimo, e la sua sorte avrebbe finito d'interessarmi."
Un tale dichiarazione produsse un terribile movimento nell'animo di milord Alderson; ma si sforzò di reprimerne la violenza, e prendendo la parola con una freddezza più insultante che la collera stessa:
"Basta così," rispose "voi potete continuargli le vostre bontà." Pronunziando queste parole sortì dal suo gabinetto, e passando in una sala ove i notai aspettavano, egli prese il contratto dalle mani di quello che terminava di stenderlo, e lacerandolo con trasporto d'ira: "Giuro" gridò egli "che lady Alderson non sarà mai duchessa di Salisbury"; e volgendosi a milord Revell: "Ella non porterà né il nome, né il titolo di un vil congiurato".
Egli parlava ancora, allorché il Conte infiammato d'ira si avanzò verso lui di un'aria sì fiera, sì minacciante, che i due notai credettero doversi gettar fra di loro. Milord Alderson sorpreso, e al sommo inquieto per quest'azione, sortì immediatamente, gridando:
"Milord, tutto è finito. Addio... per sempre."
Il Conte sarebbe stato poco sensibile a questa rottura, se non avesse pensato al dolore che causar doveva al cuor di Edoardo. Come poteva egli annunziargli un avvenimento sì strano, come persuaderlo di rinunziare a Sara, al suo amore, alla speranza di una felicità sì vicina, e promessa da sì gran tempo a suoi desideri? Come staccarlo da quel luogo, e frenare i primi movimenti di un cuore appassionato? Questi erano da temersi in un giovine dell'età di Edoardo. L'amore poteva fargli scordare tutto quello ch'egli doveva all'onore, a suo padre, al suo benefattore medesimo. Eran quasi due ore che vanamente lo ricercavano; lo sbaglio di uno de' suoi domestici, che credette averlo veduto nel parco, fece correre tutti i servitori dalla parte opposta a quella ove si era ritirato con Sara.
Frattanto che tutto si preparava per la sua partenza, milord Revell si aggirava a gran passi per la sala, dove la rissa terminato avea di scoppiare. Pensava con inquietudine ai modi di levare il giovine lord dal castello, avanti di confidargli la sua disavventura. Afflitto, imbarazzato, niente si presentava al suo spirito, quando Edoardo, discendendo dall'appartamento di lady Sara, venne finalmente ad offrirsi alla di lui vista. Sino a questo momento si credette egli atteso e cercato per sottoscrivere la sicurezza della sua felicità. L'aria di milord Revell lo agghiacciò; cominciò a temere, e fissando sopra di lui de' tristi sguardi, non ardiva rompere il silenzio.
Milord Revell, accorgendosi della sua costernazione, colse il momento, se gli avvicinò, lo prese per la mano, e conducendolo fuor della sala, gli disse:
"Un capriccio di milord Alderson, anzi un difetto di antivedenza per parte mia, mi obbliga di andar subito a Wersteney. Ho bisogno di voi; l'affare che mi vi conduce riguarda voi particolarmente; la cosa è interessante; non si può differire, venite." Così parlando, lo conduce verso la sua carrozza. Edoardo avvezzo ad obbedirlo, stupefatto, e immerso in una sospensione di spirito cagionata dalla sorpresa, curioso d'intendere di qual novità si trattava, si assise senza resistenza presso del Conte. La carrozza partì, e velocemente si allontanò dal castello.
Lady Alderson impaziente, agitata, non aveva potuto staccarsi dalla loggia ov'ella attendeva il ritorno di Edoardo. Che divenne ella, in vedendolo salir in carrozza del Conte, e prendere la strada di Wersteney? I suoi sguardi seguitarono la vettura sino che le fu possibile di vederla. Perdendola di vista, ella restò senza movimento sopra il poggiuolo dov'era appoggiata. Che poteva essergli arrivato in un sì corto spazio di tempo? Ove andava Edoardo? La fuggiva egli? Lo toglievano a lei? L'incertezza straziava il di lei cuore. Una delle sue donne aveva inteso parlare ad alta voce i due lord. Lady Sara rilevò da questa che milord Alderson, sortendo bruscamente dal luogo ove lasciato aveva il Conte, domandando con calore i suoi cavalli si fece condurre al castello del conte di Lenox, ove per gli ordini che aveva dati alla sua gente, pareva dovesse restar più giorni.
Lady Sara mandò al cielo un grido, e trovando appena la forza di arrivare al suo appartamento, entrandovi si gettò sopra una sedia, e coprendo la sua faccia, come per nascondersi alla natura intiera, restò in quella spezie d'insensibilità ove l'immerse la violenza di un dolore troppo crudele per poterlo esprimere. Le sue donne, attente a soccorrerla, non poterono richiamarla a se medesima. Il pallore di morte aveva di già oscurati i colori del di lei volto. La posero in letto, senza ch'ella vi si opponesse, o vi acconsentisse. Ella rimase in questo stato tranquillo in apparenza sino a nove ore della sera. Allora Lidy, la più giovine delle sue cameriere, le presentò una lettera di Edoardo. Questo nome e la vista di que' caratteri risvegliarono i suoi sensi sopiti dall'oppressione del suo cuore: cominciarono a cadere le sue lacrime; queste rallentarono a poco a poco i movimenti interni, da' quali era agitata. Aprì tremando la lettera, e vi trovò quanto segue:
LETTERA DI MILORD EDOARDO A LADY ALDERSON
Eh Sara mia dilettissima! qual sarà mai il turbamento del vostro cuore! Il mio è penetrato da un colpo mortale. Come! Noi separati! Come! Mi hanno involato, ingannato, strappato dal fianco vostro! Quale orribile disavventura! Poss'io vivere, poss'io respirare...? La mia disperazione, le mie lacrime interrompono i tratti della mia penna... Ah che feci mai sventurato! Ho colmato di dolore l'animo vostro! Ho osato... Ah! Ho sperato... sento lacerarmi il cuore. Ritenuto a forza in questo luogo, guardato a vista, prigioniero alfine non posso raggiungervi, non posso gemere ai vostri piedi. Ah mia cara, mia sposa, mia amica, non dubitar giammai del tuo sposo, dei sentimenti eterni che lo uniscono a te. No, infranti non saranno giammai i nodi cari; e sacri, da' quali i nostri cuori son legati. Sara, voi siete mia, io son vostro; lo sarò sempre ad ogni costo. Mi sottometterò a tutte le condizioni... Ma milord Revell... vostro padre... io mi sento morire.
I caratteri che si vedevano formati a stento, scancellati in parte dalle lacrime dell'amante affitto, fecero una dolorosa impressione sopra il cuore di lady Sara. Ella pianse amaramente, e si disponeva a scrivere, quando le rimisero questa seconda lettera di Edoardo.
MILORD EDOARDO A LADY ALDERSON
Una crudele impazienza mi divora. Attendo tremando la vostra risposta. La temo, ma la desidero con ardore. Ahimè! a che deggio mai prepararmi? Vi credo penetrata da un dolore eguale al mio; parmi vedervi aspersa di lacrime, ma, la mia cara Sara, le consacrate voi tutte all'amore? può essere... idea importuna! Ah se il minimo rincrescimento si meschiasse a' vostri pianti! Se voi dubitaste!... No, voi non offenderete il vostro amante con degl'ingiuriosi sospetti. Ah, chi avesse preveduto... chi avesse detto, pensato... Come! vedrò sorger domani la novella aurora, e non vedrò più meco il mio bene! Le ore trascorreranno, quella che ci doveva unire arriverà... Ah, Sara, arriverà, ma io sarò lontano da voi... funesti pregiudizi degl'uomini! Non è che la vanità, l'orgoglio, che mi strappan da voi. Che a me importano i frivoli avvantaggi della fortuna, il favor della corte, il nome di Salisbury, i gradi, le dignità, i titoli de' miei maggiori? Ah, che mi si dia lady Sara, il suo cuore, la sua mano, questi sono i soli beni che ambisco. Numi del cielo, rendetemi le mie speranze! Unitemi a quella che mi è sì cara, e tutti i miei voti saranno riempiti. Mia dolce amica, rassicurate il mio cuore, de' movimenti terribili si uniscono ad agitarlo. Non mi disprezzate, non mi odiate, ah! io vi adoro. Affrettatevi a dirmi a ripetermi che voi mi amate, che voi mi amerete per sempre.
Dopo aver bagnate co' suoi pianti le due lettere di Edoardo, lady Sara si sforzò di rispondergli, e scrisse questo biglietto:
LADY SARA ALDERSON A MILORD EDOARDO
Nell'ignoranza in cui sono dei motivi del vostro allontanamento, non so se debba lagnarmi di voi o non incolpar che me stessa della più viva delle mie pene. Conservate i vostri giorni: la mia vita ed il mio onore da ciò dipendono. Siate certo ch'io vi amo, e che vi amerò fin ch'io viva; come potrei non amarvi sempre dopo le prove che vi ho date dell'amor mio? Non temete i miei rimproveri, ma soffrite l'eccesso del mio dolore. Ah milord! Sì felici ieri, sì degni di essere rispettati; oggi, o cielo! sì degni di compassione, colpevoli, avviliti a' nostri propri occhi, non abbiamo noi meritata la nostra disgrazia? Non vi è più speranza di unione fra noi; io conosco troppo mio padre per lusingarmene; s'egli si crede offeso, tutto è finito, senza riparo... Ah! Come sopportare quest'idea aggiunta al sovvenire... Sfortunata temerità, fatale imprudenza! Ma a che servono i vani rincrescimenti? Addio, io vi amo, vi amerò in eterno. Sovvenitevi delle vostre promesse, e vivete per adempirle.
Lady Alderson passò il resto della notte a rileggere le lettere di Edoardo, a piangere, a sospirare. La mattina si trovò gravemente incomodata; le sue languidezze frequenti facean temere a tutti i momenti ch'ella spirasse. Si mandò prontamente ad avvertire Milord dello stato di sua figliuola. Ei non tardò a venire; la trovò attaccata da una febbre ardente, della quale tutti i sintomi erano minaccianti. Le sue lacrime, i suoi lenti ed affaticati sospiri dimostravano l'oppressione del di lei cuore e faceano bastantemente conoscere la sorgente del di lei male. Il suo stato lungi a intenerire Milord, l'irritò; egli non potea perdonarle di sentire un dolore sì vivo per la perdita di Edoardo. Le mostrò una faccia severa, né le parlò che per rimproverarle la sua debolezza; e invece d'impiegare la dolcezza e la compiacenza per rendere la calma al di lei spirito, e consolarla delle pene ch'egli stesso le aveva causate, si contentò di procurarle i soccorsi di un'arte dalla quale i mali dell'anima non ricevono alcun sollievo.
L'asprezza d'una simil condotta aumentò l'afflizione di Lady Sara. Ella pur troppo conobbe che nulla potea sperare da un padre inumano, e questa amara certezza l'approssimò in pochi giorni alla tomba.
Milord Revell, non avendo potuto ottenere da Edoardo una promessa positiva di non più accostarsi al castello di Alderson, temendo che una passione sì viva ne lo conducesse a tentare delle imprudenti intraprese, lo faceva guardar a vista a Wersteney.
Gli nascose la malattia di Sara; ma era impossibile lasciargliela ignorar lungo tempo. Com'egli aveva la libertà di scrivere, e di mandar le sue lettere, passava tutto il giorno a scongiurare lady Alderson colle espressioni le più tenere ad abbandonarsi intieramente alla sua fede, e di acconsentire a maritarsi secretamente con lui. Il tempo in cui partir dovea Edoardo per l'armata si avvicinava; voleva portar seco il nome di sposo di lady Sara, e la sicurezza d'essere sempre da lei amato.
La giovine Lidy riceveva le lettere di Edoardo, ma non poteva passarle alla sua padrona, troppo abbattuta per leggerle. I servi di Edoardo ritornando sempre senza risposta, non avendo più scuse per colorirne il motivo, furono finalmente obbligati ad isvelare la malattia di Lady Sara.
Lo stato di Sara ed il timore di perderla aggiungendosi all'estremo cordoglio ch'egli di già vivamente sentiva, lo abbandonarono alla disperazione, e la sua immaginazione corrotta da mille idee funeste divenne una spezie di frenesia. Era d'uopo osservare con attenzione i suoi movimenti per salvarlo dal suo furore. Domandava di Sara ad ogn'istante; la chiamava, le parlava, piangeva, gemeva; si accusava di aver violato a di lei riguardo i doveri più sacri. Gli parea vederla spirante rimproverargli la sua morte, ed invitarlo a seguirla; mandava dei gridi violenti; si sforzava di fuggire da quelli che lo ritenevano; voleva morire, e morire a' piedi di Sara.
Dovea egli rendersi all'armata verso la fine del mese, e i primi dieci giorni erano già passati senza ch'egli dato avesse alcun contrassegno di ristabilimento.
Nel medesimo tempo la febbre di Lady Sara, divenuta men forte e più regolare, le lasciava dei momenti in cui pareva ella tranquilla; Lidy ne colse uno per darle le lettere di Edoardo, com'egli ne aveva scritte più di una dopo che la credeva moriente, la confusione delle sue espressioni fece conoscere a lady Alderson l'agitazione del di lui cuore. Ella ne fu intenerita, spaventata, si affrettò di scrivergli, e di dissipare i di lui timori.
Questo prezioso biglietto portato sollecitamente a Wersteney, assicurando Edoardo che poteva sperare la conservazione della vita di Sara, diminuì nel di lui seno la cagione e la forza delle sue pene. Si rese allora alle cure di Milord Revell; la sua ragione si ristabilì; la speranza di rivedere Sara, il desiderio di trovarsi a lei vicino, la certezza di esserne amato lo aiutarono a ricuperar le sue forze, e lo resero ben presto a se stesso.
Milord Edoardo sortiva appena da quello stato crudele quando ricevé l'ordine di rendersi al campo. Qual nuovo dolore penetrò il di lui seno! Partire, allontanarsi da Sara! Da Sara ammalata, languente, afflitta! Quest'era per Edoardo una pena insopportabile, ma l'onor l'invitava, milord Revell lo spingeva; gli convenne cedere, gli convenne partire. La vigilia della sua partenza egli le mandò il suo ritratto, e le scrisse la seguente lettera:
LETTERA DI MILORD EDOARDO A LADY ALDERSON
Io parto, mia casa Sara. Ohimé! io parto; con qual dolore mi stacco dai luoghi ove voi restate; quale immenso spazio ci dee separare, e in qual tempo! Un crudel dovere mi sforza ad allontanarmi da voi. Faccia l'amore che la mia idea vi sia sempre presente. Questo ritratto offrirà a' vostri occhi l'effigie del vostro amante, del vostro sposo, di colui che vi ama, vi rispetta, e attende da voi tutta la sua felicità. Ah lady Sara, prendete cura de' giorni vostri; conservatemi l'amabile compagna della mia vita. La vostra attenzione sopra voi medesima sarà la maggior prova delle vostre bontà per lo sventurato che vi adora.
Ardisco lusingarmi di essere amato da voi, me lo assicurano le vostre promesse, e ciò non ostante io parto con un dolore che non potrei esprimere. In questi tristi momenti parmi vedermi rapire tutte le mie speranze. Ah, se vostro padre volesse disporre di voi, se un altro vi ottenesse da lui; se io più non vi vedessi!... Rassicurate un cuore intimorito, smarrito; promettetemi, giuratemi di amarmi sempre, di resistere agli sforzi che si facessero per distaccarmi dal vostro amante infelice. Degnatevi, Sara mia dilettissima, degnatevi legarvi meco con de' nuovi giuramenti. Io non temo la vostra incostanza; temo soltanto la sommissione, il rispetto verso di un padre... Fate ch'io porti meco almeno la dolce certezza di rivedervi libera. ma no, voi non lo siete più a quest'ora, mi avete data la vostra fede, siete meco legata. Io spero tutto dalla fermezza dell'animo vostro, dal tempo, dall'amicizia di milord Revell... Ohimé, io spero, e muoio di dolore in lasciarvi. Ah Sara! Ah mia tenera amica! Io vi lascio dunque, e senza vedervi? Non mi è possibile di avvicinarmi a voi? Ho tutto tentato inutilmente. Le vostre lettere formano l'unico mio bene, la sola mia consolazione. Una nuova riga di vostra mano formerà tutta la mia tranquillità. Non mi trascurate. Ah! se voi leggeste nel mio cuore, se voi sentiste... Addio. Questa carta bagnata dalle mie lacrime ve ne dirà abbastanza. Addio. Addio, mia cara, mia amabile Sara. Amatemi, ditelo, pensatelo sempre, e replicatelo a me sovente.
Lady Alderson, determinata a non distaccarsi dal destino di Edoardo, era egualmente decisa a resistere ai voleri di suo padre. Questi attendeva impazientemente la sua convalescenza per disporre di lei. Giurava che privata l'avrebbe della sua eredità, se osato avesse di opporsi alla di lui volontà; ma il risarcimento d'onore, ch'ella dovea a se stessa, le compariva al di sopra di tutte l'altre considerazioni, che la confermavano nel progetto di sposare Edoardo. Questa riflessione l’inquietò senza offenderla, e volendo calmare i tumulti del di lei cuore, così rispose ad Edoardo:
LADY ALDERSON A MILORD EDOARDO
È egli necessario, che i miei giuramenti vi assicuriano dell'amor mio e della mia costanza? Eh, mio caro Edoardo, l'anime innocenti non giurano. Potete voi dubitare? Sarebbe possibile ch'io abbandonassi colui che si è acquistato sì gran diritti sopra il mio cuore, e si mostra sì degno di possederlo? Edoardo mio, caro Edoardo noi abbiamo osato di fissare il nostro destino, osiamo renderlo felice, ed abbandonarci alla fiducia che noi dobbiamo reciprocamente ispirarci. La fortuna di cui mio padre minaccia altamente privarmi se io mi do a voi, è nella mia posizione un sacrifizio leggero: con quale gioia ne abbandonerò la speranza per darvi una prova novella dell'amor mio! Discendendo ai piè dell'altare innanzi il quale avrò ricevuta la vostra fede; un ritiro semplice e disadorno, ove vedrò Edoardo, mi sarà sempre aggradevole e sufficiente. La debolezza non mi accorda di scrivere d'avvantaggio. Cessate d'inquietarvi, la mia febbre diminuisce, i suoi accetti sono di breve durata; mi annunziano una vicina convalescenza. Partite amabile amico, partite poiché voi lo dovete. Il mio cuore conterà tutti i momenti della vostra assenza; i miei voti vi seguiranno per tutto, né cesserò giammai di reiterarvi le prove dell'amor mio e della mia tenerezza. Addio.
Edoardo non poté vedersi vicino a lasciar milord Revell, senza dargli dei contrassegni della più tenera riconoscenza. Le carezze commossero il cuore sensibile del Conte. Egli gli parlò sopra la condotta che doveva tenere al campo, gli vantò gli onori che l'attendevano alla fine della campagna, sicuro del suo ristabilimento alla corte. Edoardo, poco penetrato in quel momento delle grazie del re, ma estremamente sensibile all'amicizia di Milord, lasciò cader delle lacrime, e gettandosi fra le braccia di questo generoso amico:
"Ah padre mio," gli disse "le vostre bontà mi saranno elleno inutili? Dopo ch'io respiro, voi avete degnato occuparvi della mia sorte; io vi devo tutto. Oserò io confessarlo? Tanti benefizi non bastano per rendermi felice. Perdonatemi quest'espressioni, che potrebbero farmi comparire ingrato. Ah! non lo sono certamente, giammai non lo sarò; ma perdendo la speranza di vivere con lady Sara, e di ottenere la di lei mano, ho perduto l'attaccamento ad ogni altra spezie di bene. Che vale la grandezza, le ricchezze, le dignità? L'avida ambizione le segue, l'orgoglio ne gode, e sovente il cuore se ne disgusta. L'imperio dell'universo val egli una delle dolcezze ch'io compiango?"
"Che?" riprese il Conte "avreste voi accettata la mano di lady Alderson colle condizioni indegne che vi apponevano? Avreste voi calpestate le ceneri di vostro padre, disprezzati i vostri maggiori? Avreste voi rinunziato a servire la vostra patria?"
"Non so che rispondere," disse Edoardo "ma non posso vivere senza Sara."
"Io ho tanta stima per lady Alderson," continuò milord Revell "che ho fatto tutto il possibile per unirla a voi. Le mie cure riuscirono vane; ho impiegato un amico presso suo padre, senza far credere ch'io prendessi parte in questo maneggio. Milord Carlington ha proposti degli accomodamenti; io mi sarei prestato facilmente per sottrarvi dal pericolo in cui vi vedeva, e per darvi una sposa degna di voi; ma né il vostro stato vivamente rappresentato, né il rischio dov'era sua figlia, né l'offerta di far portare il suo nome al primo figliuolo che nascerebbe dalla vostra unione con Sara, non poterono persuadere quello spirito altiero. L'orgoglio suo naturale, e l'ira che ha concepita contro di noi, l'hanno talmente infiammato, che se si proponesse di ricever Sara a tutte le condizioni ch'egli voleva imporre, sono certo ch'egli rifiuterebbe ancora di accordarvi la sua figliuola in isposa."
"Come," esclamò Edoardo "Sara non sarà mia? Non può esserlo, non lo sarà mai? E se ella rinunziasse a tutto per darsi al suo amante, se ella sacrificasse all'amor mio i beni che deggiono essere il suo partaggio, se il suo cuore tenero, sensibile quanto il mio, trovasse tutta la felicità nell'essermi costantemente fedele; se io le fossi più caro che la sua ricchezza, se ella acconsentisse a darmi la mano; se...
"V'intendo," interruppe il Conte "e mi spiegherò francamente; siate sicuro, il mio caro Edoardo, che la vostra soddisfazione è la prima delle mie viste; non ve la procurerà a costo dell'onore; ma non temete ch'io mi opponga a vostri desideri, quando i passi che dovran farsi non potranno oscurare la vostra gloria. Se lady Alderson conserva i sentimenti ch'ella ha per voi, se l'allontanamento non estingue nei vostri cuori questa passione sì tenera, io vedrò con piacere una unione sì ardentemente desiderata. Sacrificando ella la sua eredità lady Sara mi parerà ancora più degna del vostro attaccamento, e della mia amicizia.
"Ah! io non voleva che questo dolce consentimento;" esclamò Edoardo "in questo istante, Milord, voi colmate le vostre beneficenze; questa ultima aumenta il prezzo di tutte quelle che ho ricevute da una mano sì cara. Oh mio rispettabile padre! Voi ristabilite la calma e la gioia nel mio cuore. Il secreto ch'io guardava con voi sopra i miei disegni, era un peso al mio cuore. Io parto contento, e vado a meritare colla mia condotta il nome di vostro figlio.
Dopo avere sfogati i trasporti della sua riconoscenza, abbracciò mille volte il suo generoso protettore, e lo lasciò per andare a scrivere a lady Alderson, e informarla delle disposizioni favorevoli di milord Revell. Partì con sir Humfroid e due camerieri, il suo equipaggio avendolo precorso da molto tempo. Sir Humfroid era un giovine gentiluomo, del quale la fortuna non uguagliava la nascita; milord Revell l'attaccò ad Edoardo sino dalla sua infanzia, e l'aveva accompagnato ne' suoi viaggi. Edoardo lo amava, gli accordava tutta la sua confidenza, e la situazione attuale del suo animo gli rendeva ben caro un amico, al quale poteva parlare senza riserva.
Dopo due mesi di sofferenza, lady Alderson si trovò senza febbre, ma così abbattuta che la sua debolezza la ritenne ancora lungo tempo nella di lei camera; suo padre mostrava una freddezza estrema per lei. La malattia ch'ella aveva sofferta, provava quanto ella amava Edoardo; si trovava offeso di non potere scancellare dal cuor di sua figlia un sentimento che i suoi ordini avevano fatto nascere, e dovevano estinguere all'istante in cui cessato aveva di approvarli. Milord passava le settimane intiere senza vederla, e quando la onorava di una visita, non lo faceva che per rimproverarla.
Lo scioglimento del trattato di matrimonio di lady Sara faceva rivivere le speranze di tutti quelli che potevano pretendere di possederla. Il conte di Lenox, vedendo milord Alderson ostinato a non riprendere le sue prime viste, gli offerì suo figlio alle medesime condizioni ch'erano state imposte a milord Revell. Il desiderio di far tutto disperare ad Edoardo rese questa proposizione aggradevole a milord Alderson; gli diede la sua parola, e stabilì il tempo di questa unione al perfetto ristabilimento di sua figlia. Frattanto egli ammise le visite del nuovo sposo che le destinava, e la fece avvertire dal suo cappellano di prepararsi a ricevere le attenzioni di sir Arthur di Lenox.
Quest'ordine afflisse Sara; il suo progetto era di passare nel castello di Alderson tutto il tempo dell'assenza di Edoardo. Le importunità del giovine Lenox le facevano divenire quel soggiorno odioso, e la forzarono a sottrarsi dal pericolo colla fuga, e di procurarsi un ritiro. Per ricompensare la bontà di milord Revell, che aveva prestato il consentimento al suo matrimonio con Edoardo, ella non voleva esporlo a degl'inconvenienti, ponendosi apertamente sotto la di lui protezione.
Erano scorsi quattro mesi in circa dopo la partenza di milord Edoardo, quando credendosi lady Alderson bastantemente ristabilita, si determinò di sortire dal suo appartamento per profittare del benefizio dell'aria; s'inoltrò nei giardini, giunse a caso in quel bosco ove la sua tenerezza imprudente aveva offuscata la sua ragione, tramortì scoprendolo, e abbassando gli occhi pieni di lacrime pensò sospirando quanto la sua sorte si trovava cambiata dopo quel di fatale; confusa, smarrita, se ne allontanò, e continuò tristamente la sua passeggiata. Camminò sino alla notte, e trovandosi stanca, si ritirò nel suo appartamento. Sia che quest'esercizio determinasse la natura, sia che quest'istante fosse l'epoca necessaria per eccitare i primi movimenti di una creatura della quale l'esistenza non era ancor conosciuta, lady Sara sentì in se medesima un'agitazione straordinaria; non ne penetrò al primo istante la causa; ma i movimenti interni divenivano sì replicati e sensibili che, sovvenendosi di vari accidenti che aveva attribuiti alla sua malattia, conobbe al fine un avvenimento fatale di cui ella non aveva concepito sino allora veruna idea. Un sentimento mescolato di terrore, di rossore e d'inquietudine la turbò, la confuse, ma l'interessò vivamente nel medesimo tempo all'oggetto di quest'afflizione novella. Attaccata più fortemente ad Edoardo per la scoperta del di lei stato, ella prese coraggiosamente il partito di riguardarsi come appartenente a lui solo nell'universo intero. I doveri che bilanciavano sovente le sue risoluzioni, cedettero intieramente alle obbligazioni pressanti ed indispensabili, e da questo momento sollecitò tutti i preparamenti per sortir dal castello.
Forzata di confessare la sua situazione e i suoi disegni ad una delle sue donne, il carattere e l'attaccamento sincero di Lidy meritarono la sua fiducia. Questa giovane aveva una sorella stabilita in Londra; ella le scrisse per ordine della sua padrona, e l'incaricò di prendere a pigione un appartamento bastantemente comodo nel quartiere il meno frequentato della città, di ritenerlo al nome di mistriss Hervey, giovine dama maritata da un anno, della quale il marito si ritrovava all'armata.
La commissione esattamente adempita, Lidy levò a poco a poco dal castello ciocché lady Sara volea portar seco. Consegnò il tutto ad un'amica sua di cui poteva fidarsi. Ella mandò in casa di questa donna i forzieri, e di là gli fece passare a Londra alla direzione che sua sorella le aveva indicata. Fece indi comperare una sedia, e trovò l'uomo che le conveniva per arrivare alla prima posta, profittando di una circostanza che favorir doveva la loro fuga.
Erano tre mesi che miledy d'Albury, congiunta di milord Alderson, si trovava ospite nel di lui castello; doveva ella passare in Francia, e partire incessantemente. Lady Alderson fissò la sua partenza lo stesso giorno scelto da questa dama, col disegno di far credere ch'ella l'accompagnava sino al porto dove doveva imbarcarsi.
La vigilia del giorno in cui le speranze di Edoardo e di Sara furono sì crudelmente deluse, milord Alderson aveva data a sua figlia una ricca cassetta contenente i diamanti di sua madre, quantità d'altre gioie ed altri effetti preziosi, e due mila ghinee, delle quali ella doveva impiegare una porzione l'indomani all'occasion del suo matrimonio. Lidy si disponeva a trasportare questa cassetta, quando la sua padrona l'arrestò
"Non conviene" diss'ella "ad una figlia sventurata, forzata di fuggire dalla casa paterna, di riguardare come propri dei doni che non le sono stati fatti con l'intenzione di aiutarla a sostenere una fuga vergognosa. Niente qui m'appartiene, e non ho più diritti a de' beni de' quali merito essere privata".
Lidy, confusa da questo discorso, aveva di già fatto passare il danaro a Londra, ma non ardiva confessarlo. Lady Alderson riunì quanto le restava della somma annuale destinata al suo mantenimento ed ai suoi piaceri; ella si trovò da circa cinquecento lire sterline, e per tre volte altrettanto in gioie, in ori e in argenti, ch'ella possedeva per proprio uso. Questo fu quanto ella si fe' lecito di asportare da una casa dov'ella abbandonava la speranza della più gran fortuna. Pronta a partire, sentì un dolore estremo, pensando che forse più non rivedrebbe suo padre. Vero è che in lui trovata non aveva quella tenera indulgenza e quelle dolci carezze che cambiano un rispetto imposto dall'educazione in un'amicizia viva e riconoscente, in una stima decisa. La fierezza del carattere di milord Alderson non le permetteva di abbandonarsi a de' movimenti ch'egli trattava di debolezza, e de' quali gli era ignoto l'allettamento.
Sara lasciò una lettera da rimettere dopo qualche giorno al suo genitore. Le sue espressioni sommesse, fatte per intenerire, imploravano la sua pietà per una figlia colpevole e sventurata, la quale vedendosi forzata a non più vivere sotto degli occhi suoi, si trovava di già punita di un fallo irreparabile. Ella fremeva pensando all'indegnazione che la sua fuga avrebbe prodotta nel cuore di un padre offeso. Senza intraprendere di giustificare un'azione della quale nulla poteva scusare la temerità, ella gli domandava perdono, deplorando la crudele necessità che l'aveva indotta a sottrarsi dall'autorità paterna.
Ciò fatto ella sortì dal castello con Lidy; si rese al luogo ove l'attendeva la sua sedia unita a quella di miledy d'Albury; partirono insieme, ma si separarono opportunamente, e lady Sara arrivò a Londra colla sua cameriera la sera del giorno appresso.
L'allontanamento di lady Sara, e la sua lettera portata a milord Alderson, lo gettarono in un orribile stordimento, da cui non rinvenne in se stesso che per abbandonarsi ad un eccessivo furore. La cassetta ritrovata nell'appartamento di sua figlia gli parve una prova ch'ella si fosse procurato un asilo, ove non temerebbe l'indigenza. Egli la credette ritirata a Wersteney, o presso di qualche amico del conte di Revell. Cedendo al suo primo movimento, scrisse a questo signore con quell'orgoglio e quell'asprezza che a lui erano naturali. Non domandava di essere informato del ricovero di sua figlia, troppo indegna di appartenergli, non le faceva l'onore di cercare di scusarla della sua imprudenza; pregava solamente milord Revell di assicurarla dell'odio suo, del suo disprezzo, e di un eterno abbandono.
Non mi sovverrò di esserle padre, diceva egli nel terminare quella terribile lettera che per pronunziare sopra di lei la maledizione, che attrae sopra il suo capo una figlia ingrata e ribelle. Distruggerò per sempre le sue speranze temporali, e prego il cielo che si estenda questa diseredazione sino sopra le di lei speranze celesti.
Il conte di Revell ignorava ancora la fuga di lady Sara, e fu estremamente sorpreso di apprenderla per questa via. Spedì un gentiluomo al castello di Alderson, per assicurare Milord che dopo il giorno in cui si erano separati, egli avuta non avea relazione alcuna con lady Alderson, e parte non aveva nel dispiacere ch'ella gli aveva causato. Milord rifiutò di veder una persona che veniva da parte del Conte. Sparse nella sua casa che lady Albury condusse Sara in Francia senza la sua permissione; egli si lagnò fortemente di questa dama, della quale suppose una lettera; diss'egli in seguito, mostrando pacificarsi, che se questo viaggio ristabilisse perfettamente sua figlia, come la sua parente lo sperava, egli loro perdonerebbe facilmente di averlo intrapreso, ad onta della di lui volontà. Pochi giorni dopo fece correr la voce che lady Sara si trovava ammalata a Calais. Egli partì per la posta con un solo cameriere, fingendo andare in di lei soccorso. Restò un mese assente, ritornò ad Alderson affettando un dolore estremo per la morte di sua figliuola, dolore, diceva egli, che lo condurrebbe al sepolcro. Le fece fare dei funerali pomposi; mise la sua casa e lui stesso in un lutto profondo. Lady Sara fu teneramente pianta per lungo tempo. Milord Revell vide con indifferenza una finzione ch'egli trovava bassa e ridicola. Non si curò di distruggere l'errore della provincia; ei riservava questa cura piacevole ad Edoardo. Lady Albury, prevenuta da milord Alderson, guardò il secreto; così alcuno non dubitò della morte di lady Sara.
Arrivata questa a Londra, scrisse ad Edoardo; sapeva egli ch'ella doveva andarvi, ma ignorava la ragione che l'aveva obbligata di antecipare un tale viaggio. Ella avrebbe voluto partecipargliela, ma le difficoltà che le si presentavano per ispiegarsi sopra un tale soggetto, le fecero differire di giorno in giorno una confidenza sì interessante. Le di lei occupazioni nel suo ritiro erano le medesime che al castello di Alderson. Edoardo sempre presente al suo pensiere riempiva tutti i suoi momenti, e le faceva perdere il sovvenire di quelle tristi idee, ch'ella era forzata a soffrire nel domicilio paterno.
L'amore è la sola passione che basti per soddisfare pienamente il nostro cuore. Padrona essa assoluta dell'anima, insensibilmente ne bandisce tutto ciò che può essere a lei straniero. Ci scordiamo, in amando, se esistano altri oggetti, oltre quello della nostra affezione. L'estensione dell'universo sembra diminuire agli occhi nostri, e noi fissiamo lo sguardo unicamente su quell'oggetto in cui si concentrano i nostri desideri.
Trovavasi in Londra un pittore italiano, che nel genere di ritratti si aveva meritata la più alta riputazione. Lady Sara si fece da lui dipingere. Ella è sì perfettamente rappresentata in quel quadro, che voi medesima, madama, l'avete tosto riconosciuta. Ella travagliò con applicazione a copiarlo in piccolo, e mandò il suo lavoro ad Edoardo. Si divertì in seguito a scrivere un giornale degli avvenimenti ne' quali il suo cuore s'interessava; lo cominciò dal primo giorno che Edoardo si era offerto a' suoi occhi; i suoi sentimenti erano espressi con quell'amabile semplicità ch'è figlia di un'anima tenera e di un carattere veritiero. Formando ella questo giornale, voleva forse rammemorare i tempi, e ricordare ad Edoardo, se mai il suo ardore si rallentasse, quanto ella aveva sacrificato alla sua tenerezza, e il prezzo con cui doveva egli ricompensar tanto amore. Quest'è il manoscritto da cui ho tratto quanto vi ho finora comunicato; e Lidy mi ha sovente replicato posteriormente le circostanze del fine delle disavventure dell'infelice Sara.
Ella era alloggiata presso la vedova di un uffiziale subalterno, chiamata mistriss Larkim, donna dotata di un carattere dolce e sociale, con molto spirito e molta conoscenza del mondo. Lady Alderson passava nella di lei casa per la moglie d'un gentiluomo del conte di Kent. Mistriss Larkim, colpita dall'aria di dignità che si scorgeva nel portamento e nelle azioni di Sara, sorpresa del suo rigoroso ritiro, e riguardando in lei, come un merito superiore, la poca cura ch'ella mostrava nel godere dei divertimenti della città, concepì di lei la più alta idea; le mostrò ben presto un attaccamento tenero, rispettoso, e s'applicò a prevenire i suoi desideri. Lady Sara fu sensibile alle sue attenzioni; la sua compagnia non dispiacendole, mistriss Larkim passava una parte del giorno vicino a lei.
Più di sei mesi erano trascorsi dopo l'assenza di Edoardo: un lungo assedio aveva ritardato le operazioni della campagna. L'appassionato lord scriveva a Sara nell'aspettazione di una battaglia che doveva terminar la campagna, e ricondurlo a' piedi della sovrana del di lui cuore. La sua impazienza aumentava quella di lady Alderson. Inquieta, afflitta, ella addirizzava al cielo dei voti ardenti per la conservazione di una persona a lei sì cara. Il ritardo di un corriere le cagionava dei terrori mortali; ella perdeva insensibilmente il riposo, e le sue notti si passavano a desiderare e a temere le notizie dell'indomani.
Ricevette in una volta due lettere di Edoardo capaci di dissipare i di lei timori. Egli l'assicurava che le armate dovevano separarsi senza un'azion decisiva; la pregava di allontanare dal suo spirito le tristi idee delle quali ella si nudriva, e si lusingava di rivederla avanti la fin del mese. Tutte le sue espressioni mostravano una gioia estrema. Sara lasciò ingannarsi da queste, e il suo cuore si abbandonò alla più dolce speranza. Il giorno dopo mancò il corriere, il che non le diede alcuna apprensione; si lusingava che Edoardo non tarderebbe ad arrivare, e pensò ch'ei volesse sorprenderla.
Mistriss Larkin aveva in quella medesima armata un nipote da lei teneramente amato. Nel momento ch'ella entrar volea in casa di lady Sara, ricevette da un corriere spedito al principe Tomaso un biglietto di suo nipote; lo aprì, lo lesse, e gettò un grido penetrante. Lady Alderson lo intese, corse a lei, gliene domandò la cagione; la donna agitata, dimenticando l'interesse che la giovine lady poteva prendere ella stessa a sì funeste novelle, le presentò il biglietto di suo nipote, che conteneva tai detti.
Noi abbiamo sostenuto una fiera battaglia, e l'abbiamo perduta. Io sono ferito, ma leggermente. Noi fuggiamo. Io poi scrivo sei leghe lontano dal campo fatale ove noi abbiam lasciati estinti diecimila de' nostri. Ho veduto cadere milord d'Orset, mio protettore e mio amico. Vorrei esser morto ieri; non vi posso dir d'avvantaggio. Mi fu detto che noi dobbiamo marciare per combatter di nuovo.
Lady Sara ebbe appena finito di leggere, ch'ella cadde oppressa fra le braccia di mistriss Larkim, pronunziando a bassa voce:
"Oh Edoardo, oh mio caro Edoardo!"
Fu ravvivata con de' sali acuti, ma atterrita, tremante, oppressa da un tale stringimento di cuore che non le permetteva d'esprimersi che a forza d'esclamazioni; alzava tristamente al cielo i suoi occhi bagnati di lacrime:
"Dio grande! Dio onnipotente!" gridava ella "sono a tempo, Sono ancor a tempo d'implorarti?"
Ella attese il giorno seguente con un impazienza, con un agitazione, che non le permisero di riposare un istante. Alcun corriere non arrivò. Vanamente procuravasi di persuaderla che i corrieri non poteano liberamente passare. Questa mancanza di lettere parve a lei un annunzio di morte.
"Ah! non esiste più," diceva ella a Lidy "no, non esiste più; io l'ho perduto per sempre."
Passò ella parecchi giorni in questa orribile incertezza. Ogni movimento che si faceva vicino alla sventurata Sara, le causava una rivoluzione sì grande che appena si ardiva di alterare quella spezie di solitudine in cui era immersa. Ella non conosceva la sua esistenza che allora quando le agitazioni dolorose eccitavano in lei l'aspettativa di una conferma disperata. Sola nel suo gabinetto, prostrata innanzi all'Essere Supremo, le mani alzate verso lui, i suoi gridi, i suoi gemiti gli domandavano la vita di Edoardo.
"Ch'egli viva, questo mi basta," ripetea con ardore "ch'egli viva, e ch'io non lo perda; che i suoi giorni conservati non sieno per me; ch'io pianga il suo allontanamento, la sua indifferenza, il suo odio, i suoi disprezzi ancora; ma giammai, giammai la sua morte. Abbandonata, avvilita, disonorata, priva di tutto, senza amici, senza asilo, io purgherò il suo errore ed il mio. Dio di vendetta, tu lo sei altresì della misericordia! Ah! non colpir che me sola, degnati di conservar la sua vita a' miei voti, alle lacrime amare ch'io verso dinanzi a te! Morirò contenta, se saprò spirando che il braccio tuo lo ha salvato, ch'egli vive, ch'egli è felice!"
Ma quale sventura! L'oggetto di tanti pianti, di un sentimento sì tenero, sì disinteressato, non era più tra' viventi; trafitto da tre colpi mortali, rovesciato, calpestato dalla cavalleria, imbrattato di sangue e di polvere, Edoardo, confuso in un mucchio di morti, non era stato nemmeno riconosciuto; si credette prigioniero. Sir Humfroid, fatto prigioniero a canto del suo padrone spirante, ch'egli sforzava di rialzare, poteva solo dare dei lumi certi del suo destino; ma perigliosamente ferito egli stesso, restò parecchi giorni senza essere in grado di parlare, né di scrivere.
Lady Sara mandò un espresso a milord Revell; ella lo credeva informato del destino di Edoardo, e lo supplicava istruirla. Il Conte ricevé nel medesimo tempo il suo corriere e una lettera di sir Humfroid. La conferma della morte di Edoardo lo penetrò di dolore, e l'espressioni di Sara ne aumentarono l'amarezza. La di lei gioventù, le di lei amabili qualità, la sua tenerezza, la perdita dolorosa che fatta aveva, interessarono vivamente il cuor del Conte. Ella era stata sì cara ad Edoardo; egli la riguardava in quel momento come una parte preziosa dell'amico ch'egli piangeva, e la sua anima generosa e delicata credette poter far ancor cosa grata ad Edoardo, interessandosi in favor dell'oggetto delle di lui più dolci affezioni. Milord era ancor convalescente, dopo una malattia causata da varie inquietudini e dispiaceri; si trovava ancor debole, ciò non ostante scrisse a lady Alderson.
Noi abbiamo perduto, madama, le diceva, un amico ch'era l'unico oggetto del nostro affetto; piangiamolo egualmente; permettetemi di nominarvi mia figlia, e di mostrarvi i sentimenti e di padre e di sposo, disponete di me, delle mie attenzioni, e di quanto da me dipende; sentirò da voi medesima quali sono le vostre intenzioni pronto ad adattarmivi; verrò a Londra fra otto giorni; e riceverò gli ordini vostri; non ho altro desiderio, madama, che quello di esservi di qualche utilità.
Una sicurezza sì positiva della morte di Edoardo portò la disperazione nell'anima dell'afflitta Sara. Nessuna considerazione fu capace di moderarne i movimenti; ella si abbandonò al dolore il più vivo, ad un pianto continuo, e queste violente agitazioni la privarono affatto delle sue forze. Restò per lo spazio di due ore senza conoscenza alcuna, e non fu richiamata alla vita che dalla violenza de' dolori reiterati ed acuti. Tanti affanni e tante commozioni avevano prevenuto il tempo in cui doveva naturalmente sentirli. Io venni al mondo in questo fatal momento; la mia nascita inasprì i suoi tormenti; i miei gridi primieri si meschiarono coi gemiti del di lei cuore; ella gl'intese, e penetrarono sino al fondo dell'anima sua dolente:
"Ah sventurata fanciulla!" esclamò ella "tu non pronunzierai giammai il dolce nome di padre!"
Dopo quest'istante, ella s'indebolì maggiormente; ella guardava un pensieroso silenzio, e non lo rompeva che per esprimere la sua profonda tristezza; tutto la importunava; ella ributtava con ripugnanza gli alimenti che le erano presentati. Il suo cuore, chiuso ad ogni sorte di consolazione, le rendeva le attenzioni che le venivano rese, insopportabili; faceva segno con la mano agli astanti perché si allontanassero, e quando le donne che la servivano la lasciavan sola, la sentivano dare un libero corso a' suoi pianti, e ripetere mille volte il nome di Edoardo:
"Egli non vive più," diceva ella "egli è estinto: Dio! egli è estinto! Non mi sente! Mai più mi sentirà! Egli è sparito, sparito per sempre! Edoardo non si presenterà giammai a' miei sguardi! La sua anima è passata nel soggiorno celeste!"
La costituzione delicata di lady Alderson la rendea incapace di resistere lungo tempo a un dolore sì tenace; il suo sangue si accese, una febbre ardente la mise ben presto in un pericolo estremo. Si disperava di già della sua vita, quando milord Revell si fece annunziare alla di lei casa. Questo signore fu sensibilmente penetrato dello stato di lady Alderson. Nell'approssimarsi vicino a lei, fece in maniera di non farle comprendere quanto ne fosse intenerito. La sua presenza causò la più grande emozione a Sara; ella si accorse de' suoi movimenti, e stendendogli le braccia:
"Ah! non mi nascondete la vostra pietà, Milord," ella gli disse "lasciatemi vedere l'amico, il padre di Edoardo piangere il destino funesto che ce lo rapì! Noi l'abbiamo perduto per sempre! Ah! Milord, per sempre!"
L'abbondanza delle lacrime soffocando la di lei voce, non ne poté dir di avvantaggio.
Dopo qualche momento di un tristo silenzio:
"Edoardo non vive più che nei nostri cuori, madama" disse il Conte. "Il cielo non mi permise di veder felice il figlio di un amico che mi fu sì caro. La mia tenerezza per questo giovine sventurato non è estinta, e le cure e le attenzioni che mi propongo di aver per voi, madama, ne saranno una prova sicura. Degnatevi riguardarmi come uomo unicamente occupato dal desiderio di servirvi." E le rinnovò con ardore le offerte che fatte le aveva nella di lui lettera.
Ma chi poteva divenir utile a lady Sara? Quale idea di felicità poteva lusingare un'anima abbattuta sotto il peso del dolore, i di cui sentimenti vivi e appassionati aveano perso il loro oggetto, senza niente perdere della loro forza? Eh! di qual prezzo erano a' suoi occhi la fortuna, il mondo, i suoi piaceri, le sue grandezze, poiché l'immensità dell'universo non le poteva rendere il suo Edoardo?
Ella si fe' portare il suo scrittoio, prese quel giornale che avea cominciato, e presentandolo al conte di Revell:
"Ho una grazia a domandarvi, Milord" gli disse. "Non osando trattenervi sopra l'unico soggetto che possa interessarmi, vi prego di voler attentamente leggere questi fogli. L'estrema mia debolezza ed altre ragioni che voi comprenderete facilmente, non mi permettono di rivelarvi io stessa la mia trista avventura; quando voi ne sarete istruito, se la vostra compassione generosa non si formalizza, se voi degnate estenderla sopra l'oggetto della mia maggior inquietudine, io discenderò nel sepolcro sbarazzata da un carico penoso, il cui peso rese più aspri i miei tormenti."
Il Conte ricevette i fogli ch’ella gli confidò; penetrato dallo stato in cui ei la lasciava, si ritirò, dopo essersi solennemente impegnato di adempire a di lei riguardo tutti i doveri di un padre e di un amico.
Giunto in sua casa, lesse con premura e con attenzione i fogli di Sara; terminando di leggere, si risovvenne di alcuni discorsi vaghi e interrotti usciti dalle labbra di Edoardo in tempo della sua dolorosa disperazione; essi avevano eccitato dei sospetti nello spirito di Milord; ma penetrato da rispetto per lady Alderson, ei non ne fece alcun caso. Assicurato di quello ch'egli non ardiva pensar in avanti, compianse lo stato di Sara, prese parte nelle di lei afflizioni, e si sentì commosso sino al fondo del cuore in pensando all'innocente creatura, frutto di un amore sì sventurato. Egli si abbandonava a dei sentimenti di compassione, di tenerezza, quando vennero ad avvisarlo di ritornar prontamente presso lady Alderson.
La vista di un uomo così attaccato ad Edoardo, così caro ad Edoardo, le aveva causato una rivoluzione mortale. Dopo un lungo svenimento pareva alquanto rinvenuta in se stessa, ma sì considerabilmente indebolita, che i medici decisero ch'ella non era lontana dal fine de' giorni suoi.
Ella domandava ad ogn'istante il conte di Revell; quando gli fu annunziato, ella si fece dare delle goccie fortificanti, e richiamando tutti i suoi spiriti:
"Il mio fallo vi è noto, Milord," gli disse ella "io l'ho crudelmente espiato, ed i miei ultimi momenti sono sì dolorosi, che oso sperare il celeste perdono. Io muoio, e lascio dopo di me una figlia, di cui voi amaste il padre: fate ch'ella provi la vostra bontà; questo è l'unico voto di un cuore semivivo e languente. Destinata all'avvilimento anche prima di nascere, la vergogna, la miseria, un titolo obbrobrioso, ecco l'eredità della figlia di Edoardo. Sua madre sventurata niente può per essa. La vostra protezione, Milord, è l'unico bene che il cielo mi lascia sperare in di lei favore; voglia questo cielo, che mi abbandonò allo sviamento del mio cuore, riguardar colla sua protezione quest'orfana sventurata, e faccia ch'ella non provi giammai dolori simili a quello che or mi toglie la vita. Se ella è destinata a vivere, degnatevi farle conoscere gli autori de' giorni suoi: voglia il cielo ch'ella accordi delle lacrime alla morte di suo padre, che la di lui memoria le sia cara e rispettabile; che quella di sua madre le serva di un tristo ed utile esempio per evitare i suoi mancamenti." La sua debolezza e le sue lacrime la costrinsero ad arrestarsi.
Milord Revell vivamente commosso, ringraziò lady Sara della fiducia di cui l'onorava; le promise, le giurò di rendere felice la sorte di una figliuola già cara al di lui cuore. Allora ella suonò; Lidy, sguendo gli ordini che aveva ricevuti, mi portò, mi presentò a Milord; egli mi prese fra le sue braccia, e stringendomi al di lui seno, reiterò piangendo le promesse che fatte aveva a mia madre, e bagnando ella il mio volto di lacrime:
"Ah! mia figlia," esclamò "che tutte le potenze del cielo veglino sopra di te! Alla mancanza delle grandezze che dovevano essere il tuo appannaggio, possa tu ottenere il dono di un cuor pacifico e virtuoso." Facendo indi sortir dalla camera Lidy, che mi teneva fra le braccia, prese una lettera che custodiva nel suo scrittoio, e la consegnò, aperta com'era, a milord Revell, pregandolo d'inviarla a milord Alderson tosto ch'ella fosse spirata.
"La sua giusta indignazione" diss'ella "terminerà forse colla mia vita; ho creduto nulladimeno dover fare a mio padre una confessione, che potrebbe un giorno esser utile alla mia figliuola." Gli fece indi rimettere le chiavi di tutto quel che le apparteneva, e staccandosi dal collo un nastro da cui pendeva il ritratto di Edoardo, l'avvicinò alle sue labbra, lo baciò con ardore, ebbe il tempo di consegnarlo al Conte, e spirò nell'istante medesimo.
La prima attenzione di milord Revell, dopo la morte di lady Sara, fu di spedire la lettera al di lei padre; la sigillò; non volle aggiungere niente del suo, ma pregò Lidy d'istruire l'antico suo padrone della morte di sua figliuola, lo che fu esattamente dalla buona donna eseguito.
Spedì ella un uomo di sua confidenza al castello d'Alderson, ordinandogli di osservare i movimenti di Milord al ricevimento di queste lettere. Non si può esprimere quali furono i furori di Milord alla vista dei caratteri di sua figlia; egli straziò la lettera senza aprirla, e sapendo da qual mano veniva l'altra, la gettò con disprezzo, ordinando con tuono minacciante al messo di riprenderla, e di prontamente partire.
Milord Revell, informato di questo trasporto, giudicò inutile di nulla tentar d'avvantaggio; s'incaricò egli solo di adempire le ultime volontà di mia madre. Sei giorni dopo la di lei morte, lady Alderson fu portata senza pompa a Rochester nel monumento dei conti di Revell. Milord mi tenne alla fonte con mistriss Larkim; egli mi nominò Jenny, figlia di Edoardo di Salisbury e di Sara Alderson, fui condotta a Essex per esservi allattata. Mistriss Larkim, e tutti quelli che avevano servito o assistito mia madre, ricevettero dei contrassegni della generosità di Milord. Lidy restò presso di me, e conservò al mio servizio i medesimi appuntamenti che le aveva accordati mia madre; ella mi appese al collo il picciolo ritratto di Edoardo; quello di mia madre in grande fu collocato dirimpetto alla culla. Lidy fu incaricata di accostumarmi a considerarlo con una rispettosa tenerezza, quando i miei occhi fossero capaci di distinguer gli oggetti. Si conservavano le gioie di mia madre, perché mi fossero consegnate un giorno; il restante fu venduto, e Mìlord l'investì unitamente ai fondi ch'ella impiegati aveva sul banco di Londra. Le rendite, tutti gli anni aumentando il fondo, col tempo avrebbero prodotto una somma che stata sarebbe sufficiente per mettermi in salvo dall'indigenza, se il caso non avesse disposto crudelmente dei beni che mi erano destinati.
Al principio del mio sest'anno, Milord mi condusse in una pensione vicina ad Oxford; vi sono entrata sotto il nome di miss Jenny Glanville, figlia di condizione, che i suoi parenti, ritenuti alla Giamaica per il servizio del re, volevano far educare in Inghilterra. Le frequenti visite di Milord, l'amicizia della quale egli mi onorava e la ricchezza del vestiario ch'egli si compiaceva fornirmi, diedero un'alta opinion della mia condizione. Sarebbe stato difficile che il mondo potesse formar de' sospetti sopra la mia persona, vedendomi appoggiata ad un soggetto sì ragguardevole.
Ho ricevuto in questo ritiro quella nobile educazione che davasi alle figliuole de' più gran signori del regno. Il mio spirito inclinato alla riflessione, l'amor proprio che temeva le correzioni e il desiderio di farmi amare m'impegnarono naturalmente ad approfittare della cura che prendevano per istruirmi. Appresi facilmente tutto quello che forma il carattere di una donna destinata ad essere ricca ed a sostenere un grado nel mondo; ma non mi insinuarono quei principii solidi ed essenziali che ci insegnano a godere con moderazione dei beni della fortuna.
Milord Revell avea dei parenti lontani, i quali in difetto d'eredi prossimi, si lusingavano di aver parte alla di lui successione, ed osservavano attentamente i suoi passi. La di lui estrema amicizia per il figlio del duca di Salisbury distruggendo le loro avide speranze, li allontanò da gran tempo dalla sua casa. La morte di Edoardo li avvicinò nuovamente a Milord; essi ritornarono a frequentarlo, ma io ero divenuta l'oggetto della loro curiosità; gli parlavano della sua pupilla, desideravano di vederla, di conoscerla; ma egli guardava sul conto mio un profondo silenzio, affine di nascondere le sue bontà per me; egli scancellò dal suo testamento l'articolo ov'era io nominata, temendo che un legato troppo considerabile non mi attirasse troppi nemici, e non esponesse le sue disposizioni ad essere disputate. La sua generosa attenzione gli fe' temere altresì di vedersi prevenuto dalla morte, o da una possibile debolezza di spirito, prima di avere stabilita la mia sorte, e l'indusse a prendere delle misure per assicurarla.
Sir Humfroid, attaccato da lungo tempo a Milord, possedeva tutta la di lui confidenza, e la meritava per il suo zelo e per la sua probità. Milord gli confidò il soggetto di una sì nobile inquietudine, e gli comunicò il modo che gli pareva il più proprio per dissiparla. Pose fra le mani di sir Humfroid un portafoglio contenente in biglietti di banco quindeci mila lire sterline, delle quali egli mi faceva un dono, e in oltre quattro mila provenienti dalla mia genitrice. In quest'ultima somma era compreso il fondo di una piccola rendita assegnata a Lidy. Milord ordinò a sir Humfroid di continuar a far passare la rendita di questi beni in aumentazione del capitale; egli aggiunse a questo deposito gli effetti preziosi di lady Alderson con tutte le carte che riguardavano la di lei memoria, e potevano illuminarmi sopra la mia nascita.
Sir Humfroid s'impegnò di adempire i desideri di Milord; gli promise di rendermi padrona de' miei beni quando fossi arrivata all'età di anni diciotto, se in questo tempo Milord non fosse in caso di eseguire egli stesso le sue disposizioni. Le carte di mia madre, sigillate dal sigillo di Edoardo e dal suo, furono confidate alle mani di Lidy per passarle alle mie, allora quando foss'io in grado di farne uso; sir Humfroid vi aggiunse una dichiarazione ben estesa, spiegando il numero e la qualità degli effetti de' quali era depositario. Tre anni dopo perdei l'unico amico mio, il mio saggio e nobile protettore; la sua tenera previdenza avea fatto il possibile per assicurare la mia fortuna, ma che può la prudenza degli uomini contro il destino distruttore dei progetti i più profondi e i meglio condotti? Un momento rovescia tutti i nostri disegni, dissipa le nostre speranze, e ci abbandona a tutti que' mali che le viste limitate degli uomini credevano aver preveduti.
Io piansi Milord, lo piansi amaramente; ma nell'età in cui mi trovava, l'impressione del dolore si scancella sì rapidamente che si può chiamare una breve interruzione della gioia; quante volte donai posteriormente delle lacrime amare alla memoria di questo generoso amico! Ahimè! tutte le sue bontà, tutte le sue beneficenze, non hanno potuto sottrarmi dal mio crudo destino. Ah! madama, quanto è felice l'infanzia! Perché non ci è permesso di godere di una vera felicità che in un tempo in cui atti non siamo a conoscerla, in un tempo in cui, in luogo d'applaudirci di una calma interna, portiamo ordinariamente le nostre idee verso un avvenire che deve alterarla o distruggerla? Arrivai all'età di quindici anni senza che una sola riflessione avesse agitato il mio spirito o turbata la dolce uniformità del mio vivere; ma un avvenimento, indifferente nell'apparenza, cominciò a farmi sentire dell'inquietudine sopra la mia nascita o almeno sopra la condotta de' miei genitori a mio riguardo.
Passeggiando un giorno con sei delle mie compagne colle loro donne, con Lidy, e due delle nostre governanti, arrivammo alla sommità di una collina; di là scopersi un'abitazione che mi pareva deliziosa; proposi alle mie compagne di addirizzar colà i nostri passi, e niuna opponendosi al mio desiderio, noi traversammo per la prima volta la via che limitava ordinariamente le nostre passeggiate. Arrivate nel viale che conduceva al palazzo, un giardiniere occupato a potare gli alberi ci aprì una picciola porta, e ci condusse in un vasto giardino. Dalla medesima guida fummo condotte a scorrere tutte le bellezze di quel luogo ricco ed ameno, con quella soddisfazione che la menoma novità eccitar suole nell'animo della gioventù. Un boschetto ornato di fiori, in cui quattro fontane zampillanti temperavano gli ardori della stagione, ci parve a proposito per riposarci. Le nostre governanti e le nostre donne sedettero sopra de' sedili erbosi; ma l'attività naturale della nostra età ci portò ben presto a cercare del divertimento, e ci animò ad eseguire danzando tutte le contraddanze che ci erano state insegnate.
Mentre eravamo occupate in questo piacevole esercizio, un giovine in abito di cacciatore comparve tutto ad un tratto in mezzo di noi; scoprendolo, le mie compagne cessarono di danzare; più coraggiosa, o più distratta dell'altre, mi sdegnai contro di esse, senza fare attenzione allo spettatore, la di cui vista le aveva arrestate. I miei occhi si fissarono in fine sopra di lui, i nostri sguardi si riscontrarono, ma egli lesse facilmente nei miei ch'egli mi era importuno.
S'innoltrò l'incognito verso la mia persona, mi fece salutandomi un profondo inchino, mi chiese perdono di avere sconcertato colla sua presenza un divertimento senza dubbio per me lusinghevole, nel quale, aggiunse egli graziosamente, si sviluppavano in me le grazie e le finezze le più delicate.
"Sono mortificato" diss'egli "di avere interrotto il vostro divertimento; se la mia vista v'ispira della tristezza o dell'avversione, avrò doppio soggetto di dolermi dell'accidente che mi ha qui condotto."
Da un simile ragionamento mistriss Anna, la più attempata delle nostre governanti, credette aver commesso un gran fallo lasciandoci entrare in un luogo in cui non conosceva persona alcuna. Giudicando all'aria nobile del giovine cacciatore ch'ei ne fosse il padrone, ella si mise a complimentarlo di una maniera sì caricata, ch'io non potei trattenermi di ridere della gravità, e de' singolari di lei discorsi. L'allegria che in questa occasione ritornò sul mio volto e sulle mie labbra, rianimò quella della nostra picciola truppa; quegli che l'aveva alterata, avendoci proposto di ripigliare la contraddanza interrotta, noi ci riguardammo, e di comune consenso l'abbiamo ripigliata con lo stesso piacere che per lo innanzi.
Nel medesimo tempo il giardiniere che ci aveva introdotte, ricevé degli ordini; sortì dal boschetto, e poco dopo ritornò caricato di fiori e frutta; molti servitori seguendolo portarono differenti qualità di rinfreschi. Il cavaliere la di cui attenzione li faceva comparire così a proposito, ce li presentò; egli ce li offrì in una maniera sì polita e sì obbligante, che non abbiamo potuto esimerci di accettarli. Venuta l'ora di ritirarci, prendemmo da lui congedo, ma avvicinandosi la notte, l'apparenza ch'essa potrebbe sorprenderci in cammino, somministrò all'officioso cacciatore un pretesto per accompagnarci; mi presentò egli una delle sue mani, presentò l'altra a miss Clifford, e ci ponemmo in cammino, trattenendoci mutuamente, come se ci fossimo conosciuti da molto tempo.
Arrivati alla porta ove noi dovevamo separarci, il nostro condottiere mostrò tutto il suo rammarico che provava nel distaccarsi da noi. Un'aria trista succedette alla giovialità che fino allora aveva mostrata; in movimento di allontanarsi trovava sempre delle ragioni per trattenersi, e miss Clifford approvava tutti i piccioli motivi che lo arrestavano; egli si era curiosamente informato del mio nome, della mia qualità, delle persone dalle quali io dipendeva: la mia compagna l'aveva soddisfatto sopra tutte queste domande; le sue questioni reiterate cominciavano ad istancarmi, quando alla fine si determinò a lasciarmi.
Quest'avventura ci servì di conversazione tutta la sera; fummo istruite che il castello, ove noi eravamo state, apparteneva a milord Clare, pari d'Irlanda, considerato alla corte, amato dalla nazione; ma divenuto tristo, e quasi feroce, per un avvenimento sinistro. Appassionatamente amante della figlia di milord Clarendon, vicino ad unirsi con lei, una morte crudele e improvvisa l'aveva a lui rapita; eran due anni ch'ei la piangeva, e passava i giorni suoi in quella terra a fine di abbandonarsi intieramente alla tenera melancolia ch'ei sembrava di compiacersi nel conservare. I suoi amici partecipavano a vicenda della di lui solitudine, ma non potevano persuaderlo di lasciarla. Di tutto questo fummo esattamente istruite; ma indovinare non si poteva chi fosse il giovane che ci aveva colmate di politezze. Tre giorni dopo questa lettera rischiarò i nostri dubbi.
LETTERA DI SIR JAMES HUNTLEY A MISS JENNY GLANVILLE
Miss vezzosa ed amabile. Dopo un mese ch'io vivo in casa di milord Clare mio amico, contemplando in lui con terrore i tristi effetti di un amore sventurato, credevo essermi assicurato colle mie riflessioni contro una passione che mi ha fatto sempre tremare, ma uno strale partito dagli occhi vostri m'invola a me medesimo, distrugge la forza dell'esempio, e rende inutili i consigli della ragione. Le vostre grazie, le vostre bellezze, i vezzi vostri hanno sedotto il mio spirito, e penetrato il mio cuore. Non vi offendete, amabile Miss, di una confidenza sì libera; il sentimento che me la svelle, è egualmente rispettoso che vivo e appassionato; esso mi sforza violentemente, e si manifesta mio malgrado. Mi sono presentato due volte invano; mi è stato rifiutato duramente l'onor di vedervi; degnatevi ascoltarmi, o farmi istruire per quali mezzi possa ottenere la permissione di rendervi le mie attenzioni. L'uomo di cui avete penetrato il cuore può pretendere alla conquista di quello di miss Jenny, se tutto cio' che può esigere della considerazione nel mondo, non è un titolo troppo debole per meritare la di lei stima, ed ottenere una preferenza alla quale tendono tutti i voti di James Huntley baronet.
Una donna che ci vendea de' nastri mi diede questa lettera nascostamente, e mi pregò di occultare da qual mano io la teneva. Era di Lidy che il Baronet si lagnava, ed ella non voleva acconsentire di accordargli la libertà di parlarmi; esatta a seguire le intenzioni di milord Revell, ella non credeva dover lasciar avvicinare alla mia persona un giovine di cui l'aspetto amabile avrebbe potuto piacermi, e mettermi in caso di attendere con dispetto il tempo prescritto per rendermi padrona di me medesima.
Lessi quella lettera senza commozione alcuna. La dichiarazione del Baronet non fece in me alcun effetto; lungi di osservarne il secreto, feci parte di questa lettera a Lidy; questa giovine aveva impiegati gli ozii, ch'ella godeva presso di me, ad erudirsi con letture istruttive. Le cognizioni acquistate, aggiunte all'estrema bontà del suo cuore, la rendevano amabile; ella pensava con senno, e si esprimeva con facilità; ella era distinta nella casa in cui eravamo; mi era teneramente attaccata, io l'amava; se io avessi nella più piccola circostanza mancato di confidenza verso di lei, se io avessi osservata la menoma riserva a suo riguardo, avrei creduto commettere una spezie di tradimento.
Lidy lesse la lettera, e rendendomela immediatamente:
"Che pensate voi?" mi disse.
"Nulla;" risposi "attendo il vostro consiglio intorno alla condotta che io tener devo."
"Se voi volete riportarvi al mio consiglio," riprese ella "voi farete poca attenzione a questi ragionamenti lusinghevoli. Un sesso ardito li dispensa con prodigalità; la sua sommissione apparente nasconde sovente de' progetti offensivi. L'amabile ingenuità che vi caratterizza, non è ordinariamente propria degli uomini; il più perfetto fra di loro crede poter imporci impunemente una capricciosa legge ch'eglino si sono fatta, e che li dispensa d'esser giusti e sinceri conversando con noi; ciò non ostante," soggiunse ella "voi siete la padrona di ammettere o di rifiutare le visite del Baronet; niente può violentare le vostre inclinazioni. Colui che vi otterrà da voi medesima, non proverà difficoltà dalla parte di sir Humfroid; io so per altro che il suo disegno, conformandosi alla volontà di milord Revell, non è di stabilirvi sì presto.
"Ah! perché" diss'io allora "il tempo del mio stabilimento dipend'egli dalla volontà di milord Revell, che non esiste più, o da quella di sir Humfroid? Non ho io de' parenti? Malgrado la distanza de' luoghi ov'essi risiedono, non tocca ad essi a disporre di me?" La mia questione mostrò d'imbarazzarla; ella sospirò, chinò gli occhi, e non mi rispose. Il suo silenzio, la sua tristezza, mi causarono una spezie di agitazione che non aveva ancora provata.
"Da che deriva mia cara Lidy," io continuai "che questi congiunti sì attenti a procurarmi tutto quello che mi è utile o aggradevole, trascurino di ricevere dei contrassegni della tenera mia riconoscenza? Perché sir Humfroid è egli il solo incaricato di una corrispondenza che mi sarebbe sì cara? Non potrebbero eglino permettermi di scriver loro, e direttamente onorarmi delle loro bontà?"
Lidy sospirò di nuovo, pensò un momento, e riguardandomi di un'aria intenerita:
"Ah! Miss, Miss," ella mi disse "uno spazio immenso vi separa da quei parenti de' quali la protezione sarebbe sì necessaria alla vostra gioventù. Accostumatevi a pensare che forse non li vedrete giammai. Formatevi un carattere che vi faccia trovare in voi stessa la forza di condurvi da voi medesima senza l'aiuto de' congiunti vostri; apprezzate e conservate la pace del vostro cuore, e non vi affrettate di avvicinare a voi un sesso pericoloso. Se voi sapeste quanto la passione che si cerca ispirarvi ha costato di pena a vostra madre! Voi lo saprete un giorno..."
Le sue lacrime l'interruppero, non potei obbligarla a spiegarsi d'avvantaggio; ma i suoi pianti mi fecero una viva impressione, e m'inspirarono un desiderio inquieto di conoscere i miei genitori. Abbracciai Lidy, l'assicurai che il Baronet m'era indifferente, e dandole la di lui lettera, la lasciai padrona di rispondergli.
Miss Clifford, non conoscendo sir James per il suo vero nome, s'immaginava ch'ei fosse milord Clare medesimo; lo riguardava con minor freddezza di me, parlava sovente di lui, e copriva la sua inclinazione col manto della pietà, credendolo afflitto e addolorato. Ho creduto doverla disingannare, e per provarle ch'egli non era milord Clare, feci che Lidy le mostrasse la lettera del Baronet.
Ella arrossì leggendola, ma non fece conoscere che la preferenza ch'egli mi dava le inspirasse la menoma gelosia a mio riguardo; lo provò con una condotta singolare, che l'estrema sua gioventù e la sua poca esperienza non avrebbero potuto renderla scusabile agli occhi di una persona sensata.
Dopo aver ella tentato in vano tutte le vie per impegnarmi a rispondere al Baronet, gli scrisse finalmente in mio nome. La sua lettera era soverchiamente espressiva, e la giovine Miss non la credea che polita: dicevagli che assoggettata alla volontà di una governante severa, io seguir non poteva i propri miei movimenti; lo consigliava di chiedere a miss Clifford la permissione di farle una visita, sicuro che l'otterrebbe, la più tenera amicizia unendoci l'una e l'altra; s'egli avea accesso presso della mia compagna, troverebbe facilmente l'occasione di vedermi e parlarmi.
Miss Clifford soscrisse col mio nome, e mandò questa imprudente lettera, senza comunicarmela. Il Baronet contento, sicuro d'essere ricevuto credendo scrivere a me, rispose in termini riconoscenti e appassionati. La stessa sera miss Clifford ricevette un di lui biglietto diretto al di lei nome; egli la pressava istantemente di permettergli di venire ad assicurarla del rispettoso desiderio ch'egli sentiva di ottenere la di lei stima, e di gustare le delizie della di lei società; era impossibile, diceva egli, di non approfittare del comodo della vicinanza per procurarsi l'onore di renderle delle attenzioni, degli omaggi, che le erano dovuti per tanti titoli. Miss gli fece sapere che lo vedrebbe con estremo piacere.
Il giorno appresso miss Clifford fu avvertita di passar nella sala ove si ricevevan le visite. Un istante dopo mandò pregarmi d'andare colà a ritrovarla. La mia sorpresa, vedendola col Baronet, destò in lei de' movimenti di gioia, e animò la conversazione. Sir James impiegò tutte le grazie che adornano un uomo che vuoi piacere.
Miss Clifford lo ascoltava attentamente, l'applaudiva, e si mostrava sorpresa e maravigliata di tutte le più piccole cose ch'ei pronunciava. Il mio silenzio e la mia freddezza troppo evidente per non essere conosciuta, rallentarono alquanto la vivacità di sir James. La sua venuta mi parea troppo ardita, e alcune parole addirizzate a me a bassa voce mi sorprendevano; usava meco di una libertà ch'io non gli aveva accordata; frammischiava ne' suoi discorsi interrotti certe parole di lettera e di ringraziamenti, come se io gli avessi scritto; tanto mi annoiò egli, ch'io non potendolo più soffrire, presi il pretesto di un mal di capo per ritirarmi. Sir James si alzò, e vedendo al suo orivolo che l'ora era tarda, si scusò di essere stato troppo indiscreto, e prese da noi congedo promettendoci di ritornare ben presto. Rimaste sole, esagerai con miss Clifford la mia sorpresa per la condotta del Baronet; le rimarcai fra le altre cose quei termini misteriosi di lettera e di ringraziamenti ch'io non poteva comprendere; la mia compagna arrossì, e mi confessò con una semplicità mista di confusione il foglio ch'ella aveva scritto a sir James, e sottoscritto in mio nome. Non potei dissimulare la mia sorpresa, accompagnata da una spezie d'indignazione per una tale imprudenza; mi gettò ella le braccia al collo; piangendo mi protestò che non aveva pretensione alcuna sopra il cuore di sir James, ma si compiaceva infinitamente di vederlo, e di conversare seco lui; mi assicurò che per procurarsi quest'unica compiacenza aveva osato di azzardare la lettera ch'io aveva ragione di condannare; mi pregò affettuosamente di non privarla del piacere innocente che le sue visite le procuravano: piacere ch'ella perderebbe, se io rifiutava le di lui attenzioni. Ella mi parlava di un tuono sì tenero e sì appassionato, che tutto le perdonai, e le promisi tutto, a condizione però ch'ella mi permetterebbe di mettere Lidy a parte di questo gioco.
Il mio spirito non era abbastanza illuminato per comprendere a quali inconvenienti poteva espormi la mia compiacenza; credetti con ragione aver bisogno in ciò del consiglio di Lidy. Ella infatti, lungi di approvare la mia condiscendenza, la condannò; mi fece osservare che sir James si sarebbe formalizzato, se creduto avesse che l'invitazione fattagli veniva da me, e con questa supposizione la mia riserva sembrerebbe ridicola. Ella s'incaricò di disingannarlo, biasimò fortemente la stordità di miss Clifford, e le parve difficile di correggerla, senza lasciar penetrare al Baronet l'inclinazione ch'ella aveva per lui.
Sir James fu sorpreso e confuso sentendo che quel foglio lusinghevole non era né di mia mano, né di mio consentimento. Egli nutriva un desiderio estremo di piacermi. Mille dolci speranze occupavano di già il di lui cuore. Questa scoperta, aggiunta al freddo accoglimento ch'io fatto gli aveva, lo riempì di tristezza, e se ne lagnò talmente che le sue doglianze intenerirono il cuore di Lidy; ella non faceva alcun caso della massima, che pareva stabilita, di non maritarmi che all'età di diciotto anni; le pareva anzi cosa più utile per me d'esser di buon'ora sotto la protezione di un marito, piuttosto che abbandonata, giovine come io era, alla mia propria condotta. Parevale che il Baronet mi convenisse: trovava che la sua età, la sua figura, la sua nascita rendevano la nostra unione adeguata. Egli era scozzese, e dipendeva da sua madre; ma più di venti mila sterline, che accompagnerebbero la mia mano, potevano attirarmi della considerazione, e riparare agli occhi di una famiglia nobile il difetto della mia nascita. Queste riflessioni la determinarono a non opporsi al desiderio ardente che sir James mostrava di rendermi delle attenzioni. Se io avessi avuto dell'inclinazione per lui, ella ne avrebbe avvertito sir Humfroid, e lo avrebbe persuaso di anticipare il tempo in cui egli doveva rimettere i miei fondi nelle mie mani. Così abbandonando al caso le disposizioni del mio cuore e il successo dei voti del Baronet, non acconsentì che mi visitasse particolarmente, ma mi consigliò a riceverlo con miss Clifford.
Sir James, incoraggiato dalle buone disposizioni che gli parve aver conosciute in Lidy a di lui favore, continuò di fare una corte assidua a miss Clifford. Malgrado il giro assai naturale che avea dato Lidy alla condotta della mia compagna, il Baronet s'accorse della tenera inclinazione ch'ella concepita aveva per lui. Egli non mi vedeva senza di lei. Molte donne si trovavano nella sala dove noi ricevevamo le di lui visite. Costretto a ritenere in sé una parte de' suoi sentimenti, egli li esprimeva con delle lettere appassionate. Cedendo io alle preghiere di miss Clifford anziché all'ardore del Baronet, le riceveva, ma senza fargli risposta alcuna. La mia compagna le leggeva e si meravigliava veggendomi trascorrerle con indifferenza.
"Chi mai potrà piacervi" diceva ella "se un uomo sì amabile, sì degno di essere amato, vi trova insensibile?"
La di lei tenerezza per lui si aumentava di giorno in giorno; pareva afflitta quando partiva; quando compariva, il piacere riluceva ne' di lei occhi, ma l’innocenza, la purità de' suoi sentimenti sorpassavano la sua passione.
Sei mesi passarono senza produrre verun cambiamento nel di lei cuore, né tampoco nel mio. Sir James venne un giorno a dirci ch'egli era obbligato di partire incessantemente per la Scozia, e senza saper precisamente il tempo nel quale l'importante affare che lo conduceva gli avrebbe accordato di rivenire, compariva agitato da una violenta inquietudine; tutta la sua fortuna dipendeva, diceva egli, dall'esito di questo viaggio. L'incertezza de' miei sentimenti, il timore di non aver fatto alcun progresso nel mio cuore, la libertà in cui mi lasciava di ascoltare i voti di un amante più fortunato, gli rendeva questa separazione affannosa; egli meschiava le sue lacrime colle sue espressioni; la sua oppressione mi penetrò con quel movimento naturale, da cui un buon cuore si sente commosso per l'oggetto ch'egli crede degno di compassione; ma sir James non poté ottenere da me niente più che una semplice promessa di non impegnarmi avanti il suo ritorno: qualora avvenimenti non previsti non mi vi obbligassero violentemente. Egli partì. Miss Clifford fu afflitta di questo allontanamento. Il suo amore puro e disinteressato era senza gelosia, come senza speranza, e la sua tenera amicizia per me non s'indebolì per rivalità.
Qualche tempo prima che sir James si congedasse da noi, una lettera di sir Humfroid aveva causato a Lidy le maggiori inquietudini, senza volermi ella istruire del soggetto della sua agitazione: partita era per Londra, ove restò per lo spazio di tre settimane; la tristezza in cui ell'era lasciandomi, il suo silenzio riguardo al motivo del di lei viaggio, ed il suo lungo soggiorno alla capitale m'inquietarono. Attendeva con impazienza il di lei ritorno, e finalmente rivenne il giorno dopo la partenza di sir James.
La vidi arrivare dalla finestra della mia camera; discesi velocemente per incontrarla; mi parve agitata, confusa; la credetti affaticata dal viaggio, le feci varie questioni, non rispose ad alcuna, ma prendendomi per la mano mi condusse nel mio appartamento, e là dissemi, con una voce angosciosa e tremente:
"Ah Miss, armatevi di coraggio. Il cielo non abbandona chi in lui confida; ma senza un miracolo della Provvidenza noi siamo perdute."
Sentii gelarmi il sangue nel petto ad un tale annunzio; la pregai di non tenermi sospesa, assicurandola che l'incertezza del mio destino mi parerebbe più dura di qualunque perdita.
"Sì, sì, Miss," riprese ella "la vostra è grande, ed è irreparabile. Sir Humfroid è morto. Una donna, di cui fatalmente si era invaghito, dilapidò tutte le sue sostanze, e finì l'opera scellerata involando le vostre. Teneva egli in un portafoglio separato le polizze del banco che negoziava alla borsa per conto vostro; se ne impadronì furtivamente questa femmina indegna; rubò nel tempo medesimo la cassetta che conteneva le vostre gioie, e fuggì. Quest'ultimo colpo atterrò sir Humfroid; cadde ammalato, mi chiamò a Londra, vi giunsi tardi; lo trovai senza conoscenza; morì due giorni dopo, e fui da un'antica serva di quest'uomo della di luì sventura e delle perdite vostre istruita. L'audace femmina che aveva commesso il delitto, aggiungendo lo scherno al furto, lasciò in una lettera le prove del suo misfatto, e si salvò colla fuga. Non mancai di usar tutte le diligenze possibili per iscoprir le traccie di questa donna; fui assicurata che imbarcata si era per l'Indie Orientali, onde inutile era ogni sperimento."
Terminando così il suo lugubre ragionamento, sfogò il dolore che l'opprimeva con un torrente di lacrime; m’intenerì ella talmente, che pensando più a consolarla che a dolermi del mio destino, la confortai a non abbandonarsi al dolore, e a confidare in quella Provvidenza, di cui mi aveva ella saggiamente parlato.
"Finalmente ," le dissi "se perduto ho molto, non avrò tutto perduto. Deggio aver de' parenti; per lontani che siano, arriveranno loro le mie querele; sarò da loro certamente assistita, proveduta..."
"Ah, Miss!" riprese Lidy "conviene dunque che nel medesimo istante aggiunga al vostro cuore ed al vostro spirito dolore sopra dolore, e ch'io metta in cimento la vostra virtù contro una folla di avvenimenti tristi e funesti. Voi confidate ne' parenti vostri? Ah Miss! voi mi obbligate a parlare; parlerò, mio malgrado; vi svelerò un mistero che sorpassa le perdite che avete fatte di tutta la vostra fortuna; ma lasciatemi respirare; oppressa dal dolore, affaticata dal viaggio, vi domando qualche istante di tranquillità e di riposo."
La pregai di mettersi sul suo letto; le diedi tutti quei soccorsi che l'amicizia potea suggerirmi; la lasciai sola per darle tempo di respirare, ma non tardò ella mezz'ora a ricomparirmi dinanzi, per istruirmi di quello che mi riguardava.
Mi parlò dunque de' miei genitori; me li fece conoscere perfettamente; mi parlò, tremando, della mia nascita, e finì d'atterrirmi colla storia lugubre della loro morte.
Giudicate, madama, dei movimenti del mio cuore durante un sì lungo e sorprendente racconto: rilevare tutto in un tempo, ch'io non apparteneva a persona alcuna! Ah! quanto i primi colpi del dolore sono sensibili! Qual estensione danno eglino ai pensieri tristi e lugubri! Una folla di riflessioni si offersero al mio spirito; in mezzo di queste fissai gli occhi nel ritratto di lady Sara, caddì a ginocchio, le braccia stese verso quell'effigie:
"Oh mia madre," esclamai "oh mia amabile madre! Voi dunque più non vivete? Non vi vedrò dunque mai più? Mai più le braccia di una tenera madre non stringeranno la sventurata Jenny? Mai più gli sguardi carezzanti di un padre non caderanno sopra di me? Non formerò io la contentezza de' miei genitori, non addolciranno eglino i rigori della mia condizione? Ah! qual mano asciugherà le mie lacrime? Qual seno si aprirà ai gridi del mio cuore gemente?"
Lidy, ponendosi a ginocchio accanto di me:
"Cara Miss," mi diss'ella "alzate gli occhi vostri innocenti verso del cielo, implorate l'onnipotente protettore che solo può consolarvi, fate consistere la vostra fiducia in lui solo, seguitelo per le strade ch'egli saprà additarvi; le benedizioni discenderanno sopra di voi. Milord Alderson vive ancora: il tempo può essere che abbia diminuito il suo orgoglio, estinti i suoi risentimenti, cambiato il suo cuore; egli ha sempre ignorato il destino di sua figliuola; rilevandolo in quest'occasione, sarà forse contento di trovar in voi una nipote, le di cui attenzioni potrebbero addolcire la sua vecchiaia. Io vi condurrò a' suoi piedi, lo stato vostro lo muoverà a compassione; s'egli è inflessibile, io sono ancor giovine, posso applicarmi al lavoro; il ben essere me lo fe' trascurare; il mio zelo e la mia amicizia mi renderanno le mie forze e la mia industria primiera. Vi procurerò i bisogni i più interessanti della vita; giammai il mio attaccamento per voi non si cambierà."
"Ah, cara Lidy! la mia unica amica!" esclamai abbandonandomi tra le sue braccia "non ho che voi nell'universo, non ho che il cielo e voi! Dirigetemi, istruitemi; dividerò con voi le vostre fatiche; voi siete il mio conforto, il mio appoggio, la mia consolazione. Ah! io non ho che voi," le replicai, stringendola al seno "non mi abbandonate giammai." Ella non poté rispondere che colle più tenere e le più sincere carezze. Noi passammo il restante del giorno a piangere, a darci delle sicurezze scambievoli di vivere e di morire insieme.
Il giorno appresso Lidy mi consegnò le carte di mia madre. Quale commozione provai trascorrendole! Quante lacrime versai sul destino del mio genitore! Quanto il di lui ritratto mi divenne caro e prezioso! Baciai le di lui lettere con rispetto, e bagnai di lacrime quel manoscritto, ove lady Sara avea delineati i suoi sentimenti per lui. La prima impressione che mi fece quella lettura, non si è giammai scancellata dalla mia memoria; ella scolpì nel fondo del mio cuore una tenera compassione; ella v'instillò l'amore ed il rispetto per la memoria di Edoardo e di Sara.
Mi trovava nella dura necessità di prendere un partito, e di prenderlo prontamente. Sessanta ghinee, che mi rimanevano, diventavano una somma da economizzarsi; ne pagava dodici il mese nella pensione dov'era. Lidy, conoscendo l'impossibilità di sostenere quella spesa, aveva condizionatamente ritenuto un alloggio a Londra presso mistriss Mabel sua sorella, e mi chiese se io sarei contenta. Questa donna vedova continuava il commercio di suo marito, fabbricava e vendeva dei nastri, ed altri lavori di simil sorta. Lidy si propose d'apprendere questo mestiere ed occuparsene, e di pagare una pension modica per me a fine di dispensarmi dal lavorare. Il suo buon cuore verso di me l'impegnò a nascondermi una parte di questo accomodamento di già stabilito con sua sorella, nella tema ch'io non mi opponessi a lasciarle la cura di procurare sola la nostra sussistenza. Determinata a dipendere da' suoi consigli, acconsentii di accettare l'alloggio da lei propostomi, aspettando il tempo in cui potrei ricorrere alla protezione di milord Alderson. Annunziai la mia partenza alle mie compagne; presi il pretesto di un ordine de' miei genitori, i quali vicini a ritornare in Inghilterra, desideravano di trovarmi a Londra al loro ritorno. Provai una pena estrema preparandomi a lasciar quella casa, dove avea passati dei giorni sì tranquilli e felici. I miei complimenti con miss Clifford furono ancor più teneri e interessanti; separandomi da lei, mi ricordai di sir James; egli scritto mi aveva dopo la sua partenza, ma lo stato in cui era non mi permetteva di occuparmi per lui. Pregai miss Clifford di ricevere per l'avvenire le di lui lettere a me dirette, di aprirle, ed anche di rispondervi, se esse lo esigevano. Ci siam data parola ella ed io di scriverci frequentemente, e di confidarci tutto quello che poteva interessarci. Il mio disegno era di tenere una esatta corrispondenza con lei, ma quell'orgoglio mal inteso e poco considerato, che ci conduce ad arrossire della povertà, mi fece mancare a questo impegno; non ebbi la forza di lasciar conoscere a miss Clifford in quale casa la mia cattiva sorte mi costrinse ad accettare un asilo.
Fui colpita da un movimento ben tristo arrivando a Londra. La sorella di Lidy non aveva di questa nè la dolcezza, nè l'educazione; entrando in casa sua, tutto mi rivoltò. Accostumata ad un appartamento spazioso, aggradevolmente guernito, la di cui vista dominava una spaziosa campagna, e rendeva la sua situazione sana egualmente e piacevole, mi trovai confinata in una sola stanza angusta, oscura, ed un gabinetto destinato per Lidy; in luogo di quelle amabili giovinette, dalle quali io era sempre mai circondata a Oxford, vedermi mescolata colle figlie di bassi artigiani, più grossolane ancora nelle loro idee che nel loro linguaggio, e formar queste la sola mia società, era per me un crudel martirio. Accostumata ad una tavola delicata e propriamente servita, non mi potea sedere senza ripugnanza a quella di mistriss Mabel; tutto eccitava il mio dispetto, sovente le mie lacrime. La speranza di trovar del soccorso nella bontà di milord Alderson sola mi sosteneva, e m'impedì di soccombere all'afflizione che mi causava un sì gran cambiamento.
Sollecitai Lidy di ricorrere a lui, d'istruire il padre di lady Sara della sorte dell'infelice orfana che a lei doveva la vita; ella conosceva Milord, e temeva l'istante in cui ella comparirebbe alla di lui vista. Mille riflessioni sopra il carattere di quel cavaliere indebolivano in lei ad ogni momento l'idea consolante di ottenere la di lui protezione, e d'interessarlo in favor mio. Ricordava tremando la di lui alterigia, il suo naturale inflessibile; sovvenendosi della di lui durezza durante il tempo della malattia di lady Sara, ella tremava pensando qual potrebbe essere l'accoglimento per la sventurata Jenny. Io combatteva i di lei timori.
"È egli possibile" le diceva "che possa conservarsi per sì lungo tempo la collera? Possibile che un cuore non si stanchi d'odiare? Il doloroso racconto del tristo fine della mia genitrice intenerirà Milord; le mie fattezze gli rammemoreranno l'effigie della sventurata di lui figliuola. Sono giovine, povera, abbandonata, senza speranza, senz'appoggio; quante ragioni per eccitare la compassione! Quanti titoli per meritarla!"
Lidy si occupava dei modi di soddisfarmi e di presentarmi a milord Alderson, quando il caso le fece incontrare mistriss Hammon, una delle sue antiche compagne di servizio presso di lady Sara; può essere che voi ve l'arricordiate, madama: ella l'aveva allevata, e la serviva nella pensione ove voi eravate insieme. Lidy la riconobbe, dopo qualche spiegazione. Mistriss Hammon avendola del pari conosciuta, l’istruì che Milord, infastidito del soggiorno di Alderson, non vi abitava più; passava una parte dell'anno a Londra, e l'altra a scorrere diverse abitazioni a lui spettanti, situate in que' contorni; aggiunse che di tutti i suoi antichi servitori ella era sola restata al di lui servigio; dimostrò indi una curiosità prodotta da un rispettoso interessamento toccante il destino di lady Sara, essendo a di lei cognizione la voce sparsa della di lei morte a Calais. Tali questioni interessarono Lidy; questa fece noto alla sua antica compagna che la morte di Edoardo aveva causata quella della loro padrona. Mistriss Hammon fu a parte del suo dolore e del rammarico per la perdita a loro comune, e mostrò conservar molto attaccamento per la memoria della mia genitrice. Lidy cominciò a considerar questa donna come una persona che poteva essere utile a' nostri disegni; ella le indicò la sua dimora, la pregò di andare a prendere il tè seco lei la sera medesima. Mistriss Hammon accettò l'invito con piacere, e fu esatta all'appuntamento.
Entrando ella nella stanza ch'io occupava, gettò gli occhi sul ritratto di lady Sara.
"Ah!" gridò ella levando le mani al cielo "immagine di colei che ho tenuta fra le mie braccia, non ci resta di lei che questa mutola e funesta memoria!"
Questa esclamazione mi penetrò vivamente, non potei trattenere le lacrime. In quel mentre mistriss Hammon, volgendo a me gli occhi:
"Chi è quella giovinetta vezzosa" diss'ella "che colà io miro? Le sue fattezze, i suoi pianti... Ahimè! quel che ardisco d'immaginarmi sarebbe egli possibile?" Lidy l'assicurò che non s'ingannava, se ella credeva veder in me la figlia della sventurata loro padrona.
Quando i primi movimenti di questa ottima e zelante donna furono alquanto calmati, Lidy le fece noto tutto ciò che di sinistro accaduto era a mia madre; l'espose la mia situazione presente e le domandò i suoi consigli, confessando l'imbarazzo estremo in cui si trovava alla sola idea di doversi presentare a Milord, di parlargli, e di offerire ai di lui sguardi una figlia di lady Sara.
Non avendo mistriss Hammon ripugnanza alcuna a prestar fede al racconto della mia nascita, credette ciò nonostante cosa utile e necessaria di assicurarsi della verità del fatto, e di esaminarne le prove; queste ben considerate, non le parvero sufficienti per convincer Milord ch'io doveva la vita a sua figlia. Mistriss Larlum non esisteva più; la di lei morte, e quella di sir Humfroid, mi privavano delle due sole persone, delle quali l'asserzione poteva essere di qualche peso. In quanto a milord Revell, è da supporsi ch'egli non si sia curato di assicurarmi dei diritti sulla successione di milord Alderson, poiché mi aveva egli provveduta in maniera da non aver bisogno di quella scarsa porzione che poteva pretendere sull'eredità di mia madre. Il manoscritto di mia madre offriva a mio riguardo un leggero indizio. La delicatezza delle sue espressioni gettava dell'oscurità sulle circostanze nelle quali ella si ritrovava. La sua tenerezza per Edoardo, sparsa in que' fogli, li rendeva atti a rivoltare Milord contro la di lei memoria, piuttosto che rianimare in lui dei sentimenti paterni. Lungi di scemare la sua durezza e il suo orgoglio, l'età, le infermità aggiungevano la tristezza e l'oppressione all'inflessibilità naturale del di lui cuore. Mistriss Hammon lo conosceva perfettamente, e lo dipingeva a' miei occhi in una maniera che mi faceva tremare.
A misura ch'ella parlava, le mie speranze si dileguavano; l'idea di un avvenir terribile mi riempì di spavento; impallidii, e volgendomi a Lidy piansi amaramente. Mistriss Hammon, afflitta dell'effetto che avevano prodotto in me le sue giuste osservazioni, si sforzò di cercare delle ragioni speziose proprie a distruggere le sue prime obbiezioni.
"Ricusando milord Alderson di leggere le lettere che gli furono portate nel suo feudo," diss'ella "Milord dovette restare nell'incertezza della vita o della morte di lady Sara. Egli desidera forse dei lumi, che il di lui odio per milord Revell non gli permise di ricercare in quel tempo: si possono investigare le sue disposizioni, e prender norma per ben dirigerci."
"Ma chi oserebbe esporsi" esclamò Lidy "a smentire in faccia a Milord una voce sparsa da lui medesimo? Come sostenergli che la sventurata sua figliuola non è morta a Calais? Qual furore non ecciterebbe in lui tale audacia? Chi mai potrebbe sostenere senza tremare il tuono della sua voce e l'eccesso de' suoi trasporti?"
"Io" disse mistriss Hammon "io lo servo con zelo, con fedeltà: ma sono più attaccata ai doveri dell'umanità, che alla sua persona. Sento che la durezza del di lui cuore diminuisce in me quell'affetto ch'io nutriva per lui. Gli avvantaggi de' quali io profitto nella sua casa, non sono di un prezzo così importante a' miei occhi, quanto lo è il ben essere della figlia di lady Sara, e rinunziarei senza esitanza alla mia fortuna per la satisfazione di vederla felice. Io spero molto, ma conviene ben condursi, e niente sacrificare ad una soverchia sollecitudine; cerchiamo di assicurare i successi de' nostri desideri, e non tentiamo passi imprudenti. Mi viene un'idea:" continuò ella "Milord è attualmente nella contea di Leicester; ho ordine di andarlo ad attendere alla sua abitazione di Windford; egli vi si renderà alla fine del mese venturo; la stagione comincia a raddolcirsi, venite meco l'una e l'altra a Windford; Miss ha bisogno di distrazione; quell'ameno soggiorno potrà procurargliene; colà penseremo all'importanza di quest'affare; può essere che il cielo ci scopra un modo di riuscire che le nostre viste limitate ora non possono scorgere sì facilmente."
Ho acconsentito senza pena ad accompagnarla, e partimmo il giorno appresso tutte e tre insieme per Windford.
Fine della prima parte
PARTE SECONDA
PROVVEDUTACI DA MISTRISS HAMMON una vettura non dispendiosa, ma sufficientemente comoda, arrivammo il giorno seguente alla superba terra di Windsor, che trovai ancor più magnifica e più deliziosa di quello mi era stata dipinta.
Fummo per tre settimane occupate a meditare i modi d'istruire Milord, senza irritarlo, del destino di sua figlia, e della mia esistenza; rifiutai assolutamente quelli che esponevano mistriss Hammon a perdere la benevolenza del suo padrone; non volea meritarmi un rimprovero, che mi avrebbe fatto morir di dolore.
Le nostre idee non avevano preso ancora verun partito, quando Milord ci sorprese anticipando di molto il tempo in cui si attendeva. L'accidente mi fe' trovare in un luogo per cui doveva egli passare, senza che mi fosse possibile di evitare i suoi sguardi. Lo salutai; la mia figura gli fece impressione; egli s'inchinò profondamente, si fermò per lasciarmi passare, mi seguitò cogli occhi, domandò poi a chi apparteneva; e come mi trovava alla di lui abitazione.
Senza molto allontanarsi dal vero, mistriss Hammon soddisfò la sua curiosità.
"Miss Jenny Glanville è una giovine orfana" ella gli disse allevata nell'abbondanza, nella sicurezza apparente di una onesta fortuna, ridotta al presente dall'imprudenza del suo tutore a cercare una protezione straniera, ben contenta e felice se i suoi talenti, il suo spirito e le grazie di sua persona le procacciano l'appoggio di una signora di rango, o di una ricca cittadina che degni riceverla in qualità di rispettosa amica. Ingrata risorsa per una figlia che nata è nobile, e che tre mesi addietro possedeva più di venti mila sterline." Ella aggiunse a questa esposizione tutto ciò che credette capace di eccitare in lui il desiderio di conoscermi e d'interessarsi a vantaggio mio. Milord accostumato a veder mistriss Hammon interessarsi per tutti quelli che le sembravano meritare della compassione, non fu sorpreso del calore delle di lei espressioni; approvò d'avermi dato un asilo, lodò la bontà del di lei cuore, le permise di trattenermi con lei, mostrò desiderare che si offrisse un'occasione per collocarmi, mi compianse, e cambiò discorso.
Passò qualche giorno senza che mi si presentasse l'occasione di veder Milord. Una sera entrò egli in una sala terrena, ove io era con mistriss Hammon, la chiamò, le diede qualche commissione; indi volgendosi verso di me, m'inchinai rispettosamente; un leggero movimento di capo fu tutto quello ch'ei credette dovere ad una figlia nata nobile, ma non ricca di beni, né adornata di titoli.
La gravità di quella salutazione mi parve strana, e mi fece provare una spezie di mortificazione non eccitata dall'orgoglio, ma dalla scarsa attenzione di Milord verso di me; mi avvicinai insensibilmente ad una porta, e sortii dalla sala.
"Mistriss Hammon," diss'egli ad alta voce "mi spiacerebbe di metter in soggezione la giovine amica vostra; richiamatela: io parto." Ella obbedì, mi chiamò, ma io non risposi, e mi affrettai correre in un viale del giardino, ove mi sfogai in lacrime, senza sapere da qual passione fossero esse promosse.
Mistriss Hammon colse quell'occasione per parlar di me nuovamente a Milord; ella gli fece una pittura interessante della mia situazione; gli vantò i miei talenti, e quello della musica spezialmente, sforzandosi d'ispirargli almeno il desiderio di esperimentarmi per una spezie di divertimento. Egli amava con trasporto la musica, ed io la possedeva assai bene; egli ascoltò mistriss Hammon pazientemente, ma senza mostrare d'interessarsi alla persona di cui si trattava, e ben presto partì, replicando:
"Chiamatela, non voglio incomodarla."
Due giorni dopo Milord domandò a mistriss Hammon se potesse ella procurargli il piacere di sentirmi suonare il gravicembolo e cantare qualche aria. Questa donna, trasportata dal piacere, corse in traccia di me:
"Egli vuol vedervi," esclamò ella "vuol sentirvi, il cielo senza dubbio fece nascere questo desiderio nel di lui cuore; non arrossite di mostrare della compiacenza per Milord; impiegate il vostro spirito a parlargli, i vostri talenti a trattenerlo; divenitegli necessaria, fate in modo che egli brami, se è possibile, di non perdervi mai di vista. Cara Miss, questo istante dee forse decidere del vostro destino."
Era inutile ch'ella mi eccitasse a mostrare rispetto inverso Milord Alderson; la sua presenza mi avea fortemente commossa; il piacere di alzar gli occhi per la prima volta sopra una persona a cui il sangue mi legava, persona dispensata, è vero, dalla legge di proteggermi, ma impegnata dalla natura a compiangermi, ad amarmi, a soccorrermi: mille sentimenti uniti mi affezionarono al di lui aspetto, e prepararono il mio cuore a rispettare ed amare il padre di lady Sara.
Scortata da mistriss Hammon entrai nella sala ove Milord mi attendeva. Egli mi ricevette con politezza; dopo varie scuse oneste e civili, toccanti il desiderio che avea di sentirmi, e l'incomodo che dato mi aveva per soddisfarlo, mi fece sedere al gravicembolo; obbedii. Ascoltandomi attentamente a suonare, parve sorpreso dall'agilità della mia mano, e lo fu ancor d'avvantaggio dalla esecuzione del canto, mostrandosi trasportato dalla dolcezza e dalla flessibilità della mia voce; passando dalle mie lodi a quelle del compositore di un'aria che l'avea estremamente soddisfatto, parlò dei differenti generi dell'armonia, si dilungò sopra un tale soggetto, che trattò da conoscitore; fece menzione di alcune particolarità de' suoi viaggi in Francia ed in Italia, due regioni dove tuttodì si sente disputare in tal materia sul merito della preferenza. Io lo ascoltava con attenzione, i suoi ragionamenti s'incatenavano mirabilmente l'uno con l'altro; continuò di parlare sino al momento in cui fu avvertito che la tavola era imbandita. Mi disponeva a sortire, mi pregò egli di pranzare seco lui. Mistriss Hammon si affrettò di accettare quest'onore per me. Durante il pranzo Milord conservò la giovialità; egli ordinò che i suoi cavalli fossero attaccati a cinque ore; parve mal contento di essersi impegnato a sortire; lasciandomi mi ringraziò dei momenti piacevoli, che io gli aveva fatti passare.
Questo buon principio mi presentava una prospettiva felice; nulladimeno Lidy aveva degli obbietti opposti alle speranze di mistriss Hammon; ella erasi sin allora sottratta alla vista di Milord, e temeva sempre per lei e per me l'istante in cui egli rileverebbe il secreto de' miei natali. Il giorno appresso mi fu detto all'ora del pranzo che Milord mi attendeva: contenta di questo invito, corsi al di lui appartamento; fui ricevuta come una persona la cui comparsa era desiderata. Suonai il gravicembolo dopo aver pranzato; non lasciai Milord che all'ora in cui ordinariamente si ritirava per riposare. Ciascun giorno io aumentava in favore presso milord Alderson, otteneva di quando in quando delle grazie leggere, che osava domandargli ad istanza del suo cappellano; gli presentai le suppliche de' suoi vassalli e de' suoi fermieri, resi de' servigi a tutti i suoi domestici; il rispetto di questi cresceva per me tutti i giorni a misura delle distinzioni che il padrone mi usava; cominciavano a dirsi fra di loro in secreto:
"Miss Jenny sarà ben presto miledy Alderson"; credevano che Milord mi fosse seriamente attaccato; non sapevano essi che una persona può colle sue qualità sedurre lo spirito di un grande, senza interessare il suo cuore.
Vissi più di un mese in questa spezie d'intimità con Milord, mangiando alla di lui tavola, e passando una parte del giorno presso di lui, senza ch'ei degnasse dirmi una parola sopra la situazione critica delle mie circostanze, senza informarsi delle particolarità de' miei avvenimenti, e delle risorse che io poteva sperare. Una flussione di occhi lo privava da molto tempo del piacer del passeggio; le griglie del di lui appartamento erano sempre chiuse, e l'oscurità mi lasciava appena discernere le difficoltà della musica. Guarì egli alla fine, e con piacere si vide in libertà di scorrere i suoi giardini e di godere de' nuovi abbellimenti che vi aveva ordinati.
Mandò ad invitarmi un giorno a passeggiare seco lui; mi resi agli ordini suoi, ed arrivammo ad una peschiera vasta e scoperta. Colà fissò gli occhi Milord sopra di me con un'attenzione insolita; fosse che la vivacità estraordinaria del sole influisse maggior vigore alla vista di Milord, o fosse per qualch'altro accidente non facile ad ispiegarsi, dopo avermi egli guardata e riguardata, un movimento di sorpresa lo fece ritirar qualche passo, alzar le mani, e pronunziare delle parole mutilate, delle quali parvemi aver bastantemente compreso il senso; rivenne, e mi riguardò fissamente senza parlare; indi appoggiandosi sopra l'inferriata che circondava la peschiera, chinò la testa ed esclamò:
"Quali fattezze, qual sorprendente conformità!"
Oh quanto era, madama, in quel momento il mio cuore agitato! Milord cominciava ad avvedersi della rassomiglianza della mia effigie a quella di lady Sara, ciò lo rendeva inquieto; ma la di lui sorpresa non si vedeva meschiata d'alcun segno di tenerezza; la severità de' suoi sguardi m'intimoriva; agitata, turbata, guardava il silenzio, ed attendeva tremando che Milord fosse il primo a parlare.
Il suo sembiante, divenuto in un momento sì fosco, sembrò rischiararsi a poco a poco. Si volse verso di me, mi fece una spezie di scusa della sua distrazione.
"Voi mi avete fatto sovvenire" mi disse "di una persona la cui memoria mi è odiosa; la vostra fisonomia è somigliante alla sua; io desidero che il cielo non vi abbia destinata a condurvi come quella, e che vi preservi dalle sue debolezze." Noi continuammo la nostra passeggiata, e Milord m'interrogò per la prima volta sopra il tempo in cui aveva perduto i miei genitori, sopra gli accidenti che mi privarono de' miei beni, e sopra il rango e la condizione di mio padre.
Istruita di quello che io dovea rispondere, poteva riuscirmi facile di soddisfarlo, senza tradirmi; ma poco costumata a nascondere la verità, esitai; il mio imbarazzo si mostrava sino dal suono della mia voce, e cercava allontanar la conversazione di un soggetto dal quale la sincerità del mio cuore si sentiva ferita. Milord rientrò più presto di quello che a mio credere si aveva egli proposto; col pretesto di un po' di stanchezza, e di voler riposarsi, mi lasciò assai bruscamente.
Io mi credei perduta. Mistriss Hammon e Lidy pensarono egualmente ch'egli mi priverebbe ben presto de' suoi favori; ciò non ostante all'ora del pranzo vennero a dirmi, giusta il consueto, ch'ei mi attendeva. Non ho veduto nel di lui contegno cambiamento veruno, ma mi parlò meno, e mi osservò d'avvantaggio. Quello che dovea rendermi più grata al di lui cuore, me ne allontanò maggiormente; lo trovava sovente freddo e serioso. Durante molti giorni ei mi salutava sortendo di tavola, e si ritirava sollecitamente dimostrando una spezie di timore che io lo seguissi. Questa condotta avvilì la mia speranza, afflisse mistriss Hammon, e confermò Lidy nella idea che sarebbe cosa imprudente di scoprirgli la mia nascita.
Milord ebbe una piccola febbre, e vi si aggiunse un violento attacco di gotta; malgrado l'indifferenza ch'ei mi mostrava dopo la nostra passeggiata, i miei primi sentimenti verso di lui non si erano indeboliti. Le sue grida dolorose penetravano il mio cuore; unita a mistriss Hammon nell'intenzione di assisterlo e di servirlo, assiduamente vicina al suo letto, volava per eseguire i suoi ordini; non poteva trattenere le lacrime sentendolo lagnarsi ad alta voce de' dolori acuti ch'egli soffriva; durante la sua convalescenza gli parve sovvenirsi delle mie attenzioni, e si mostrò sensibile a quelle ch'io prendeva allora di dissipar la sua noia; egli cominciava a camminare nella sua stanza ed a riprendere le sue forze; io sentiva una vera consolazione del suo ristabilimento, e procurava di fargli conoscere la mia tenerezza sincera: mi accorsi ch'egli si compiaceva delle prove ingenue del mio attaccamento.
Trovandomi sola un giorno vicina a lui, leggendo un libro francese che gli era stato recentemente inviato, egli mostrava divertirsi di tale lettura. Una boccetta ch'ei teneva fra le mani minacciò di cadere a terra; accorsi per impedire che non si rompesse; nell'abbassarmi un nastro a cui il ritratto di mio padre era attaccato si ruppe; imprudentemente lo levai dal mio collo; il ritratto sortì dal mio seno, eccitò la curiosità di Milord, mi chiese di vederlo, e fece un movimento per prenderlo.
Il mio rossore, il mio imbarazzo fecero impressione a milord Alderson, e s'impossessò del ritratto. La tema aveva agghiacciato il mio sangue, e mi rese mutola e quasi inanimata.
L'odio e l'amore imprimono e conservano le idee nella memoria. Milord riconobbe l'effigie di Edoardo, mandò un grido soffocato dall'ira, e accompagnato da esclamazioni:
"Ove son io?" gridò egli. "Quale insidia mi si vuol tendere? Quale macchinazione odiosa si forma contro di me? Quella somiglianza singolare di Sara, questo ritratto hanno senza dubbio ispirato a delle anime vili il progetto di beffarsi della mia vecchiaia, d'ingannarmi...
Un movimento impetuoso mi fece cadere a' suoi piedi, prender una delle sue mani, stringerla, baciarla, e trovando la forza di parlare nel sentimento da cui era animata:
"Non vi si tendono insidie, Milord," gli dissi "non si cerca ingannarvi. Perdonatemi, ah perdonate ad una sventurata che implora la vostra pietà; non mi punite per aver confidato nella vostra bontà: voi vedete la figlia di lady Sara che geme, che sospira dinanzi a voi. Ah! non mi odiate, non merito l'odio vostro."
L'abbondanza delle mie lacrime mi forzò di arrestarmi, il cuore afflitto mi spinse violentemente verso di lui. Milord adirato mostrò volermi respingere; ma gettandogli le braccia al collo: "Levatemi la vita," esclamai "ma non mi aggravate della vostra collera, de' vostri dispregi; non cerco in voi un protettore, ma un padre. Io vi rispetto, io vi amo; la vostra prima vista impresse nel mio cuore un sentimento ignoto, e mi fa più desiderare la vostra tenerezza, che i vostri soccorsi. Uno sguardo meno severo, una sola espressione tenera ed amorosa con cui vi compiaceste onorarmi, mi sarebbe più cara del riacquisto de' beni miei; chiamatemi vostra figlia, permettetemi di darvi il nome di mio padre, e mi crederò pienamente felice."
Egli volea di nuovo respingermi:
"No, no, voi non mi fuggirete:" esclamai "il mio cuore vi è per sempre attaccato. Ah! non mi allontanate dalla vostra presenza, non mi sbandite dalla vostra casa; qualunque sia il titolo che voi vorrete accordarmi, contenta di restar vicina a voi vi rispetterò come padre, vi servirò come padrone se voi l'esigete."
Se l'oppressione del mio cuore non avesse infiacchita la voce, avrei parlato più lungamente. L'agitazione dell'animo rendeva Milord immobile, e non gli permetteva d'interrompermi; scoppiò in fine; egli si staccò dalle mie braccia, e prendendo quel tuono terribile, che faceva tremare quei sventurati la cui sorte da lui dipendeva:
"Giovine audace," esclamò egli "ardisci dirti del sangue mio? E se tu lo fossi... trema, paventa la giusta punizione della tua menzogna, della tua arditezza. Chiamarti mia figlia? Io? Eh! Chi sei tu? vile rifiuto può essere..."
Ma perché rammemorarmi un momento sì doloroso, sì umiliante! Ah! madama, con quanta inumanità fui trattata! Arrossisco ancora sovvenendomi delle espressioni di quell'uomo duro e artifizioso; esse mi provarono troppo ch'egli mi credeva sincera, ma che l'odio suo per i miei congiunti si estendeva sino a me.
Egli fece chiamare mistriss Hammon, l'interrogò di un tuono imperioso, rilevando che Lidy era nella di lui casa; la domandò, la caricò di minaccie, le diede i nomi i più duri, ci rimproverò a tutte tre una macchinazione infame, formata di comune consenso per ingannarlo; ei non volle niente udire in discolpa; trattò i discorsi loro d'imposture, di vili immaginazioni, di bugie inventate col disegno colpevole di oscurare la memoria di Sara, di stabilire la mia fortuna e la loro a costo della perdita della di lui riputazione. Mi sembra ancor vedere quelle donne prostrate ai piedi di quel crudele: io la testa appoggiata sopra una sedia, nascondendo il mio volto e i miei pianti, sforzandomi in vano di ritener le mie grida, e temendo più che la morte i di lui sguardi sprezzanti.
"Salvate l'innocente e sventurata figlia della mia cara padrona," gli diceva Lidy "salvatela dai perigli a' quali l'espone l'abbandono della natura intiera. Ah! perché, Milord, v'ingannerei? È il mio interesse che mi impegna ad implorare le bontà vostre per lei? Ah! io non domando di esserne a parte: nata povera, posso vivere senza stento col frutto del mio lavoro; ma Miss, allevata nell'opulenza, non apprese a sopportare l'avvilimento e la miseria. Lo giuro innanzi al cielo, non v'inganno assolutamente; è la figlia di lady Sara quella di cui vedete cadere le lacrime, di cui sentite i gemiti: le ricuserete voi un asilo? Assicurate il suo stato... Ah! se Milord si fosse degnato di leggere la lettera di sua figlia, di sua figlia spirante, mi accuserebbe egli oggi di una criminale intenzione?"
Questa spezie di rimprovero infiammò ancor d'avvantaggio la collera di milord Alderson; ei la portò all'eccesso... Ma soffrite, madama, che abbrevi il racconto di questa scena odiosa. Indegnamente scacciate dalla presenza e dalla casa di Milord; trattate da malvagie che attentavano al suo onore, a' suoi beni, e forse alla sua vita, noi sortimmo tutte tre dal castello per non entrarvi mai più. La mia sola consolazione fu di veder qualche giorno dopo mistriss Hammon collocata più avvantaggiosamente ancora presso una dama, che da gran tempo la desiderava. Obbligata di seguitare la padrona in Irlanda, ella mi diede sempre delle sue nuove, e continuò a darmi delle prove della sua amicizia. Oh quanto avrei desiderato di poterla ricompensare! ma quando mi sono trovata nel caso di farlo, intesi con estremo dolore ch'ella era passata all'altra vita.
Io ritornai a Londra in una situazione crudele. Siamo ben infelici, madama, quando alcuna speranza non si offre più alla nostra immaginazione; se non fosse che una speranza lontana, incerta, essa trattiene almeno i nostri desideri, ci lascia almeno la dolcezza di formar dei progetti, e di lusingarci un avvenire meno dispiacevole.
Tosto che mi vidi ridotta nella fatale estremità a cui il mio destino mi aveva ridotta, pensai a diminuire a Lidy il peso del nostro mantenimento, e di occuparmi com'ella per le giornaliere occorrenze, ma quella intelligenza che mi aveva fatto acquistare senza pena dei talenti piacevoli mi abbandonò quando trattavasi d'impiegarla in operazioni triviali; le mie dita sì abili a scorrere la tastiera di un gravicembolo sceglievano con poca industria le varie sete necessarie al ricamo; mi scordava ad ogni istante le più piccole cose di cui veniva istruita; l'avversione che io aveva per le compagne del mio lavoro, mi rendeva quell'esercizio ancor più insopportabile.
Al mio ritorno da Oxford mistriss Mabel consigliò a Lidy di cercarmi collocamento presso di una dama della Corte, o con qualche ricca particolare.
"Molte signore" diceva ella "desidererebbero una giovine come questa, propria e civile, per accompagnarle in pubblico e capace di divertirle in privato." Un tal partito m'ispirava una vera repugnanza perché mi avrebbe separata da Lidy, e perché sperava ancora non essere del tutto abbandonata dall'avolo mio materno.
Molti riflessi ancora si opponevano a un tal disegno: sconosciuta come era, senza un amico che mi appoggiasse e render conto potesse di me, de' miei costumi e de' miei sentimenti, come avrei potuto cercare un ricovero, come avrei potuto lusingarmi di ritrovarlo? Come potrei sostenere delle interrogazioni, delle questioni che mi verrebbero fatte, delle domande ordinarie sì imbarazzanti, sì faticose a sentire, alle quali non si può rispondere senza tradire la verità, o senza arrossire scoprendola, poiché si dan de' casi ne' quali si arrossisce senza aver commesso delle mancanze?
Per distrarmi dalle riflessioni penose che mi agitavano giorno e notte, mi propose Lidy di condurmi seco a Windsor; l'aria salubre della campagna, i passeggi calmarono in parte i tumulti del mio cuore agitato. Di ritorno a Londra le mie viste erano cambiate, e desiderava ardentemente di trovar una protettrice. Monsieur Burnet, onesto negoziante che faceva lavorare mistriss Mabel, s'incaricò con bontà impiegare le di lui attenzioni per collocarmi; in effetto mi presentò in varie case.
Non potrei bastantemente spiegarvi, madama, il freddo accoglimento, l'orgoglio, i disprezzi che soffersi da quelle in cui la mia disgrazia eccitò la stupida ed umiliante compassione; la mia gioventù, la mia figura divennero il soggetto di mille ingiuriose riflessioni. Senza determinarsi a compiacermi, si trattenevano fra di loro in faccia mia sugl'inconvenienti che prevedevano, se si fossero di me fidate. Esaminata, sconcertata, compianta e rigettata, comparvi alla tavoletta di venti donne, e non fui accolta da alcuna.
Questi esperimenti spiacevoli ed infruttuosi mi afflissero sensibilmente; una nera tristezza abbatté i miei spiriti; questa aumentò ciascun giorno, e mi condusse a poco a poco a quella spezie di languore, che facilmente si cambia in consumazione.
Lidy si sgomentava per il deterioramento della mia salute, mi sforzava a non sortire della mia camera, cercava di distrarmi, di divertirmi; ella mi preparava dei cibi propri a soddisfare il mio gusto; la sua inquietudine, le sue attenzioni tenere e continue m'impegnarono a nascondere una parte della mia sensibilità per risparmiare la sua. Questo silenzio aumentò il mio male; mi credetti vicina a soccombere, ma la Provvidenza mi aprì la strada per cambiare la mia situazione.
Lidy mi avea condotta una mattina al parco per prender l'aria; vi passeggiai qualche tempo: passando da un viale ad un altro, un uomo che sortiva da quello ove io entrava, fece un passo indietro, ed arrestandosi innanzi di me, gridò:
"Fortuna! è dessa, miss Jenny Glanville!"
Sorpresa di sentire il mio nome, alzai gli occhi sopra quegli che l'aveva pronunziato, e riconobbi sir James Huntley; quest'incontro mi sconcertò. In mezzo alle sventure non si può fissar l'occhio tranquillamente sopra quelle persone che ci hanno conosciuti in miglior fortuna; al loro aspetto il cuore prevede le mortificazioni ch'ei può temere.
Il Baronet era così sensibile al piacer di vedermi, era sì contento di ritrovarmi inopinatamente dopo sei mesi di una penosa ed inutile inquisizione, ch'egli volea esprimere mille sentimenti diversi in un minuto. Non potea, diceva egli, perdonarmi il mio silenzio, e ancor meno quel rigore che mi aveva consigliata a celare la mia dimora a miss Clifford, per rendere inutili probabilmente le cure di un uomo di cui s'immaginava che l'amore e le attenzioni mi venissero a noia; dei trasporti di gioia interrompevano di quando in quando i suoi rimproveri, e si scordava de' miei torti per abbandonarsi intieramente alla soddisfazione di vedermi; ma ricominciando a lagnarsi e ad accusarmi, mi fece intendere che, precipitato nella disperazione per la mia condotta a suo riguardo, i suoi progetti di felicità, le sue speranze erano intieramente smarrite; la mia negligenza, il mio dispregio, il mio odio le avevano dissipate per sempre, e sbandita aveva dal suo cuore ogni idea di felicità. Occupato egli unicamente di se medesimo e dei movimenti vivi e vari della sua passione, non aveva tempo di accorgersi del mio imbarazzo, né di quei cambiamenti che i miei mali e le mie disgrazie impressi avevano sopra di me.
Il pallore del mio volto e la fiacchezza de' miei movimenti lo colpirono alfine. Un tenero interesse lo animò a mio riguardo: prese una delle mie mani, e stringendola dolcemente:
"Cosa ved'io?" diss'egli "qual tenebroso affanno offusca la vostra fronte? Cara Miss, voi sospirate, voi trattenete a forza le lacrime; i vostri occhi languenti penetrano amaramente il mio cuore. Come," continuò egli teneramente "l'amabile Jenny sospira e tace? e mostra disprezzare un amico che a lei ha consacrato il cuore? Ah! parlate, confidatemi i vostri arcani; voi mi vedrete pronto a servirvi, voi troverete nel mio zelo un vero attaccamento, che le vostre freddezze, i stessi vostri disprezzi non indebolirono giammai."
"Io non ho secreti" risposi "sì rimarcabili de' quali la comunicazione possa farmi un merito con chi che sia. Se non diedi speranza alcuna a sir James in un tempo in cui tutto mi autorizzava a credere che mi era possibile di renderlo felice, voglio fargli sapere oggi che per di lui proprio vantaggio ei deve soffocare a riguardo mio i suoi sentimenti."
"Per mio proprio avvantaggio?" replicò il Baronet "Che sento? Come, Miss, siete voi legata? La profonda tristezza a cui vi vedo abbandonata, sarebbe ella la conseguenza di una unione inconsiderata e infelice? Avreste voi disposto del vostro cuore e della vostra mano? I vostri parenti sono eglino di ritorno in Inghilterra? Vogliono essi separarvi da un oggetto che voi amate, o legarvi ad un altro malgrado vostro? La vostra afflizione nasce ella dalla violenza che vogliono praticarvi, o dal dispiacere di aver mal collocato i vostri affetti? Perdonate queste questioni al mio zelo, ad una passione più viva in quest'istante, ch'essa non fu giammai."
"La mia mano, il mio cuore non sono in poter di alcuno," ripigliai con una conveniente sostenutezza "non ho rimproveri a farmi, e non ho meritati ancora quelli degl'altri. Se voi volete provarmi quell'amicizia di cui cercate assicurarmi, non vi ostinate a discoprire il soggetto delle mie pene, e lasciatemi la libertà di evitare delle questioni che ne raddoppiano l'amarezza."
Parlando mi avvicinai verso l'uscita del parco, con disegno di ritirarmi; ma sir James trattenendomi:
"No," diss'egli "troppo mi costerebbe questa crudel libertà che mi domandate; voi non mi lascierete così, voi non mi priverete di un bene che avea perduto e che la fortuna mi ha reso; vi seguirò da per tutto, saprò quello che pretendete nascondermi; troppo vivo è l'interesse che mi sollecita a penetrare questo mistero. Se, a quel che voi dite, il vostro cuore non è in potere ad alcuno, per qual capriccio volete voi evitare un uomo di cui l'inclinazione vi è conosciuta? È l'amor mio che v'importuna, che v'infastidisce? Ebbene, tralascierò di parlarvene, chiuderò nell'animo mio i sentimenti che voi m'ispirate; ma almeno soffrite la mia presenza, trattatemi come un amico, come un fedele, come un ardente amico. Ah mia cara Jenny! da questo momento ne adotto il titolo, e giuro di adempire tutti i doveri."
La conversazione tirava in lungo; forzata fui di sedermi per ascoltarlo. La vivacità delle sue espressioni e de' suoi movimenti raddoppiava il mio imbarazzo; egli mi pressò di parlare. Sentiva una repugnanza invincibile a discoprirgli la mia situazione, e vedeva l'impossibilità di nascondergliela per lungo tempo. Rivolsi gli occhi verso Lidy, che da me non si distaccava. I miei sguardi l'invitavano a rispondere per me; ella mi comprese, ed avvicinandosi al Baronet:
"Un tristo avvenimento" gli disse "cambiò lo stato di Miss; ignoro donde nasca il suo turbamento, perché ella sembra temere di palesarlo. La privazione dei beni di fortuna non può far arrossire che coloro dei quali la condotta imprudente ha cagionata la rovina. Se miss Jenny non è più ricca com'era, ella possede ancora le qualità che la rendono degna di stima e di ammirazione. Ella è obbligata senza dubbio a sir James per l'interesse ch'egli prende a' suoi disastri; ma ridotta a vivere in uno stato differente da quello in cui ella fu allevata, io non credo che le visite di un uomo possano essere ammesse presso una persona giovine, spoglia di beni, di congiunti, di amici, la mancanza de' quali rende ancor più necessaria l'esattezza di una condotta rigorosa ed irreprensibile."
Questa prima dichiarazione accrescendo la curiosità di Baronet, impegnò Lidy ad entrare in circostanze individuali. Ella occultò il nome de' miei genitori, senza nascondere la loro condizione, né il mio stato, né la perdita delle mie speranze; l'intenzione di Lidy, mostrando un'intiera fiducia in colui che aspirava ad unire il suo destino al mio, era di penetrare al fondo i veri suoi sentimenti; di allontanarlo da me, s'egli fosse attaccato alla fortuna o ai pregiudizi del grado, e di secondar le sue viste, se l'amor suo sincero e disinteressato era il solo motivo che lo determinava a sposarmi. Nella mia posizione l'amor di sir James le parve un soccorso del cielo da non trascurarsi.
Il Baronet l'ascoltò con un'estrema attenzione. Lungi dall'esser raffreddato da una tale scoperta, questa produsse in lui dei sentimenti di compiacenza.
"Ah mia cara Jenny!" esclamò egli. "Ah! quanto son io felice veggendomi in grado di poter riparare le vostre perdite, e far rinascere la serenità sul vostro volto, e la tranquillità nell'animo vostro. Ma permettetemi di rimproverarvi una prova troppo evidente della vostra indifferenza per me. Come! nello stato in cui eravate, la mia effigie, il mio nome non si presentarono mai alla vostra memoria? Voi non avete mai pensato che esisteva al mondo un amico vostro, un tenero, un solido amico? Ma inutili riflessi, inutili lamentazioni; quest'amico dimenticato, disprezzato, non è niente meno deciso ad amarvi, a servirvi; sarà egli troppo ricompensato delle attenzioni che si prepara di rendervi, se vi degnate aggradirle. Contento di potervi offrire una parte di quel ch'io possedo, stimerò ancor d'avvantaggio i beni che la fortuna mi ha accordati, se possono questi esser utili allo stato vostro attuale."
Le pene che affliggono il nostro cuore, madama, ci eccitano alla riconoscenza verso quelli che vi si mostran sensibili; ma quelle che nascono dall'indigenza e dall'abbassamento ci rivoltano contro la compassione. Questo stesso sir James, il quale sei mesi prima ardiva appena alzar gli occhi innanzi a me, tanto temea di dispiacermi, d'irritarmi parlandomi della sua tenerezza, incoraggiato dalla mia sfortuna, credeva tutto in un tratto essere divenuto l'arbitro del mio destino, pareva che la perdita delle mie speranze avesse animate le sue, che la mia situazione gli desse dei diritti certi sopra la mia riconoscenza, e dovesse rendermi schiava del suo affetto e delle sue beneficenze. Non so quale mescolanza di avversione e di orgoglio mi portasse a rifiutare la di lui amicizia, e a desiderare ch'egli si allontanasse da me; le sue offerte non m'ispirarono alcuna riconoscenza; non mi sentiva penetrata dalle sue attenzioni l'aria di soddisfazione che brillava ne' di lui occhi, mi offendeva; la modestia, o la tristezza, sarebbe stata più conveniente allo stato mio. Se merita lode un cuor generoso che trova la sua dolcezza nel riparare le perdite di un amico, la merita ancor d'avvantaggio colui che soccorre affliggendosi, e lo benefica senza mortificarlo. Queste distinzioni sì delicate non si formano comunemente nel cuore degli uomini, condotti essi ordinariamente dalle passioni, accostumati a non pensar che a se stessi; i loro desideri, il loro proprio interesse, formano l'unico punto di vista delle loro attenzioni. Sir James mi amava, mi aveva perduta, mi ritrovava; un avvenimento gli offriva il piacere di rivedermi; che importa a lui che questo avvenimento sia tristo e doloroso per me? Riempiva le sue viste: ciò bastava a' suoi voti; avrebbe ei potuto non ne sentir della gioia, persuadendosi che il suo amore e la sua generosità potrebbero offrire dei mezzi avvantaggiosi ad una sventurata, costretta forse, a suo credere, a superare il rossore, e approfittare della di lui compassione?
Ostinato a non lasciarmi senza sapere la mia dimora, egli mi forzò a confidargliela; ben presto parve ch'essa fosse divenuta la sua, sia per l'assiduità delle visite che mi faceva, sia per le lamentazioni sul luogo che non gli piaceva, sia per le reiterate sollecitazioni perché io cambiassi d'alloggio. Lidy gli rappresentava inutilmente l'impossibilità in cui era di procurarmene un altro più comodo e più decente; ei distruggeva facilmente quelle difficoltà ch'ella credeva insuperabili; ma ci trovò tutte due disposte a non voler contrarre obbligazione alcuna con lui.
Il Baronet tentò invano tutti i modi d'impegnarmi ad accettare i di lui soccorsi; non solo ricusai le offerte, ma mi mostrai offesa della libertà ch'ei si prendeva di parlarmene. Voleva ei depositare nelle mani di Lidy una somma considerabile, sufficiente per metterci l'una e l'altra al sicuro dall'indigenza; ella rifiutò d'incaricarsene. La condotta del Baronet eccitò la di lei diffidenza; temeva ch'egli cercasse di corromperla per aiutarlo a sedurmi; mi comunicò i di lei timori, e la mia freddezza e la mia riserva aumentarono. Sir James divenne pensieroso, melanconico, fastidioso, senza cessare di essere assiduo ed anche importuno; veniva da me tutte le ore del giorno; non avendo luogo per ritirarmi, era forzata di soffrire la di lui presenza, e a soffrire continuamente i di lui lamenti; mi rimproverava la poca fiducia ch'io aveva in lui, la mia sostenutezza, e l'alterigia che mi facea rifiutare i doni dell'amicizia; ignorava, diceva ei con trasporto, dove la mia ingratitudine potesse condurlo; essa avrebbe cagionata la di lui morte; mi rappresentava sovente i pericoli ai quali mi esponeva la mia gioventù e la mia indigenza; mi parlava continuamente del suo amore e della mia critica situazione, senza mai dir parola, senza mai istruirmi de' disegni che concepiti aveva sopra la mia persona; ei mostrava essersi dimenticato ch'io era libera, padrona di disporre di me medesima. Il solo modo onesto e ragionevole col quale poteva impegnarmi a essergli grata, ed a ricevere le sue beneficenze, non si offriva al di lui spirito; egli mi mostrava la stessa passione che mostrata mi aveva a Oxford, ma nelle espressioni della sua tenerezza si scopriva un carattere differente. Non usava egli più i termini di un amante sommesso che domandava bontà e favori, ma servivasi del linguaggio di un protettore disposto a prodigar le sue grazie; non dimostrava a' miei occhi un amor puro e disinteressato, amor zelante, ardente, ma timido, che agisce in silenzio, si nasconde attentamente, e si crede contento s'egli è utile ed ignorato.
Stanca delle lunghe e frequenti visite di sir James, delle sue sollecitazioni, delle sue esibizioni, e dell'oscurità in cui era de' suoi disegni, io pensava a procurarmi un'altra dimora, quando monsieur Burnet mi scrisse da Cambridge, ove i suoi affari lo trattenevano da un mese in circa. Una rispettabile dama acconsentiva sopra la di lui parola a ricevermi presso di lei; ella era vedova non molto attempata; il di lei figlio era partito col disegno di fare il giro dell'Europa. Monsieur Burnet si diffondeva sopra gli avvantaggi di questo posto; dopo vari complimenti onesti ed usitati mi avvertiva di tenermi apparecchiata in un certo giorno indicatomi, non dovendone egli passar a Londra che due; voleva presentarmi egli stesso all'obbligante dama di cui si faceva un piacere di procurarmi la protezione.
Una sì favorevole occasione di evitare sir James avrebbe prodotto in me una contentezza ancor più sensibile, se non avessi dovuto separarmi da Lidy. Accostumata dalla mia infanzia a lasciarmi condurre dai suoi consigli, a riguardarla come la sola persona che mi fosse di cuore attaccata, provai un vero dolore; non poteva sì facilmente risolvermi ad abbandonarla; avrei preferito vivere mediocremente con lei ad uno stato comodo che non potrei con essa dividere.
Ma le sue rappresentazioni, le sue istanze, le sue preghiere medesime mi determinarono a non trascurare la protezione che mi veniva offerta. Mi rimaneva ancora qualche denaro, un vestiario ricco e completo, qualche gioia, qualche galanteria preziosa; contai lasciare alla mia cara Lidy la maggior e miglior parte di questi effetti. Gli appuntamenti che mi venivano proposti mi parevano considerabili e sufficienti, di maniera che sperava coi miei risparmi poter soccorrere Lidy, e diminuirle la dura necessità di vivere col lavoro delle sue mani. Occultai il mio disegno a sir James, ma non potei dissimulare in faccia di lui l'imbarazzo in cui era.
Non si può guardare con indifferenza una persona a cui siamo sicuri di dover recar dispiacere; questa certezza ci fa provare una parte di quella pena ch'ei dee soffrire. Il martedì, giorno stabilito da monsieur Burnet, si rese egli a mezzogiorno alla mia abitazione, e mi trovò pronta a seguirlo. Caricò di tanti elogi la dama di cui divenir io doveva la compagna e l'amica, che Lidy sorpresa ascoltandolo gli domandò con trasporto il suo nome; rispose egli ch'ella chiamavasi lady Lindsey. Immaginatevi la mia sorpresa, madama, sentendo pronunciar questo nome; quella di cui monsieur Burnet aveva esagerata la bontà per me, era la madre di sir Harris, la più vicina parente di milord Alderson, e la sola persona ch'egli vedea con frequenza.
Questa stravaganza del mio destino mi fu sì sensibile, che cadendo sopra una sedia mi abbandonai alle lacrime, senza potere spiegare a monsieur Burnet la causa di un movimento che doveva a lui comparire sì straordinario.
Lidy, penetrata da un sentimento simile al mio, gli fece noto, che la casa di miledy Lindsey non poteva offrirmi un asilo conveniente alle mie circostanze, e che forti ragioni m'impedivano assolutamente di accettarlo. Monsieur Burnet mostrò un dispiacere infinito di non potermi esser utile come sperava, e senza dimostrare un'indiscreta curiosità si ritirò mal contento forse della cura inutile a cui il di lui buon cuore l'aveva impegnato.
Sir James arrivò un istante dopo; io era in piedi quando egli entrò, col volto nascosto nel seno di Lidy, e piangevamo tutte due egualmente; la mia positura, le mie lacrime, quelle di Lidy diedero dell'apprensione al Baronet; non tardò a domandare il motivo della nostra afflizione, convenne cedere alla di lui importunità, rendergli conto delle attenzioni di monsieur Burnet, e del dispiacevole inconveniente che si opponeva al loro effetto, e finalmente delle ragioni che io aveva di evitare l'incontro di milord Alderson.
Lungi di consolarmi di un avvenimento che m'inquietava, sir James s'irritò contro Lidy, e l'accusò di darmi delle false idee de' di lui sentimenti; indi a me volgendosi:
"Avreste voi preferito" mi disse "una dura schiavitù, uno stato basso e servile alle offerte reiterate di un tenero amante? La vostra ingiusta prevenzione v'inganna, e mi dispera. Piucché io cerco di esservi utile, più voi m'insultate co' vostri sospetti; rispondetemi, ingrata," continuò egli con collera "con qual fondamento osate voi diffidare di me? Vi ho io offerto i miei servigi, i miei soccorsi, ad un prezzo che vaglia ad irritarvi? Ho io esatto il più leggero contrassegno di riconoscenza volendo farvi uno stato? All'opposto ho creduto dover tacere, e ho taciuto; il mio cuore teme sempre di dispiacere al vostro. Una delicatezza da cui sperava più dolci effetti, mi ha persuaso sino a questo momento di osservare il silenzio sopra i miei desideri; aspettava per esprimerveli che il tempo, e una situazione per voi più tranquilla, frutto delle mie attenzioni, avessero disposta la vostr'anima a ricevere con piacere delle proposizioni che avete quasi rifiutate a Oxford. Esiger il sacrifizio della libertà di miss Jenny prima di averlo meritato? Avrei creduto abusare della sua disavventura, volerle imporre la legge, sforzarla di farmi una dichiarazione di cui voleva essere debitore alla di lei tenerezza;" e ritornando a Lidy: "parlate" le disse "ripetete a Miss le offerte delle quali voi mi avete fatto un delitto nel di lei spirito. Io lo confesso, il poco incontro delle mie attenzioni a Oxford, la di lei dimenticanza durante la mia assenza, l'indifferenza mostratami nel vedermi nel parco, mi hanno fatto disperare di vederla corrispondere all'amor mio. Che feci io in tali circostanze? Volli addolcire la sua situazione, rendere il suo destino indipendente dagl'altri, e da me medesimo. È questo un attentato contro il di lei onore? Eppure questo progetto disinteressato raddoppiò i suoi dispregi, eccitò la vostra diffidenza e la sua. Che mi resta a dire, a fare, a tentare, a sperare? Ah! penetrato io stesso dal rammarico il più vivo, il più amaro". Qui s'interruppe, fece qualche passo nella stanza, rivenne presso di me, si assise, prese una delle mie mani, la strinse, sospirò: "Ah! Miss, Miss," diss'egli con un tuono languente "voi non sapete quanto penar mi fate; il mio cuore è lacerato; se voi mi aveste amato, questa mano sarebbe mia, sì lo sarebbe; tutti i miei voti sarian riempiti, ma voi non avete mai dimostrato per me né stima, né parzialità. Sono condannato a conservare un amore tenero e sventurato, che non può niente sul vostro; mi restava la sola consolazione di potervi servire, voi duramente me ne private. Di tutti i rigori vostri questo ultimo mi è il più sensibile."
Ciò detto, sir James appoggiò la fronte sulla mia mano, ch'egli tenea ancor fra le sue: la sentii bagnata di lacrime. Le tenere espressioni, il tuono con cui le avea pronunziate, il candore di un'anima pura e sincera col quale mostrava confessare i suoi torti, mi fecero temere di meritar i di lui rimproveri, se avessi portata troppo lontana quella diffidenza di cui si lagnava. I motivi del suo silenzio sopra le sue intenzioni mi parvero troppo nobili per non eccitare la mia riconoscenza. Lidy forse s'ingannava, e impegnava me pure ad ingannarmi.
"Non incolpate" dissi al Baronet" la mia condotta, che nacque dall'inquietudine compagna degli sventurati. Mi fu fatto di questo mondo un ritratto disaggradevole, mi fecero fra le altre cose osservare che il povero vive nel mondo come se non esistesse, e difficilmente interessa le persone felici. La mia corta esperienza raddoppiava ancora a' miei occhi i pericoli che mi erano ignoti. Gettata nascendo in questo vasto universo, ove trovomi senza appoggio veruno, volgo con ispavento i miei timidi sguardi intorno di me; veggio che tutti gli esseri che mi circondano, si uniscono ad altri con qualche legame; io sola isolata nella natura, parmi di essere come un tenero augello che non ha forza per rientrar nel suo nido."
Sir James, trasportato da un movimento vivo e appassionato, si gettò a' miei ginocchi.
"No," gridò egli "voi non siete abbandonata, voi non siete isolata nella natura; un cuore penetrato di tenerezza pensa a voi, s'interessa a voi, vi considera, vi ama, vi adora; voi vedete a' vostri piedi un amico, un amante, uno sposo, se voi degnate accettarlo; datemi la vostra fede, ricevete la mia; divengo il vostro appoggio, il vostro sostegno; vi metto al sicuro di que' pericoli che eccitano i vostri timori. Ah mia cara Jenny! cessate di versar lacrime, alzate sopra di me quegli occhi eloquenti; s'essi mi dicono che voi non mi odiate, domani, questa sera, in questo momento mi lego per sempre a voi; consacro tutta la vita mia a render felice la vostra."
Questi nomi di sostegno, di appoggio, di sposo lusingarono il mio cuore oppresso, lo ravvivarono, m'ispirarono una spezie di venerazione per colui che prendeva a vantaggio mio questi titoli. Mi pentii di aver mal giudicato di un uomo sì generoso. Alle sue raddoppiate preghiere alzai gli occhi riconoscenti verso di lui; il Baronet s'accorse dell'espression più tenera de' miei sguardi, trasportato di gioia si alzò, gettò le sue braccia intorno di me, mi pressò contro il suo seno, esclamando:
"Ah mia bella Jenny! I vostri occhi mi annunziano la mia fortuna, e ne sento di già una prova nel seno."
Dopo questo momento, la fiducia e l'intimità si stabilirono tra di noi. Sir James m'istruì della sua situazione, de' suoi progetti, delle sue speranze. Nato in Iscozia, egli ne odiava il soggiorno, e sperava di ottenere una carica onorevole alla corte. Il duca d'Argyle suo congiunto s'interessava a di lui vantaggio per questo effetto. Rimasto fanciullo sotto la tutela di una madre attaccata alla Chiesa Romana, nacquero de' dubbi in Londra sopra la di lui credenza; conveniva distruggerli. Il duca d'Argyle vi diede mano con tutto il vigor possibile; ma sir James sovvenendosi che aveva una sua congiunta in Iscozia, che volea colà maritarlo con una ricca erede, temeva che il duca d'Argyle, amico di questa dama, fosse stato da lei guadagnato, e che questo fosse il motivo che rallentava nel Duca il calore ed anche la corrispondenza ordinaria con esso lui. Il desiderio ardente che mostrava sir James per ottener questa carica, faceva credere che fosse necessaria per migliorare il suo stato. Il timore di non ottenere il posto ch'egli desiderava, poteva essere una delle ragioni del silenzio osservato per lungo tempo sopra i suoi disegni a mio riguardo. Lidy pensava nella stessa maniera, e le di lei idee mi confermarono nelle mie.
Sir James pressandomi di fissare il giorno in cui dovevamo unirci e contentar le sue brame, credetti a proposito dovergli far osservare che nelle circostanze in cui ci si ritrovava, il suo accasamento con me gli poteva essere pernicioso; vedendolo il Duca legarsi ad una persona che non gli portava né beni, né aderenze considerabili, poteva raffreddarsi ancor d'avvantaggio, divenirgli contrario, traversare i suoi progetti; e la dama che volea maritarlo in Iscozia, poteva chiamarsi offesa, e divenirgli nemica. Quai rimproveri non avrei a farmi, se lo vedessi inquieto, senza poter dissimulare di esserne io il motivo principale? Lo pregai a risparmiarmi dei dispiaceri, di prender tempo per consigliarsi sopra un passo sì importante, e di aspettare almeno di occupare il posto ch'egli desiderava.
Sir James si mostrò penetrato da questa prova della mia amicizia; essa gli fece un'impressione sensibile: lasciò cader qualche lacrima, mi ringraziò teneramente, tacque esitando per qualche tempo, poi rompendo il silenzio dissemi con una spezie di timidezza che gli era facile di conciliare i suoi interessi e la sua soddisfazione, se io acconsentiva di evitare la pubblicità della cerimonia usitata, ed a vivere due o tre mesi privatamente. Abituata a fuggire il gran mondo, vedeva che la pompa di una cerimonia nuziale non conveniva alla mia posizione. Lidy non disapprovando le precauzioni di sir James, anzi unendosi a lui per accelerare le mie risoluzioni, io cedei alle loro istanze, e fissai il giorno sì ardentemente desiderato.
Siccome un'inclinazione naturale fortificata dall'abitudine mi facea preferire il soggiorno della campagna a quello di Londra, sir James prese a pigione un'abitazione a Issington; colà furono stipulati gl'articoli del contratto; esaminati questi da Lidy, le parvero vantaggiosi per me; dopo averli soscritti, fui costretta a ricever de' doni considerabili; il Baronet non cessava di profondermeli, ma la sua impazienza uguagliava la sua liberalità. L'avvicinamento di un momento che mi faceva tremare, raddoppiava i suoi trasporti; si compiaceva nel vedermi pronta a compiere i di lui desideri, ed io soffriva senza saper il perché una tristezza interna, che mi faceva arrossire di me medesima; mi accusava in silenzio di stravagante, d'ingrata; il mio cuore mi rimproverava la mia freddezza, e non sapeva riscaldarmi. Ah! madama, la perspettiva di una fortuna non interessa come far potrebbe l'amore.
La permissione ecclesiastica ottenuta da sir James ci lasciava la scelta del luogo per celebrar gli sponsali; era difficile di farlo nella mia stanza, senza che mistriss Mabel e le altre donne non ne fossero istruite; si convenne dunque fra noi di maritarci nella casa di un ministro ecclesiastico della conoscenza di sir James, e di renderci a Issington immediatamente dopo aver ricevuta la benedizione nuziale. Lidy ed il cameriere di sir James s'intesero insieme per il trasporto de' miei effetti; la giovine s'incaricò pure di prevenir sua sorella della nostra partenza, e di appagare la sua curiosità con una confidenza inventata.
Il giorno destinato a formar questo nodo giunse alla fine. Vestita di bianco senza pompa rimarcabile, montai con Lidy in una carrozza, e mi resi a undici ore della mattina alla chiesa di San Paolo, dove Francis, cameriere del Baronet, ci attendeva per condurci all'abitazione del ministro; non tardammo ad arrivarvi. Una donna propria e decente stava alla porta ad attenderci; s'avanzò per ricevermi; aprì una sala terrena bene adornata; mi v'introdusse, e mi pregò di sedermi, e di attendere l'arrivo del di lei sposo; mi fece presentare il cioccolate, il tè, ma l'agitazione in cui era, m'impedì di prendere alcun rinfresco. Il Baronet tardò poco a venire; il mio turbamento l'inquietò; mi trovò sì debole, che dandomi la mano per salire le scale, fu obbligato di fermarsi più di una volta; ma quel ch'è più singolare si è, ch'ei tremava egualmente, e la di lui commozione non era meno violenta.
Mi fece entrare in un gabinetto le cui finestre erano socchiuse, e le cortine rendevano ancora il luogo più oscuro. Un uomo giovine ben fatto, con aria graziosa e nobile, mi si accostò e mi addirizzò un complimento; l'intesi appena, e non potei rispondere che con un profondo inchino; parlò egli a bassa voce a sir James, e non fu corta la loro privata conversazione. Il ministro, il suo subalterno, Lidy, il cameriere del Baronet, la donna la quale ci avea introdotti ed il giovine cavaliere a me ignoto, furono i soli testimoni de' nostri scambievoli impegni. Il mio disordine costrinse Lidy a rispondere per me alle interrogazioni usitate, ma non potei trattenere le lacrime quando sentii pronunziar dal ministro, alla maniera inglese che voi conoscete:
"Chi è la persona che dà in matrimonio questa donna a quest'uomo?" Quegli stesso, che avea parlato a sir James, e che fatto mi avea il complimento, prese la mia mano, e presentandola al Baronet, disse ad alta voce:
"Son io."
Quanto la mia situazione mi parve trista, madama, paragonandola a quella di una giovane allevata nel seno de' suoi congiunti, sotto gli occhi di un tenero padre, pomposamente condotta da lui medesimo a piè dell'altare, ad una giovine, che cambiando il nome della sua famiglia in quello di suo marito, trova in esso un amico, un amante, e vedesi divenuta in un tratto l'oggetto delle attenzioni, delle compiacenze, delle dolci carezze di due famiglie unite per amarla e proteggerla!
I miei pianti commossero talmente sir James ch'egli impallidì, domandò dell'acqua, e respirò de' sali acuti per chiamare le sue forze. La sua sensibilità m'intenerì; mi sforzai di nascondere la mia agitazione, temendo ch'egli l'attribuisse a quella indifferenza che sì sovente mi aveva rimproverata. Non mi era più permesso di essere indifferente, né di far sospettare che io lo fossi. Desiderava sinceramente di prender col nome di sposa tutti i sentimenti capaci di rendere felice un uomo, di cui il generoso disinteressamento meritava la mia tenerezza e la mia riconoscenza.
Il ministro avendo giunte le nostre mani, dichiarato avendo ai pochi astanti che noi eravamo marito e moglie, presemi sir James nelle sue braccia, e mi vi serrò con trasporto. Quegli ch'aveva sostenute le veci del mio genitore venne a prender da me congedo; mi salutò di una maniera nobile ed obbligante, e guardandomi con una spezie di rispetto mescolato di compassione, pareva non esser molto contento dell'uffizio di cui l'amico suo l'aveva incaricato.
Quest'osservazione fu fatta e mi fu comunicata da Lidy, poiché il mio turbamento non mi lasciava la libertà di fare attenzione ai movimenti degli altri.
Noi sortimmo dalla casa dell'ecclesiastico; la vettura che ci aveva colà condotti, ci ricondusse alla ripa del Tamigi; un navicello coperto colà ci attendeva: sir James mi vi fece entrare con Lidy; licenziò la carrozza ed il servitore, venne indi a prender posto vicino di me, e ordinò di partire. I remiganti giunti al luogo indicato si arrestarono, e discesi noi a terra prendemmo il cammino verso una rotonda, che doveva essere il nostro alloggio. Sir James picchiò leggermente all'uscio del giardino, una giovine l'aprì e la chiuse attentamente subito che fummo entrati; ella ci condusse in un paviglione situato dietro a degli alberi alti e folti, che impedivano la vista dalla parte dell'acqua. L'appartamento mi parve piuttosto ornato che ammobigliato. Mi assisi ad una tavola da tè, e fui estremamente sorpresa veggendo la stessa giovine villereccia presentarsi sola a servirmi.
La solitudine di quel luogo mi sgomentò; mi volsi a Lidy; e i di lei sguardi confusi aumentarono il terrore che incominciava a impadronirsi di me. Il Baronet si avvide della mia inquietudine, e cercò dissiparla.
"Voi non siete a casa vostra, mia cara Jenny;" egli mi disse "una ragione della quale sarete istruita avanti di lasciar questa casa, m'impegnò di condurvi qui per ora; quanto prima di qua partirete per prendere possesso della vostra; non mancheranno persone destinate a servirvi; tutto ciò che può rendere un soggiorno ameno e delizioso trove rete colà riunito. Non ho trascurato cosa alcuna per abbellire la vostra dimora; ardisco sperare che voi sarete di me contenta. Mi resta ancora qualche circostanza a concludere colla proprietaria del nostro alloggiamento. Deggio domani portarmi a Londra per trovarmi alla levata del re in corte; passerò per la terra d'Issington, ch'è il villaggio in cui dovremo abitare, e vi condurrò al mio ritorno ad impossessarvi del luogo che ho destinato per la nostra dimora, e che saremo costretti di abitare per qualche tempo.
Questo discorso mi tranquillizzò. Presi del tè; indi passai con James sotto un pergolato ombroso, che confinava con un terrazzino per cui si entrava nell'abitazione medesima da dove eravamo sortiti. Entrammo in un sala da quattro gabinetti laterali attorniata; ci sedemmo colà piacevolmente per qualche tempo. Alle ore tre dopo il mezzogiorno, ci avvertì il campanello che il pranzo era preparato; passammo entrambi in un'altra sala dove eravamo attesi. La giardiniera e Lidy preparato ci avevano un desinar delicato coll'aiuto del cameriere, ch'era colà arrivato pochi momenti dopo di noi.
La gioia la più viva compariva sul volto del Baronet; la sua aria di contentezza, la tenerezza de' suoi sguardi, de' suoi discorsi, l'estrema passione sparsa in tutte le sue azioni non calmavano l'agitazione del mio cuore. Confusa, abbattuta, insensibile alle di lui carezze, ai di lui trasporti, la soddisfazione della di lui anima non si poteva comunicare alla mia.
Finito il pranzo noi ritornammo nell'altra sala; Lidy ebbe ordine di rivenirvi a sette ore; non mancò all'ora appuntata; sir James la fece sedere, sedé egli stesso fra lei e me, prese una delle mie mani, la baciò più volte; indi volgendosi a Lidy:
"Ah! non vi è," le disse "ah! non vi può essere al mondo un uomo più felice di me; ma il destino che non ha mai cessato di meschiare qualche amarezza nei pochi momenti di gioia che mi ha accordati, mi sforza di rompere il corso a' miei deliziosi istanti. La necessità di ritrovarmi domani di buon mattino alla corte mi sforza di partire questa sera per Londra."
Feci a quest'annunzio un movimento che indicava la mia sorpresa.
"Voi troverete qualche cosa di stravagante" mi diss'egli "nella mia condotta; mia cara amica, dolce mia sposa, anima dell'anima mia, vi supplico, vi scongiuro, siate tranquilla sull'amor mio, sulla mia fede, sarò a voi di ritorno... domani, sì domani, prima del tramontar del sole. L'affare che mi chiama alla capitale è per me della più grande importanza. È lungo tempo che istruir vi doveva di tutto quel che riguarda lo stato mio, il mio decoro, il mio nome; non l'ho fatto sin'ora perché occupato unicamente dal desiderio di possedervi, e dal timore di perdervi ho trascurato tutte le cose del mondo, e quelle che dopo voi dovevano interessarmi; tutto vi narrerò; al mio ritorno saprete chi sono; saprete quel ch'io doveva essere, se non vi avessi preferito a tutto il genere umano... Ma attendete, non ho cuor di lasciarvi nell'oscurità, nell'orgasmo, durante le poche ore della mia assenza; prendete," mi disse presentandomi un pacchetto di fogli piegati, ma non sigillati "eccovi una narrazione in forma di lettera a voi addirizzata; con questo mezzo parlerò con voi, benché da voi lontano; voi leggerete con Lidy; spero che l'una e l'altra sarete della mia sincerità satisfatte."
Si alzò, così dicendo, chiamò il cameriere, ordinò la posta, non si occupò, attendendo i cavalli, che a consolarmi, a confortarmi e ad assicurarmi: mi caricò di carezze, di abbracci; meschiò le sue lacrime colle mie; abbracciò Lidy, mi raccomandò a lei con una tenerezza che ci commosse entrambe, e ritornato il servo, partì.
Potete immaginarvi, madama, che la partenza di sir James mi ha costato una pena infinita. Volea seguirlo sino alla sua vettura, ma fui arrestata da una passione ancor più violenta, dalla curiosità. I fogli consegnatimi da sir James doveano contenere delle cose troppo interessanti per me, onde differire una lettura che doveva istruirmi. Corsi con Lidy nella camera che destinata mi era per riposare, aprii il pacchetto ch'era voluminoso. Lidy s'incaricò di leggere; ecco il contenuto del plico.
Eccovi sposa mia dilettissima, eccovi il mio processo e la mia confessione. Spero che al mio ritorno voi sarete del tutto istruita e giudicata avrete la mia condotta con quella bontà che può ispirarvi quell'amore che ci ha insieme legati.
Io sono un discendente dell'illustre lord Huntley, che sacrificò i beni e la vita agl'interessi dello sventurato Carlo primo. La mia casa egualmente nobile e ricca, costante nel suo amore per il sangue de' suoi antichi padroni perdé con essi loro i suoi titoli e le sue possessioni; la sua rovina non l'avvilì; lontana da mendicare i favori della corte novella, si gloriò della sua povertà.
Mio padre, capo di questa famiglia, ebbe l'avvantaggio di piacere a miss Lineric della casa di Hamilton, ricca erede di sua madre, e padrona di se medesima; ella lo sposò riservandosi la proprieta' de' suoi beni e il diritto di disporne. Mio padre non godé molto tempo della sua sorte, egli morì e mi lasciò bambino; mia sorella, nata tre anni prima di me, formava le delizie di mia madre. La convenzione ordinaria fra gli sposi de' quali la credenza è differente, destinò mia sorella a professare la fede romana, ed io dovea essere allevato nella protestante. I miei congiunti paterni s'incaricarono di vegliare ai principi della mia situazione. Mia madre, di cui il partito era proscritto in Iscozia, non ardì opporvisi. Senza dubbio ella sperava che le sue ricchezze renderebbero la sua tutela assoluta. Ingannata nella sua aspettazione, ella prese una estrema indifferenza per me, e mia sorella divenne l'oggetto unico delle di lei tenerezze.
Io fui educato nell'università di Glascow. Miledy Rutland, cugina di mio padre, aveva una terra vicina di questo luogo; quando ella vi soggiornava, mi faceva passare qualche giorno con lei, e si compiaceva d'incoraggirmi ne' miei studi, e di ricompensare i miei progressi.
Sei mesi dopo la mia sortita dell'università, partii d'Inghilterra per vedere le differenti corti di Europa; conservai un'esatta corrispondenza con la Duchessa. Il mio cuore semplice e naturale si esprimeva senza artifizio; non le nascondeva cosa alcuna, nemmeno le mie imprudenze, ella mi assistì sovente de' suoi consigli. La sua generosa amicizia si estendeva più lungi trovando modica la pensione che mi accordava mia madre, ella la raddoppiò; d'ordine suo il mio governatore mi lasciò lungo tempo credere che questa aumentazione derivava dalle rappresentanze ch'egli avea creduto dover fare a miledy Huntley.
Passai sei anni lungi dalla mia patria; quando vi ritornai, non ricevetti da mia madre quell'accoglienza e quelle carezze che il mio rispetto, la mia sommissione e la mia buona condotta durante i miei viaggi mi davano il diritto di attendere. Mia sorella, debole per natura, e quasi sempre ammalata, si avvicinava agli ultimi suoi momenti; morì poco tempo dopo il mio ritorno; il dolore di mia madre fu estremo; in luogo di diminuirlo, la mia presenza non faceva che accrescerlo. Miledy Rutland era allora in Irlanda. La Scozia mi divenne insopportabile, e risolsi di abbandonarla.
Avea formato un piano per il mio avanzamento; voleva avvicinarmi al Principe, servirlo, meritare la sua protezione, sforzarmi di rendere alla mia famiglia i suoi titoli ed il suo antico splendore. Pregai il conte di Blair, mio amico, di comunicare a mia madre i miei disegni. Contraria com'ella era alla casa regnante, ella non doveva aggradire questo progetto; ma il poco piacere che aveva a vedermi la determinò a lasciarmelo effettuare, mi addirizzò al duca d'Argyle, rimettendo alla di lui scelta il partito che mi converrebbe abbracciare, pregandolo di procurarmi un impiego onorevole nelle truppe, o di attaccarmi alla persona del re. Ella mi accordò una pensione considerabile, ricevé i miei ringraziamenti e mi vide partire senza dimostrare il minimo contrassegno di tenerezza ad un figlio rispettoso, che non poté lasciarla con la medesima indifferenza.
Quando arrivai a Londra, il duca d'Argyle era a Bath; non ho osato farmi presentare alla corte da un altro; attendendo il ritorno del Duca, mi abbandonai ai vari divertimenti della città, e rinnovai conoscenza con delle persone distinte che aveva incontrate in paesi stranieri. Milord Clare fu di quel numero. Il profondo dolore da cui lo vidi oppresso mi afflisse, andava a ritrovarlo sovente nella sua solitudine. Io era ben lontano d'immaginarmi che il mio cuore avrebbe così ritrovato l'oggetto di una passione viva e costante quanto la sua, ma destinata ad essere più felice. Dimenticai vicino di voi la sollecitudine ch'io doveva agli affari miei occupato unicamente dal desio di piacervi malgrado la vostra freddezza mi abbandonai alla dolce speranza di rendervi un giorno sensibile.
Miledy Rutland, ritornata a Edimbourg, mi scriveva sovente, ella stupiva che non avessi fatto per anco alcun passo per il mio stabilimento. Il duca d'Argyle era a Londra: la vostra dimora era a Oxford, ed io non poteva da voi distaccarmi; ma una notzia sopravenutami mi sforzò mio malgrado a partire. Il conte di Blair mi scrisse che il cavaliere di Thanet, giovane gentiluomo senza beni di fortuna, ma di un merito distinto, avea fatto dei progressi sì rapidi sul cuor di mia madre e le ispirava una passione sì viva, ch'ella non poteva nascondere la tenerezza che avea per lui concepita, mi sollecitava l'amico di trasportarmi colà, per ricordarle con la mia presenza ch'ella aveva un figlio, al quale dar doveva nel di lei cuore la preferenza. Trasportata dalla sua passione, potrebbe ella, aggiungeva il Conte, scordarsi ch'ella era madre di un uomo che dipendeva intieramente dalle di lei disposizioni. Questo avviso mi sorprese, tanto più che la duchessa di Rutland non me ne aveva parlato; la conosceva perfettamente, e non poteva sospettare ch'ella volesse contribuire alla mia rovina. Tutti gli altri miei congiunti per altro mi scrissero relativamente all'avviso del conte di Blair.
In ogni altro tempo avrei senza dubbio pensato che mia madre, padrona della sua facoltà, aveva il diritto di disporne senza il mio consentimento, ma nel caso in cui mi trovava all'arrivo di questo annunzio terribile, colla fantasia ripiena di quei disegni e di quei progetti che voi mi avevate ispirati; pensai che necessaria mi era una certa opulenza per ottenere la vostra mano. In queste circostanze la mediocrità del mio stato mi parve insopportabile. Mi determinai dunque di partire immediatamente, e di correre a difendere le mie ragioni o a vendicare i torti di cui veniva minacciato. Riguardava il cavalier di Thanet non solo come un usurpatore de' miei beni, ma vedeva in lui il motore della più orribile delle mie sciagure se perduta avessi per sua cagione la possibilità di possedervi. L'eccesso del mio furore mi rese imprudente, scrissi al conte di Blair, gli confidai la mia partenza da Londra ed i miei disegni. Pressato di avvicinarmi al cavalier di Thanet, mi privai con violenza del piacer di vedervi; e presi il cammino di Scozia.
Corsi notte e giorno, arrestandomi di quando in quando unicamente per darvi delle mie nuove. Due giorni lontano da Edimbourg, mi sopravenne una febbre ardente, che mi attaccò principalmente il capo, e mi cagionò dei trasporti violenti. Un ecclesiastico, in casa di cui alloggiava, ebbe cura particolare di me. Passai sette giorni tra la vita e la morte, ed a forza di cavate di sangue ricuperai la salute.
Il mio cameriere, ignorando le ragioni che mi facevan ritornare in Iscozia, pensò di far parte a mia madre della situazione in cui mi trovava, additandole il luogo del mio soggiorno; non so qual effetto abbia in lei prodotto di sentirmi sì poco da lei distante, ma mi sovviene che l'ottavo giorno della mia malattia vidi con mia sorpresa miledy Rutland approssimarsi al mio letto.
La presenza di una persona ch'io amava, e dalla quale sapeva di essere amato, mi colmò di gioia e di tenerezza, e si aumentò la mia sensibilità sentendo stringere fra le sue mani la mia. Restammo qualche tempo senza parlare, l'arrivo suo inaspettato, la bontà colla quale s'interessava allo stato mio, mi persuasero ch'ella conservava ancora per me la stessa amicizia, non facendomi ella parola alcuna su l'inclinazione che mi avevan fatto credere di mia madre, parevami la confermazione di una verità per me odiosa; entrai io stesso arditamente su tal proposito. Miledy ascoltò tranquillamente le mie doglianze, e mi pregò di occuparmi soltanto della cura di ristabilirmi. Mi promise di restare nei contorni della mia dimora, di visitarmi tutti i giorni sino al ricupero delle mie forze, e siccome il silenzio ed il riposo mi erano necessari, ella mi lasciò fra le mani di una delle sue donne, e di un medico venuto seco lei da Edimbourg.
Ritornato in me stesso, e quasi convalescente, mandai a Lothiane, ove vi aveva pregata d'inviarmi le vostre lettere, me ne fu portata una di miss Clifford; ella mi diceva che pochi giorni dopo il mio allontanamento voi eravate partita da Oxford, e ch'ella non sapeva per anche ove alloggiaste a Londra. Questa notizia mi costernò; attesi con la maggior impazienza una seconda lettera, l'ho ricevuta, ma essa aumentò la mia inquietudine, poiché miss Clifford nulla sapeva dirmi di più intorno al vostro destino.
Ella continuò durante qualche tempo a scrivermi; e le sue lettere distrussero quel resto di speranza che ancora mi sosteneva. La sua amicizia per voi; può essere, e la sua compiacenza per me l'impegnò a mandare un espresso a Londra per abboccarsi col vostro tutore; lo trovarono morto, e le persone della di lui casa dissero che non conosceano né miss Glanville, né i suoi congiunti.
Io non tenterò di spiegarvi il dolore dal quale fui penetrato temendo avervi perduta per sempre. Senza fine occupato di voi, la mia immaginazione vagava sopra mille oggetti afflittivi; talor pensava che i vostri congiunti vi avessero chiamata alla Giamaica; talora ch'essi fossero di ritorno a Londra, e vi togliessero la facoltà di coltivare la mia corrispondenza; qualche volta, credendovi in mezzo del mare, esposta al furore dei venti, tremava per la vostra vita, un momento dopo mi pareva vedervi tranquilla, contenta, scordandovi di uno sventurato di cui la tenerezza non aveva potuto penetrarvi, ed occupata unicamente a satisfare i voti di un amante più fortunato... Ah mia cara Jenny! Queste false immagini, che si formavano nel mio spirito inquieto, erano men crudeli dello stato infelice in cui senza mia saputa voi eravate in Londra; sfogandovi in lacrime ed in sospiri, oppressa dal peso delle vostre afflizioni, voi non pensaste ad alleggerirle, comunicandole ad un vostro amico. Ah quanto un cenno addirizzatomi da una mano sì cara sarebbe stato utile e necessario alla comune nostra felicità!
Tosto che potei sostenere lo scuotimento di una carrozza, accompagnai miledy Rutland a Duglas. Il conte di Blair venne a vedermi: alcuno non mi parlava di mia madre, cercavano di evitare o d'interrompere le mie questioni, non mi rispondevano a proposito; ciò non ostante giunsi a penetrare ch'ella era maritata. Debole ancora, rianimato soltanto dal furore, dal desiderio di vendicarmi del cavaliere di Thanet, risolto aveva di lasciar Miledy, di andare a Edimbourg, di cercar quest'uomo, di privarlo della vita, o di terminar per le di lui mani la mia.
Preveduti i miei disegni dalla duchessa di Rutland, non fu che per impedirne l'esecuzione ch'ella mi aveva condotto a Duglas, ella cercava di prender tempo, ella voleva calmarmi, e non dubitava del potere che il mio rispetto ed il mio attaccamento le accordavano sopra il mio spirito.
Giammai donna non fu più amabile, né più generalmente stimata quanto miledy Rutland nata a Londra, possedendo dal lato materno de' beni considerabili in Iscozia, maritata a un cavaliere attaccato alla Corte, e stimato da tutto il regno; all'età di diciannove anni rimase vedova e padrona di quindici mila ghinee di rendita; la sua condotta fissò sopra di lei l'ammirazione del pubblico; ella è forse la sola donna che sa unire all'esatta decenza una maniera di vivere esente dalla soggezione e dai pregiudizi. Senza sortir dalla Gran Bretagna, ella ha sempre viaggiato, e continua ancora a scorrere i tre regni, arrestandosi ov'ella trova qualche oggetto di compiacenza, lasciando da per tutto dei contrassegni della bontà del suo cuore. Ella ha ottenuto dalla natura un aspetto piacevole, la sua dolcezza, la sua tranquillità hanno prolungata la sua gioventù; generosa, sincera, semplice ne' suoi ragionamenti, nobile nella maniera sua di pensare, ella piace, ella interessa, tutti l'amano, tutti la rispettano, e quest'amore e questo rispetto giungono alla venerazione.
"So" mi disse un giorno "il progetto che voi meditate, non vi biasimo di averlo concepito; un movimento naturale istantaneo doveva rendervi odioso colui che succedette a' vostri diritti, ma se voi siete capace di moderazione, se voi degnate di prestar l'orecchio ad un'amica, voi non coltiverete nel vostro seno una passione odiosa, ed abbandonerete il disegno barbaro che vi ha qui condotto. La vendetta è una soddisfazione passeggera; un momento la fa sentire, un momento la dissipa e abbandona il vendicativo a lunghi dispiaceri ed al pentimento. Aspirando alla morte di un uomo adorato da vostra madre, voi non fate che giustificare la di lei indifferenza per voi, e meritar l'odio suo. Oserete voi colmar di dolore il seno di quella che vi diede la vita? Trafiggereste voi alla sua vista l'oggetto delle di lei più tenere affezioni? E se vi riuscisse di farlo, potreste voi lusingarvi del di lei perdono? Lungi di riparar le vostre perdite, questo delitto infruttuoso distruggerebbe ogni speranza di raddolcire le vostre disavventure, ma chi vi assicura della vittoria? Non potete voi soccombere? Nell'uno e nell'altro caso esaminate il periglio che voi correte, pensatevi, sir James; voi arrischiate di lacerare il cuore di vostra madre, di causarle un dolore inesplicabile, di perire, o di esser irrevocabilmente diseredato."
Nulla seppi rispondere in quell'istante, combattuto da mille movimenti opposti, non poteva cedere alla forza di un ragionamento di cui la precisione mi penetrava, e disponeva il mio animo a ricever delle più dolci impressioni.
"Essendo io la prima causa innocente del danno che siete forzato di soffrire," continuò Miledy "mi credo obbligata di cercare i modi di alleggerirlo; son io che condussi il cavalier di Thanet in Iscozia; suo padre mi aveva amata sino dalla mia tenera infanzia; sensibile al di lui merito ed alle qualità amabili della sua persona, io l'avrei preferito ad ogni altro, se fossi stata padrona di scegliere. Le ricchezze e la riputazione del duca di Rutland determinarono i miei genitori a maritarmi con esso lui. Egli ricevette la mia mano, ma l'immagine di sir Thanet restò sempre presente al mio spirito, e cara al mio cuore. Egli era ammogliato; quando io restai vedova, ne provai un vero rammarico; cercai per ogni dove sir Thanet; i miei viaggi non avevano per iscopo che il desiderio di rincontrarlo. Parevami cosa dolce il conservare per lui la mia stima e la mia affezione, egli l'ignorava, ma gli occhi suoi mi dicevano ch'egli scordato non si era della prima mia inclinazione.
Sir Thanet fu ucciso in Allemagna; la sua morte mi afflisse sensibilmente, versai delle lacrime per la di lui perdita, mi sono compiaciuta di conservare la sua memoria; tutto quello che lo richiama alla mia mente, diviene l'oggetto della mia compiacenza, e acquista dei diritti alla mia amicizia.
Trovai il cavaliere suo figlio in Irlanda; morta era sua madre, ed avea perduta una lite di cui le spese immense avevano assorbito quasi tutte le sue facoltà. La sua situazione m'intenerì, mi sentii pressata da un vivo desiderio di essergli di qualche utilità, mi legai con esso lui in amicizia; lo pregai di seguirmi, venne meco senza esitare a Duglas, ove siamo attualmente. Vostra madre venne qui a ritrovarmi, vi passò meco due mesi, le confidai i miei disegni sopra il giovane Thanet, gli voleva dar mia nipote in isposa, ricca erede e intieramente sotto la mia dipendenza in virtù del testamento di mia sorella; vero è ch'ella toccava appena l'anno decimo dell'età sua; ma egli avrebbe goduto di una parte de' di lei beni sino al momento di possedere tutta la di lei rendita colla di lei persona, quando un avvenimento ch'io non avrei mai potuto prevedere, cambiò totalmente la scena.
Lady Huntley vostra madre divenne amante del cavalier di Thanet, s'intese seco lui senza farmene parte alcuna, gli offrì la sua mano, e otto mila ghinee di rendita. Il partito di mia nipote doveva essere ancor più considerabile, ma l'avvenire incerto e lontano non soddisfa l'impazienza della gioventù. Un avvantaggio presente determinò il cavaliere; senza parlarmene egli soscrisse il contratto che l'univa a vostra madre. Il loro matrimonio si fece in secreto, e quando il conte di Blair vi consigliò imprudentemente di venire ad opporvi, non era più in potere di alcuno di porvi ostacolo.
Io vi ho confidato i motivi della mia amicizia per il cavalier di Thanet, presentemente ardisco domandarvi il sacrifizio del vostro risentimento, e pregarvi di accettare la sorte che a lui destinava. Cedete a' miei desideri; rendetemi l'occasione perduta di fare un uomo felice; io m'impegno di riconoscere questa condiscendenza, aggiungendovi il dono...
L'interruppi con vivacità: "Cessate di grazia, Miledy," le dissi "cessate di dirmene d'avvantaggio; il piacere di far cosa che vi sia grata è senza prezzo per me. Il cavalier di Thanet goderà pacificamente dei beni che mi ha usurpati, lungi d'insidiare la di lui vita, mi sento capace di difenderla, se voi me l'ordinate, ma soffrite che questo sacrifizio sia duro; lasciatemi rifiutare i vostri doni generosi, non sono attaccato alle ricchezze, contento di meritare la vostra stima, di conservare un'amicizia che mi è così cara, mi applaudirò egualmente nello stato il più malagevole di aver potuto darvi una prova certa della mia sommissione e del mio rispetto."
"Questa prontezza di accordarmi una grazia ch'io desiderava ardentemente," riprese Miledy "questo nobile disinteressamento raddoppiano le mie obbligazioni; ma lasciamo questi discorsi, noi li ripiglieremo a Bristol, ove destino di trasportarmi per qualche tempo; voi non mi rifiuterete, io spero, di colà accompagnarmi. Lady Huntley" continuò ella "mi rimise un biglietto di due mila ghinee per risarcirvi delle spese del vostro viaggio; eccole, ella non desidera vedervi, ma io veglio a' vostri interessi presso di lei, la vostra pensione è gia aumentata, e l'alderman Burton, che prende cura de' suoi affari in Londra, ha l'ordine di somministrare la somma che può essere necessaria per l'acquisto dell'impiego che voi sollecisate alla corte. Io non insisterò su la proposizione fattavi di prendere mia nipote in isposa, ma permettetemi di porvi sotto gli occhi un avvantaggio comune, che avrebbe potuto risultare da questa unione. Mia nipote offrendovi la mano potrebbe con più di facilità far passare nella vostra famiglia quei titoli, quei beni e quelle prerogative, che li sconvolgimenti della nazione non le permisero sin ora di possedere, io abbandono questo soggetto alla saggezza delle vostre rifessioni, e fra un mese vi pregherò di rendermi intesa delle vostre risoluzioni." Noi partimmo il giorno dopo; staccatomi da miledy Rutland, lasciai l'Irlanda e ritornai in Inghilterra. Giunto a Duglas, trovai colà una lettera di miss Clifford che non mi dava notizia alcuna di voi; inquieto piucché mai, ed impaziente di averne, inviai immediatamente il mio cameriere a Londra incaricandolo di scorrere la via ed il quartiere dove dimorava l'estinto sir Humfroid, per informarsi dai vicini di quella casa, o dagli amici o dai congiunti del morto, per avere qualche istruzione sulla vostra esistenza, e della vostra dimora; niente poté rilevare, ed al suo ritorno mi disperò.
Una lettera del conte di Blair mi fece comprendere tutte le obbligazioni ch'io aveva alla duchessa di Rutland: ella sola sollecitava il duca d'Argyle ad impiegarsi in favor mio. Mia madre, poco curandosi del mio stabilimento, si sovveniva appena della mia esistenza. Il biglietto di due mila ghinee, i fondi depositati presso l'alderman Burton, e l'aumentazione della mia rendita, tutto era da me dovuto alla liberalità della Duchessa. Penetrato dalle procedure di un'amica rispettabile, riconoscente alle di lei bontà, perduta dall'altra parte la speranza di rinvenirvi, combattei qualche tempo fra l'ambizione e l'amore, ma vinse questi alfine, e non disperando affatto di ritrovarvi un giorno, scrissi alla Duchessa, e la pregai di accordarmi tre mesi, in vece di uno, per riflettere e risolvere su l'articolo interessante di sua nipote.
Il primo di questi tre mesi è già trapassato, e l'avrei impiegato a liberarmi affatto dall'impegno contratto con la Duchessa, se non avessi creduta necessaria la mia persona presso di voi. Perdonatemi, Jenny amatissima, unico oggetto, unica cura de' miei pensieri, perdonatemi una verità che non può offendervi, perché finalmente io sono vostro, e voi siete mia. Ah Jenny! Voi non mi avete mai amato in maniera di non poter temere di perdervi; tremava ad ogni istante di una rivoluzione che potesse di voi privarmi per sempre, credeva necessario di trasportarmi io stesso in Irlanda per giustificarmi presso la mia generosa amica, ma credeva ancora più necessario di non allontanarmi da voi.
Ho un motivo di più presentemente per assicurarmi del vostro perpetuo attaccamento per me, poiché siete meco legata; e se i vincoli dell'amore non fossero bastanti per assicurarmi di voi, quelli del vostro cuore e del mio devono essere sufficienti.
Dei due mesi che mi restano, a tenor del mio impegno, impiegherò il primo a persuaderla colle mie lettere, se ciò non basta, mi occuperò nel terzo personalmente, farò un viaggio in Irlanda; la conosco: so quanto affetto, quant'amicizia ella nutre per me, e se fatalmente non mi riuscisse di guadagnarla a seconda delle mie brame, sono risoluto di mandar giù la visiera, e di vivere unicamente per voi.
Le ricchezze, gli onori, le dignità non vagliono quello che voi valete, voglio tutto sacrificare alla sola persona ch'io stimo ed amo.
Una sola precauzione credo ancor necessaria, prima di ridurmi a questo passo violento. Se il nostro maritaggio non è penetrato dalla Duchessa prima della mia confessione, sarà meno difficile per me ottenere la grazia che le domando; ma s'ella si avvede ch'io le chiedo la mia libertà, dopo essermi con un'altra legato, mi accuserebbe con ragione di malafede, e giustamente sarebbe contro di me irritata. Se posso evitare il di lei sdegno, senza pregiudizio della mia passione, m'assicurerei la mia tranquillità, e mi sarebbe utile ed onorifica la continuazione del di lei attaccamento per me.
A questo unico oggetto scelto ho un alloggiamento per noi separato dal gran mondo, per passare il periodo di questi tre mesi in un asilo solitario e tranquillo; dovendo io per altro comparire tutti i giorni alla Corte, e non volendo passarne uno solo senza vedervi, l'ho cercato dalla capitale non distante. Colà, mia adorata Jenny, passeremo incogniti questi giorni critici e disgustosi; differiremo ad un miglior tempo la pubblicità e la pompa delle nostre nozze, e potrò contento e fastoso presentarvi ai congiunti e agli amici come l'unico oggetto dell'amor mio e della mia vera felicità.
Se voi acconsentite alle mie brame, che mi paiono giuste ed oneste, mi colmerete di gioia, e non mi scorderò mai di quella docilità con cui vi sarete sommessa alle mie preghiere. Spero domani di rivedervi, spero di ritrovarvi per me sempre amorosa e condiscendente, e mi preparo a caricarvi di ringraziamenti, di baci e di attestati della mia riconoscenza.
Passammo l'intiera notte Lidy ed io a leggere, e rileggere, e riflettere seriosamente sui fogli lasciatimi da sir James. Pensai, madama, che un uomo che rimette all'arbitrio di una donna sensibile la facoltà di levargli degl'avvantaggi che si dichiara esser pronto a sacrificare per lei, non fa che impegnare maggiormente un'anima generosa a preferire i di lui desideri alla propria sua volontà. Mille idee si sollevarono nel mio spirito, pensando a quali sospetti mi esponeva l'osservanza di un tal secreto; dopo qualche momento di riflessione, sovvenendomi del sacro impegno contratto quella stessa mattina, e le obbligazioni indispensabili del mio nuovo stato, compresi che più non mi conveniva oppormi alla volontà di sir James. Come le osservazioni sopra un affare terminato sono sovente disgustose, e sempre inutili, presi il partito di sottomettermi a quelle disposizioni che avrei infruttuosamente tentato di far cambiare.
Non mancò sir James di rivenire il giorno seguente, come promesso mi aveva, curioso di assicurarsi dell'effetto che fatto avevano sopra di me i di lui fogli, me ne parlò quasi immediatamente, e si vedeva negl'occhi suoi l'impazienza della risposta.
"Sarei troppo ingiusta," gli dissi "sarei troppo ingiusta se io mi opponessi a' vostri riflessi, alle saggie vostre determinazioni. Voi siete il padrone, voi potete dar legge ad un cuore riconoscente; gli ordini vostri non mi sembreranno mai duri, se i vostri avvantaggi e la vostra felicità saranno il prezzo della mia rassegnazione."
"Ah, mia adorata compagna," rispose egli teneramente "mi sovverrò tutti i giorni della mia vita quest'atto ammirabile della vostra condiscendenza."
Cominciò indi a parlarmi della casa che per noi provveduta aveva, e che durante qualche mese doveva essere il nostro domicilio.
"Non ho ritrovato," diss'egli "ne' contorni della capitale, luogo più conveniente a' miei disegni che una casa non grande, ma decente e comoda, situata a Issington; questa casa isolata dipende da un alloggio più vasto eretto su lo stesso terreno; invaghito della situazione solitaria ed amena, volea rendermi padrone dell'una e dell'altra, ma la proprietaria, che occupava la grande, non ha voluto o non ha potuto accordarmi che la più piccola. Ho prese tutte le informazioni che ho credute utili e necessarie intorno allo stato ed al carattere di questa donna; ella chiamasi mistriss Roberts, ella è di onesta famiglia, vedova di un ministro, e vive assai ritirata; le confidai che io attendeva da Coventry una giovine nobile e ricca promessa secretamente in isposa a un mio fratello uffiziale della marina, attualmente in mare al servizio della nazione. «I congiunti di questa dama» soggiunsi «vorrebbero obbligarla a ricevere le attenzioni di un altro; miss Jenny viene a rifugiarsi sotto la mia protezione, a fine di conservarsi alla persona di cui il di lei cuore fece la scelta; noi ignoriamo, ella ed io, il tempo del ritorno di mio fratello; la giovine Miss l'attenderà presso di voi.» Finii pregando mistriss Roberts di chiamarvi solamente miss Jenny, e di non pronunziare mai innanzi alcuno il nome di Ashley, che le dissi esser quello della famiglia vostra; ella me lo promise; si è incaricata della cura di provvedervi le persone necessarie al vostro servizio.
In qualità di confidente di un fratello amato, le mie visite non saranno sospette; mi sforzerò di non farle troppo frequenti durante il giorno, ma tutte le notti, una porta che si apre nella campagna mi darà la facoltà di entrare in casa vostra senza essere veduto; si concerterà in modo che i servitori novelli non si accorgano della mia venuta; Lidy ed uno de' miei camerieri, di cui la fedeltà mi è nota, sapranno soli il nostro secreto. I miei cavalli mi aspetteranno ad un posto vicino, niuno sospetterà la nostra intelligenza, e quando avrò bastante forza per allontanarmi da voi, anderò, se ciò fia necessario, per qualche giorno in Irlanda, per dar fine al grande affare che m'interessa."
Chiesemi al fine se io aveva niente in contrario, e se io sentiva qualche ripugnanza di prestarmi alle sue disposizioni. Credei ben fatto dover tutto approvare, tutto applaudire, quantunque io mi sentissi internamente umiliata, pensando al personaggio ch'egli mi sforzava di rappresentare; arrossii veggendomi esposta a dover passare per una giovine appassionata, che preferisce la sua soddisfazione al rispetto dovuto a' suoi genitori. Il ritiro in cui vivere doveva, poteva solo farmi sofferire con minor pena la mia situazione. Risposi a sir James che, non separando più i di lui interessi dai miei, mi confermerò sempre alle di lui disposizioni.
Sir James aveva avuta la precauzione di far portare nella casa dove eravamo dei vestiti da viaggio; Lidy ne scelse uno per me ed uno per lei. Giunta l'ora indicataci per partire, traversammo il giardino, e di là sortendo trovammo sir james in una carrozza a sei cavalli di posta, che ci condusse in breve tempo a Issington. Arrivata al mio nuovo alloggiamento, mistriss Roberts venne a farmi una visita, mi presentò le persone che fermate aveva per il mio servigio, e m'istruì delle incombenze alle quali erano respettivamente destinate; la pregai di restar meco a cena, ma ella se ne dispensò, e mi lasciò, quando mi si fe' intendere che avevano dato in tavola. Sir James sortì con lei, dicendomi politamente, ma con una spezie d'indifferenza studiata e politica, che ritornerebbe il giorno seguente a ricevere i miei ordini, e sapere se le sue prime attenzioni erano riuscite a norma de' suoi desideri.
Io mi affrettai di cenare, avendo bisogno di riposarmi. Sperava godere un poco di libertà, abbandonarmi al riposo o alle mie riflessioni; ma appena cominciai a trattenermi con Lidy, che un piccolo romore si fece intendere. La porta del mio gabinetto si aprì, sir James comparve alla mia vista, e mi vidi costretta a dargli de' momenti che mi sarebbe stato più dolce passarli sola.
Il gusto e la magnificenza del Baronet aveano cambiato un'abitazione comoda, ma semplice, in una dimora allegra ed aggradevole; niente avea trascurato; due parterres smaltati di mille colori confinavano con una vasca d'acqua assai grande: vi avevano gettato una quantità di pesci per procurarmi il piacere della pesca; una uccelliera riempiuta di vaghi augelli si trovava alla fine di un viale; e una superba muta di cavalli napolitani mi procurava il comodo di scorrere qua e là per visitar le delizie di que' contorni: Confesso il vero, mi piacque infinitamente questa solitudine amena; vi trovai gli agi e la tranquillità che mi rendevano contenta a Oxford. La musica, la lettura ed il disegno mi bastavano per divertirmi in casa, ma sir James non pareva contento; egli mi rimproverava una certa freddezza, che aveva contratta per abitudine. La mia docilità, le mie compiacenze, un'attenzione estrema e continua di provargli la mia stima e la mia riconoscenza non soddisfacevano il di lui cuore appassionato; egli avrebbe voluto scorgere nelle mie azioni, nelle mie compiacenze, quell'interesse, quella sollecitudine che non può essere ispirata che dal più tenero affetto.
Troppo gli doveva per non desiderare di vederlo contento, ma io lo desiderava con una tiepidezza che non mi era possibile di sormontare. L'uguaglianza del mio umore e del mio contegno verso di lui gli dispiaceva; si faceva render conto dalle mie donne della mia condotta, delle mie occupazioni nella sua assenza, e pareva mal contento ch'io profittassi, quando era sola, di quei piaceri ch'io sovente evitava quando egli era al mio fianco. L'eccessiva sua tenerezza mi riusciva più incomoda che piacevole, e mi faceva soffrir con pena il capriccio de' suoi desideri e de' suoi lamenti.
Passato era il primo mese, ed una parte del secondo, senza che sir James si disponesse ad allontanarsi da me, né parlasse del tempo in cui destinava di trasportarsi presso miledy Rutland; ciò non ostante cessava egli insensibilmente di essere circospetto, e di prendersi soggezione de' miei servitori. Io non ardiva lagnarmi di una condotta che le circostanze in cui eravamo mi facevano riguardare pericolosa. Le mie più leggiere osservazioni su questo soggetto attiravano i suoi rimproveri, eccitavano la di lui collera; diceva veder chiaramente che la mia indifferenza mi rendeva le di lui assiduità importune; questa idea non lo induceva a privarsi del piacere ch'egli sentiva di vedermi; ma non cessava di lagnarsi in tutti i momenti di essere mal corrisposto: sia per difetto di carattere, sia per una bizzarria mal intesa, pareva ch'ei mi volesse sforzare a compiacermi de' suoi trasporti, delle sue carezze, delle sue imprudenze, di tutto quello ch'egli faceva, o pensava, per contentar se medesimo.
Al cominciamento della primavera un accidente funesto ridusse in pochi giorni mistriss Roberts all'ultima estremità. Andando a Londra in una picciola vettura scoperta, ella fu rovesciata, e ricevette cadendo una ferita pericolosa nel capo; fui sensibile al maggior segno per un avvenimento sì tristo; al dolore di veder questa donna in pericolo, si aggiunse ad agitarmi il timore di dover cambiare la mia dimora.
Nel medesimo tempo la corte di Londra partiva per Tumbridge; sir James non poteva dispensarsi di seguitarla, e ne sentiva una vera pena, e si lagnò mille volte di una soggezione ch'era stata l'oggetto della sua ambizione. Il giorno della sua partenza lo passò meco con più di assiduità, e con più di tenerezza che l'ordinario. Due finestre dell'appartamento di mistriss Roberts guardavano direttamente in faccia di quelle ove sir James era seduto vicino a me: ardente come al solito, e prossimo alla sua partenza, mi baciò più volte la mano! Io gli feci rimarcare che un uomo attempato ed una donna bene adornata stavano dentro i vetri dirimpetto di noi, e mostravano attentamente osservarci; egli alzò gli occhi, ma le due persone si ritirarono immediatamente, chiusero le cortine, e alzandole di quando in quando continuarono ad esaminarci; noi cambiammo di sito, non facendo alcun caso della loro curiosità. Sir james partì la sera medesima con disegno di ritornar ben tosto, e di trovare un pretesto per rivedermi avanti la fine del viaggio.
Per la sua assenza rimanendo io padrona di me medesima, feci offrire a mistriss Roberts tutti que' soccorsi che da me poteano dipendere, e m'informai regolarmente del di lei stato. Prima del suo accidente le genti del mio servizio avevano qualche relazione con i suoi domestici; ma siccome vi andavano più sovente, si trattenevano anche con maggiore familiarità, e ben presto ne vennero a delle scambievoli confidenze.
Una delle mie donne m'istruì che mistriss Roberts era figlia di un gentiluomo assai ricco; la sua tenerezza per un giovine cappellano del conte di Sommerset le fece un torto infinito; perdendo l'amicizia del di lei padre, tutto sacrificò al piacere di unirsi a colui ch'ella amava; cinque anni dopo il suo matrimonio, monsieur Roberts morì. Il conte di Sommerset, penetrato dalla situazione della vedova sventurata, continuò a somministrare le cento ghinee ch'egli pagava a suo marito. Morto il Conte, qualche anno dopo, senza fare alcuna disposizione, mistriss Roberts si credette una seconda volta privata d'ogni soccorso, ma ella trovò un nuovo appoggio nella sorella del Conte; questa dama compassionevole e generosa non solamente la mise in possessione di una picciola terra, di cui la rendita poteva bastare ai di lei bisogni, ma le fece fabbricare l'abitazione ove io era attualmente, e quella ancor più comoda e più spaziosa, che occupava ella stessa.
Sin dai primi giorni della di lei malattia questa donna si era affrettata di scrivere alla sua benefattrice, pregandola di mandarle uno de' suoi agenti, a fine ch'egli prendesse il possesso de' suoi effetti; desiderava, diceva ella, vedere ritornare alla sua sorgente un bene, il quale senza dubbio passerebbe al sollievo di qualche altro infelice.
In luogo di un agente la sua protettrice le mandò il suo cameriere cerusico ed una delle sue donne, l'uno abile nella sua professione a fine che la curasse, l'altra con ordine di restar vicina all'ammalata, di consolarla, e prometterle da parte sua che andando a Londra, ove doveva ben presto rendersi, ella travierebbe dalla sua strada espressamente per passare a Issington a farle una visita d'amicizia.
Lidy, entrando una sera nella stanza di mistriss Roberts, trovò vicino al suo letto quella straniera che l'assisteva; sorpresa questa all'aspetto di Lidy, l'attaccò arditamente, e mostrandosi intesa e prevenuta parlò della mia persona, e sopra tutto delle mie conversazioni con milord Danby; stanca delle sue interrogazioni, offesa dei termini da' quali erano accompagnate, Lidy le rispose:
"La mia padrona non conosce milord Danby, non riceve visite, e non dee render conto ad alcuno della sua condotta, ma può renderne uno a se stessa, che le farà sempre onore.
Qui esclamando la donna curiosa, e ripetendo ironicamente le ultime parole di Lidy, disse:
"Buon Dio! quale asserzione falsa e ridicola! La vostra prudenza è inutile, sono di tutto informata: miss Jenny" soggiunse con aria di disprezzo "conosce milord Danby, ella lo conosce perfettamente, e fra poco sarete forzata a confessare la verità"; ciò detto si ritirò senza voler cedere alle istanze di Lidy, che la pregava di restare sperando di poterla disingannare.
Rendendomi conto Lidy di questa scena, mi fece risovvenire di quelle persone che mi spiavano sotto delle cortine in faccia le mie finestre; pensai che sir James e milord Danby potessero in qualche parte rassomigliarsi; rimproverai Lidy, ridendo, di aver dato qualche valore a dei discorsi che non meritavano alcuna attenzione.
Ricevei delle lettere assai tenere da sir James; esprimevano esse il desiderio ardente che aveva di rivedermi, e la noia ch'egli provava da me lontano; le ultime mi prevenivano del suo vicino arrivo, e lo attendeva di momento in momento.
Dodici giorni dopo la sua partenza, lo strepito di una vettura m'invitò alla finestra del mio gabinetto: vidi entrare nel cortile una carrozza a sei cavalli, scortata da quattro uomini a cavallo; le corone ch'erano sopra la carrozza annunziavano un pari del regno. Una dama magnificamente vestita ne discese, due donne la seguivano, quella di cui le questioni avevano alterata Lidy, che corse ad incontrarla; la dama le parlò d'un'aria ridente, e vedendo uno de' miei domestici nella corte gli fece segno d'approssimarsi, e senza esitare gli ordinò di aprire l'appartamento terreno della mia abitazione ove ella entrò.
Attonita, confusa, non sapeva che pensare; chiamo, cerco, domando, quando vedo venire uno de' miei servitori, e sento dirmi che un'amica di mistriss Roberts desiderava vedermi, domandava la permissione di salire, se io non amava meglio discendere.
Questo annunzio mi sorprese; poteva immaginarmi naturalmente che questa dama fosse la generosa benefattrice di mistriss Roberts, ma a che attribuire il desio di vedermi? Non mi sentiva molto disposta a ricevere la di lei visita. I discorsi tenuti a Lidy sopra milord Danby cominciarono ad inquietarmi, a farmi temere un abbaglio che poteva esporre la mia riputazione o il mio secreto; poteva darsi ch'ella credesse trovare in me una miss Astley: indecisa, e non sapendo a cosa determinarmi, presi il partito di farla pregare di scusarmi; allorquando, stanca di attendere, ella salì accompagnata dalla donna che dimorava da poco tempo presso mistriss Roberts.
"Io vi disturbo per avventura," ella mi disse entrando "ma il desiderio di vedervi mi fa sorpassare tutte le inutili formalità. Voi mi parete confusa:" soggiunse "comprendo la ragione del vostro turbamento; ma lasciate di temere, non voglio né nuocervi, né insultarvi."
Ella si era seduta parlando, ed io presi il mio posto in faccia di lei.
"Rendo grazie a Miledy" le dissi "della bontà colla quale mi onora; ma non so comprendere quale sia il motivo ch'eccita in essa lei a mio riguardo una spezie di compassione: la mia condotta, i miei sentimenti, mi danno il diritto di non temere gl'insulti di chi che sia."
"Quest'orgoglio non vi conviene, Miss;" riprese la dama "quando io vi tratto con amicizia, vi sta male mostrar dell'alterigia; non cambiate la mia pietà in un giusto sdegno; voi siete giovinetta, vaga, vezzosa, non è da stupirsi se ispirate delle passioni violenti; se la casa che voi abitate è una spezie di ritiro procuratovi da voi stessa, se non è un alloggio scelto da milord Danby per nascondervi al gran mondo, giudicherò avvantaggiosamente del vostro carattere e della vostra condotta; ma parlatemi sinceramente; quant'è che voi conosceste Milord e che lo tenete fra' vostri lacci?"
"Replico a Miledy" risposi "che questa spezie di pietà mi sorprende; più che mi esamino, meno credo poter divenire l'oggetto di un giusto sdegno. Non ho mai veduto milord Danby, e non capisco qual possa essere l'equivoco che mi assoggetta a ricevere de' rimproveri non meritati, non che a udire delle interrogazioni offensive."
"Io ve l'ho già detto, Miss," riprese Miledy "questo tuono non vi conviene. Credete voi potermi deludere? Impegnarmi a credervi?" E volgendosi verso la cameriera, che stava in piedi dietro la di lei sedia: "Mi fa pena," le disse "pena grandissima trovare una giovine, che ha qualche merito, in uno stato sì ignominioso, e quel ch'è peggio, vedere ch'ella se ne compiace."
Un estremo rossore coprì la mia faccia, le mie lacrime eran vicine a cadere;
"Miledy mi assicurò" le dissi "ch'ella non voleva insultarmi; sperava ch'ella non avrebbe mancato alla sua parola."
"Siete voi che mi sforzate a mancarvi;" replicò ella "in luogo di discolpe, voi non pronunziate che negative; siete ardita a segno di asserire e di sostenere di non conoscere milord Danby. Due persone che lo conoscono perfettamente, lo hanno veduto qui più volte, e con uno zelo, che io ho biasimato, hanno seguitati i di lui passi, si sono assicurate ch'egli passava una parte dei giorni con voi, e che tutte le notti una porta secreta... Ma io non voglio portar più lungi le circostanze di una prova evidente."
Questo discorso mi confermò nell'idea che sir James e milord Danby doveano rassomigliarsi; compresi che questo effetto del caso mi esponeva ai rissentimenti di una donna che s'interessava alla persona di milord Danby; come disingannarla senza scoprire un secreto che mi ero proibito di rivelare, e come soffrire i disprezzi che un tale equivoco le ispirava contro di me?
"Io non sono né ardita" le dissi alzandomi "né accostumata a tollerare un tale linguaggio; prego Miledy di assicurarsi che in questa casa milord Danby non è conosciuto né da me, né da quei che mi servono; di perdonarmi se ritirandomi la lascio in libertà di riflettere sopra la durezza delle sue espressioni e l'inganno de' suoi giudizi."
M'innoltrai verso la porta determinata a sortire, quando la cameriera di Miledy si avvicinò a me arditamente e mi arrestò dicendomi:
"Badate, Miss, badate alle vostre espressioni; la dama che voi vedete è miledy, duchessa di Rutland..."
"Miledy Rutland!" replicai cadendo sopra una sedia, e respirando appena. Vidi in quel momento terribile il mio matrimonio scoperto, le speranze di sir james perdute, e tutti i suoi progetti distrutti; ma se mi conoscevano, perché parlarmi di milord Danby? Questo è quello che non poteva comprendere.
"Mi pare, Miss," disse ridendo la Duchessa "che il mio nome vi abbia posta in una spezie di costernazione; comprendo che la mia vista non vi è aggradevole per alcun titolo, ma tranquillatevi: portandomi a visitare mistriss Roberts, un capriccio in cui né l'amore, né la gelosia vi hanno preso parte, mi fece entrar qui; vi consiglio di bandire la vostra inquietudine; non disturberò la dolcezza di un'unione che parmi non vi dispiaccia; sarei mortificata d'interrompere le soddisfazioni di James; egli vi avrà probabilmente istruita che le nostre convenzioni non gl'impongono la minima soggezione."
Queste parole raddoppiarono il mio imbarazzo. Ella parlava della mia unione con sir James, e mi ha fatto credere ch'ella mi supponeva attaccata a milord Danby; restai mutola nella confusione delle mie idee.
"Perché abbassate gli occhi, perché tacete?" ella mi disse. "Da dove nasce questo turbamento, questo rossore? Rasserenatevi; milord Danby è a Tumbridge, non è egli vero? Deggio andar colà a ritrovarlo; vi prometto di fargli un complimento sincero sopra la fortuna ch'egli ha di possedere la più bella giovine dell'Inghilterra."
Questi ultimi accenti mi penetrarono ancor più vivamente, e mi diedero bastante forza per rispondere a degl'insulti di cui non comprendeva il mistero.
"Che vi fec'io," le dissi "per trattarmi sì duramente? Se ha potuto sir James mancare ai riguardi ch'egli vi doveva, commise certamente una leggierezza indegna di lui; ma s'egli mal corrisponde alla vostra bontà, in che sono io colpevole? Voi mi accusate di una intelligenza inonesta con milord Danby, nel tempo stesso che sembrate essere pienamente informata del nodo che mi lega con sir James Huntley; doveva io per legarmi con esso lui domandare il vostro consentimento? Quando una congerie di avvenimenti sventurati mi fece cedere ai desideri di sir James, io ignorava gl'impegni ch'egli avea contratti con voi."
"Quali favole mi narrate?" dissemi la Duchessa "la vostra fisionomia non m'indicava una tal sottigliezza; perché separate voi James e milord Danby? Voi non dovete ignorare che sir James Huntley, divenuto conte Danby sposandomi..."
"Che intend'io?" esclamai "sposandovi? Sir James Huntley è milord Danby? Egli è ammogliato, lo era dunque... Ah Dio!" La mia voce si estinse, un freddo mortale agghiacciò il mio cuore, e caddi senza conoscimento ai piè di Miledy.
Al grido mio penetrante Lidy e le mie donne accorsero, mi diedero de' soccorsi; aprendo gli occhi osservai Lidy immersa nel pianto, gettai le mie braccia al suo collo, ed appoggiando il capo sopra il di lei seno:
"Sono tradita, perduta, disonorata," gridai, senza riflettere se dagl'altri potessi essere intesa. "Vittima degl'inganni di un vile impostore, il solo bene che mi restava mi fu crudelmente rapito. Ah! mia cara Lidy, levatemi di qui, nascondetemi; ora sono veramente povera, veramente spoglia di tutto. Ah Lidy cara! Ah madre mia sventurata! La vostra terribile predizione è compita; la miseria ed il rossore sono l'eredità, le sole eredità della figlia vostra infelice."
Miledy Rutland, attonita di vedermi in uno stato deplorabile, ordinò a Lidy di fare ritirar le mie donne, indi venne a seder sopra il soffà dove mi avevan coricata.
"Come, Miss," ella mi disse "sarebbe possibile che, lusingata da vane promesse, voi aveste concepita la speranza di divenire un giorno la moglie di milord Danby? Ha egli potuto abbassarsi a fingere per sedurvi?... Ma come? Con quale arte vi avrà egli nascosto un matrimonio celebrato a Londra a Saint James in presenza del re e di tutta la corte? Vivete voi lontana dalla capitale? In qual tempo? In quale avete voi conosciuto Milord? Chi siete voi?"
"Il mio essere è un nulla, madama" io le risposi. La Duchessa intenerita degnò stendermi la sua mano, e stringere dolcemente la mia:
"Alzate gli occhi, amabile fanciulla; riguardatemi," mi diss'ella con estrema bontà "parlatemi liberamente; voi non sapete quanto io sia portata per il sollievo delli sventurati; un dolore sì vivo, sì naturale mi penetra; siate sincera, io posso divenir vostra amica, vostra protettrice; voi m'interessate, comincio a scusarvi; voi siete giovine, milord Danby è amabile, egli vi ha piaciuto, e l'inclinazione dispone alla fiducia; ma come è egli arrivato a sedurvi? Quai furono quegli inganni che voi gli rimproverate?"
"Né l'amore," dissi "né l'imprudenza cagionarono la mia rovina; non fui sedotta, fui tradita, madama, indegnamente tradita! Abusò l'inumano de' giuramenti sacri, di una cerimonia santa, si beffò dell'onore, della verità, del cielo medesimo per acquistare dei diritti sopra un innocente fanciulla, per aggiungere l'infamia alla di lei miseria, per rapirle quel solo bene che la sorte avversa non avea potuto levarle."
La Duchessa fece un movimento di sorpresa, si alzò, ordinò alla sua cameriera di andare ad attenderla all'abitazione di mistriss Roberts, pensò tacendo e passeggiando per qualche tempo, e rivolgendosi a me:
"Rifletteste voi bene" mi disse "al senso delle parole da voi pronunziate, all'enormità di una colpa che mi volete far credere? Dei giuramenti sacri? una cerimonia santa? Che dovrei io pensare, se i vostri detti fossero ben fondati? Ma lo veggo, il dolore vi offusca; calmate i vostri sensi troppo agitati, ritornate in voi stessa, cessate di temermi; amo milord Danby, ma la mia passione non mi altera, e non mi accieca; la tenera compassione che voi m'ispirate, mi occupa unicamente in questo momento. Parlate, scopritemi i vostri secreti; vi chiedo per la seconda volta, chi siete voi?"
"Ve l'ho detto, Miledy, ve lo ripeterò, poiché l'esigete; io non son nulla al mondo; uscita da due illustri famiglie mi trovo senza congiunti, senz'amici, isolata ed incognita; allevata con la certezza di una sorte onesta, la mia miseria è estrema; maritata ad un uomo nobile e ricco, non ho più sposo. Onesta nel fondo del mio cuore, mi veggio confusa nella classe delle donne dispregievoli, delle quali l'interesse o la vanità hanno soffocati i buoni principii" ; e cadendo su' miei ginocchi, gli occhi e le mani alzate verso il cielo: "Dio giusto! Dio onnipotente!" esclamai "testimonio della mia innocenza, del dolor che mi opprime! ascolta la mia voce, esaudisci la mia fervorosa preghiera! aprimi il tuo seno paterno! degnati di ricevermi nella tua misericordia, prima che l'impazienza e la disperazione mi rendano colpevole innanzi dite!"
Miledy lasciò cader qualche lacrima, mi aiutò con bontade a rialzarmi, e volgendosi a Lidy: "Oh quanto" le disse "questa giovane mi fa pietà! Voi che mostrate essere nella di lei confidenza, spiegatemi questo linguaggio che mi sorprende. È maritata? non ha sposo?... Chi può essere questo marito, secondo lei di un grado elevato. Non credo mai... No, non puo essere... spero almeno che ciò non sia…"
Cessando ella di parlare, Lidy prese coraggio, e disse:
"Sir James Huntley è il solo uomo che si è accostato alla mia sfortunata padrona, altri ella non ne ha conosciuti."
"Come!" esclamò la Duchessa "ella parla di James? ella accusa milord Danby? sarebbe possibile!..." e volgendosi a me vivamente: "Voi," mi disse "voi maritata? Come? quando? in che luogo? quali prove?..."
"Io non ne ho alcuna;" risposi "una tetra oscurità si sparge sopra tutto quello che mi riguarda."
Allora, sforzandomi di parlare, frammeschiando alle mie parole dei pianti, dei gemiti, le feci un racconto succinto e veridico della mia nascita, della mia educazione della mia rovina, arrivai infiammandomi sempre più a quell'avvenimento fatale che ne fu la ragione, dipinsi agli occhi della Duchessa l'arte con cui all'impostore riuscì di tradirmi, ed impegnarmi ad osservare il secreto. Affine di convincere Miledy che alcuna debolezza non era entrata nella mia credulità, le feci vedere le due lettere, che ricevute aveva da sir James; ci si lagnava in queste della poca mia tenerezza, e mi rimproverava d'accordar molto al dovere e niente all'amore.
La Duchessa mi ascoltò con una estrema attenzione, lesse le lettere, alzò gli occhi al cielo, e sospirando esclamò:
"In quali disordini le impetuose passioni possono precipitarci! Ah Dio, quante persone di carattere onesto, di cuor puro, di costumi illibati hanno rinunziato all'onore, all'umanità, per soddisfare un folle ardore, procurarsi un momentaneo piacere, piacer vivo, può essere, ma che il rimorso interno dee meschiar d'amarezza?" Rileggendo le lettere, ne replicò l'espressioni le più tenere, ripetendo: "Oh quanto gli uomini sono qualche volta fallaci!"
Terminò le sue riflessioni in silenzio, indi a me avvicinandosi, prendendomi per la mano:
"Piangete, cara Miss, piangete," mi diss'ella "ma cessate di arrossir d'avvantaggio. Voi non siete che sventurata; milord Danby è il colpevole, egli è da compiangere piucché voi; tutto quello ch'egli vi ha detto è esattamente vero, all'eccezione de' suoi finti impegni con lady Bersey d'Arram, sua parente e mia. Io non ho alcuna nipote. Il conte di Sommerset mio fratello morì vent'anni sono senza essere stato ammogliato. Non potendo disporre di una gran parte de' miei beni senza contrarre un secondo matrimonio, mi vi determinai per assicurare nel tempo medesimo uno stato brillante a sir James; egli meritava allora l'interesse ch'io prendeva per la sua persona. Lasciando Bristol venni a Londra, e lo condussi meco; a mia sollecitazione il re degnò ammetterlo fra i grandi personaggi della Corona, gli accordò il titolo di conte Danby, e la Camera Alta lo ricevette nel numero dei pari del regno. Un matrimonio sì sproporzionato per l'età e per la ricchezza non eccitò i motteggiamenti di alcuno. I miei motivi erano conosciuti; mi hanno veduta con piacere rialzare la casa di Huntley, rendere il suo primo lustro ad un'antica famiglia, e riparare l'ingiustizia di una madre, la di cui condotta era biasimata; ma come la generosità soltanto mi aveva portata a formare questo legame, non presi un padrone prendendo un marito. Milord Danby acquistò dei diritti sopra i miei beni, senza acquistarne sopra la mia persona. Continuai a vivere indipendente, e non esigeva da lui che una condotta capace di giustificare la mia amicizia, e la scelta ch'io aveva fatta. Non altro dunque," soggiunse "non altro qui m'interessa che l'onore di milord Danby, e lo stato vostro. Io non mi rimprovero di aver ceduto ad una curiosità eccitata in me dalle lettere di Bridget, venuta per mia commissione per assistere mistriss Roberts estremamente ammalata. Ho voluto rilevare se un'amante nascosta con tanta precauzione, trattata con tanti riguardi, e visitata con tanta esattezza, meritava di occupare il cuore di un uomo, ch'io credeva sensibile e delicato. Ho penetrato fatalmente il secreto di milord Danby, vi ho illuminata nell'inganno in cui eravate, ed ho perduta la mia tranquillità. La comune nostra ignoranza era un bene per tutte due: voi vivevate contenta, ed io non sapeva che milord Danby non meritava più la mia stima."
La Duchessa desiderò di essere istruita di tutte le particolarità del mio matrimonio; Lidy soddisfò le di lei ricerche. Le mie lacrime non lasciandomi la libertà di parlare:
"Cessate di piangere, di gemere" mi disse Miledy di un tuono carezzante "rispondetemi, amabile mia fanciulla: quali sono presentemente i disegni vostri, a qual partito volete voi appigliarvi? Voi non avete prova alcuna dell'orribile tradimento che vi pose nelle braccia di milord Danby; voi non conoscete gli indegni che si sono prestati a danno vostro, e quando voi poteste tutto provare, quai mezzi vi resterebbero per ottenere la riparazione che vi sarebbe dovuta? Un primo impegno annullerebbe il secondo; forzata di accettare un debole compenso accordato dalla legge, legge che l'ingiustizia interpreta sovente a piacere dell'uomo ricco, dell'uomo possente, voi aggiungereste alla trista vostra avventura il rossore di una pubblicità più umiliante che l'affronto medesimo. Io non dubito della vostra buona fede; vi credo ingannata, e vi trovo degna di essere compianta; voi vivamente m'interessate. Abbandonatevi senza esitanza alla moglie di milord Danby; io vi offerisco un asilo, la mia protezione, i miei soccorsi, la mia amicizia: venite, la mia cara fanciulla, gettatevi nelle mie braccia; esse furono sempre aperte all'innocenza oppressa.
A queste parole un movimento rapido e tenero ravvivò il mio cuore abbattuto: mi gettai ai piedi della Duchessa, afferrai le sue mani, e bagnandole delle mie lagrime:
"Come! voi, Madama, voi," le dissi "degnate compiangermi, proteggermi, offrirmi un asilo? Voi da cui non attendeva, da cui non aveva diritto di attendere che odio e disprezzo? Voi mi ricevete nelle vostre braccia, il vostro cuore generoso si apre ai gemiti di un'orfana sventurata; ah, voglia il cielo ricompensarvi per me."
Ella mi strinse al seno "Cara Miss," dicendomi "acconsentite voi a lasciar questo luogo e venir a Londra con me?"
"Vi seguirò, Madama," ripresi "vi obbedirò; siete l'arbitra del mio destino."
"Affrettatevi," disse miledy Rutland a Lidy "unite prontamente gli effetti più preziosi di miss Jenny..."
"Nulla, nulla di tutto ciò," interruppi con vivacità "detesto i doni di quell'impostore; perdono, Miledy, egli è vostro sposo, ma non è degno di esserlo. Tutto il rispetto che ho per voi, non può contenere l'espressioni del mio giusto risentimento."
Io era ancora a ginocchio, il capo appoggiato sopra Miledy; ella mi abbracciò, s'inoltrò verso Lidy, le parlò, fece chiamare Bridget, e domandò le sue genti.
"Il mio primo disegno era di partir con voi," mi diss'ella "ma sono qui venuta per mistriss Roberts, e ho delle ragioni per passare ancora qualche momento con lei; voi, mia cara, anderete a Londra accompagnata da questa giovine, che parmi sia da voi ben veduta; Bridget vi seguirà; ella vi condurrà in una casa dove verrò quanto prima a raggiungervi; cessate di piangere, calmate il vostro cuore, contate sopra la mia amicizia, siate certa delle mie più tenere attenzioni; fate che la vostra sventura non vi degradi nel vostro spirito; voi non siete colpevole."
Penetrata da tanta bontà, stava per rispondere, quando Bridget comparì. La Duchessa mi fece segno di tacere.
"Uno stravagante abbaglio, una rassomiglianza di nomi mi rese assai ingiusta:" ella disse "scopersi in miss Jenny una giovane di qualità di cui, malgrado l'apparenza, i costumi sono irreprensibili ci siamo ingannati; so tutto. V'incarico di condurla presso mistriss Morice; servitevi della mia carrozza, io mi servirò della sua: trattate Miss con attenzione e rispetto, raccomandatela da parte mia a mistriss Morice, ch'ella sia considerata come me medesima." Mi prese indi per la mano, discese meco, mi abbracciò innanzi a tutta la di lei gente, diede loro i suoi ordini di un'aria ridente e contenta; montai nella di lei vettura. Lidy e Bridget sederono in faccia di me, e la carrozza scortata da due servitori a cavallo prese il cammino di Londra.
La presenza di Bridget mi faceva pena, non osava alzar gli occhi sopra Lidy, temendo di darmi in preda ai movimenti del mio cuore pieno ancor d'amarezza; soffocai i miei sospiri, e mi sforzai di trattenere le lacrime. Continuando il nostro viaggio in silenzio, arrivammo alla vista di Londra, quando un carrozzino, che di là correndo, fermossi innanzi di noi, e una voce gridando ordinò al nostro cocchiere di arrestarsi; conoscendo questi il marito della sua padrona fu forzato obbedire. Sir James, credendo che la Duchessa dovesse essere in quella vettura, stupì di vederla sopra un cammino da cui la credeva lontana, e trovandosi troppo vicino per evitare di essere da lei veduto, o dalla sua gente, aveva preso il partito di fermarsi, di discendere, sacrificando il piacere ch'egli si prometteva a Issington, all'attenzione di nascondere la sua condotta e di adempire un dovere indispensabile.
Milord aprì la portiera egli stesso, e mandò un grido vedendomi. Il mio terrore al di lui aspetto, la costernazione di Lidy, e la presenza di una donna di miledy Rutland gli scoprirono in parte la verità. Io mi ero gettata nelle braccia di Bridget come in un asilo sicuro, la scongiurava di difendermi, di non abbandonarmi, di condurmi a Londra; la stringeva con tutta la forza che mi restava, ma indebolita da vari movimenti da' quali era stata agitata, perdei ben presto la facoltà di spiegarmi, e caddi svenuta.
Milord Danby, veggendo che la Duchessa mi levava dal di lui fianco, divenne furioso; senza riguardo per lei, senza pietà per me, ardì egli strapparmi con violenza dalla carrozza; mi prese fra le braccia, mi portò nella sua vettura, fece da un servitore condurvi Lidy, vi entrò egli stesso, e riprese a gran trotto la via di Londra.
Per il corso di due ore non fu possibile di farmi sortire dallo stato di annichilamento ove mi aveva gettata la sospensione dell'uso dei sensi; apriva gli occhi e li richiudeva nello stesso tempo, respirava un istante e ricadeva nella mia debolezza; sono riusciti alfine a ravvivare i miei spiriti; girai gli occhi; spaventata ed incerta non sapeva dove fossi, mi trovai attorniata da gente ignota, mi coprii il volto, e mi posi a piangere amaramente; non osava domandare ove io era; il profondo silenzio che regnava in quella camera m'indusse ad alzar gli occhi una seconda volta; mi vidi sola; le donne che mi avevano prestato qualche soccorso, si erano ritirate; chiamai Lidy, nessun mi rispose, intesi sospirare vicino a me, una mano infocata afferrò la mia, riguardai, e riconobbi milord Danby in ginocchio vicino la sedia ov'era io seduta; egli volea parlare, ma i suoi pianti, i suoi gemiti, soffocavano la sua voce.
La di lui presenza m'ispirò più d'orrore che di sorpresa, e mi credea vicina a morire. Un freddo cruccioso agghiacciava i miei sensi; lo sentiva approssimarsi al cuore.
"Lasciatemi," dissi a Milord, ritirando la mano "lasciatemi terminare in pace un destino di cui voi avete aumentato il rigore. Non siete ancor contento? Poss'io divenire più infelice di quel ch'io sono? Dopo aver trionfato della mia credulità, venite voi ad insultare il mio dolore? Allontanatevi per sempre dalla femmina sventurata che avete tradita, disonorata, avvilita, resa disprezzabile a' propri suoi occhi. Barbaro! Nel seno della miseria, dell'afflizione, dell'amarezza, cercaste una vittima per sacrificarla a una passione ignominiosa e brutale? Voi avete crudelmente abusato della trista mia situazione. Ah Dio! Quale inganno! Ho riguardato come un generoso protettore il violatore delle leggi le più sacre, le più rispettabili; mi sono abbandonata con buona fede a un seduttore, che non volea che sacrificarmi a' bassi suoi desideri! Feci violenza a me stessa per amarlo, mi rimproverava di non amarlo quanto mi pareva ch'ei meritasse, non mancai di riguardi per lui, di riconoscenza viva, sincera. Ah! come osava egli ricevere le prove continuate della mia stima, quando nel fondo del di lui cuore se ne riconosceva sì indegno?"
"Non so che rispondere a questi duri rimproveri," disse milord Danby con voce timida e bassa "gli ho meritati. Il vostro risentimento è giusto, datemi tutti quei titoli che la vostra indignazione può suggerirvi, odiatemi, ma non mi disprezzate; non mi riguardate come un uomo artifizioso che si sia compiaciuto ingannarvi, ma come un uomo debole in cui una passione invincibile ha soggiogato il cuore e lo spirito, e i di cui desideri ardenti hanno offuscato la ragione. Ah! se voi conosceste la forza dell'amore che risento per voi! se voi sapeste quanto la forza di quest'amore può trasportarci fuori di noi medesimi! Se voi aveste inteso... Ma ho per giudice un cuore indifferente, non spero perdono."
"Qual frutto amaro" continuò egli "raccolgo dal mio delitto. Ah! Miss, Miss, non siete voi la sola ingannata, io ho ingannato ancor più me medesimo. Riflettete allo stato vostro, e allo stato mio; voi non siete colpevole, voi non avete alcun rimprovero a farvi; voi potete essere afflitta, ma non mai umiliata. Io solo deggio arrossire dinanzi a voi, gemere a' vostri piedi, tremar della vostra collera. Ho goduto, voi dite, dei frutti della vostra credulità? No, non ho goduto di niente. Voi non avete ricompensata la mia tenerezza con uguale sensibilità; voi vi siete sottomessa, e non vi siete giammai donata. Un amore vivo, appassionato, continuamente stimolato dalla speranza di vedersi da voi corrisposto era stato sempre l'unico progetto del mio cuore. Il desiderio ardente di possedervi non uguagliò mai nel mio cuore quello di piacervi, di essere amato da voi di far nascere e di conservare la vostra affezione. Giudicate dello stato mio presente dal mio dolore, dal tormento orribile di un uomo che vi adora, che vi ha mortalmente offesa, e non attende da voi che odio e disprezzo."
Parlò lungo tempo ancora, ma io non era più in istato di udirlo; il mio capo imbarazzato, alterato, non era più in grado d'intendere, né di concepire. Una sete ardente mi divorava; io respingeva milord Danby, e gli faceva de' segni perché sortisse, perché mi lasciasse. La di lui ostinazione a parlarmi, a dimorare a ginocchio vicino di me, eccitò la mia impazienza.
"Ah mio Dio!" esclamai tutta in lacrime e ad alta voce "deggio essere condannata a spirar nelle braccia dell'autore delle mie pene? La mano di un nemico crudele chiuderà ella gli occhi miei? Vedrò, terminando la vita, l'inumano che mi fa discendere con rossore nel sepolcro?"
Quest'agitazione violenta mi tormentò lungo tempo; chiamava Lidy continuamente; Lidy venne a' miei gridi, mi parlava, mi teneva abbracciata, io continuava a chiamarla piangendo, e lagnandomi di non vederla. Ad ogni istante pareami di veder milord Danby. Un sudore freddo innondava il mio volto, quando l'immaginazione me lo faceva credere ancor vicino. Passai quindici giorni in questo stato, ora agitata, ora oppressa da una febbre ardente, di cui ogni nuovo accesso minacciava il fine della mia vita. Parlava troppo, le mie idee vagavano di oggetto in oggetto; mandava delle ferventi invocazioni al cielo, qualche volta delle tenere preghiere a miledy Rutland; implorava la di lei protezione, e non conoscendo più alcuno, respingeva indifferentemente tutti quelli che a me si avvicinavano; quando ritornava un istante in me medesima, i lumi deboli e passeggeri della mia ragione mi scoprivano quanto il mio cuore era profondamente piagato, e tutte le mie parole esprimevano odio e disprezzo per milord Danby.
La febbre diminuì alla fine; la natura aiutata dai soccorsi dell'arte ricominciò a prendere il suo corso ordinario. La mia convalescenza fu lunga e faticosa, e le mie idee non erano né stabili, né estese, provava una sorte di tranquillità insensibile. A misura che la mia salute si ristabiliva, il sentimento di un vivo dolore si ravvivava. La sicurezza di essere in una casa ove milord Danby mi aveva condotta, ove riceveva delle attenzioni dipendenti da' suoi ordini, ove tutto compariva a lui sommesso, m'ispirava un'estrema avversione per i suoi abitanti, e mi rendeva insopportabile quel soggiorno.
Sino che la mia vita fu in pericolo, milord Danby non lasciò la mia camera. Attento ad evitare i miei sguardi, restava dietro un paravento che lo nascondeva a' miei occhi. Quando cominciai ad alzarmi, egli non osò entrare ove io era, col timore di causarmi una rivoluzione novella. Le sue agitazioni, le sue inquietudini lo attiravano sovente alla mia porta; egli facea chiamare Lidy; voleva essere istruito da lei del mio stato, de' miei ragionamenti, delle mie disposizioni a di lui riguardo. Nel tempo ch'io dormiva egli veniva tacitamente nella mia camera, apriva il cortinaggio, mi contemplava, sospirava, piangeva, si ritirava dolente, e costringendo Lidy a seguirlo ed ascoltarlo, la stancava con de' lunghi raggiri, ch'egli credeva propri a far comparire la di lui condotta meno odiosa; le facea sovvenire il turbamento, il pallore, la costernazione nella quale ella lo vide quel dì fatale in cui, abusando di una cerimonia rispettabile, profanata da un vil mercenario che non avea il carattere necessario per santificarla, m'intese con una spezie di orrore pronunziare di amare, di onorare il violator delle leggi, il perfido che m'ingannava.
Noi eravamo alloggiate nella casa medesima di quell'impostore di cui milord Danby si era servito quando finse sposarmi. Chiamavasi costui Palmer: dopo aver egli consunto un ricco patrimonio, divenuto vile mezzano de' suoi compagni, vivea delle ricompense profuse a' suoi bassi servigi. Sollecitato da un amico, milord Danby accordò sua protezione a quest'uomo indegno, ed ei pervenne in breve tempo ad acquistare la confidenza del nuovo suo protettore. Milord l'istruì della passione ch'aveva per me concepita; gli confidò che sei mesi prima mi avrebbe sposata, ma che in questo frattempo si era con un altro matrimonio legato, e che combattevano in lui un amor violento ed una disperazione mortale. Palmer, lusingando e fomentando i desideri di Milord, l'incoraggiò con degli esempi a sormontare i suoi scrupoli; si esibì egli stesso di addossarsi un abito di ministro ecclesiastico, di farne le funzioni, e di gettarmi nelle braccia del suo protettore.
Questo ribaldo avea per moglie una giovine semplice, onesta, prudente, dotata di mille amabili qualità. Palmer, accostumato a vivere con delle donne di un carattere differente, non lasciava di ammirare l'onestà della sua; egli rispettava la di lei saviezza, temeva di perder la sua stima, e le nascondeva attentamente la sorgente della sua fortuna. Ella passava i due terzi dell'anno alla campagna, e durante il di lei soggiornò in città, Palmer l'allontanava scaltramente quando la di lui casa doveva servir di teatro a delle scene scandalose.
Mistriss Palmer, assente nel tempo in cui milord Danby mi costrinse a dargli la mano, ignorava la mia triste avventura. Un'altra donna allora occupava il di lei posto, e faceva gli onori della casa. Quando Milord mi rapì dalla carrozza della duchessa di Rutland, non sapeva dove ricovrarmi; gli venne alla memoria Palmer, e in casa sua mi condusse, sperando di potermi calmare, e condurmi in seguito in una abitazione più conveniente; ma la violenza del male, il pericolo di trasferirmi durante l'ardor della febbre, lo costrinsero di rimettermi nelle mani di mistriss Palmer, e di confidarmi alle sue attenzioni; ella me ne rese di assidue, e prese insensibilmente tanto interesse per me, ch'ella s'inteneriva colle mie pene, e meschiava sovente le sue lacrime alle mie.
Seppi da Lidy tutte queste particolarità; ella aveva ben riconosciuto il supposto ministro e la di lui casa. Milord Danby, confessando a Lidy il delitto di Palmer, la prevenne sopra l'innocenza della di lui moglie, e la scongiurò di non istruirla di un funesto secreto, la cui scoperta distruggerebbe la felicità e la pace di una persona stimabile.
Una tetra melancolia, un'estrema ripugnanza di prendere alimento, aumentavano la mia debolezza. Lidy rinchiudeva nel fondo del di lei cuore una parte de' suoi affanni, temendo d'irritare i miei. Noi guardavamo sovente un tristo silenzio; ma i nostri sguardi non s'incontravano senza eccitare mutuamente le nostre lacrime. Questa fedele compagna delle mie sciagure mi risparmiava tutto ciò che poteva produrre in me delle agitazioni novelle.
Milord Danby non domandava più di vedermi, nulladimeno temeva sempre la mia presenza. Il desiderio di allontanarmi da un luogo dove io viveva in certo modo dipendente da lui, mi faceva desiderare il perfetto ristabilimento della mia salute. Io non sapeva ancora ch'essendo per ordine suo prigioniera, la libertà non mi sarebbe accordata senza delle condizioni ch'io non poteva prevedere.
I miei effetti più preziosi, e tutto ciò che serviva alla mia persona, erano stati trasportati in casa di Palmer. Incaricai Lidy di separare dai doni di milord Danby quello che mi apparteneva, vale a dire un resto di quello che possedeva alla mia partenza da Oxford. Avrei desiderato di ritornare nella casa di mistriss Mabel, scrivere a miledy Rutland, implorare le di lei bontà, domandarle un asilo; la sua protezione era divenuta la mia sola speranza. In ogni maniera decisa era di allontanarmi da un luogo, che per tanti titoli doveva essermi odioso. Feci pregare mistriss Palmer di passare nel mio appartamento; dopo averla teneramente ringraziata delle di lei attenzioni e compiacenze le feci nota l'intenzione che io aveva di sortire dalla sua casa. Questa donna confusa e smarrita mi presentò una lettera di milord Danby e mi pregò, ritirandosi, di non imputar a lei le mie inquietudini se mi vedevo contrariata ne' miei desideri.
Il mio primo movimento fu di rifiutare la lettera con isdegno, e di ostinarmi a sortire. Lidy, prevenuta ch'io non era padrona di cambiar dimora, fu costretta a scoprirmi le viste di Milord sopra di me, e il piano da lui formato per il mio stabilimento.
"In luogo degli articoli che vi legavano a sir James," dissemi ella "milord Danby sostituì un altro atto; senza avvedersene, voi firmaste ìl contratto di acquisto di una terra distante dodici miglia di Londra; ella rendeva allora cinquecento lire sterline, egli ne raddoppiò la rendita, aggiungendovi vari altri stabili. Il suo disegno è che voi l'abitiate, che voi attendiate colà la morte di miledy Rutland. Egli esige da voi una promessa di non prender alcun impegno contrario il desiderio ch'egli ha di riparare il suo fallo. A queste condizioni egli vi accorderà la libertà di sortire, e potrete farlo quando meglio vi piacerà; ma leggete la di lui lettera:" continuò ella "la sua inquietudine e l'agitazione del suo spirito potrebbero forse aver cambiato le sue determinazioni." Lidy non poté persuadermi di fissar i miei occhi sopra de' caratteri che mi erano divenuti odiosi; le ordinai di leggere; aprì ella il foglio, e lesse quanto segue:
LETTERA DI MILORD DANBY A MISS GLANVILLE
Dopo aver profanato i nomi sacri di amico, di sposo, di protettore, avere avvilito quello di amante, dopo aver di tutto abusato sotto al titolo ardirm'io ancora mostrarmi attaccato a voi e a' vostri interessi? Giovine degna di miglior fortuna, oggetto della mia profonda venerazione e della eterna mia tenerezza. Ah! punitemi, io vi consento, rifiutate tutti i voti di un colpevole, ma che l'orrore ch'egli v'ispira non vi esponga a nuovi disastri. Quali sono i vostri disegni? Che avete voi destinato di voi medesima? Quale sarà il vostro asilo? Ove vi condurrà l'ardente desio di evitarmi? Deh! perché mi temete? Ho io interrotta la vostra solitudine, quando necessaria mi parve alla vostra tranquillità? Ho io tentato di rivedervi? Evvi bisogno di fuggir da uno sventurato, che gli ordini vostri ponno tener lontano?
Io non domando a miss Jenny un perdono che so di non meritare. Le conseguenze del mio delitto mi hanno fatto comprendere tutta la sua enormità. Di quante pene, di quanti affanni caricato ho io il vostro cuore? In qual deplorabile stato vi ho io ridotta? Il pallore della morte sparso sul vostro volto, gli occhi vostri vicini a chiudersi per sempre. Ah! in quei funesti momenti quanto ho detestato il vostro crudele assassino! Se voi aveste dovuto soccombere, la mia mano pronta a vendicarvi..... Ma scancelliamo, se si può, la terribile memoria del vostro pericolo, essa lacera troppo il mio cuore.
Ah Miss, Miss! Se voi penetraste in questo cuore, in cui regnate, la mia funesta situazione vi moverebbe a pietà. Abbandonato al rossore, al pentimento, oppresso sotto il peso de' miei rimorsi, dell'odio vostro... Ma non parliamo di me, io non merito di eccitare la vostra compassione.
Staccato da tutto ciò che mi riguarda particolarmente, e unicamente occupato di voi, oso supplicarvi di accettare il solo risarcimento ch'io sono in grado presentemente di offrirvi. Degnatevi, Miss, degnatevi di ritirarvi in una casa che vi appartiene, e di vivere indipendente. Per espiare il delitto orribile di avervi tradita, io m'imporrò un rigoroso esilio; non mi avvicinerò alla vostra abitazione, non vi scriverò contento di essere assicurato da Lidy del riposo di cui voi goderete, soffrirò lontano da voi il giusto castigo del fallo mio; farò più ancora, se voi lo esigete, accetterò l'ambasciata di Vienna; anderò sotto un altro cielo a piangere il bene che ho perduto.
Ah! Miss amabile, non vi vedrò dunque più? Che mi sia permesso di porre una condizione a questo duro sacrifizio; accordate una grazia, una sola grazia al mio pentimento; lasciatemi sperare dal tempo un fortunato cambiamento, lasciatemi scorgere da lontano la possibilità del vostro perdono; non ardirò domandarvelo che allora quando potrò offrirvi dei voti sacri e legittimi, e potrò ricevere in dono il nome di sposo, ch'io aveva indiscretamente usurpato. Una semplice promessa scritta di vostra mano soddisferà tutti i desideri che il più sventurato degli uomini osa ancor di formare. Domani, questa sera, vi condurranno nella vostra terra.
P.S. In nome del cielo, non ascoltate più quell'orgoglio crudele che fu la sorgente de' nostri mali; non mi disperate con un rifiuto sprezzante. Deh! gran Dio! Chi può prevedere ove mi porterebbe la tema di credervi vagante nel mondo, esposta a mille perigli, e di perdere per sempre le vostre traccie? In mezzo dell'abbattimento ove l'immergono i rimproveri del mio cuore, non sono ravvivato che dalla speranza di assicurar il vostro stato, di renderlo un giorno giubilante e felice. Ah amabile, ed a me sempre cara Jenny! Voi di cui l'anima è si tenera, sì compassionevole, non mi private di questa dolce speranza, essa è l'unico bene che mi rimane.
Ascoltai la lettura di questa lettera con impazienza, con indignazione; mi parve una continuazione degli artifizi di milord Danby. Il suo pentimento falso o vero non mi persuadeva; era lontana d'impegnarmi con delle promesse a conservargli dei diritti sopra la mia persona; mi sentiva umiliata dalle sue proposizioni, e più ancora dalle sue speranze.
"Giusto cielo!" esclamai piangendo "quanto l'indigenza ci abbassa nelle idee di un'anima vile! Quest'uomo mi crede capace di perdonargli?"
Quanto più rifletteva sopra le di lui offerte, meno era disposta ad accettarle. Io abitare una terra ch'egli mi avrebbe donata? Vivere delle sue beneficenze? Darei motivo di credere al tristo mondo di aver venduta la mia innocenza, ed accordato a milord Danby il potere di risarcirmi. Il mio cuore sdegnava i suoi soccorsi, la miseria medesima non mi sgomentava in confronto al disonore di dover a lui la mia sussistenza.
Lidy pensava nella stessa maniera, le pareva scorgere una nuova insidia nascosta sotto le apparenze di una sommissione sì straordinaria. Sin dai principii della mia malattia Francis, il cameriere, confidente e complice di Milord, le aveva detto che il suo padrone era destinato all'ambasciata di Vienna, ed era ben probabile che milord Danby volesse farsi merito presso di me di un'assenza forzata, mentre la sua ambasciata era decisa da lungo tempo; ma che Milord dimorasse in Inghilterra, o si rendesse in Allemagna, era determinata a non dovergli mai cosa alcuna. Senza ascoltare le sue preghiere, e senza curarmi di quella spezie di minaccia con cui terminava la lettera, voleva sortire immediatamente dalla casa di Palmer, ma Lidy mi avvertì che ciò mi sarebbe impedito, poiché le genti di quella casa vegliavano per questo effetto alla porta del mio appartamento. Questa notizia mi fece provare un dolore estremo eguale alla mia sorpresa. Da questo giorno il disprezzo per milord Danby divenne in me un'avversione sì grande che il tempo non ha potuto distruggere né diminuire.
Lidy mi consigliò di non abbandonarmi alla collera violenta da cui mi vedeva infiammata, mi rappresentò la necessità di dissimulare a fine di non raddoppiare la vigilanza de' miei satelliti. Accostumata ad approvare i di lei consigli, superai la mia repugnanza, e scrissi a milord Danby. Trovandomi ancora debole, gli diceva, confusa nelle mie idee, avendo bisogno di riflettere sulla mia posizione attuale, desiderava passare tranquillamente otto giorni di più nella casa in cui era. Una situazione trista come la mia aggiunsi dovrebbe dispormi naturalmente a non rigettare tutti i soccorsi che mi vengono offerti, se dopo avermi veduta inumanamente ingannata, la mia fiducia potesse rinascere; terminai assicurandolo che quanto prima sarebbe inteso del partito al quale mi parerà più conveniente di appigliarmi. Tentata cento volte di aprir intieramente il mio cuore a mistriss Palmer, una considerazione mi aveva trattenuta. Se in effetto questa donna pensava bene di suo marito, se ella ignorava a qual uomo indegno la sua cattiva sorte l'aveva unita, doveva io manifestargliela? Mi pareva duro e crudele sacrificare la sua tranquillità al mio proprio interesse; ma la di lei assistenza mi diveniva allora sì necessaria, che presi alla fine la risoluzione di parlarle liberamente; osservai tutte le riserve possibili nella mia confidenza; senza nominare i complici di milord Danby, ho istruito mistriss Palmer della maniera atroce con cui era stata tradita, le feci vedere la lettera di Milord, e la scongiurai di aiutarmi a fuggire un uomo di cui l'amore e l'attenzioni mi erano egualmente odiose. Questa dolce, onesta persona s'impietosì, pianse meco, stupì della condiscendenza di suo marito, e attribuì questa procedura condannabile alla maniera di pensare degli uomini, sempre pronti ad aiutarsi l'un l'altro quando si tratta di soddisfare i loro capricci. Mostrava ella un vivo desiderio di essermi favorevole, ma non avea coraggio bastante per opporsi apertamente alle determinazioni di suo marito, e compresi in lei un timor sì grande d'irritarlo, che mi parve difficile determinarla ad intraprendere cosa alcuna; continuava ciò non ostante a sollecitarla, ed ella mi ascoltava con distrazione; vidi i di lei occhi fissati sopra uno scrigno aperto vicino di me, da cui aveva estratto un picciolo anello, che donato avevami milord Revell nella mia fanciullezza; i diamanti che riempivano quello scrigno, attraevano i sguardi di mistriss Palmer, e allontanavano la di lei attenzione da' miei discorsi. Il piacere che mostrava ella di prendere a contemplare quelle gioie, mi fece nascere l'idea d'impiegarne una parte per procurarmi la mia libertà. Quest'occasione mi parve la sola ove poteva senza arrossire far uso de' doni di milord Danby. Presi da quello scrigno due pendenti di prezzo ed una collana, pregai mistriss Palmer di riceverli come un contrassegno della mia riconoscenza, ed un mezzo di renderla scusabile agli occhi di suo marito s'egli mai scoprisse ch'ella aveva favorito la mia fuga.
Questa donna, intenerita da' miei pianti, e forse abbagliata dalla ricchezza del dono, esitò qualche momento, ma si rese alfine alle mie istanze, e acconsentì a secondare la mia risoluzione col disegno di sottrarmi alle ricerche di milord Danby. Non mi era più permesso di ritornar in casa della sorella di Lidy. Mistriss Palmer s'incaricò di trovarmi un alloggio conveniente e sicuro, e lo ritrovò nel giorno medesimo; questo era in una casa situata in un luogo il men popolato della città con due soli appartamenti, uno occupato dalla padrona, ch'era vedova e sola, e l'altro destinato per me, di maniera che per il sito e per la società doveva essere meno esposta a de' molesti incontri. Mistriss Palmer convenne dell'affitto e della dozzina; siccome ella conosceva questa donna da molto tempo, facilmente si accomodarono insieme.
Stabilito questo punto importante, noi concertammo le misure che ci restavano a prendere. Molte circostanze rendevano la mia sortita men difficile che non si credeva. In quella medesima settimana mistriss Palmer dovea partire per Colchester, ove dimorava la di lei madre. Suo marito cenava tutti i giovedì a Hildegate con dei giovanotti che formavano una società di cui era capo Palmer. Siccome in tali occasioni egli si ritirava la notte tardissimo, non entrava nella camera di sua moglie, ella dunque stabilì la mia sortita per la sera del giovedì, e la di lei partenza il venerdì mattina. Alla riserva di due vestiti, e d'una picciola quantità di biancheria che contava di portar meco, le robe mie meschiate colle sue nei di lei forzieri, unitamente al ritratto di mia madre e i di lei fogli ch'io conservava gelosamente, dovevano essermi spediti a suo comodo secondo gli ordini che ne aveva dati. Come non potevano accorgersi della mia partenza che l'indomani, all'ora in cui ordinariamente entravano nel mio appartamento, mistriss Palmer si sarebbe trovata alcune miglia lontana da Londra, e non sarebbe stata esposta ai rimproveri di milord Danby, né ai primi movimenti della collera di suo marito. Non restava che la vigilanza di Francis che ci imbarazzava, ma si trovò un mezzo che poteva renderla inutile.
Mistriss Palmer si sovvenne di una porta del mio gabinetto che, per cagione del freddo, era stata chiusa ermeticamente e convertita in una piccola biblioteca; questa porta, che dava sopra un terrazzino, comunicava coll'appartamento di mistriss Palmer, di maniera che, levati i libri ed i scaffali, si poteva passare dalla mia stanza alla sua, e trasportarvi tutto quello che mi apparteneva senza temere di essere veduti.
La sera del giovedì feci chiudere la mia porta al di dentro come all'ordinario. Attendeva l'ora convenuta con impazienza; suonò finalmente, sortii con Lidy dal gabinetto, traversammo il terrazzino. Mistriss Palmer mi attendeva senza lume alla porta del suo appartamento, e m'introdusse nella di lei camera. Io tremava, Lidy si sosteneva a stento, e la mia conduttrice inquieta si fermava ad ogni passo; quando ella fu certa che i suoi domestici erano per cenare uniti, e non potevano vederci, ella ci fece discendere, senza far rumore; aprì piano la porta che serviva di uscita, e mi consegnò ad un uomo attempato, fratello di mistriss Tomkins, in casa della quale alloggiare doveva. Era un'ora ch'essa mi attendeva con una vettura dieci passi lontana. Abbracciai mistriss Palmer senza poter esprimerle la mia riconoscenza che col mezzo delle mie lacrime. Mi affrettai di arrivare alla carrozza. Il buon vecchio mi aiutò a salirvi, rese lo stesso servigio a Lidy, si pose a lei vicino, diede l'indirizzo al cocchiere, ed arrivammo alla mia novella dimora.
Era vicina la mezzanotte quando fummo arrivati. La padrona di casa mi ricevé con aria civile e rispettosa. Mistriss Palmer le aveva fatto credere ch'io era giovine di rango, salvata col di lei mezzo dalle importune sollecitazioni di un tutore interessato, che voleva costringermi ad isposare il di lui figliuolo per impadronirsi dei beni affidati alle di lui cure; le aggiunse ch'io doveva attendere presso di lei il ritorno di una congiunta assente, e nascondermi agli occhi di tutti sino al suo arrivo. Due ghinee, con le quali ricompensai i disturbi di suo fratello, le diedero la speranza di approfittare del soggiorno che farebbe nella sua casa una persona ricca e liberale; speranza ch'ella non perdé senza rammarico, quando il tempo le manifestò il di lei errore. Ella mi condusse in un appartamento assai comodo, e dopo avermi chiesto se niente aveva ad ordinarle, mi lasciò libera e si ritirò.
Tosto che fui sola con Lidy, l'abbracciai strettamente. Il mio cuore si sentiva alleggerito. Io non era più in potere di milord Danby, questa era per me una consolazione che avrebbe potuto tranquillizzarmi; ma le mie riflessioni si succedevano rapidamente, e il modo di sussistere senza aiuti, senza amici, e senza consiglio, mi rattristò a segno che il piacere di vedermi libera, e sottratta al mio persecutore, fu estremamente amareggiato dall'orrore dell'estrema indigenza a cui mi vedeva vicina. Lidy, che non ha mai cessato d'incoraggirmi, non perdette la speranza; mi disse:
"La Provvidenza non vi abbandonerà"; mi consigliò di ricordarle le sue generose offerte, e di rianimare le sue tenere disposizioni a mio riguardo con un dettaglio delle mie passate e della presente mia situazione.
Mistriss Palmer si era incaricata di farmi sapere se la Duchessa si trovava ancora a Londra. Nella supposizione che questa dama fosse partita, ella doveva informarsi del luogo ove potrei inviarle una lettera e rendermene avvisata. Passarono dieci giorni senza ch'io ricevessi notizia alcuna da mistriss Palmer; mi fu finalmente recata una di lei lettera, che accompagnava le cose a me appartenenti, e che aveva a lei affidate; ciò che da essa rilevai raddoppiò i miei rammarichi; mi scrisse che miledy Rutland, dopo un soggiorno di sei settimane alla Corte, era partita per ripigliare il corso ordinario de' suoi viaggi nelle differenti provincie del regno; non avendo alcuna sicurezza dell'ordine e dei tempi del suo passaggio da un luogo all'altro, non era possibile d'indovinare la sua situazione. Mistriss Palmer mi consigliava di addirizzar le mie lettere in Iscozia, da dove sarebbero inviate a Miledy; mi diceva inoltre che milord Danby vicino a partire per l'Allemagna, era caduto pericolosamente ammalato. Il di lei marito ed egli persuasi erano l'un l'altro ch'ella favorita avesse la mia fuga; ma Milord, temendo forse di trovarla troppo informata, e di eccitarla a pubblicare il suo secreto, aveva espressamente proibito a Palmer di molestarla a questo soggetto; ella terminava la di lei lettera avvisandomi con dispiacere ch'ella non sarebbe più in caso per qualche tempo di avvanzarmi nuove informazioni, dovendo imbarcarsi incessantemente per l'Irlanda, ov'ella e sua madre portavansi a riscuotere una considerabile eredità.
Questa lettera mi afflisse sensibilmente. La malattia di milord Danby differiva la di lui partenza, mi obbligava nascondermi, e mi toglieva la libertà di ritornare in casa di mistriss Mabel, ove la necessità di diminuire le mie spese mi faceva bramare di ritirarmi. Pagava due ghinee la settimana a mistriss Tomkins, e doveva dargliele anticipate; fra Lidy ed io non ne possedevamo che venti. Non poteva sperare un pronto soccorso da miledy Rutland; nulladimeno le scrissi: ma di che poteva io assicurarmi, ed in qual tempo poteva io lusingarmi di ricevere una risposta? Per colmo di una fatalità inconcepibile, Lidy, la mia cara Lidy, che poneva tutte le sue attenzioni a consolarmi, cadde ella stessa in una specie di languidezza, ella perdette il sonno, prese dell'avversione per ogni sorta di cibo, e si abbandonò ad una vera melancolia che la consumava; pallida, abbattuta, volgeva verso di me gli occhi suoi bagnati di pianto, giungeva le mani, le alzava al cielo, esclamando:
"Ohimè! Che farà ella? Che divenirà ella? In quale stato la lascio?"
Le di lei lacrime, la sua inquietudine, il peggioramento visibile della sua salute mi riempivano di terrore. Io mi affrettai di far venire in di lei soccorso tutte quelle persone che coll'arte loro, o colle loro attenzioni, potevano sollevarla; l'estrema sua debolezza l'obbligò al letto; io l'assisteva con quel tenero trasporto ch'è proprio dell'amicizia; ella si mostrava sensibile alle mie carezze, si prestava senza ripugnanza a tutto quello che da lei esigevano, ma niente la rianimava.
I soccorsi necessari al suo male, il prezzo esorbitante ch'essi mi costavano, mi ridussero in pochi giorni al duro espediente d'incaricare mistriss Tomkins di procurarmi la vendita della miglior parte de' miei effetti. Mandai da mistriss Mabel, sperando che il sangue e l'amicizia l'impegnerebbero ad essere utile a sua sorella; per fatalità questa donna aveva lasciato il suo commercio, ed erasi ritirata nella provincia di Galles. Mistriss Tomkins non poteva stare in esborso per me; replicava sovente ch'era povera e senza credito. Avendo ella ancor la mente ripiena della falsa confidenza fattale da mistriss Palmer, mi scongiurava di ricorrere al mio tutore, biasimava la mia condotta ostinata. Io l'assicurai che non vi era alcuno nell'universo che s'interessasse per me: ella non poteva crederlo; il suo buon cuore, le sue attenzioni, la sua compassione medesima la rendeva importuna, e sovente molesta. Non riceveva nuove di miledy Rutland, e cominciava a perdere la speranza di averne. Consumati al fine tutti i mezzi necessari alla mia sussistenza, arrivai al doloroso momento in cui, spoglia di tutto, mi trovai senza modi e senza speranza alcuna.
Questa orribile privazione di tutto mi rese avvilita, umiliata, ed eccitò in me l'impazienza. Dopo lunghe riflessioni tetre e lugubri, caddi a terra, e mi abbandonai alle grida, ai gemiti, alla violenza di uno spirito inasprito dalla continuazione di tante sciagure. In luogo d'innalzare i miei pensieri verso la sorgente delle consolazioni, d'implorare nell'amarezza del mio cuore Colui le cui braccia onnipossenti sostengono la natura, un'orgogliosa presunzione abbagliò i miei sensi, mi eccitò alle doglianze piuttosto che alle preghiere, e mi fece presumere in quel momento che l'innocenza delle mie procedure dovesse esser ricompensata dall'essere supremo, e meritarmi i suoi soccorsi, la sua protezione. Osai giudicare i decreti della Provvidenza le cui cure, sovente velate alla nostra debole intelligenza, ma sempre attive, guidano sicuramente il cuore che in esse confida e ne attende l'effetto con rassegnazione. Frattanto che questi movimenti terribili mi agitavano, la donna destinata al governo di Lidy venne ad annunziarmi un ministro ecclesiastico che desiderava vedermi; egli seguiva questa donna, ed entrò quando ella sortì; alzai gli occhi verso di lui, e nell'impossibilità di parlare, attesi ch'egli si spiegasse sopra l'oggetto della sua visita.
Quest'uomo, intenerito dallo stato in cui mi vedevami osservava tacendo e pareva interdetto; gli feci cenno di sedersi; egli s'inchinò profondamente e avanzandosi vicino di me:
"Una dama" mi diss'egli di un tuono basso e commosso "della quale il cuore compassionevole si compiace sollevare gli afflitti che sono a di lei cognizione, rilevò ieri, partendo per la campagna, che una persona ammalata qui in questa casa poteva aver bisogno della di lei assistenza; ella mi confidò questo biglietto, m'incaricò di portarglielo, e di assicurarla della continuazione de' suoi soccorsi per tutto il tempo che le saran necessari." Pronunziando queste ultime parole, pose una carta sopra di un tavolino ch'era vicino di me, e coprendosi il volto col suo fazzoletto immediatamente sortì.
Stupita della di lui commozione e della sollecitudine misteriosa colla quale era egli partito, la curiosità mi portò subito ad osservar la carta ch'egli aveva lasciata; era questa un biglietto di cinquanta lire sterline; nel trasporto della mia riconoscenza benedii mille volte la mano generosa di cui la beneficenza confortava il mio cuore abbattuto. Mi parve che un essere celeste mi fosse comparso, e mi avesse fatto passare miracolosamente un tale soccorso. Corsi al letto di Lidy per informarla di questo felice avvenimento; la trovai tutta in lacrime. Un onesto ecclesiastico, chiamato Peters, la teneva per la mano, la confortava, la consolava, ed era del di lei stato intenerito.
Era questi curato di un picciolo borgo situato nel mezzo della provincia di York; il di lui naturale compiacente lo aveva condotto a Londra col disegno di rendere un importante servigio a due de' suoi parrocchiani, parenti di mistriss Tomkins. Egli ordinariamente alloggiava nella di lei casa quando veniva alla capitale. La nostra trista situazione lo interessò. Questo buon ecclesiastico visitava sovente Lidy, pregava il cielo con lei, le offeriva anche dei soccorsi, quantunque lo stato suo fosse assai limitato. La rendita del di lui benefizio non passando quaranta lire sterline, bastava appena per il mantenimento di lui, di sua moglie e di due figliuole, che componevano la di lui famiglia; ma quanto era mediocre la sua fortuna, altrettanto era liberale il suo cuore.
Edificato dai costumi e dai sentimenti di Lidy, penetrato dal di lei attaccamento per me, sensibile all'inquietudine ch'ella gli mostrava per conto mio, inquietudine viva, capace di frastornare la più perfetta rassegnazione di quell'anima pura, egli intraprese di calmare i suoi timori, di sbarazzarla di un peso sì penoso esibendosi d'incaricarsi egli stesso della mia persona; lo promise, le giurò di non partire da Londra sino che il cielo non avesse disposto di lei, di divenire il mio appoggio quando ella non esistesse più, di condurmi nella di lui casa, di trattarmi come sua figlia, come una creatura infelice che la Provvidenza offeriva alle di lui cure paterne. Questa sicurezza fece l'effetto ch'egli aveva sperato; essa tranquillizzò il calore di Lidy, le fece rivolgere tutti i suoi pensieri verso l'eternità, e aspettare con meno di dolore e di timore il punto fatale in cui il cielo la chiamerebbe a sè.
Entrai in camera di Lidy in tempo ch'ella ringraziava teneramente mister Peters; ella lo pregò veggendomi di farmi noto il soggetto che ci aveva occupati. Il buon pastore replicò a me stessa le di lui generose intenzioni, ma lo fece con tal timidezza e con tali riserve, che si scorgeva il dubbio in cui era di spiacermi o di offendermi con una offerta che poteva umiliarmi. Ascoltando un uomo che volendomi fare del bene me lo offriva con tanta nobiltà, con tanta dolcezza, sentiva più la consolazione della speranza che l'afflizione della mia situazione. Ah Madama, perché coloro che si compiacciono di prestar soccorso agli afflitti, non si servono tutti di questo metodo virtuoso? Le disgrazie non avviliscono, ma la ruvida compassione degli uomini rende il peso loro più funesto. Non si arrossisce di essere compianti, poiché il bisogno non disonora, ma si arrossisce di esporre la sua miseria agli occhi dell'uomo ricco e vano, che considera la sua opulenza come un diritto per insultare il povero.
I miei ringraziamenti a mister Peters furon proporzionati alla di lui bontà, ma aumentò estremamente la mia afflizione quando intesi da lui in quale stato terribile ritrovavasi la mia cara Lidy. L'idea di un'eterna separazione non aveva ancor occupato il mio spirito; sperava molto dalle attenzioni dell'uomo celebre che la visitava. Fallace speranza nata unicamente dall'ardore de' miei desideri! Mi vedeva vicina a perdere l'unica amica che mi restava; il pericolo aumentava di momento in momento; appresi allora che una lunga serie di dolori sofferti non basta a rendere il cuore meno sensibile a un dolore nuovo: ma può darsi dolor più grande di quel ch'io provai in quel fatale istante? Veder morire una persona ch'io amava quanto me stessa, vederla annichilarsi e spirare? Una forza assoluta me la rapiva, me la strappava dal cuore, mi divideva da lei per sempre.
Asciugai le mie lacrime quanto potei, mi accostai al letto di Lidy e feci parte ad essa ed a mister Peters del dono considerabile della dama che s'interessava alle nostre pene; le feci nota egualmente la promessa ch'ella aggiunse a quest'atto di beneficenza.
"Il cielo la benedica," disse Lidy "e le ispiri uno zelo ardente per proteggervi come voi meritate. Non vi lascio abbandonata e senza asilo: i miei voti sono compiti, e gli ultimi miei respiri saranno felici."
L'indomani diedi il biglietto di banco a mistriss Tomkins a fine ch'ella lo cambiasse. L'agitazione in cui era il giorno avanti non mi aveva permesso di riflettere sopra una liberalità sì straordinaria. Come mai la mia situazione si promulgava al di fuori? Da chi quella Dama poteva essere stata informata della miseria di una giovane ammalata a cui la di lei beneficenza era diretta? Perché il ministro incaricato del pietoso uffizio di sollevarla si era addirizzato a me per compire la sua commissione? Come sapeva egli il nome mio? Perché domandar me, e non quella che la generosità di quella dama riguardava immediatamente? Feci parte de' miei riflessi a mistriss Tomkins, mi parve confusa, la vidi esitare e non sapeva rispondermi; la sua sospensione mi diede qualche sospetto. Tremava pensando a milord Danby; egli poteva avere scoperta la mia dimora; mi sentii assalita di terrore riflettendo che, sotto un abito rispettabile, un altro Palmer potea venire a tendermi delle nuove insidie.
Dopo una lunga apologia delle sue buone intenzioni, mistriss Tomkins m'instruì ch'ella aveva una nipote al servizio di miledy d'Anglesey; che questa giovine aveva portato per vendere alla sua padrona alcune tavolette d'avorio guarnite d'oro a me appartenenti, delle quali non le esibivano che due ghinee, mentre il fratello di Miledy assicurava che ne valevano più di dodici; mistriss Tomkins, per impegnare sua nipote a farle vedere alla di lei padrona, e procurar di ricavarne un prezzo più conveniente, ella si era spiegata sopra la mia situazione e sopra l'imprudenza di mistriss Palmer, che non doveva collocare nella casa di una povera donna due persone prive di amici e di soccorsi, le cui pene le straziavano il cuore. Ella confessò che il mio nome poteva esserle fuggito di bocca, e mi fece vedere un biglietto della Bella, sua nipote, scritto tre giorni prima della visita fatta dall'ecclesiastico, nel qual biglietto preveniva sua zia di tranquillarsi sul conto delle tavolette; che miledy d'Anglesey li' teneva, e ne farebbe infallibilmente rimettere il prezzo alla giovine dama; intanto ella le avea mandato quattro ghinee per provvedere ai bisogni i più pressanti; in effetto Lidy le aveva ricevute. Questa spiegazione mi rasserenò, e mi determinò a servirmi senza scrupolo di un soccorso che la mia posizione mi rendeva sì necessario, e perdonare a mistriss Tomkins l'imprudenza che me lo avea procurato.
Due giorni dopo mister Jennisson, ch'era l'ecclesiastico mandatomi da miledy d'Anglesey, mi fece domandare la permissione di vedermi; lo ricevei nel mio gabinetto; veggendomi egli sempre trista, sempre egualmente abbattuta, non risparmiò i termini i più efficaci per consolarmi; passò indi a confermarmi a poco presso quello che mistriss Tomkins mi aveva detto, aggiungendo che miledy d'Anglesey, penetrata dalla situazione di Lidy, di cui una delle di lei donne le aveva fatta la pittura commovente, si era prestata a soccorrerla. L'estrema politezza di mister Jennisson l'impegnava a separare l'interesse di Lidy dal mio; egli fingeva ignorare ch'io fossi a parte della di lei miseria, e pose tutta la sua industria a farmi comprendere quanto la protezione di Miledy mi diverrebbe avvantaggiosa, se acconsentiva a rimettere il mio destino nelle di lei mani.
Mentre ch'ei mi parlava, cercava di sviluppare nella mia memoria un'idea confusa che mi pareva di avere della di lui figura; essa non parve del tutto ignota a' miei occhi; sia a Oxford, sia presso milord Alderson, mi pareva che una stessa fisonomia si era altre volte presentata a' miei sguardi; ma la tema d'ingannarmi non mi permise di cercare di chiarirmi.
L'aria nobile di mister Jennisson, le sue espressioni obbliganti, non so che di dolce ed affettuoso meschiato a tutti i suoi discorsi, m'ispirarono della fiducia. Non gli nascosi né la mia posizione difficile, né le risorse che mi erano esibite. La proposizione di mister Peters lo penetrò; egli lodò il suo zelo, l'ammirò, pensò e, alzandosi per sortire, egli mi chiese la permissione di venire a vedermi nell'indomani all'ora medesima; mi aggiunse che vedrà miledy d'Anglesey, e le comunicherà un progetto di cui non ardisce parlarmi prima di sapere se questa dama l'approverà; nel lasciarmi mi pregò di non abbandonarmi alla tristezza, e mi replicò più volte, che le mie qualità stimabili mi procurerebbero de' teneri e potenti amici. Il giorno dopo fu esatto, ed entrando mi rimise un biglietto di miledy d'Anglesey; lo aprii con un vivo movimento e vi lessi queste consolanti parole:
MILEDY D'ANGLESEY A MISS JENNY
Cara Miss, incaricai mister Jennisson di spiegarvi le mie intenzioni. Il merito ch'egli ha scoperto in voi mi attacca a' vostri interessi. Se delle cure indispensabili non mi ritenessero qui, mi farei un vero piacere di venir io stessa a vedervi, a consolarvi ed assicurarvi del desiderio che ho di legarmi strettamente con voi. Credete a mister Jennisson, egli ha meritata la mia fiducia ed è degno della vostra. I miei disegni e i miei sentimenti sono a lui noti, approverò tutto quello ch'egli avrà in mio nome concertato con voi, dichiarandomi da questo momento vostra tenera amica. La contessa d'Anglesey.
Era sì sorpresa e sì penetrata del procedere generoso di questa dama, che non sapeva trovar termini sufficienti per esprimere la mia riconoscenza. Cominciai a ringraziare mister Jennisson delle attenzioni ch'egli stesso prendeva per una sventurata; ma mi ha egli mi ha interrotta.
"Prima di informarvi del passo che feci," diss'egli "avanti d'instruirvi de' suoi effetti, permettetemi, Miss, di domandarvi se voi avete naturalmente pensato sopra il partito propostovi da mister Peters; questi è un uomo sensibile, onesto; esibendo di ritirarvi presso di lui ha consultato più il di lui cuore che le sue facoltà; applaudisco alle sue intenzioni, ma sprovveduta di tutto come voi siete, dopo i sacrifizi da voi fatti per Lidy, al presente voi avete bisogno di una sussistenza totale e non di un semplice asilo; inoltre sapete voi se la moglie e le figlie di questo buon ecclesiastico vedrebbero volentieri una straniera dividere con esse loro la porzione modica che la Provvidenza loro ha destinata? Voi medesima ne provereste il rammarico di diminuirla, di veder quella famiglia aggravarsi molto per dare a voi ben poco. Una offerta proporzionata alla vostra educazione, alla vostra età, a' vostri sentimenti ed allo stato vostro attuale, fatta vi viene col mezzo mio da miledy d'Anglesey, e desidera vivamente che l'accettiate. Questa dama è vedova, giovine, amabile, padrona de' suoi beni e della sua volontà; da molto tempo ella desidera una compagna di cui l'onestà de' costumi e la solidità dello spirito vagliano a formarle una società aggradevole; le ho parlato ieri di voi, voi le convenite perfettamente; siete certa di essere ben ricevuta; voi l'amerete, ella renderà il vostro destino felice. Quest'asilo sì rispettabile vi assicurerà di una tranquillità perfetta, e da tutti que' tristi avvenimenti ai quali una giovine come voi potrebbe essere esposta in una capitale sì vasta."
Io taceva, pensava, esitava, non ardiva rifiutare, e temeva di accettare. Mille movimenti confusi sospendevano le mie risoluzioni. Mister Jennisson, sorpreso e poco contento della mia irresoluzione, si diffuse con vivacità sopra tutto ciò che dovea determinarmi a seguire i suoi consigli.
"Cara Miss," mi diceva egli di un tuono affettuoso "il vostro solo interesse mi anima a pressarvi di profittare delle mie sollecitudini in favor vostro; non mi date la mortificazione di aver operato invano a procurarvi una vita dolce e tranquilla, uno stato solido, aggradevole, ed un'amica degna per tutti i riguardi di essere considerata."
Si danno delle situazioni in cui l'abbattimento del nostro spirito ci allontana da ogni idea di splendore o di opulenza: la persona che soffre, crede sempre la felicità infinitamente da lei distante, e quasi impossibile la speranza di approssimarla. Oh quanto aveva io desiderato la sorte che mi veniva attualmente offerta! Sortendo dall'abitazione di milord Alderson, questa felice occasione sarebbe stata utile al mio bisogno e proporzionata a' miei desideri; ma nell'avvilimento in cui mi trovava in casa di mistriss Tomkins, avrei preferito il semplice alloggiamento propostomi da mister Peters al ricovero brillante che mi veniva esibito da miledy d'Anglesey. La solitudine e l'oscurità convenivano alla profonda amarezza delle mie riflessioni; ma il cielo, che mi aveva fatto conoscere questo buon ecclesiastico, mi aprì due strade lasciandomi l'arbitrio di scegliere, o per meglio dire ispirandomi a quale doveva appigliarmi.
Mi determinai dunque a preferire la bontà di miledy d'Anglesey al tenero invito di Mister; desiderai soltanto ch'egli fosse instruito delle cure e dei consigli di mister Jennisson, ed assoggettai la mia condotta alla decisione di quest'onesto ministro; lo feci ricercare, egli venne alla mia istanza; mister Jennisson lo informò delle intenzioni di Miledy, gli mostrai il di lei biglietto, e gli diedi l'intera libertà di decidere sopra il mio destino.
"Sarei ben mortificato, Miss," dissemi quest'uomo generoso "di privarvi dell'appoggio di una dama ricca e liberale inclinata a giovarvi; se la mia sorte uguagliasse la sua, non le cederei il vantaggio d'esservi utile, voi non dovreste bilanciare fra la di lei protezione e la mia amicizia; ciò non ostante, cara Miss, come la soddisfazione non è sempre attaccata allo splendore, se la vostra situazione presso miledy d'Anglesey non riempie l'aspettazione di mister Jennisson e i voti ch'io formo per la vostra felicità, la mia casa vi sarà aperta in ogni tempo. I piaceri e le affezioni de' grandi moltiplicando s'indeboliscono, essi le spargono sopra tanti oggetti. Se l'incostanza di Miledy vi fa provar delle pene, delle mortificazioni, ricordatevi allora di un amico meno brillante, ma più solido; una riga di vostra mano mi condurrà a Londra. Cara Miss," aggiuns'egli di un tuono intenerito "sin che il cielo mi lascia in vita, voi avrete in me un padre."
Sicura di non offender mister Peters, scrissi a miledy d'Anglesey; una rispettosa riconoscenza dettò la mia lettera. La risposta ch'ella degnò di farmi, aumentò in me la fiducia e l'attaccamento; ella non impiegava alcun termine che potesse indicare distanza alcuna fra lei e me. Veggendo mister Jennisson ch'io era determinata di accettare le offerte di miledy d'Anglesey, mi fece parte di un nuovo tratto della di lei bontà a mio riguardo. Aveva ella mandata a Londra Bella, nipote di mistriss Tomkins, perché mi servisse qui, e nel corto viaggio ch'io far doveva verso la sua campagna. Ohimè! questo giorno che doveva essere per me sì felice, divenne il più doloroso della mia vita.
Lidy volle assolutamente vedere mister Jennisson prima della mia partenza per raccomandarmi al di lui zelo, alle di lui attenzioni; ma ella si trovò in quell'istante più che mai oppressa e rifinita, respirava difficilmente, e con fatica parlava. L'oscurità della sua camera, di cui le cortine eran chiuse, non impedì a mister Jennisson d'accorgersi che le restavano pochi momenti di vita. D'accordo con mister Peters, egli prese tutte le misure convenienti in quella trista occasione; ma non poté arrivare a risparmiarmi il funesto spettacolo ch'egli desiderava occultare alla mia vista.
La sera del giorno stesso, circa la mezzanotte, io era seduta vicina al letto di Lidy; ella domandò dell'acqua, la sua assistente gliene presentò; questa donna avvicinando il lume mi fece osservare il pallore e l'abbattimento sopra il volto della mia moribonda amica, e il mio cuore vivamente commosso mi sforzò di gettare un grido. Lidy fece allontanare la donna, prese la mia mano, la strinse debolmente e, accorgendosi ch'io tremava:
"D'onde viene questo tremore, cara Miss" diss'ella. "Cosa perdete in me? Che vorreste in me conservare? Un'inutile amica di cui lo zelo non ha potuto garantirvi dai disastri che vi sono arrivati. La vostra crudele avventura mi ha ferita di un dardo mortale; mi sono amaramente rimproverata di avervi contribuito, soffrendo le assiduità presso di voi di un uomo che non meritava fiducia alcuna; le conseguenze della mia condotta imprudente hanno lacerato il mio cuore; fate che il vostro non mi condanni severamente come io lo merito. Cara Miss, perdonatemi, rammentatevi soltanto della mia fedele amicizia. Ah! trattenete i vostri pianti," continuò intenerendosi "cessate di gemere, sopportate con coraggio una perdita leggera in paragone di tutte quelle che avete sofferto; promettetemi di consolarvi, né mi lasciate portar meco il dolore di lasciarvi afflitta."
"E perché, mia cara Lidy," le dissi bagnandola delle mie lacrime "volete imputare a voi stessa la cagione delle mie pene? Siamo state ambedue ingannate; pregate meco il cielo, supplichiamolo tutte due di non separare il nostro destino; ah! che la di lui bontà prolunghi i giorni vostri, o degni abbreviare i miei." Parlandole nel calor della mia passione, mi accorsi di qualche cambiamento ancor più funesto sul di lei volto; temei non senza ragione scoprire in lei de' sintomi mortali, l'afferrai per un braccio, mi pareva di potere ritenerla, o costringerla a strascinarmi seco; ma oh cielo! Lidy spirò in quell'istante, ed io caddi a piè del letto svenuta. Ah! madama, perché l'Essere supremo non mi chiamò egli in quel punto? Quale perdita! Quanto l'ho io amaramente sentita!
Quando rivenni in me stessa, mi vidi nella mia stanza. Mistriss Tomkins e sua nipote mi vi avevan portata. Le prime parole ch'io pronunziai, furono la domanda inconsiderata dello stato di Lidy. Nessun rispose alla mia ricerca, la replicai più volte: mistriss Tomkins mi disse al fine che una carrozza di miledy d'Anglesey era alla porta, e che dai servi che l'accompagnavano si attendevano i miei ordini.
"Oh Dio!" esclamai "Lidy, la mia cara Lidy, è morta!" Corsi, volai piuttosto nella sua camera; mi precipitai sopra gli avanzi inanimati, ma cari ancora... Ma troppo abuso forse, madama, della vostra compiacenza non trattenendovi che di oggetti tristi e lugubri.
Mister Peters s'incaricò di adempire gli uffizi della pietà e dell'amicizia, rendendo gli ultimi doveri ad una giovine di cui egli non metteva in dubbio l'eterna felicità. Gli lasciai venti ghinee per questo uso, ne diedi dieci a mistriss Tomkins, come una debole ricompensa del suo attaccamento a' miei interessi; abbracciai più volte il buono, l'onesto mister Peters; ricevei rispettosamente le tenere benedizioni che pronunciò sopra di me, gli promisi di scrivergli, non poteva lasciarlo; fui forzata staccarmi da quella casa; alla fine, sostenuta da Bella, mister Jennisson mi condusse alla vettura e mi aiutò ad entrarvi. Credeva ch'egli stesso venisse meco per presentarmi a Miledy, ma quando fui entrata nella vettura con Bella "Addio, Miss," mi diss'egli "un dovere per me indispensabile mi allontanerà per qualche tempo da voi: non posso dirvi il giorno preciso in cui avrò il piacere di rivedervi; mi resta la speranza aggradevole di ritrovarvi in una situazione felice. Se miledy d'Anglesey riempie i suoi impegni, se voi siete contenta della sua condotta a vostro riguardo, ricordatevi qualche volta di un uomo ch'ella onora della sua stima, e i cui voti più ardenti sono di meritare e di ottenere un giorno il titolo di amico di miss Jenny."
Finendo di parlare chiuse egli stesso la portiera, diede i suoi ordini, e la carrozza scortata da due uomini a cavallo prese la via di Suttoncourt.
Fine della seconda parte
PARTE TERZA ED ULTIMA
VERSO L'ORA DEL MEZZOGIORNO giunsi alla terra ove miledy d'Anglesey faceva allora la sua residenza. Bella mi condusse in un magnifico appartamento destinato, mi diss'ella, ad essere il mio; un momento dopo miledy d'Anglesey vi entrò, venne verso di me con le braccia aperte, e veggendomi in atto di gettarmi a' suoi piedi, mi strinse al seno, e prevenne la mia intenzione, dicendomi:
"Non è una protettrice, è un'amica, che vi riceve; io voglio essere a parte delle vostre afflizioni fintanto che, reso calmato il vostro spirito, possa divider con voi quella tranquillità e quella pace di cui godo da molto tempo; diamo bando da questo momento ad ogni distrazione, ad ogni complimento fra noi; viviamo come due sorelle, che niuno si accorga, vedendoci insieme, sopra quale delle due la fortuna si è compiaciuta versare i suoi doni."
Questo accoglimento, le grazie, l'aria di nobiltà, e la vaga figura di quella che mi parlava, sospesero in me l'angustie della mia afflizione. Miledy d'Anglesey mi parve un angelo. Voi la conoscete, madama, voi non potete dubitare dell'impressione ch'ella dovette fare sopra un'anima sensibile e riconoscente. Il mio attaccamento per lei, nato in quel primo momento, si è accresciuto a misura ch'io scopriva sempre più le qualità ammirabili del suo carattere.
Le tristi notti che passate aveva, e il dolore estremo che provai per la morte di Lidy, mi avevano talmente oppressa, che pochi giorni dopo caddi ammalata. Miledy d'Anglesey prese una cura particolare di me; ella mi onorava di tant'attenzione, che la riconoscenza mi impegnò a chiudere la mia tristezza nel fondo del mio cuore, ed a temere di lasciarne comparire dei segni in presenza della generosa mia protettrice. La mia salute si stabilì finalmente. Bella, che passò dal servigio di Miledy al mio, era la sola persona istruita di una parte de' miei disastri; la di lei zia le aveva fatto palese l'abbandono e la miseria in cui era ridotta, ma non poté farle nota la causa, perché l'ignorava ella stessa. Bella osservò il secreto che Miledy esigeva da lei, sopra il mio soggiorno a Londra, e la ristrettezza nella quale colà viveva; il resto della famiglia mi credeva una congiunta di miledy d'Anglesey novellamente arrivata dalla contea di Kent; prima di presentarmi, ella affettava parlare di me come di una giovine di provincia, timida ed aflitta per la recente perdita di sua madre.
La mia condotta confermava l'idea che Miledy dava di me; io non poteva accostumarmi a restare nel suo appartamento alle ore nelle quali ella riceveva compagnia; tosto che si annunziava una visita, mi affrettava di ritirarmi, e se la compiacenza m'impegnava a restare, la mia tristezza, il mio silenzio mi rendeva inutile, e senza dubbio disaggredevole in un circolo in cui lo spirito e la giovialità dominavano. Io non poteva gustare quelle conversazioni leggere delle quali tutti i soggetti mi erano forestieri, e mi parevano insipidi o ributtanti.
La sfortuna che interiormente ci afiligge, imprime de' segni visibili sopra tutto il nostro essere; essa offusca il nostro spirito e rattrista la nostra fisionomia, ci inspira della diffidenza degli altri e di noi medesimi, ci dà un'aria timida, un linguaggio tronco e indeciso; in questo stato tutto ci inquieta, tutto ci imbarazza, l'attenzione degli uomini sopra di noi ci sembra molesta, perché temiamo di essere penetrati; le nostre idee divengono pesanti, le nostre riflessioni severe, noi evitiamo le società ed osiamo esaminarle e formar giudizio sopra di loro. Io sono stata molto tempo a sapere che vi fossero degli uomini sempre pronti a scambievolmente porsi in ridicolo, a lacerarsi senza fine, a non perdonarsi nei loro falli, nei loro pregiudizi, e tutto ciò senz'astio, senz'odio, e senz'apparenza alcuna d'inimicizia; eppure così è: l'ho veduto per esperienza; criticandosi, disprezzandosi, beffandosi vicendevolmente, si servono con piacere, si aiutano con ardore nelle occasioni, come se teneramente si amassero.
La mia inclinazione per il ritiro mi attirava sovente de' teneri rimproveri da miledy d'Anglesey. Informata da me medesima di tutte le pene ch'io aveva sofferte, ella biasimava la memoria troppo viva ch'io ne conservava.
"Sono stata anch'io sventurata," mi diss'ella "ho versato delle lacrime, come voi; aveva contratta lungi dal mondo l'abitudine di piangere e sospirare; il cambiamento del mio stato non produsse subito in me il cambiamento della mia tristezza, ma la riconoscenza, la ragione e l'amicizia hanno alla fine rimessa sopra il mio volto quell'aria serena che manifesta la soddisfazione interna dell'anima. L'amico generoso le di cui intenzioni hanno prevenuti i miei desideri, e sorpassate le mie speranze, non avrebbe goduto delle sue beneficenze se avesse trovato in me delle ingratitudini o dell'indifferenza. Imitate il mio esempio, mia cara Jenny," continuò ella abbracciandomi "voi non siete più abbandonata, voi non potete dir più che questo universo non presenti alle vostre idee che una vasta solitudine, in cui dobbiate formare tremando dei passi incerti. Io vi perdono di pianger Lidy, ma la dovete voi pianger sempre? Perché ostinarvi a riguardar il passato piuttosto che rivolgere i vostri sguardi verso l'aggradevole perspettiva che vi si presenta? A che servono i vostri rimorsi sopra un avvenimento per il quale milord Danby deve arrossire? Avete voi qualche cosa a rimproverarvi? Voi piangete, cara Miss," soggiunse ella raddoppiando le sue carezze "voi non mi rispondete, e piangete; veggio che i miei discorsi non vagliono a persuadervi; la mia amicizia non può consolarvi, voi vi credete sì sventurata che vi sembra impossibile di scordarvi de' vostri disastri. Deh! che sarebbe di voi se l'amore meschiando il suo veleno a' vostri dolori ne raddoppiasse cento mille volte l'amarezza? Un perfido ingannatore ha abusato della vostra credulità, ma non della vostra fiducia: non fu una tenera inclinazione che vi fece prestar fede a' giuramenti di milord Danby; egli vi era indifferente, voi lo disprezzavate, voi l'odiavate, e i vostri sentimenti non hanno a suo riguardo variato; ma se voi l'aveste amato ed odiato nel tempo medesimo, se fuggendolo vi foste sentita ardere internamente per lui, se il legame che vi univa fosse stato caro al vostro cuore, se perdendo lo sposo, pianto aveste l'amante, se voi aveste sentito il crudel tormento d'amare, d'adorare un ingrato..."
"Come?" le dissi interrompendola "voi avete provato l'amore ed il dolore insieme? La vezzosa miledy d'Anglesey amò un ingrato? Ella ha provate delle contrarietà, delle ingratitudini?"
"Deh! perché," ripigliò ella "perché non avrei io potuto soffrire la sorte comune di tutti i viventi? Come poteva io pretendere di godere di uno stato felice senza mescolanza di pene? Spargendo le mie lacrime non ho avuta la dolce consolazione che dovrebbe disseccare le vostre. La mia propria imprudenza ha causati i miei mali. Un ardore indiscreto mi fece cedere all'inclinazione del mio cuore, alle istanze di un amante. Gli uomini hanno l'arte di persuaderci che noi siamo le arbitre della loro felicità. Da un'idea sì pericolosa, non meno impressa e radicata nelle nostre anime, nasce quella pietà e quella tenera condiscendenza per i loro desideri, che gl'ingrati chiamano debolezza, quando cominciano ad esserne disgustati. Sì, mia cara Jenny, continuò la Contessa "ho provate delle disgrazie; trovai nel compimento de' miei voti i più ardenti la giusta punizione di una condotta temeraria e crudele, poiché essa caricava di dolore due famiglie illustri, nell'istante medesimo ch'elleno si occupavano di assicurarmi un ricco stato. Leggo nei vostri occhi" soggiuns'ella "quanto vi sembra difficile di pensare che il mio destino non sia stato sempre felice; disingannatevi, mia cara amica; il dettaglio che son per farvi, vi farà comprendere quanto possono le apparenze abbagliare."
Se l'avvenimento che causò i rammarichi di miledy d'Anglesey vi fosse intieramente ignoto, madama, tacerei sopra quest'avventura, ma credo dover instruirvi delle particolarità capaci di diminuire a' vostri occhi la leggerezza e l'ingratitudine di cui fu ella in quella occasione accusata. Milord Arundel, essendosi interessato senz'avvedersene in un'azione imprudente di cui fu egli stesso la vittima, ha giustificato bastantemente la di lui cognata continuandole sempre la di lui stima e la di lui affezione; la nobile e virtuosa amicizia di un tale soggetto forma l'elogio di miledy d'Anglesey; egli in ogni circostanza avrebbe potuto servirla, procurarle una vita dolce e piacevole, ma non sarebbe stato suo amico, se egli non avesse distinto in lei un carattere e dei sentimenti degni della di lui ammirazione. La gioventù e l'amore possono indurre a dei passi falsi. La leggerezza di Miledy può per questa ragione comparire scusabile. Tutti quelli ch'ella onora della sua familiarità rendono giustizia alle qualità rispettabili del di lei cuore. Leggete, madama, il racconto sincero ch'ella mi fece; parla ella medesima, e vi prego di ascoltarla con indulgenza.
ISTORIA DI MILEDY CONTESSA D'ANGLESEY
I conti d'Arundel e di Lattimer, amici sin dalla loro infanzia, sposarono nello stesso tempo le due figlie dell'ultimo lord d'Anglesey; la primogenita non apportò a milord Arundel che un titolo per il secondo de' suoi figluoli; la cadetta, assai ricca per l'eredità fatta da una delle sue zie, aumentò considerabilmente i beni del conte di Lattimer. Milord Arundel ebbe due figliuoli; il cielo non accordò che una figlia all'amico suo: ella fu nominata Sofia, e destinata dal suo nascere in isposa al giovane conte d'Anglesey. Il rispetto di lady Lattimer per il nome de' suoi genitori e l'amicizia sempre costante fra le due famiglie le fece adottare unanimamente il progetto d'un'alleanza che poteva rendere la fortuna ai due fratelli eguale, senza recar pregiudizio ai diritti del primogenito. Impegnati i due fanciulli sin dalla culla, fu confermato il legame da un atto autentico: bene inteso però, che se uno di questi due divenendo padrone della sua volontà ricusasse di acconsentirvi, l'atto diveniva nullo per se stesso, e di niun valore; ma come lady Arundel madre della fanciulla ed il conte di Lattimer padre del bambino morirono poco tempo dopo, questo atto acquistò una nuova forza dai loro respettivi testamenti, ed il matrimonio divisato ebbe luogo e fu solennemente celebrato.
Il generale Hymore, cavalier baronet, parente di lady Lattimer, era stato suo tutore; ella amava in lui un amico di cui la tenerezza e le attenzioni si erano applicate per renderla ricca e contenta. Dopo il matrimonio della sua pupilla, la pace lasciandolo senza occupazioni, egli viveva nella contea di Kent, ove possedeva una terra di poco valore, ma aggradevole per la sua situazione. Lady Lattimer, restata vedova all'età di venti anni, si trovò nuovamente nel caso di aver bisogno di questo amico; ella si affrettò di richiamarlo a Londra, ma egli non poté acconsentire a lasciare un ritiro, ove un amore tenero e legittimo lo riteneva e lo rendeva contento.
Aveva egli sposata miss Volsely di cui consisteva la ricchezza nella nascita, nella gioventù e nella bellezza. Io fui l'unico frutto della loro unione. Toccava a pena l'anno decimoterzo, quando mio padre morì. Lady Hymore perdette con lui le pensioni che la facevano vivere nell'abbondanza e nello splendore. Lady Lattimer la conosceva e l'amava teneramente; l'affrettò perché si rendesse a Londra per ivi sollecitare alla corte quelle grazie e quelle pensioni ordinariamente accordate agli eredi dei difensori della nazione. Mia madre, determinata a seguire i di lei consigli, non volendo lasciare la cura della mia persona a mani forastiere, partì per Londra, e mi condusse seco.
Lady Lattimer obbligolla di accettare un appartamento nella di lei casa; io partecipava di quello di lady Sofia sua figlia, di età maggiore alla mia di due anni soltanto. Questa dama trovò molto allettamento nella compagnia di lady Hymore; ella la pregò istantemente di non ritornare in provincia che dopo aver terminati i suoi affari alla Corte. Mia madre cedé ai desideri della sua amica e continuò a vivere seco lei; ma sia che l'aria densa e pesante di Londra fosse contraria al di lei temperamento, o sia ch'ella vi avesse portate delle indisposizioni interne, morì di consunzione quattro anni dopo la morte di mio padre.
La sincera amicizia di lady Lattimer non si estinse con lei; questa dama ha voluto servirmi di madre, e mantenne fedelmente la parola ch'ella aveva data a lady Hymore spirante, di non abbandonarmi giammai; continuò ad allevarmi con lady Sofia sua figlia: i suoi precettori furono i miei; le carezze e le attenzioni di sua madre si dividevano egualmente fra noi. Malgrado le scarse mie facoltà e l'abbondanza delle sue, noi eravamo trattate e servite nello stesso modo; sino che la nostra adolescenza ci lasciò nella felice ignoranza degli avvantaggi attaccati alla ricchezza, noi siam vissute con molta amicizia. Il mio carattere naturalmente dolce e compiacente mi portava a non contrastarle una spezie d'impero, che il di lei naturale altiero le faceva prendere sopra le compagne de' nostri divertimenti e sopra di me medesima. Quando la ragione cominciò ad illuminarmi, divenni meno condiscendente. Accorgendomi quanto la differenza delle nostre fortune la rendeva pretendente, io mi sentiva umiliata, e non le cedeva senza pena e senza ribrezzo; sovente l'asprezza si meschiava nei nostri giuochi, e ancor più sovente da altercazioni vive erano terminati.
Le fattezze di lady Sofia non erano affatto disaggradevoli, ma non poteva vantarsi di essere né bella, né amabile; la sua figura non era interessante; l'umor suo strano e volubile la rendeva insopportabile a tutti quelli che avevano la disgrazia di esserle sottomessi; l'alterigia, il capriccio, la vanità formavano il fondo del di lei carattere e divenne ancor più vana, più altera e più prosontuosa dopo che fu promessa in isposa al giovine conte d'Anglesey; ammesso questo amabile cavaliere ai nostri trattenimenti, si rivoltava di quando in quando contro le bizzarrie fantastiche di lady Sofia; ella esigeva da lui delle compiacenze ch'egli non si sentiva disposto di accordarle. Costretto a farle una corte assidua, a comparire impegnato di piacerle, egli poneva nel numero de' suoi doveri forzati e stucchevoli l'obbligazione di visitarla, e d'impiegare tutte le sue attenzioni per lei.
Malgrado gl'impegni suoi, i suoi doveri e le sue affettate dimostrazioni, covava egli nel seno una secreta inclinazione per me; egli si asteneva di parlarmene, ma io me ne accorgeva bastantemente. La nostra posizione c'insegnò l'arte di nascondere a vicenda i nostri sentimenti. Noi abbiamo saputo dissimularli anche prima di ben conoscerli. Il Conte studiava il mio genio, io il suo; se io amava un divertimento, diveniva questi per lui aggradevole; a quello ch'ei proponeva, io mi appigliava con somma facilità; sovente mi regalava secretamente dei fiori de' quali lady Sofia gli aveva fatto presente, o mi presentava qualche galanteria che rifiutata aveva la sua compagna. Io mi lasciai lusingare da questi piccioli sacrifizi e non prevedeva l'effetto pericoloso di queste prime attenzioni; ma la gioventù ha i suoi gradi, le nostre inclinazioni crescono con noi, l'intelligenza si apre, lo spirito si sviluppa, dei movimenti confusi si sollevano nel nostro cuore e ci fanno provare la nostra esistenza; tutto prende una nuova forma a' nostri occhi; nasce l'amor proprio, esso c'insegna a distinguer coloro che cercano di piacerci, e troppo sovente ci conduce a pagare di una vera tenerezza il primo omaggio reso a' nostri vezzi.
Il conte d'Anglesey era di una figura e di una amabilità senza pari. Vivendo io con lady Sofia lo vedeva continuamente. Noi non ci parlavamo in particolare, ma gli occhi nostri si parlavano bastantemente. Senza aver concertato fra noi il valore de' nostri sguardi e de' nostri segni, noi li comprendevamo perfettamente. Col tempo tutte le nostre azioni, tutti i nostri movimenti divennero un linguaggio espressivo per i nostri cuori. Questa mutola corrispondenza fu limitata per qualche tempo a comunicarci i disgusti scambievoli che ci recava l'umore fastidioso di lady Sofia, il quale tutti i giorni aumentava, e la rendeva sempre più insopportabile.
Il conte d'Anglesey aveva un fratello che disprezzava, e quasi odiava lady Sofia ancor più di noi; questo giovine gentiluomo chiamato sir Charles Arundel, allevato col principe di Galles e attento a far la sua corte a quell'erede del regno britannico, non occupavasi che del suo servizio e dei seriosi studi competenti al suo grado; veniva egli qualche volta a vederci, e mostrava per me molta stima e molta amicizia; ma il carattere di lady Sofia gli dispiaceva, e i di lei capricci gli facevano diminuire il corso delle sue visite.
Ella compiva quindici anni, io ne aveva tredici, e il conte d'Anglesey diecisette; quando questi due fratelli dovettero partire per visitare le differenti corti di Europa, il Conte pianse nel congedarsi da noi; le mie lacrime accompagnavano le sue. La sua assenza mi cagionò una tristezza estrema; due mesi dopo la sua partenza milord Arundel, padre dei due fratelli assenti, impegnò lady Lattimer a passare una stagione nella contea di Oxford, ov'egli aveva una terra: ella accettò l'invito, e mi condusse seco unitamente a sua figlia. Il luogo dove fummo trasportate non poteva essere più magnifico, né più delizioso. La compagnia, le feste, i giochi, i divertimenti si succedevano rapidamente, ma niente poteva consolarmi dell'amarezza interna che mi seguiva da per tutto; piangeva secretamente la lontananza del Conte; sempre occupata di lui, e chiamando sempre alla mia memoria il suo volto, le sue azioni ed i suoi discorsi i più indifferenti, mi compiaceva sentire a pronunziare il suo nome; quando milord Arundel riceveva delle lettere de' suoi figliuoli, sentiva palpitarmi il cuore, i miei occhi si fissavano sopra di esse, la loro vista mi causava una viva emozione; se egli ne leggeva qualche periodo a lady Lattimer o a sua figlia, ascoltava attentamente; temeva e desiderava di trovarmi nominata in quella del Conte, e tutte le volte che vi si trovava qualche onesto complimento per me, la sorpresa quantunque piacevole eccitava il mio rossore ed il mio turbamento; il cuore mi suggeriva ch'io aveva un secreto a nascondere, e la minima espressione mi pareva atta ad iscoprirlo.
Tutto quello che aveva rapporto al conte d'Anglesey, cominciava ad essermi caro. Milord suo padre divenne perciò l'oggetto delle mie attenzioni e della mia compiacenza; io lo distingueva con dei riguardi rispettosi, e preferiva la di lui conversazione a tutti i piaceri la cui scelta dipendeva dalla mia volontà. La situazione del mio cuore mi rendeva seria e pensosa; pareva ch'egli si compiacesse del mio carattere. I miei talenti in seguito lo divertirono, trovò nel mio spirito qualche pascolo per il suo; i miei sentimenti semplici e naturali gl'ispiravano della stima e dell'amicizia per me; a poco a poco le mie fattezze fecero una forte impressione sui di lui sensi, di maniera che non credendo egli doversi mettere in guardia contro una fanciulla in età assai tenera, si trovò di me acceso senza avvedersene.
Milord Arundel entrava allora nel suo quarantesimo anno; egli era ben fatto, e poteva ancora aspirare a piacere, la sua estrema tenerezza per sir Charles allontanava del tutto da lui l'idea di un secondo matrimonio; egli non voleva diminuire lo stato di un suo figliuolo che amava teneramente; egli combatté la sua inclinazione per me, la nascose gelosamente senza privarsi del piacer di vedermi.
Dopo due anni di assenza i due fratelli ritornarono a Londra; una eguale sorpresa ci colpì: il Conte ed io rivedendoci reciprocamente, noi ammirammo il favorevole cambiamento che il tempo fatto aveva sopra di noi. La statura del Conte mi parve arrivata alla sua perfezione; le sue fattezze acquistato avendo una nobile virilità, lo rendevano più amabile e più rispettabile. Io era ingrandita, parve a lui di riconoscere in me delle grazie novelle; veggendolo restai nel primo istante sorpresa e confusa; la mia vista fece un eguale effetto sopra di lui; non potemmo al primo incontro parlarci, ma lessi negli occhi suoi che il di lui cuore mi amava sempre e mi distingueva, e che aveva per lady Sofia la medesima indifferenza. La sua presenza mi colmò di piacere; ciò non ostante l'attenzione con cui pareva considerarmi, le sue lodi, i suoi complimenti m'imbarazzavano; io arrossiva vedendolo cautamente indirizzarmi quei segni altre volte concertati e praticati fra noi; in luogo di rispondervi abbassava gli occhi, evitava i suoi sguardi che mi causavano un'emozione inquieta; durante qualche tempo non osai mostrargli che una politezza equivoca e riservata, che facilmente poteva interpretarsi per indifferenza.
Una sera egli scelse l'istante in cui lady Sofia era occupata; mi diede una lettera, e con aria seriosa e tenera mi pregò di leggerla con attenzione e di rispondervi con bontà.
Queste poche parole, il tuono col quale le pronunziò, l'espression de' suoi sguardi e la vista del foglio ch'egli mi presentava, mi cagionarono del turbamento e dell'agitazione Presi la lettera e la nascosi; quando fui sola, l'apersi con vivacità, e vi lessi queste parole.
LETTERA DI MILORD CONTE D'ANGLESEY
A MISS ADELINE HYMORE
Se miss Adeline non avesse scordato un tempo ch'é presente alla mia memoria, se ella intendesse ancora il linguaggio degli occhi miei, come altre volte i suoi degnavano di parlarmi, non sarei forzato di ricordarle un'amicizia che sembra spenta nel di lei cuore, e che vive coll'antico ardore nel mio.
Durante una lunga e dolorosa assenza conservai lontano da voi la memoria della nostra infanzia, delle vostre bontà, di quella dolce intelligenza che univa di già le nostre anime con de' legami secreti. Cerco in vano di ritrovare le traccie di que' tempi felici, miss Adeline mi ha scancellato dalla sua memoria.
Oh quanto quest'amicizia di cui voi mi private crudelmente, mi sarebbe or necessaria ! Cara Miss, quali confidenze avria farvi, se voi v'interessaste alle mie pene! Io amo ed odio nel medesimo tempo; costretto di rendere i miei omaggi ad una persona che mi è odiosa, non posso approssimarmi all'oggetto della mia tenerezza, vedo quella che amo, e non mi è permesso parlarle, una sola espressione era altre volte permessa all'amor mio; quei segni concertati fra noi potrebbero essere ancora gl'interpreti de' miei sentimenti, ma miss Adeline sembra evitare i miei sguardi, se ella mi degnasse de' suoi, comprenderebbe che il mio cuore l'adora, ma l'ingrata ricusa di più ascoltarmi.
Ricominciai più volte la lettura di questa lettera, ma sì commossa che aveva pena a comprendere i sentimenti, ripeteva con trasporto queste parole, comprenderebbe che il mio cuor l'adora; non conosceva ancor bene l'inclinazione del mio cuore per il conte d'Anglesey; questa tenera espressione fu un raggio di luce che me ne scoperse la natura e la forza; abbandonata all'incanto di una sorpresa per me sì piacevole, e riempita l'anima di un ardore sino allora sconosciuto, non tardai a rispondere; la mia mano seguì rapidamente i movimenti del mio cuore; mi rimproverava una condotta che lo aveva inquietato, e non trovava termini bastantemente teneri, bastantemente sinceri, per correggere la mia ingiustizia.
Prima di spedir la mia lettera, ebbi tempo di riflettere su quello ch'io aveva scritto, sopra la mia posizione e sopra quella del Conte; poteva io confessare decentemente la mia passione ad un uomo di cui eran noti gli impegni, ad un uomo promesso in isposa a Sofia, all'unione de' quali non mancavan più che due mesi? Vidi con orrore la mia situazione, presi in mano il foglio ch'io aveva scritto, lo bagnai colle lacrime, volea lacerarlo; sentii qualcheduno nell'anticamera, riposi la lettera nel mio seno, con ferma risoluzione di non farne alcun uso.
Entrò poco dopo nella mia stanza una cameriera avvisandomi che lady Lattimer desiderava parlarmi, presi il partito di andarvi immediatamente, facendo tutti gli sforzi possibili per nascondere il mio dolore e la mia confusione.
Entrata a pena nel gabinetto di lady Lattimer, dopo qualche discorso cominciato e non finito, arrivò il Conte; cessai veggendolo di applaudirmi del sacrifizio ch'io faceva alla ragione, al dovere; sentii un dolore estremo di essere costretta a questo sforzo penoso; giammai non comparì egli a' miei occhi amabile e sì interessante; compresi da qualche segno misterioso ch'ei mi addirizzava la sua inquietudine sull'incertezza del successo del di lui foglio. Io ardiva appena volger gli occhi verso di lui; ma i suoi discorsi erano sì artifiziosi che mi eccitavano alla compassione: come poteva io aumentare la sua afflizione? come poteva io negargli una risposta ch'egli ardentemente desiderava? I segni reiterati e da me conosciuti me la ricercavano con impazienza; era vicina a cedere, ma dopo un momento di riflessione, fattami una violenza mortale, gli feci comprendere ch'egli attendeva in vano da me risposta. La tristezza offuscò in un istante il sereno del di lui volto; lo vidi afflitto e trattenere le lacrime con fatica. Il mio cuore nuovamente s'intenerì, le mie saggie risoluzioni si dileguarono, e cedendo alle sue secrete istanze, ebbi la debolezza di dargli furtivamente la lettera.
Dopo quel giorno il nostro carteggio vicendevole divenne continuo e regolare. Sedotta dall'amore, allontanava dal mio spirito tutte le riflessioni capaci di combattere un'inclinazione sì lusinghevole. Le nostre lettere appassionate e interpreti de' nostri sentimenti aumentavano il nostro fuoco; i nostri cuori si compiacevano di ripetersi tutti i giorni le stesse cose. Contenti di amarci, benché senza speranza, questa corrispondenza secreta ci pareva bastare alla nostra felicità. L'avvicinamento del matrimonio di lady Sofia mi affiliggeva, ma senza causarmi quell'affanno che ordinariamente procede dalla gelosia. L'innocenza de' miei pensieri non mi permetteva di soperchiare i diritti di una sposa. Accostumata dalla mia infanzia all'idea di questo matrimonio, mi consolava di non essere legata al conte d'Anglesey in maniera da non potermi distaccare da lui. Doveva vivere con lady Sofia, e la mia secreta passione dovea limitarsi al piacer di vedere il Conte. Io supponeva in lui i medesimi desideri, ma ignorava i di lui progetti. Un avvenimento non preveduto fece cambiare la nostra situazione.
Le nozze di lady Sofia dovevano celebrarsi al termine di tre settimane; in questo frattempo milord Arundel ricevette la nuova della morte di suo fratello, governatore della Carolina. Siccome il cavaliere estinto era vedovo ed aveva perduto il suo unico figlio, egli istituiva erede universale di tutte le sue facoltà sir Charles, il primogenito de' suoi nipoti, e lasciava al conte d'Anglesey un legato di venticinque mille lire sterline in biglietti sopra il banco di Londra; questo legato causò una gioia a milord d'Anglesey, che sorprese tutti quelli da' quali egli era conosciuto particolarmente. La generosità del di lui carattere non aveva fatto credere che l'aumentazione della sua ricchezza potesse dargli un sì gran piacere.
Una nota esatta dei beni del governatore della Carolina arrivò a Londra col di lui testamento; esaminandolo milord Arundel sentì rinascere in lui de' desideri che aveva abbandonati ed estinti; credé egli poter cedere all'inclinazione del suo cuore, e satisfare una passione che non poteva più nuocere all'interesse de' suoi figliuoli. Sir Charles diveniva con questa eredità più ricco assai di quel ch'egli era. Il conte d'Anglesey era per godere del legato di suo zio, della ricchezza di lady Sofia sua sposa, e dell'eredità della di lui genitrice. Milord Arundel possedeva egli stesso de' beni considerabili: tanta opulenza nella di lui famiglia gli permetteva di prendere de' nuovi impegni, senza far torto a due figli di già sì ben provveduti, e lo metteva in grado di fare uno stato a' suoi cadetti se, rimaritandosi, la di lui famiglia aumentava; com'egli amava molto lady Lattimer, le confidò i suoi sentimenti e i suoi disegni. Le domandò i suoi consigli, e assoggettò la sua condotta alla di lei decisione.
Questa dama, di cui la bontà per me non si è mai rallentata, non avendo potuto ammassare dagli avanzi della mia entrata che cinque mille lire sterline, non si aspettava di trovare un partito conveniente alla mia nascita, e la mediocrità della mia dote le impediva di pensare a maritarmi. Le intenzioni di milord Arundel la persuasero, ella vi applaudì; accettò in mio nome l'onore ch'ei si degnava farmi. Il suo naturale, altrettanto vivace quanto era obbligante, l'indusse a proporre nel tempo medesimo gli articoli del contratto nuziale, ed a fissare il giorno del mio matrimonio; in meno di due ore tutto fu proposto, approvato, stabilito, concluso.
Contenta dello stato brillante ch'ella mi aveva procurato, non dubitando della mia rassegnazione, lady Lattimer si affrettò di venirmi ad annunziare che accompagnarei sua figlia all'altare, mi salutò entrando nella camera col titolo di miledy di Arundel; nel tempo stesso ella introdusse Milord nel mio gabinetto, me lo presentò come un amante generoso, mi ordinò di trattarlo con bontà, e dispormi a dargli il mio cuore ricevendo la di lui mano; si ritirò ella in seguito, a fine di lasciargli la libertà di spiegar egli medesimo le sue intenzioni.
Sorpresa, confusa, restai immobile e quasi stupida. Milord mi parlò, io non l'intesi; egli prese una delle mie mani, la baciò, e non ho avuta la forza di ritirarla. Ignoro il tempo che durò la di lui visita; non mi restò alcuna idea de' suoi discorsi; troppo portato a lusingarsi, prese il mio turbamento, il mio silenzio per un'approvazione del suo progetto, interpretando il mio imbarazzo, la mia timidità, per un effetto di una modestia conveniente alla mia età ed al mio sesso; egli mi credeva prevenuta in suo favore, e non lasciò farmelo rilevare. Altre volte le mie conversazioni con lui potevano assicurarlo della sincera mia amicizia, ma i di lui disegni avevano distrutto in me un tale sentimento. Io amava il conte d'Anglesey; il mio rivale mi divenne odioso, e il primo movimento che mi richiamò me medesima fu quello di un odio estremo per milord Arundel.
Sortì egli alfine dal mio gabinetto; rimasta sola, i miei occhi si empirono di lacrime. Accostumata dalla mia fanciullezza ad obbedire lady Lattimer, a rispettarla come una madre, non mi pareva possibile il determinarmi di resistere a' di lei ordini. Il mio matrimonio mi parve inevitabile; quando io mi rappresentava il rovesciamento di tutte le mie speranze, la mia afflizione aumentava a tal segno che mi vedeva forzata d'invocare la morte per unico rimedio della desolazione in cui mi trovava. Oh cielo! Quai dure condizioni mi s'imponevano! Non isposare il Conte, pazienza; ma non potrei più lusingarmi di seguir lady Sofia, di viver familiarmente con essi loro; non solo mi è impedito di amar il Conte, ma si vuol obbligarmi ad amare un altro. Sposa del padre, il mio dovere mi imporrebbe la legge crudele di evitare il figlio, di scordarmi il suo amore e di scancellare la memoria del mio.
Lady Lattimer rientrò nella mia stanza, sorpresa di vedermi tutta in lacrime:
"Qual puerilità, miss Adeline?" ella mi disse. "Perché questo pianto! Quando io vengo a consolarmi con voi della vostra fortuna, vi trovo insensibile alle mie attenzioni, a' vostri vantaggi, all'onore che vi fa un pari del regno unendosi a voi; avreste voi delle obbiezioni da opporre a' voti di milord Arundel? Parlate, Miss, spiegatemi questo strano dolore che mi sorprende."
Che potevo io rispondere? Il solo ostacolo a questo matrimonio era il mio attaccamento al conte d'Anglesey; alcun'altra ragione di rifiutar milord Arundel non si presentava al mio spirito.
"Sperava, madama," le dissi, raddoppiando i miei pianti "sperava non dovervi giammai lasciare; il mio cuore si lusingava che voi mi avreste permesso di conservare sempre il titolo a me caro di vostra figlia; io non desiderava, io non voleva di più...
"No," interruppe Miledy, abbracciandomi teneramente "quest'alleanza non può allontanarvi da me; noi non comporremo che una sola famiglia, la contessa d'Arundel mi sarà cara quanto miss Adeline."
Scherzando in seguito e facendosi giuoco de' miei affanni, di cui conosceva ella il fondo, mi lasciò pregandomi di prendere un'aria meno trista, e di dispormi a ricevere convenientemente le congratulazioni de' nostri amici, e le attenzioni di milord Arundel.
Erano tutti sì lontani dal prevedere delle difficoltà su questo matrimonio, che si trattava pubblicamente e senza mistero. Avanti il terminar del giorno se ne sparse la voce, e nella stessa sera Milord ne ricevé i complimenti.
Quando lady Lattimer mi lasciò sola, apersi la lettera giornaliera ch'io aveva preparata per il conte d'Anglesey; vi aggiunsi la terribile notizia de' disegni di suo padre, la particolarità della di lui visita, e l'approvazione di lady Lattimer. Nella persuasione in cui era di non poter dispensarmi di obbedire, non gli domandai né consigli, né soccorsi, ma delle tenere consolazioni. Desiderava ch'ei si affliggesse con me, che mi compiangesse, che fosse a parte delle mie pene, e che meschiasse le sue lacrime colle mie. Le mie tenere espressioni gli dipingevano i sentimenti dolorosi del mio cuore, ma non gli davano speranza alcuna della mia resistenza al progetto di cui si trattava. Non mi credeva in diritto di oppormi alla volontà di lady Lattimer, e mi riguardava come una vittima destinata al sacrifizio.
Nel caso mio la solitudine mi pareva dolce, ma la necessità di dar la mia lettera io stessa al conte d'Anglesey mi sforzava a discendere. Mi resi secondo il solito all'appartamento di lady Lattimer, e mi sforzai di chiudere la mia tristezza nel fondo del mio cuore; quando il Conte entrò, provai un turbamento estremo; egli era informato della comune nostra sventura; i di lui occhi rossi e infiammati indicavano ch'egli avea pianto, il pretesto di un dolor di capo coprì la cagione della sua tristezza, ma la sua aria abbattuta interessò tutto il mondo; io mi avvicinai a lui, gli domandai come gli altri qualche circostanza sopra la sua salute; egli mi diede secretamente una lettera, ed io gli diedi la mia. Non potendo sostenere la sua presenza senza lasciare scorgere il mio dolore, mi ritirai facendogli conoscere da un segno la ragione che mi costringeva a sortire.
Chiusa nel mio gabinetto, aprii il foglio; l'idea che ben presto non mi sarebbe più permesso di riceverne da una mano sì cara, raddoppiò l'amarezza delle mie inquietudini. Faticai moltissimo per poter leggere dei caratteri formati in fretta, ed in una circostanza che non potevano essere dettati tranquillamente. Sortendo di tavola, Milord aveva annunziato il suo matrimonio a' suoi figliuoli; sir Charles ne dimostrò della gioia. La sorpresa ed il dolore si dipinsero sopra il volto del conte d'Anglesey; un profondo inchino fu la di lui risposta, si ritirò immediatamente, e avendo scritto nel primo momento della sua agitazione, lo fece con tanta vivacità e con tal disordine, che la sua lettera non si poteva facilmente comprendere; ma un cuore tenero, appassionato, e come il mio palpitante, comprese bastantemente, nella confusione de' termini e delle frasi, che il Conte era stato intieramente istruito. Passai la notte ad affliggermi nel rileggere la lettera del Conte, e a lagnarmi del rigore del mio destino, ma senza formare il minimo progetto contro la necessità di soffrirlo.
La mia sommessione agli ordini di lady Lattimer irritò il conte d'Anglesey; annunziandogli ch'io era determinata ad obbedire, la mia lettera lo mise alla disperazione; la di lui risposta non conteneva che una lunga serie di rimproveri e di querele, mi accusava di averlo ingannato, pretendeva ch'io mancato avessi a' miei impegni, all'amore, all'amicizia, a tutti i sentimenti di cui la mia mano e i miei occhi l'avevano assicurato. Sosteneva che lady Lattimer non poteva esigere da me una cieca obbedienza, che io non doveva rinunziare alla mia indipendenza in un'occasione sì importante, dove io sola era arbitra del mio destino; dalle doglianze passava egli alle preghiere le più ardenti; mille giuramenti di non esser giammai di lady Sofia, di non vivere che per me; vi aggiungeva nuove sicurezze del suo amore, della sua fedeltà; vantava egli di aver un modo sicuro di evitare il suo matrimonio, d'impedire il mio, di legarsi a me con nodi indissolubili; si diffondeva sopra le contentezze di una unione formata dall'amore; esigeva una promessa irrevocabile di riportar in lui tutta la mia fiducia, e di secondare le di lui intraprese al momento di eseguire il progetto ch'ei meditava.
Non si era mai presentata al mio spirito un'immagine sì ridente; non aveva mai creduta possibile la fortuna di essere unita al conte d'Anglesey; l'amava senza disegno alcuno, la speranza non mi aveva ancora sopra di ciò lusingata, ed il mio cuore non aveva osato desiderarlo. Confesso il vero, quest'ultima lettera del Conte fece nascere in me delle immagini novelle, delle sensazioni non più provate. I miei pensieri vagavano sopra mille oggetti lusinghevoli e deliziosi; giovine, sensibile come io era, senza consigli, pressata dall'uomo il più amabile ed il più amato, promisi di prenderlo per arbitro di tutte le mie volontà, di tutte le mie azioni, e giurai di assoggettare la mia condotta a colui i di cui sentimenti erano divenuti la regola de' miei.
Costituiti l'un e l'altro piucché mai in soggezione, non osavamo riguardarci in faccia. Milord Arundel mi faceva una corte assidua; sir Charles mi visitava sovente. Le mie amiche, i miei congiunti si affollavano intorno di me; era affaticata dalle loro importune congratulazioni. Lady Lattimer mi diede varie donne per il mio servigio, e un appartamento separato per ricevervi le mie visite. Milord Arundel mi mandava ogni giorno de' presenti magnifici; il suo amore, le sue attenzioni, la sua generosità m'imbarazzavano, e non m'inspiravano alcuna riconoscenza; ma quel che più mi pesava, era il vedermi nella dura necessità di mal corrispondere alle attenzioni di lady Lattimer; appena alzava gli occhi verso di lei, era forzata ad abbassarli ed arrossire. Ignorava ancora ciò che il Conte poteva esigere dalla mia compiacenza, e attendeva impazientemente la comunicazione de' suoi progetti.
Dopo le mie promesse, egli non mi parlava più nelle sue lettere de' suoi disegni; quando ne riceveva, le apriva con apprensione, vi cercava l'importante secreto di cui egli mi doveva istruire, ma in luogo di spiegarsi su quest'importante affare, riempiva i suoi fogli con delle dichiarazioni di tenerezza, con de' giuramenti novelli e con delle sicurezze reiterate della sua fedeltà. Mi scongiurava di viver tranquilla e di mostrare della condiscendenza per i desideri del di lui genitore; mi faceva sovvenire della mia promessa, mi esortava alla costanza, e mi giurava ch'io non sarei giammai miledy Arundel, né Sofia contessa d'Anglesey.
Frattanto i giorni passavano, il momento fatale si avvicinava, gli articoli erano sottoscritti, le permissioni ecclesiastiche ottenute. Ho veduta in fine arrivare la vigilia della celebrazione del mio matrimonio, senza essere punto instruita come avrei potuto evitare l'indomani di ricevere a piè dell'altare un titolo, di cui la sola idea rivoltava tutti i miei sensi.
Un concerto di voci e d'istromenti precedé la cena in casa di lady Lattimer. Al momento in cui si univano nella sala, ella mi chiamò, e dandomi un portafoglio, m'instruì che conteneva cinque biglietti di banco del valore ciascuno di mille lire sterline; in questa somma, di cui Miledy era depositaria, consistevano tutte le mie facoltà, e dovevano legalmente passare nelle mani di milord Arundel; ma quest'uomo ricco e generoso voleva ch'io ne fossi padrona, e che a mio piacere ne disponessi. Era sì oppressa e confusa, che non badando alle parole di lady Lattimer, avrei lasciato sopra una tavola il portafoglio se ella, correggendomi della mia distrazione, non mi avesse avvertita di porlo in tasca.
Il conte d'Anglesey venne tardi; la sua aria fredda, pensante e trista fece in me svanire un resto di speranza che mi sosteneva ancora. Lungi di cercare di parlarmi o di darmi una lettera, non mostrò nessuna cura di avvicinarsi a me. Quest'apparente indifferenza mi colmò di dolore; temei con ragione ch'egli avesse cambiato di pensiere, i suoi occhi mostravano assicurarmi al contrario ma la sua condotta non mi permetteva di crederlo. La cena finì, tutti si ritirarono. Chi potrebbe esprimere la mia sorpresa e la mia oppressione, vedendo il Conte sortir in compagnia di suo padre? Sentii struggermi il cuore, e fui vicina a perdere il sentimento.
Tosto ch'io restai sola, cessai di trattenere le mie lacrime; esse grondarono con abbondanza; non poteva concepire per qual ragione il conte d'Anglesey si fosse compiaciuto di deludermi, di farsi giuoco della mia credulità, di rendere dopo sì dolci speranze il mio destino ancor più duro e funesto.
Queste crudeli riflessioni mi occupavano intieramente, quando Benedetta, una delle donne destinate per me, mi si avvicinò, e parlandomi a bassa voce:
"Deggio parlarvi" mi disse "per ordine di milord d'Anglesey."
Queste parole mi causarono una violente agitazione; sentii palpitarmi il cuore; passando in un'altra camera, e trovandomi sola con Benedetta, mi diede una lettera; l'apersi tremando, e vi lessi queste parole.
LETTERA DI MILORD D'ANGLESEY A MISS ADELINE
In questo momento la mia vita o la mia morte sono nelle vostre mani. Sarò a tre ore precise alla picciola porta del parco; una sedia per voi e Benedetta vi attenderà; i miei cavalli sono pronti, un ecclesiastico partito per mia commissione ci darà a Douvres la benedizione nuziale. Le precauzioni da me prese ci offeriranno un pronto imbarco dopo la cerimonia; noi saremo la sera in Francia liberi e senza timore alcuno; risovvenitevi delle vostre promesse: se voi mancate, se io vi attendo in vano, non siate sorpresa di apprendere, quando vi risvegliate, ch'io sarò ancora nello stesso luogo, ma senza vita, e non più in caso di rimproverarvi. La mia mano mi avrà liberato da un abisso di pene.
Alla vista di tai caratteri, trattenni a forza un grido ch'era per uscire dal mio seno atterrito. Lo spavento s'impadronì della mia anima, scacciò da me tutte le riflessioni che dovevano opporsi alla mia fuga, vidi solamente il pericolo del ritardo.
"Deh! corriamo presto," dissi a Benedetta "ma potremo noi sortire? Vi ha egli instruita? Mi condurrete voi ov'egli m'attende?"
Ella mi fece sovvenire di una porta nell'appartamento de' bagni, che si apriva sopra il parco. Un giorno ch'ella vi era entrata meco, si era destramente impossessata delle chiavi. Mi fe' noto in seguito, ch'entrata al mio servizio per ordine e per la raccomandazione di milord d'Anglesey, ella conosceva il suo affetto e i suoi disegni; figlia della balia di questo cavaliere, attaccata a lui, colmata di beneficenze, si sentiva disposta, diceva ella, ad esporre la sua propria vita per contribuire alla soddisfazione del suo protettore. Nel mezzo della mia agitazione, questi sentimenti espressi con naturalezza, questo tenero trasporto a servire il conte d'Anglesey, me la resero cara; l'abbracciai, e dopo questo momento l'ho sempre amata, e la distinguo ancora dall'altre mie donne.
Quando il silenzio ci fece giudicare essere tutta la famiglia in riposo, noi ci rendemmo tacitamente, e all'oscuro, all'appartamento de' bagni; vi attendemmo l'ora convenuta, suonò finalmente; discendemmo; aperto l'uscio, intesi la voce del Conte; mi slanciai verso di lui, egli mi prese fra le sue braccia; commossa, turbata, fuori di me medesima, non mi potei opporre alle dolci carezze di cui mi colmava.
"Mia cara, mia amabile Adeline, siete voi, siete realmente voi?" mi diss'egli stringendomi al seno. "Parlate, ah parlate! Che goda infine il piacer di sentire la vostra voce: ma no," continuò egli "partiamo, fuggiamo; venite, mia cara Adeline, seguite lo sposo che vi adora."
Così dicendo mi condusse verso la sedia, mi vi fece entrare con Benedetta. Milord montò a cavallo, seguito da due de' suoi domestici, si prese la strada di Douvres. Il cameriere che ci aveva precorso, attendeva alla posta; noi colà discendemmo, e quest'uomo avvertì il Conte che tutti i di lui ordini erano adempiti.
Ci aprirono due camere separate. La precauzione di Benedetta mi fu opportuna; in un paniere ch'ella aveva portato seco trovai un vestito per me, della biancheria, e tutto quello che mi poteva essere necessario per non comparire a' piedi dell'altare come una fuggitiva. Il Conte avendo cambiato d'abito venne a prendermi, e mi condusse alla cappella ove l'ecclesiastico ci attendeva. Dopo avere ricevuta la benedizione nuziale, noi ci imbarcammo; un vento favorevole ci mise in poche ore sopra le terre di Francia, ove perdendo ogni tema ed ogni inquietudine, noi ci abbandonammo senza riserva a tutti i trasporti ch'eccita un amore ardente e felice.
Essendo stato altre volte il conte d'Anglesey presentato alla corte di Francia, egli evitò destramente di farsi vedere in pubblico durante la nostra dimora in Parigi; risoluto a vivere per me sola, a godere senza distrazione della sua contentezza, si allontanò dalla capitale, e prese una casa di campagna vicina ad Athys; trovai colà tutte le mie delizie: la presenza del Conte, la sua tenerezza, la gioia viva e dolce da cui lo vedeva penetrato, riempivano tutti i desideri del mio cuore. Se l'idea che la mia fuga aveva potuto dare di me risvegliava qualche volta de' rimorsi nel mio spirito; se rifletteva all'ingratitudine di cui lady Lattimer poteva accusarmi; se il dispiacere di aver tradita la di lei fiducia e mal riconosciute le sue bontà mi faceva versar delle lacrime, una tenera carezza del Conte dissipava queste nuvole passeggiere. Trovandosi fra le braccia di un oggetto adorato, si scorda facilmente la debolezza o l'imprudenza che vi ci ha condotti.
La dolcezza del nostro ritiro fu turbata dalle lettere di sir Ricard Pen; quest'amico del Conte, solo informato del di lui secreto, si era incaricato di renderlo inteso dell'effetto che avrebbe prodotto la di lui fuga e la mia. Gli fece una narrazione lunga ed esatta del disordine e della confusione che un avvenimento sì impreveduto aveva eccitato nella casa di milord Arundel e in quella di lady Lattimer. La collera estrema di questa dama, l'indignazione di sua figlia, il furore del conte di Arundel, il rammarico apparente e le risa nascoste delle persone invitate a queste nozze, tutto contribuì a rendere quest'avventura ancor più fatale per l'impossibilità di nasconderla agli occhi del pubblico. Milord Arundel, richiamando tutta la sua prudenza in quel momento imbarazzante, non si mostrò irritato che dell'insulto fatto a lady Lattimer; comparendo unicamente occupato degl'interessi di quest'amica, le offri la mano di sir Charles per la di lei figlia, lo sostituì a tutti i diritti di suo fratello, e questo figlio intieramente sommesso alle sue volontà, vittima del nostro fallo, acconsentì a riparare l'imprudenza di milord d'Anglesey. La sua unione con lady Sofia fu celebrata quel giorno medesimo, ed il contratto del loro matrimonio fu seguito dalla diseredazione del fuggitivo.
Determinandosi milord d'Anglesey ad un passo sì ardito, e sì offensivo per suo padre, aveva rinunziato a tutti gli avvantaggi della sua famiglia, e precisamente a quelle autentiche convenzioni che lo assicuravano di due ricchissime successioni sposando lady Sofia. Non gli restava che il di lei titolo. ll legato di suo zio rendendolo padrone di un bene non ricco, ma sufficiente, lo decise tutto ad un tratto a sottrarsi dall'autorità paterna per satisfare la sua passione. Non fu amareggiato per una perdita alla quale egli si era preparato, ma si afflisse del destino rigoroso di suo fratello; sparse delle lacrime, pensando che la sua propria felicità distruggeva quella di sir Charles.
Fra gli altri difetti che rendevano dispiacevole la persona di lady Sofia, era rimarcabile quello di una stravaganza insopportabile ne' suoi pensieri e ne' suoi discorsi, di maniera che dava segni evidenti di una ragione sconcertata, e di un cervello ammalato; infatti, poco tempo dopo il suo matrimonio, le alienazioni del di lei spirito aumentarono a segno che il male fu dichiarato follia manifesta. Miledy Arundel fu confinata e chiusa in una casa di campagna, dove ella vive ancora attualmente, senza saper di vivere.
Sir Charles divenuto per la morte del padre conte di Arundel, ricco, nobile, amabile e generoso, degno di fare la felicità di una donna stimabile, passa de' giorni tristi, privo della speranza di dare de' valorosi cittadini alla patria, e di lasciar degli eredi del suo nome e delle sue virtù.
Queste notizie acerbe interruppero la nostra gioia, piangemmo insieme, ma occupati ancora dai primi movimenti della passione ardente che riempiva il cuor nostro, cessarono le nostre riflessioni; perdemmo di vista l'lnghilterra e tutto il resto del mondo, per abbandonarci alla dolcezza di una satisfazione che trovavamo in noi stessi. Una casa semplice ma amena, un'aria pura, dei giardini spaziosi, un'intiera libertà, dei comodi senza fasto rendevano deliziosa la nostra solitudine. Oh! quant'è dolce l'amare ed essere amato! La natura ha collocata la vera felicità nel fondo del nostro cuore; noi la cerchiamo in vano fuori di noi, poiché è in noi medesimi ch'ella risiede.
Dopo un anno di soggiorno alla campagna, il Conte mi propose di passare qualche tempo a Parigi; acconsentii senza pena. La pace che regnava allora tra la Francia e la Gran Bretagna riempiva la corte e la città d'inglesi. Milord comparendo in pubblico, non mancarono questi di visitarlo; io sentivo della ripugnanza a vederli; la mia fuga aveva fatto tanto rumore, se ne parlava sì diversamente a Londra, la malignità meschiava delle circostanze sì ingiuriose a quest'avvenimento, che non poteva senza ribrezzo ricominciare ad ogni momento l'apologia di una risoluzione di cui non mi avrei potuto perdonare l'irregolarità, se, come si credeva in Inghilterra, essa fosse stata premeditata.
Ben presto i miei compatriotti introdussero nel mio albergo una folla di giovanotti francesi; fra questi ve ne erano de' storditi ed indecenti, i quali insinuavano al conte d'Anglesey a preferire le società sospette e pericolose al piacer semplice ma onesto e solido di una conversazione privata. La sua tenerezza per me, la sua delicatezza a riguardo mio divennero l'oggetto di quei sarcasmi che divertono lo spirito ed avvelenano il cuore; di que' sali vivi e piccanti, l'artifizio de' quali sparge il ridicolo su tutto quello che vi è di più serio; tutto è suscettibile di scherzo e gioco in quel clima allegro e felice; i belli spiriti si fan beffe di tutto, tutto eccita il loro umore bizzarro: il tuono delle conversazioni fa confondere le virtù ed i vizi; si ride egualmente e di un uomo disprezzabile, e di un uomo stimabile.
Quando l'allettamento del piacere è l'unico legame della società, l'interno delle persone che la compongono è indifferente, e si ammette senza scelta al numero de' suoi amici tutti quelli di cui le qualità apparenti promettono un momentaneo piacere. Milord d'Anglesey dolce, compiacente e debole, adottò facilmente i pregiudizi delle nuove sue conoscenze: de' cattivi consigli, de' più cattivi esempi sedussero il di lui spirito, e gli fecero scordare tutti i buoni principii che radicati aveva nel cuore. Fare quello che gli altri fanno è una perigliosa lezione; sovente essa conduce a rinunziare alle inspirazioni del cuore, a contrarre senza avvedersene delle cattive abitudini, a conservarle nel medesimo tempo che si condannano, per la difficoltà di retrocedere e di ripigliare l'antico sistema.
Non cessò il Conte intieramente di amarmi, cessò bensì di darmi in pubblico i contrassegni della di lui tenerezza. Cominciando a vivere separati in due appartamenti, trattandoci con quella politezza francese ch'è compagna della freddezza, cominciai a presagire un cambiamento per me fatale; la mia inclinazione al ritiro gli somministrò il pretesto di lasciarmi sovente sola, di cercare al di fuori dei divertimenti, che non potevano che rattristarmi. Milord sortiva per tempo, e non rientrava che tardi; affettando una tema tenera e rispettosa non osava, diceva egli, sturbare il mio riposo, e passava dei giorni senza vedermi. Se pressata dal desiderio di parlargli, di lagnarmi della sua negligenza, entrava nel di lui appartamento, lo vedeva attorniato da persone la di cui vista mi era insopportabile; Milord arrossiva di mostrare dei riguardi e dell'amicizia per quella che poteva pretender da lui una tenera preferenza. Il suo imbarazzo, la sua soggezione mi forzavano a ritirarmi ed a privarmi del piacer di vederlo.
Cosa vi sembrerà sorprendente che in un paese, ove gli uomini sembrano sottomettersi piucché altrove alle convenienze dovute al nostro sesso, cercassero que' scioperati di amareggiarmi, d'involarmi il cuore del Conte, senza aver riguardo alcuno alla mia età, alla mia condizione, ed a qualche dono di cui favorita mi aveva la natura; ma la modestia, la saggezza ed il contegno sono oggetti rispettabili da per tutto, e quasi da per tutto negletti; non curansi la più parte degli uomini di una donna che sappia farsi ammirare, ma cercan quelle che si lascian sedurre.
La condotta di milord d'Anglesey mi riempì di dolore: trista, inquieta, solitaria, passava i giorni a piangere la sua assenza, e le notti a riflettere sui disordini della sua condotta. Tutte le volte che mi accadeva d'incontrarlo, non poteva trattener le mie lacrime e le mie querele; e la mia tristezza e le mie doglianze lo allontanavano sempre più dal mio fianco; correndo dietro a tutte le donne di cui la riputazione macchiata assicurava la facilità del trionfo, egli divenne l'eroe di mille avventure. Invitato, pregato, rapito, trovavasi in cento luoghi, ed era in altrettanti desiderato. Per colmo d'indecenza e d'ingratitudine verso di me, si attaccò più particolarmente ad una di queste donne che i francesi chiamano lor maitresses donna nata in vilissimo stato, senza beltà, senza spirito, senza educazione, rifiuto de' scapestrati. Tutti quelli ch'erano della società di Milord, si affrettarono a corteggiare la favorita del loro amico; la loro perfidia li trasportava a vantare, come un trionfo, il disprezzo che avevano per me insinuato nel cuore di mio marito. La moda autorizza quasi da per tutto questi tratti di giocondo libertinaggio.
Dieciotto mesi durò questa mia posizione dolorosa. Sola nel più angusto recesso del mio appartamento, non mi nutriva che di riflessioni amare, e di speranze deboli e mal fondate. L'oggetto delle mie pene era quello ancora dell'amor mio, desiderava vedere il Conte, mi prometteva di guadagnarlo colla dolcezza, mi lusingava sovente d'intenerirlo e ricondurlo ai primi suoi sentimenti; l'errore del di lui spirito non m'induceva a disprezzare il suo cuore, ma quando egli si offeriva a' miei sguardi, mi sentiva sì avvilita della sua indifferenza, e la sua freddezza m'ispirava un tale irritamento, che il dispetto in me superava l'amore. Un turbamento incomprensibile, un'agitazione continua mi rendevano la sua presenza penosa, e quasi insopportabile; mi dimenticava quanto lo aveva desiderato, e quando egli sortiva, il dolore e l'affetto mi tormentavano come prima; la mia passione si riaccendeva con più forza ed ardore; mi rimproverava di non aver tentato cosa alcuna per meritare la di lui tenerezza, ricominciava a formare de' nuovi progetti, a concepire delle nuove speranze; esse si distruggevano l'indomani, e il mio stato ed i miei sentimenti erano sempre gli stessi.
Soccombendo in fine sotto il peso della mia afflizione, divenni in uno stato da non poter essere riconosciuta. Debole, languente, una febbre lenta mi oppresse, vidi non lontano il fine del viver mio; non mi lagnava, non mi procurva soccorsi: il momento fatale non mi cagionava terrore alcuno. Sommersa nelle più oscure idee, trovava della dolcezza nel pensare che milord d'Anglesey, scosso dal funesto spettacolo della mia morte, accorderebbe forse delle lacrime al mio destino.
Mentre io mi occupava di un tempo in cui non doveva più esistere, il conte d'Anglesey oppresso era dal canto suo da que' mali, che seguon necessariamente il disordine della condotta e lo sregolamento de' costumi. La maggior parte de' fondi suoi dissipati, la sua salute distrutta, i suoi desideri indeboliti o spenti, gl'impegni contratti, l'imbarazzo del presente e la perspettiva dell'avvenire turbavano il di lui spirito, e affliggevano il di lui cuore. In questa posizione la trista desolata sua sposa si presentò al di lui spirito, arrossì di aver potuto negligerla sì lungo tempo, comprese tardi, è vero, ma pieno d'afflizione e rimorsi, ch'ella doveva essere a parte dei disordini e dell'indigenze prodotte dalla di lui condotta. La sfortuna conduce sovente gli uomini alla ragione. Abbandonandosi alle sue riflessioni, Milord sentì rinascere il di lui amore per me, ma invece di avvicinarsi ad una moglie sensibile e indulgente, che desiderava sì ardentemente di rivederlo, confuso dalle di lui irregolarità continuò ad evitarmi; fece diversi viaggi alla campagna, rinunziò a tutte le di lui società, si chiuse per un mese in circa ad Athys, e ritornando a Parigi istrutto dello stato deplorabile di salute in cui mi trovava, bilanciò ancora, e non ardiva di presentarsi a' miei occhi. Superando al fine l'apprension de' rimproveri ch'egli aveva meritati, entrò un giorno nella mia camera; la sua vista mi fece gettar un grido, e fui vicina a perder l'uso de' sensi; il cambiamento ch'ei vide in me lo penetrò di dolore:
"Grande Iddio!" esclamò egli "in quale stato trovo la mia Adeline? O mia tenera e sventurata amica!"
Non poté egli dir d'avvantaggio; i sospiri soffocarono la sua voce, cadde a ginocchi innanzi il mio letto, prese le mie mani, mi sforzai ritirarle, ma serrandole fra le sue, baciandole con ardore, le bagnò di lacrime; vedendo cader le mie, un movimento di compassione gli rese la facoltà di parlare; si alzò, e stringendomi al seno:
"Ah! non mi scacciar dalla tua presenza," diss'egli tremando e balbuzzando "non mi punire, perdonami, mia adorata Adeline, non privare de' tuoi sguardi un colpevole che confessa e detesta i suoi torti: credi al suo pentimento. Vano, leggero, sedotto, infedele, non sono più degno di te, ma se il tuo cuor generoso non si è scordato affatto del mio, restami un raggio di speranza sufficiente a sostenermi in vita; permettimi di piangere a' tuoi piedi il disordine della mia condotta, che meritar mi ha fatto la tua indifferenza, i tuoi disprezzi."
Mentre egli parlava, delle lacrime di tenerezza, di dolore e di consolazione m'innondarono il seno, e si confondevano con le sue. Gettai le mie braccia al suo collo, e stringendolo quanto la mia debolezza mi permetteva:
"Ah! come," gli dissi "come avete potuto, crudele, abbandonarmi, fuggirmi, ridurmi allo stato deplorabile... ? Ah! non importa, vi perdono, vi amo, non ho mai tralasciato d'amarvi; se la mia vita vi è cara, accetterò i soccorsi che mi promettete per prolungarla; se credeste l'amor mio necessario alla vostra felicità, mi troverete sempre la stessa; bandite i vostri timori, asciugate il vostro pianto; fate che la tranquillità richiami il sereno sulla vostra fronte. Ingrato! inumano! la più grande delle vostre colpe è di dubitare della costanza e della sincerità del mio cuore."
Una confessione semplice e naturale di tutti i suoi falli seguì l'intenerimento del Conte. Il suo pentimento aveva tutti i segni della sincerità; le sue attenzioni, il suo zelo, la sua assiduità presso di me, la sua fermezza a rifiutare di veder i suoi fatali amici, che l'avevano sviato, non mi lasciava alcun dubbio sopra la verità del di lui ravvedimento. La mia salute si ristabilì, il sacrifizio di due terzi delle nostre rendite accomodò gli affari che inquietavano milord d'Anglesey. Noi tornammo al nostro ritiro, vi ripigliammo le nostre prime abitudini, ma un cuore ch'è stato crudelmente ferito, conserva sempre la memoria del dardo che l'ha piagato. Si perdona, è vero, è possibile di perdonare, non è possibile di scordarsi. Amava ancora, ma questo sentimento vivo e delicato, unica sorgente per lo passato di tutte le mie contentezze, non poteva separarsi nel mio cuore da quelle tristi rimembranze che vi restavano impresse. La presenza del Conte, lungi d'ispirarmi come altre volte una gioia pura, di eccitare in me una lusinghevole commozione, mi faceva sovente risovvenire di tutte quelle afflizioni delle quali la di lui condotta mi aveva riempita. Le tenere sue espressioni, le sue carezze mi allettavano, e qualche volta mi seducevano; ma qualche lagrima, qualche sospiro mi scappavano senz'avvedermene in que' momenti in cui l'amor mio e la mia riconoscenza avrebbero dovuto animarmi.
Se ne accorse il Conte: riacceso il primo foco nel di lui seno, esaminava attentamente tutti gli accenti miei, tutti i miei movimenti. L'estrema tristezza di cui non poteva disfarmi lo gettò in una apprensione dolorosa e tenace, temeva che io più non lo amassi, non si lagnava, ma si affliggeva; indebolito com'era dalle vigilie e dagli eccessi di ogni natura, si lasciò abbattere intieramente da questa nuova afflizione; cadeva a poco a poco in una nera tristezza, niente poteva distrarlo; il di lui stato mi fe' tremare, e l'amore unendosi in me alla compassione, ricominciai sinceramente ad amarlo. Le mie cure, le mie attenzioni avrebbero dovuto provargli quanto ei mi era caro, ma la sua fatale prevenzione gli faceva attribuire al dovere e alla convenienza le sicurezze ch'io gli dava della mia tenerezza.
Veggendolo ostinato a nascondermi la cagione della sua tristezza, mi abbandonai a mille inquietudini. Pensai che la diminuzione del suo patrimonio, l'ambizion naturale di un uomo, come lui, in un rango considerabile poteva eccitare le sue afflizioni; mi venne in mente ch'ei potesse essere pentito della sua rassegnazione alle convenienze ed ai desideri dell'amor mio. Con questa immagine mal fondata accusava me stessa delle pene di cui lo vedeva caricato. Penetrata da queste idee, presi il partito di sacrificarmi alla sua felicità, e di tutto tentare per ricondurre la calma nel di lui spirito, e la pace nel di lui cuore.
Dopo la nostra partenza da Londra, il conte d'Anglesey non tenne commercio alcuno di lettere con sir Charles di lui fratello. Aveva questi ricevuto degli ordini rigorosi da milord Arundel suo padre di non riceverne, e ricevendone di non rispondervi; tutto ciò mi era noto; ciò non ostante osai ricorrere a lui nell'amarezza del mio cuore; gli scrissi: la mia lettera cominciava da una pittura toccante sulla situazione del di lui fratello, non gli celai cosa alcuna; la mia fiducia fu senza riserva: lo supplicai d'intercedere presso di milord Arundel suo padre il perdono del Conte, d'impiegare le sue attenzioni, i suoi sforzi per riaprirgli la casa paterna, di accogliere con indulgenza un figlio sventurato di già punito abbastanza da' suoi rimorsi, dal suo rossore, e dalle dure pene lungamente sofferte. Io prometteva di non offrirmi agli occhi di milord Arundel per non rianimare in lui quello sdegno, che senza ragione doveva aver contro di me concepito. Contenta di questa felice riconciliazione, mi sarei ritirata nel fondo di una provincia lontana da Londra, avrei vissuto sola, senza esigere assistenza alcuna da una famiglia nella quale portato aveva il disordine e la desolazione. In questa guisa, non avendo io alcun interesse personale nella preghiera ch'io gli faceva, poteva assicurar sir Charles che tutti i miei voti sarebbero stati adempiti, se col sacrifizio della mia persona poteva render al conte di Anglesey la protezione di suo padre, l'amicizia di suo fratello, e la speranza di ristabilire la di lui sorte.
Passarono tre settimane senza ch'io vedessi risposta alcuna; ciò m'inquietava infinitamente; non feci parte al Conte della lettera ch'io aveva scritta, temendo ch'egli la condannasse, ma ancora più perché, divenuto debole piucchemai, temeva di affaticarlo; i soccorsi dell'arte lo tormentavano senza operare in lui cambiamento alcuno. Niente può agire, mi dicevano, contro un'immaginazione sconcertata in un uomo estenuato di forze. Io fremeva alla sola idea di perderlo, gli nascondeva i miei pianti ed i miei spaventi, lo serviva, e mai lo lasciava. Il mio cuore si frangeva a tutti i momenti, e per colmo della più crudele disperazione, non isperava più nuove d'Inghilterra.
Un giorno, quando meno me lo aspettava, venne ad annunziarmi la mia cameriera che un forastiere desiderava vedermi; fatti aveva questa donna tutti i sforzi per persuaderlo che non era possibile di parlarmi; insisteva l'incognito con ardore, aggiungendo che l'affare che lo conduceva, era interessante per me, e che veniva per questo espressamente da Londra... Il nome di Londra mi risvegliò in seno un'ardente curiosità; lo feci entrare; qual fu la mia sorpresa veggendo presentarsi a me sir Charles medesimo; mandai un grido di gioia, egli mi venne incontro colle braccia aperte, mi strinse teneramente al seno, e vedendomi agitata e confusa:
"Ah! cognata mia," diss'egli "in quale stato vi trovo! Che mai mi annunzia il vostro abbattimento! Grande Iddio, sarei arrivato troppo tardi? Parlate, Miledy, parlate: ov'è il mio d'Anglesey? vive ancor mio fratello?"
Noi eravamo nella camera che precedeva quella del Conte; qualche cosa egli aveva inteso; prestò l'orecchio con più attenzione, e riconoscendo la voce di suo fratello:
"Ah che intend'io?" esclamò: "Charles, mio caro Charles, sei tu? sei tu veramente?" Si slanciò questi verso la voce che l'invitava, e precipitandosi nelle braccia dell'amato fratello, le loro vicendevoli esclamazioni, le loro lagrime, l'espressione di gioia e di dolore furono per lungo tempo i soli interpreti de' lor sentimenti.
"Poss'io sperare che i voti del mio cuore siano esauditi?" disse il fine il conte d'Anglesey. "Mio padre mi ha egli perdonato? Revocato ha egli almeno quell'ordine crudele che mi privava della dolce consolazione di veder mio fratello? È di suo consentimento?..."
"Rispettiamo la di lui memoria!" interruppe sir Charles "noi non abbiamo più padre."
"Come," gridò il Conte "mio padre è morto? È egli morto senza perdonarmi? con dei sentimenti d'odio contro il suo sfortunato figliuolo?"
"No, fratel mio," riprese sir Charles di un tuono intenerito "no, ei non vi odiava. Lasciando nelle mie mani la facoltà di punirvi, ha dato una prova convincente della sua indulgenza verso di voi. Ostinandosi a non cambiare le sue disposizioni, egli si riposava senza dubbio sopra la mia amicizia della cura di rendervi felice: piangiamolo, fratello mio, non ci facciamo giudici delle di lui azioni. Io vi compiango, compiango miledy d'Anglesey; voi avete tutti due mancato a quei riguardi che da' doveri sacri vi erano imposti; ma che tutto sia scordato, e che a tutto sia riparato. Ritornate alla vostra patria, nella casa vostra paterna. No, mio caro Conte, no, amabile cognata," soggiunse ei serrando le mie mani fra le sue "no, voi non siete diseredati. Perisca, se mai esiste su la terra, il fratello inumano che osasse profittare dei doni della collera, che all'ombra delle leggi ardisse goder solo di un bene di cui l'equità esige la divisione, e potesse soffrire nell'abbassamento e nella miseria quello che la natura ha destinato per suo compagno.
La maniera nobile di pensar di sir Charles non era sconosciuta al cuor di milord d'Anglesey; quest'azione non lo sorprese, ma lo intenerì vivamente; si gettò nelle braccia di suo fratello, vi pianse lungo tempo, gli domandò cento volte perdono di essere stato la causa innocente del suo matrimonio con lady Sofia. L'esatta confessione de' suoi sentimenti inverso di me, non che de' successi che ci interessavano tutti e due, mi scoperse le idee e i dispiaceri che l'amareggiavano dopo il nostro ritorno alla campagna. Sir Charles gli fece vedere la lettera ch'io gli aveva scritta, sperando che questa avrebbe potuto tranquillizzarlo; essa effettivamente lo intenerì, ma leggendo in seguito ch'io era determinata a staccarmi da lui, e a viver sola per facilitare la sua riconciliazione col padre, ascoltò gl'impulsi della fantasia disordinata e corrotta, e disse ch'io più non lo amava; mi riguardò tristamente, e volgendo la faccia altrove per nascondere le lacrime che gli cadevan dagli occhi:
"Ah mia cara Adeline," esclamò egli "passato è il tempo, quel tempo felice in cui mi amavate; quando io possedeva l'amor vostro? Mi avreste voi procurato il mio bene, la mia fortuna, al prezzo della nostra separazione? Come? Voi avreste avuto il coraggio di abbandonarmi? Ma ho meritato il vostro abbandono, e non mi lagno che di me stesso."
Un tale rimprovero non meritato moltiplicò le mie pene, ma riconoscendo da che proveniva una tale ingiustizia, mi credetti in diritto di soffrire, e di simulare. Come milord Arundel aveva traversato il mare col solo disegno di ricondurci seco lui in Inghilterra, egli doveva attendere il ristabilimento delle forze di suo fratello. Dimorò dunque con noi. Le sue attenzioni, la sua amicizia, il piacere che il Conte mostrava di vederlo, di parlargli, ravvivarono in parte le mie speranze. Mi lusingava di un felice cambiamento nel di lui stato, ma fu vana la mia speranza. Quei conforti che potevan sorreggere il di lui languore non furono di alcuna utilità, ed i patimenti che paiono utili e necessari per animare i sensi sopiti alimentarono i principii di una infiammazione da cui era minacciato senza saperlo, e che ben presto divenne violenta e mortale. I soccorsi dell'arte furono inoperosi. Dieci giorni dopo l'arrivo di Milord Arundei, lo sventurato conte d'Anglesey spirò nelle nostre braccia.
Avvezza a piangere da lungo tempo, cessarono di sortir le mie lacrime a questo colpo fatale; tutto il mio dolore si restrinse nel mio spirito e nel mio cuore; rimasi immobile, e non ripresi i sensi smarriti che aiutata dalle attenzioni prestatemi dal mio generoso cognato. Quest'uomo ammirabile divideva le di lui cure pietose fra l'afflitta moglie ed il defunto marito; lo fece imbalsamare immediatamente, lo fece trasportare ad Arundel nella sepoltura de' suoi antenati, e cercò di allontanare da noi quest'oggetto della nostra afflizione per applicarsi intieramente a raddolcir le mie pene. Restai tre mesi incapace di consolazione; finalmente gli riuscì di farmi abbandonare un luogo ove si nutriva la mia amarezza, e dove mille oggetti di tristezza si presentavano agli occhi miei. Noi ritornammo a Londra, ma non potendo determinarmi a comparire in pubblico, desiderando evitare di vedere e di esser veduta, sir Charles qua mi condusse, ove ho ritrovato quella tranquillità di cui aveva bisogno. Passai l'anno del mio lutto in questa amena solitudine. Il tempo non diminuì la mia tristezza, giacché destinata era a vivere sempre, e a non occuparmi che delle tristi memorie de' miei sofferti disastri. Milord Arundel, promesso avendo al fratello di non abbandonarmi in preda alle nere immagini del mio dolore, veniva sovente a vedermi, e cercava tutti i modi di consolarmi.
Veggendomi un giorno meno ottusa che all'ordinario, sperando che fosse rasserenato il mio spirito, come gli pareva il mio volto:
"Cognata mia," mi disse "attendo uno sforzo dalla vostra compiacenza; la mia tenera amicizia merita d'ottenerlo. La moglie, che fatalmente il cielo mi ha destinata, non è suscettibile né di onori né di fortune; ho perduto un fratello ch'era l'unico oggetto dell'amor mio. Solo, isolato, senza congiunti prossimi, con pochi amici, o posso dire senza un amico di cuore, non mi vedo circondato che da gente straniera. Voi che dovevate occupare il primo posto nella mia casa, rifiutereste voi d'abitarla, di dirigerla, di farne gli onori, di renderla amabile per me, ed attraente per gli altri? Venite miledy d'Anglesey," soggiunse "venite a Londra. Degnate di venire a divider meco il mio stato e la mia fortuna. Da questo momento vi do, sopra tutto quello che mi appartiene, l'autorità che accorderei a una moglie o a una figlia, e avrò per voi la condiscendenza, il rispetto e la tenerezza ch'ella avrebbe diritto di attendere da me.
Il tuono con cui milord Arundel mi fece quest'obbligante preghiera, mi persuase che l'affliggerei rifiutando. Acconsentii dunque a' suoi desideri. Al mio arrivo in Londra, trovai lady Lattimer disposta a dimenticare l'ingratitudine con cui aveva pagata la sua tenerezza e la sua bontà. Piansi nel rivederla; ella mi rese la sua amicizia, ed ha attribuita la mia imprudenza alla mia gioventù. Mi vidi ben presto circondata da una corte brillante; tutti procuravano compiacermi; tutti aspiravano a divertirmi. L'afflizione ch'io non aveva ancora sradicata dal cuore, mi faceva ricevere tutto ciò con indifferenza; ma le attenzioni degli altri, se non vagliono a consolarci, servono almeno per distrarci; se lo stato in cui mi vedeva non bastava per farmi scordar le mie pene, le raddolciva in gran parte.
"Che l'amicizia v'impegni ad imitarmi, mia cara Jenny," continuò la Contessa "promettetemi di non più alimentare la vostra melanconia. Milord Arundel mi ricerca sempre se siete contenta; in tutte le lettere ch'ei mi ha scritte dal campo, non faceva che ripetermi il piacere che ha avuto di far la vostra conoscenza, e quanto caro gli sia che continuate ad amarmi ed a viver meco; ma il fine della campagna è vicino, egli ritornerà a Londra ben tosto, e noi andremo a raggiungerlo. Siate certa che avete in lui un protettore possente e zelante. Abbandonate queste vesti lugubri. Noi saremo al ritorno di mio cognato attorniate da una folla d'amici. Se voi conservate quest'aria trista e abbattuta si crederà che voi, che fatto ho credere mia parente, siate malcontenta del soggiorno in cui siete: credo che una tal riflessione sia bastante per farvi fare uno sforzo sopra di voi medesima; l'attendo dalla vostra ragione, e l'esigo dalla vostr'amicizia."
Il ragionamento di miledy d'Anglesey mi disponeva naturalmente a soddisfare i suoi desideri. La mia riconoscenza e le mie riflessioni mi determinarono a cambiar di condotta. Dopo quel giorno procurato ho sempre di uniformarmi ai desideri di miledy d'Anglesey. Attenta a nascondere tutto quello che poteva rattristarmi, sforzavami di gustare ciò che si chiama comunemente piacere, di occuparmi di quelle cure frivole e di que' vani divertimenti i quali riempir sogliono i momenti felici di una persona contenta; ciò mi costava moltissimo, ma più ch'io sacrificava alla cura di satisfare la mia tenera benefattrice, più sperava provarle la sincerità del mio attaccamento, e più la vivacità del suo pareva aumentarsi dalla mia condiscendenza. Ella mi ricolmò di elogi, di carezze, mi obbligò di accettare dei doni considerabili, e fece venire da Londra tutto quello che mi era necessario per comparire al di lei fianco sotto il titolo di cui mi onorava. Una lettera di milord Arundel l'impegnò a sollecitare la di lei partenza. Noi ci rendemmo alla capitale verso la metà di settembre; ma milord Arundli non avendo potuto traversare il mare per cagione de' venti contrari, tardò il suo ritorno, e restammo durante qualche tempo aspettandolo nel di lui palagio; questo alloggiamento immenso, e superbamente ornato, divenne ancor più aggradevole ed interessante sotto la direzione di miledy d'Anglesey. Una tavola delicata, un gioco moderato, della musica, e sovente dei balli attiravano una compagnia numerosa; il di lei carattere amabile, le grazie della sua persona, il suo spirito, la sua dolcezza la rendevano un oggetto degno di stima e d'ammirazione. Si affollavano intorno di lei gli adoratori; ella guardava tutti con indifferenza, e pareva determinata a non cambiare il nome ch'ella portava.
Io non aveva bastante conoscenza del mondo; il di lui esteriore seducente non aveva ancora fatta impressione alcuna sopra di me; mi vidi tutto in un tempo in compagnia di una giovine a poco presso della mia età, circondata da una società numerosa, e brillante; entrata in questa carriera per me novella, fui dal principio per qualche tempo stordita; accostumandomi a poco a poco alla moltitudine, cominciai con meno ripugnanza a soffrirla. La memoria delle mie pene, interrotta dalla varietà degli oggetti, diminuivasi di giorno in giorno; due mesi di soggiorno in Londra scancellarono quasi totalmente le traccie delle mie sofferenze. Vennero un giorno ad avvertirmi, un'ora prima del solito, che Miledy desiderava ch'io passassi nel suo gabinetto; vi andai immediatamente.
"Voi mi avete sì sovente domandate delle nuove di mister Jennisson," mi diss'ella con un'aria ridente "che credo farvi cosa grata istruendovi del di lui ritorno."
Le obbligazioni mie verso quell'ecclesiastico, da cui riconosceva il benessere mio attuale, mi fecero provare una gioia infinita, trovandomi a portata di rivederlo.
"L'amabile ministro" soggiunse Miledy "arrivò questa notte; la di lui premura più interessante è di rivedere miss Jenny. Nonostante lavostra tenera amicizia per lui, ho voluto prevenirvi e preparare il cuore della mia sensibile amica alla vista di un uomo che potrebbe forse sorprenderla. Voi vedrete nell'esterno di mister Jennisson qualche cambiamento notabile, che spero non vi riuscirà dispiacevole; ma ditemi," continuò ella ridendo "l'immagine di questo onesto ecclesiastico è ella presente ancora alla vostra memoria?"
"Mi accuserei d'ingratitudine," risposi "se avessi potuto scordarmi di un uomo che mi ha procurato l'onore e la fortuna di vivere accanto di voi.
"Piucché amerete mister Jennisson, più mi farete piacere;" riprese Miledy "io l'ho veduto inquieto su la spezie di accoglimento che voi gli fareste, ma l'ho assicurato che ne sarebbe contento"; così dicendo aprì una porta, mi fece seco sortire, traversammo una sala che comunicava coll'appartamento di milord Arundel. Un uomo sortì della prima stanza, si avanzò verso di noi, s'inchinò a me particolarmente; la sua figura nobile e maestosa attirò tutta la mia attenzione; la familiarità con cui trattava Miledy, l'ordine ricco e brillante che gli adornava il petto, mi fecero credere ch'egli fosse milord Arundel, ma fissando gli occhi sopra di lui, mentre mi addirizzava egli un complimento, parvemi riconoscere la fisiononomia di mister Jennisson, e le risa mal ritenute di Miledy mi assicurarono ch'io non m'ingannava. Fatta questa prima scoperta, vidi quest'uomo medesimo prendere un'aria di giocondità e di brio, e riconobbi in lui ancora più facilmente quel giovane cavaliere che in guisa di Palmer riempì le veci del mio genitore per sacrificarmi a sir James. Impallidii, tremai, e volgendo gli occhi con qualche emozione verso la Contessa:
"Ah che vegg'io!" esclamai. "Poteva io aspettarmi di ritrovare nel cognato di miledy d'Anglesey l'amico di milord Danby, il complice de' suoi tradimenti?" Così dicendo caddi sopra una sedia svenuta.
Il Conte e sua cognata vennero in mio soccorso; cercavano consolarmi, ma io confusa, istupidita, non era in grado né d'intendere le loro voci, né di prestar fede ai segni che mi davano di amicizia e di compassione. Parevami intieramente distrutta la quiete del mio asilo, perduta la sicurezza che me lo rendeva aggradevole e caro. La protezione di Miledy, le sue bontà, le sue tenerezze, le sue cure mi diventavano odiose, se derivavano dalle sollecitudini di milord Danby.
La Contessa vedendomi bagnata di lacrime:
"Come," mi disse "milord Arundel, l'uomo più amabile della terra, vi reca dell'inquietudini? Accanto di me, sicura della mia amicizia, trovate soggetti di timore, di costernazione? Sperava potervi ispirare maggior fiducia di quella che mi mostrate; malgrado le più forti apparenze, il conte d'Arundel non è, né può essere, il complice di milord Danby, e voi dovete...
"Ah! non vi offendete, madama," interruppi, penetrata da questo rimprovero "non vi offendete di un movimento involontario, di una espressione indiscreta; tutto ciò mi richiama l'istante ove fui crudelmente sedotta; tutto ciò che mi rappresenta il vile autore delle mie sventure, mi altera, mi spaventa, e rinnova l'amarezza de' miei primi dolori. La vista di un testimonio del consentimento da me prestato ad un sacrilego impegno, ravviva il mio rossore. Perdonate, Milord, perdonate un accoglimento sì strano; sovvenitevi che mi serviste di padre per darmi in potere a sir James; veggendovi, riconoscendovi, parvemi nel primo istante che voi voleste rendermi a lui."
"Deponete, Miss, intieramente una tal prevenzione;" mi disse il Conte "le vostre inquietudini mi hanno penetrato, ma non ne sono offeso; con ragione voi mi avete creduto sino ad ora colpevole; degnatevi di ascoltarmi e di giudicarmi. Sì, è vero, il caso, la buona fede, e qualche imprudenza, può essere, mi resero testimonio del vostro matrimonio con sir James; partecipai senza saperlo della vile superchieria di un uomo, di cui credeva il cuor nobile e i sentimenti onorati. Ecco come indotto fui ad arrogarmi il titolo di vostro padre..." Milord era per continuare, ma la Contessa, volendomi lasciar il tempo di calmare i miei sensi, domandò del tè, le donne lo portarono. La dolcezza e l'amenità di milord Arundel, i suoi discorsi obbliganti fecero durante questo breve intervallo l'effetto che miledy d'Anglesey desiderava e prevedeva. Mi sovvenne tutto ciò ch'ella mi aveva detto di questo cavaliere saggio ed amabile, condannai i miei timori, i miei sospetti, e mi disposi ad udirlo con tutta quella fiducia ch'egli meritava inspirarmi.
Quando le donne di Miledy sortirono, Milord parlò, e dirigendosi a me:
"Durante il corso de' miei primi viaggi," diss'egli "conobbi sir James Huntley; noi ci siam rincontrati in Francia, e abbiam trascorso l'Allemagna insieme, ed una parte d'Italia. Le sue qualità personali, il suo spirito, la sua condotta, i buoni principii del modo suo di pensare mi attaccarono a lui di maniera che, dovendomi da lui separarare e lasciarlo a Roma, soffersi moltissimo, e mi costò qualche lagrima. Abbiam tenuta per molto tempo una corrispondenza fra di noi regolare, ma come accade ordinariamente nel corso di una lunga assenza, le nostre lettere divennero meno frequenti. Conservai però la speranza di rivederlo, ed il desiderio di nuovamente unirmi con esso lui. Egli restò molti anni fuori del regno; io feci un viaggio nel Nord, e quando egli ritornò a Londra, noi eravamo ancor l'uno dall'altro distanti. Sei mesi dopo seguì il suo matrimonio con la duchessa di Rutland; come io era occupato in altri affari seriosi non mi ricordo aver sentito parlare nel paese, ove allora mi trovava, né di queste nozze, né della creazione di un conte di Danby nella persona di sir James Huntley.
Terminato felicemente l'affare di cui stato era io incaricato, e dichiarata la guerra dalla Gran Bretagna ad un'altra potenza marittima, fui richiamato per servir la mia patria alla testa del mio reggimento. La corte era a Windsor quando arrivai; ricevetti l'ordine d'imbarcarmi. Miledy d'Anglesey mi attendeva ad Arundel; io desiderava di andarvi, e di passar con lei qualche giorno. Passando a Londra, trovai nel mio appartamento il di lei scudiere moltissimo rammaricato di aver mal servito la sua padrona
Si trattava di una muta di superbi cavalli, ch'erano in vendita, che la contessa d'Anglesey desiderava di avere, e che lo scudiere troppo economo nel contrattare avevasi lasciati scappar di mano; domandai subito se poteva dirmi in poter di chi fossero essi passati; dissemi che un certo Palmer li aveva comprati per commissione, e, conoscendo il carattere dell'uomo, mi assicurò che, con qualche ghinea di profitto per lui, non sarebbe difficile di riaverli; m'indicò la di lui dimora, e mi vi resi nel giorno medesimo.
"Giunto alla casa di quest'uomo, mi fecero salire per una scala tortuosa e oscura; una voce che scendeva dall'alto mi sollecitava a montare, come se io fossi stato colà invitato ed atteso. Qual sorpresa fu la mia quando, terminato avendo di salire, mi vidi in faccia sir James, e quale è stata la sorpresa di lui medesimo veggendo in me non la persona ch'egli aspettava, ma un amico suo ch'ei credeva ancora lontano. La gioia vicendevole succedette alle maraviglie; mi conduss'egli in un gabinetto. Varie questioni si promossero da noi reciprocamente, io m'arrestai con insistenza a quella che riguardava la muta di cavalli che m'interessava. Informato sir James di questo affare de' cavalli, mi assicurò ch'eran rivenduti, e mostrandomi desideroso di parlar con quest'uomo, dissemi, con un'aria imbarazzata e confusa, ch'egli non era in Londra, e non vi ritornerebbe sì presto. Volendo io spiegarmi su la ragione del mio dispiacere, m'interruppe sir James mostrandosi interessato e pressato per un affare della più grande importanza; soggiunse che attendeva per ultimarlo il conte d'Overbury amico suo affidato, ma che ricevuto aveva poc'anzi un di lui biglietto, con cui si scusava se non poteva mantenergli la sua parola.
"'Se un uomo che non ha che due ore di tempo per restare a Londra può giovarvi, mio caro James,' gli dissi 'disponete di me. Sarò contento se avrò il piacere di servirvi.' L'amico parve dubbioso, incerto, agitato, e finalmente risposemi balbutando che non impiegava indifferentemente tutti gli amici suoi nei medesimi usi. Siccome io conosceva il conte d'Overbury per un uomo poco regolare ne' suoi costumi, questa proposizione mi fece credere che un intrigo galante attirasse sir James in quella casa. Non volendo io inquietarlo, era per congedarmi, quando una porta opposta a quella per dove era entrato aprendosi con veemenza, vidi comparire un ecclesiastico con lunga veste e cotta. Ei si avanzò verso di noi sorridendo, ma sir James correndo ed arrestandolo gli fece destramente osservare la mia persona, che non doveva essere a parte della confidenza. L'ecclesiastico mi osservò, e retrocedendo sortì.
"Sir James restò immobile, mutolo, gli occhi fissati al suolo, ed in una costernazione inesplicabile. Il disordine in cui lo vedeva, e la comparsa di quel ministro, mi fecero comprendere a poco presso il progetto del suo imbarazzo. Immaginai ch'egli contrar volesse un matrimonio secreto, tutto me lo indicava. Era mortificato di avere scoperto senz'avvedermene questo mistero, e di causar dell'inquietudine ad un uomo ch'io amava. Rammaricato di essere venuto mal a proposito, cercando distaccarmi da lui senza fargli conoscere i miei sospetti, presi il partito di congedarmi; ma egli, rivenuto in se stesso: 'Un momento, Milord,' mi disse 'al nome del cielo accordatemi qualche istante; voi avete troppo veduto per non comprendere quanto qui è per succedere. La mia sorte, il mio onore, sono al presente nelle vostre mani. Che pensate voi? Come mi riguardate? Quale idea vi offre di me medesimo un'azione sì contraria a' miei propri principii? Io sono perduto!' E abbandonandosi sopra una sedia, nascondendo il suo volto, respirando appena: 'Ah mio Dio! Ah mio Dio!' egli riprese 'sono il più sventurato degli uomini!'.
"Le sue esclamazioni mi sorpresero, e il suo dolore m'intenerì. Accorsi a lui, l'abbracciai: 'Potete voi diffidare di me?' gli dissi. 'Mi credete voi debole, imprudente, o falso amico? Capisco che voi siete vicino ad allacciarvi con un nodo eterno; se questo passo contrario fosse a' vostri interessi, e necessario alla vostra felicità, voi potete temere ch'io lo condanni. No, amico, non sono rigido a questo segno. Vi sono dei pregiudizi, vi sono degli usi comunemente adottati, de' quali l'uomo non deve sempre rendersi schiavo.'
"'Ah! mio caro Charles,' esclamò sir James abbracciandomi con trasporto 'la vostra indulgenza mi anima, mi consola. Tremava vedendovi penetrare un secreto che mai osato avrei confidarvi.' Correndo allora verso la scala: 'Venite' gridò ad alta voce 'il tempo è opportuno, salite.' Indi a me rivenendo: 'Perdonate la mia riserva, e la freddezza apparente che mostrai nell'accogliervi:' diss'egli 'la mia crudel posizione mi ha reso quasi insensibile al piacere di rivedere un amico sì caro, e di cui ho mille volte desiderato il ritorno. Ve lo confesso, una passione tiranna mi soggiogò, mi trasse fuori di me medesimo, mi sforzò a sacrificare convenienze, onori, vantaggi, al desiderio violento di unire al mio destino una persona amabile, virtuosa, e degna di tutti i miei sacrifizi. Ah! Milord... sono uomo anch'io... non sono sempre stato un eroe... Niente poté sedurla. L'indigenza non l'ha mai avvilita, l'abbandono de' suoi congiunti, la solitudine in cui si trova non hanno mai indebolito il di lei coraggio; non mi resta, per vincere la sua resistenza, che quella cerimonia ecclesiastica, alla quale sono sempre stato contrario.
"I termini d'indigenza e d'abbandono de' congiunti mi avevano interessato in favore della persona, che acceso aveva il cuor di sir James; ma i rimproveri, de' quali egli si caricava, mi diedero di lei dell'idee meno favorevoli. Dubitai che l'amico, dall'amore acciecato corresse il pericolo di divenire la vittima di una femmina accorta. Non gli nascosi i miei dubbi, e l'esortai a seriosamente riflettere, se l'oggetto della sua passione meritava a giusto titolo tutti quei sacrifizi cui egli era disposto; aggiungendo con un tuono aspro, è vero, ma permesso ad un amico di cuore, che se la donna fosse indegna di lui...
"'Indegna di me!' diss'egli. 'Ah Milord! Jenny sarebbe degna di voi medesimo!' 'Se così è,' gli dissi 'disponete di me; supplirò volentieri alla funzione di cui avevate incaricato il conte d'Overbury.' 'Charles, mio caro Charles' replicò egli più volte; passò indi sollecito in una stanza vicina, e non tardò a rivenire in compagnia del ministro ecclesiastico e del di lui chierico: 'Poiché voi lo volete, Milord,' egli mi disse di un'aria più tranquilla 'accetto l'offerta vostra obbligante.' Così dicendo fece aprire una terza porta per cui entrar doveva l'oggetto della sua passione; voi arrivaste, madama, un istante dopo; voi eravate la sposa che si attendeva, ed era a me riservato l'onore di supplire alle veci di vostro padre.
"Non veggendo allora brillare sul vostro volto quella gioia che suol accompagnare la sposa all'altare, ma parendomi all'incontro scoprire in voi una spezie d'abbattimento e di confusione, non potei dispensarmi di domanda me all'amico mio la cagione. Le sue risposte e la vostra tristezza mi fecero credere che non lo amaste.
"Tutto era pronto per eseguire la cerimonia degli sponsali. Il ministro vi fece avanzar l'uno e l'altra; chiamò ad alta voce la persona che supplir doveva alle veci di vostro padre. Mi presentai come tale. Sir James stese a voi la mano, voi gli porgeste la vostra; giuraste entrambi; vi sposaste in fine, ed io pressato di partire corsi a raggiungere la mia vettura.
"Confesso il vero, Miss," aggiuns'egli "partii contento di avere servito l'amico, ma rammaricato pensando a voi, e temendo che, cambiando di stato, non perdeste la vostra felicità.
"Restai circa un anno senza intermittenza nelle militari incombenze. Sir James mi aveva promesso di scrivermi; non lo fece, e fui della sua negligenza male soddisfatto. Rivenni a Londra, e non l'incontrai né alla corte, né in altri luoghi dove avrei potuto vederlo. Qualche giorno dopo il mio arrivo, un gentiluomo di mia conoscenza mi disse che milord Danby desiderava vedermi, e ch'essendo obbligato al letto, mi pregava di trasportarmi nella sua abitazione. Questo nome di milord Danby non mi era cognito; vi andiedi ciò non ostante, e qual fu la mia sorpresa ritrovando squallido e smunto in un letto sir James Huntley?
"'Che ved'io?' esclamai, precipitandomi per abbracciarlo. 'In quale stato ritrovo il mio amico sir James! Ma siete voi quello che mi ricerca? Siete voi che portate il nome di milord Danby?' Egli mi porse la mano, e debolmente stringendo la mia: 'Piacesse al cielo' mi disse 'che questo nome fatale non mi fosse stato giammai accordato, che giammai l'ambizione non mi avesse fatto accettare il titolo, cagione delle mie sventure e del mio rossore. Voi siete commosso, Milord, leggo nel vostro volto la compassione che i detti miei hanno destata nel vostro cuore. Caro amico, questi segni della vostra bontà per un ingrato aumentano la mia disperazione. Spero che la confessione sincera del mio trascorso mi farà meritare il vostro perdono, e potrà interessarvi in favore di una vittima innocente da me crudelmente sacrificata. Questa vittima... tremo nel dirlo, arrossisco nello svelarvi l'arcano, sì, questa vittima è la sventurata giovane per la quale faceste voi le veci di padre. L'apparato delle mie nozze non era che un'impostura, falso l'ecclesiastico che la sposò, falsi i testimoni che vi assistettero, falso il mio cuore che abusò della fiducia della fanciulla e della vostr'amicizia.'
"Inorridii a tale racconto, fremetti in segreto ad una tal confessione; ma veggendolo oppresso, non ebbi coraggio di caricarlo di que' rimproveri ch'ei meritava. Mi contentai di chiedergli, senz'alcuna apparenza di sdegno, qual fosse questa giovane sventurata di cui il nome non mi era mai stato noto.
"Non tardò egli a soddisfare alla mia domanda, m'istruì del vostro nome, della vostra nascita e delle vostre disavventure; mi parlò del cominciamento della sua passione per voi, della purità delle sue prime intenzioni durante il di lui soggiorno in casa di milord Clare, del viaggio ch'ei fece in Iscozia, della fatalità per cui vi aveva perduta di vista, del suo matrimonio con la duchessa di Rutland, e del dolore estremo ch'egli provò di non essere più libero, quando ritornato in Londra vi ritrovò accidentalmente nel parco; mi fece parte delle offerte fattevi per riacquistare la vostra amicizia, de' vostri rifiuti, e del disegno da lui formato di sottomettervi ad ogni costo; mi rese un conto fedele di quanto era passato in casa di mistriss Roberts, del progetto della duchessa di Rutland per farvi sparire, del coraggio e della violenza con cui vi ha fatto sortire dalla di lei carrozza, della malattia che avete sofferta, e finalmente della vostra fuga dalla casa di mistriss Palmer.
"Non sapendo egli in quale asilo foste andata a nascondervi, si rimproverava amaramente di non avere ceduto alle istanze della duchessa di Rutland. Quella dama esigeva assolutamente ch'egli vi rimettesse nelle di lei mani, e ch'ei partisse tosto per Vienna. Offesa vivamente della di lui condotta e de' di lui rifiuti, la duchessa di Rutland lasciò Londra senza vederlo, e gli ordinò di non più presentarsi innanzi di lei. Milord Danby terminò questo lungo racconto, domandandomi nuovamente perdono dell'indecente sua condotta verso di me, supplicandomi innoltre di non rifiutargli la grazia ch'egli era per chiedermi.
"Ascoltandolo tratteneva a stento i movimenti d'indignazione che sentivami destar nel seno. Offeso del personaggio ch'egli aveva ardito di farmi fare, confuso temendo di essere da voi considerato complice dell'impostura, esitai se io doveva arrischiare di nuovamente ascoltarlo; ma curioso di assicurarmi se persisteva nel suo mal onesto procedere, o se cambiato aveva sistema, dissimulai il mio sdegno, e lo pregai spiegarsi sopra il servigio ch'egli esigeva da me. Contento egli della mia buona disposizione, fece portare una piccola cassetta che conteneva le vostre gioie, e una somma considerabile di biglietti di banco, e il contratto di acquisizione di un feudo in cui desiderava vedervi abitare. Mi scongiurò di cercarvi, d'impiegare tutte le mie attenzioni per ritrovarvi, e di far passare nelle vostre mani la scarsa offerta, diceva egli, ch'ei poteva farvi in compensazione degl'infiniti danni che vi aveva recati.
"Nonostante l'irritamento ch'io continuava a sentire contro di lui, ho creduto non dover impedire un'opera buona.
"'Crederei mancare al dovere il più indispensabile' gli dissi 'se rifiutassi di prestarmi a scoprire le tracce della sventurata che voi mi raccomandate. La parte indiretta e innocente ch'io ho avuto alla sua sventura, mi eccita ad interessarmi in di lei favore: sì, Milord, la cercherò, desidero ardentemente di scoprire il di lei asilo, ma vi consiglio depositare nelle mani di un uomo pubblico gli effetti che voi destinate per miss Jenny. Sarà bastante che voi mi rimettiate un ordine di vostra mano, perché io possa, o la giovane proprietaria, ritirarli liberamente, supponendo ch'ella voglia accettare le vostre beneficenze. Se le mie perquisizioni mi fanno scoprire il di lei ritiro, m'impegno informarvi del successo delle mie attenzioni; ma non v'immaginate per questo ch'io voglia contribuire a rendervi sopra di lei dei diritti usurpati e tirannici. Padrona della sua volontà, miss Jenny sarà in potere di ricevere, o di ricusare i vostri doni; s'ella si sdegna, voi non molesterete più questa giovine sventurata, voi non tenterete de' vani sforzi per ottenere un perdono ch'ella può rifiutarvi senza ingiustizia; voi la lascierete libera ne' suoi sentimenti e nella sua condotta. Se voi vi assoggettate a questa legge, che credo potervi imporre, prenderò tutte le misure convenienti per appagare i vostri desideri. Non mancate all'impegno vostro; la menoma contraddizione alla vostra promessa, e al giuramento che da voi esigo, produrrebbe delle conseguenze funeste, e mi renderebbe l'irreconcillabile nemico di un uomo, che per lungo tempo ho creduto degno della mia amicizia.'
"'Ah! trovatela, Milord, trovatela,' gridò egli 'soccorretela, consolate questa giovine degna di miglior destino; ch'ella viva tranquilla e felice sotto la vostra protezione!' Mi porse allora la mano, e mi giurò di mantenere l'impegno che preso aveva con me. Dopo avergli chiesto i lumi necessari che potevan guidarmi nelle mie ricerche, lo lasciai tranquillamente, ma poco disposto di mai più rivederlo; e seppi un mese dopo ch'egli, ristabilito in salute, partito era per Vienna.
"Dopo le conversazioni avute da sir James, la mia prima attenzione fu di scrivere a mistriss Palmer; le addirizzai la mia lettera in Irlanda, ov'ella era passata. Mostrò quella donna nella sua risposta poca fiducia per la mia persona. Prima d'istruirmi, ella esigeva che miledy d'Anglesey l'assicurasse ch'ella stessa prenderebbe la giovine dama sotto la di lei protezione. Obbligato d'istruir mia cognata della vostra avventura, ottenni tutto dalla sua compiacenza. Ella mandò un espresso a mistriss Palmer; ma frattanto ch'io attendevo con impazienza il ritorno del corriere, le vostre tavolette portate da Bella a Miledy, ed i discorsi di questa figlia, ci persuasero che voi eravate in casa di sua zia. Per rischiarare i miei dubbi, presi l'abito e il nome di un cappellano di miledy d'Anglesey. Il resto vi è noto.
"Dovendo incessantemente imbarcarmi, scrissi a milord Danby, e fui a tempo di ricever da lui risposta, prima che la flotta uscisse dal porto; egli intese con trasporto di gioia in qual asilo voi eravate, soffrì con rammarico il rifiuto fatto da voi delle sue liberalità, accusò la ricevuta della carta che mi aveva confidata, e mi riconfermò la parola datami di non più inquietarvi."
"Presentemente, cara Miss," continuò il conte di Arundel "degnatevi di pronunziare il mio perdono; degnatevi riconoscere in me il cognato della vostra amica. Ho desiderato ch'ella fosse l'unico testimone del nostro abboccamento per non esporre in pubblico il vostro secreto. Non è cosa difficile il nascondere le vostre crudeli avventure; sono esse assolutamente ignorate. La prudenza di miledy Rutland non le permise di macchiare la riputazione di milord Danby, facendo comparire in pubblico il soggetto della loro dissensione; quelli che cooperarono ad impegnarvi, sono interessati a tacere. Milord Overbury non vi ha veduta; che la vostra innocenza vi consoli; l'avvenimento funesto di cui vi dolete non può farvi arrossire; scordatevi delle vostre sventure in grazia della nostra amicizia."
"Sì, ella è nostr'amica, ella è nostra sorella" interruppe vivamente miledy d'Anglesey; l'attaccamento e la riconoscenza rianimarono il mio cuore; voleva prorompere in ringraziamenti, me l'impedirono abbracciandomi l'uno e l'altro teneramente.
Dopo quel giorno i miei istanti erano pacifici, e sarebbero stati felici, se dopo di aver provate troppo umilianti disgrazie, la memoria del passato non risvegliasse nel nostro cuore qualche antico rammarico. Fu in quel tempo, madama, ch'ebbi la fortuna di vedervi per la prima volta in casa della viscontessa di Blemont; voi concepiste della bontà per me, e me lo faceste conoscere; vi parve ch'io somigliassi ad un'amica vostra che avevate amata moltissimo, e questa somiglianza per me fortunata v'impegnò, per avventura, a rendermi degna della vostr'amicizia.
Voi conoscevate poco miledy d'Anglesey; l'attaccamento vostro per me v'indusse a legarvi più particolarmente con lei; sovente ci onoraste delle vostre visite. Veggendo voi un giorno nella mia camera il ritratto di lady Sara, riconosceste l'immagine della vostr'amica, e rivolgendo gli occhi verso di me, confermandovi nell'idea ch'io le rassomigliassi, mostraste un'ardente curiosità di sapere se io aveva qualche intrinseca correlazione coll'originale. Conoscendo io la vostra cordialità a mio riguardo, e penetrata dall'amore e dall'interesse che vi aveva legata alla mia genitrice, era disposta in quel momento a tutto svelarvi, ma fummo interrotte; un affare interessante vi obbligò di lasciarmi. Una lettera del visconte di Blemont vi chiamava in Iscozia; non ho potuto indi vedervi che una sol volta in compagnia di miledy d'Anglesey prima della vostra partenza, ed attesi che il tempo mi offrisse un'occasione favorevole per isvelarvi la massa enorme delle mie passate disavventure.
Due mesi dopo la vostra partenza dall'Inghilterra, trovandosi milord Arundel alla testa di un corpo di truppe considerabile, Miledy sua cognata ed io ci prendemmo il piacere di scorrere tutte le di lui terre, e terminammo il nostro giro a Bath, colà trattenendoci sino al ritorno di Milord a Londra. Molte persone riguardevoli per la nascita e per la fortuna incontrammo in questo picciolo viaggio; molte furono le finezze che ricevemmo, e molti avvantaggiosi partiti per me si offrirono. Riconoscente verso di tutti mi schermiva di ascoltare più l'uno che l'altro, e rispondeva a quelli che più insistevano per obbligarmi a cedere alle loro istanze, ch'io non aveva bastante fortuna per aspirare a nozze riguardevoli.
Sir Ellis di Nevil, disceso dall'illustre casa di Warvick, ostinato a voler sormontare tutte le mie repugnanze non cessava di tormentare miledy d'Anglesey, che tutti credevano padrona di disporre di me. Ella non trovava pretesti ragionevoli per rigettare un partito per me sì onorifico e sì avvantaggioso; spiacquemi infinitamente veder la Contessa prendere un vivo interesse in favore di questo amante importuno, e temeva di non poter evitarlo senza rammaricare l'amica.
"Qual ragione potrete addurmi" dissemi ella un giorno "per opporvi al desio di Nevil? Da dove nasce questa vostra ripugnanza? Un tale matrimonio vi porrebbe nel rango che voi a giusto titolo dovreste occupare, se la morte immatura de' vostri genitori non avesse cambiato il vostro destino."
"Pensate voi, madama,"le risposi "che mi fosse possibile celare a sir Ellis le circostanze della mia nascita, e delle mie avventure? Potrei io nascondergli il tradimento di milord Danby? Supponendo la passione di sir Ellis capace di sorpassare un avvenimento che mi ha insultata, senz'avermi avvilita, non potrei io temere che, raffreddato nel mio sposo l'affetto, la ragione non risvegliasse in lui de' sentimenti d'indignazione? Le riflessioni distruggerebbero la sua felicità, e le mie mi colmerebbero d'amarezza. Ah, madama," soggiunsi "permettetemi di passare i miei giorni tranquillamente con voi; non mi pressate di cambiare stato, soffrite la mia resistenza, non vi offendete se ardisco dirvi che sir Ellis nè chi che sia, potrà condurmi all'altare."
"Ebbene, amica mia dilettissima," riprese la Contessa "non ne parliamo più. Se ho ceduto alle istanze di Nevil, pressandovi in di lui favore, lo feci per un sentimento di delicatezza. Ho creduto dover sacrificare all'intenzione di rendervi più fortunata il piacere estremo che sento di vivere con voi. Io non sono bastantemente ricca per risarcirvi della perdita che voi fate rinunziando alle offerte di sir Ellis," soggiunse ella abbracciandomi "ma ho un cognato generoso e possente; compirà egli i miei desideri; gli aveva fatto parte dell'inclinazione di sir Nevil per la vostra persona, e pregato l'aveva di aiutarmi a determinarvi di accettare un partito che formar poteva la vostra felicità. Milord Arundel rispose alla mia lettera, e non so per qual bizzarria contraria al di lui carattere, sembrò essere assai contento dell'interesse ch'ei mi vedeva prendere in favore di sir Ellis. Prendete," soggiunse ella "eccovi la sua risposta; confesso il vero, non intendo il senso delle sue espressioni." Presi la lettera di Milord, ed eccone il contenuto.
LETTERA DI MILORD ARUNDEL A MILEDY D'ANGLESEY
Non ho scritto a miss Jenny, no, madama, non è possibile ch'io le scriva in quest'occasione, se osassi darle un consiglio, temerei di pentirmi il resto di mia vita di non aver abbastanza riflettuto. Credeva il destino di Nevil deciso; quando partì miss Jenny non lo amava: se dopo la mia partenza i di lei sentimenti hanno cambiato, non era ella padrona di farlo? Che potrei io suggerirle contro l'inclinazione del di lei cuore? Parvemi durante alcuni mesi che miss Jenny non si occupasse che della nostra società e della nostra amicizia; ciò mi faceva pensare a qualche piacevole progetto, che non mi pareva impossibile.
Rilevo da madama Monfort che la salute di miledy Arundel peggiora estremamente di giorno in giorno, l'ultimo accesso da lei sofferto l'ha intieramente indebolita; ella è divenuta un poco più tranquilla, ha degli intervalli di conoscenza, ma sovente ammorzati da lunghi svenimenti; accidenti creduti dai medici segni evidenti di una morte vicina.
Queste notizie mi recarono quell'afflizione che sentir deve l'umanità, e non posso pensare al di lei stato infelice, senza versar delle lacrime. Unito fatalmente ad una sposa con cui non poteva convivere, confesso il vero, ho qualche volta desiderata la mia libertà, ma se ha deciso il destino ch'io la riacquisti comincio a scorgere che potrei esser libero, e non esser felice. Mille idee tristi e confuse m'inquietano, e non oso confidare a me stesso il soggetto delle mie inquietudini... Rileggendo ora con più d'attenzione la vostra lettera, non parmi rilevare chiaramente che miss Jenny corrisponda all'amor di Nevil; pare, a quel che dite, ch'ella rifiuti le grandi offerte di questo amante intrepido ed insistente. Da che procede dunque la premura che voi mostrate di favorir quest'unione? Perché mi pregate voi di cooperare a vincere la resistenza di miss Jenny? Perché mostrate voi una sì grande parzialità in favor di Nevil? Lasciate che la giovine saggia e prudente decida di se medesima; voi potete sopra il di lei spirito, è vero, ma non vi credo capace di abusarne, la posizione di miss Jenny esige infiniti riguardi; consigliarla sarebbe forse costringerla; sento che ciò produce nell'animo mio una spezie di pena, e non saprei dirvi il perché. Miss Jenny ha infinitamente il merito, ma è piena di circonspezioni, se qualcheduno desiderasse renderla felice, credo sarebbe difficil cosa indovinare dove più tenderebbero i di lei voti. Addio, cognata amatissima.
"Ebbene, Miss," disse la Contessa "che pensate voi? Comprendete voi bene l'intrinseco valore di questa lettera? Pare misteriosa, ma voi avete bastante intelligenza per comprenderne il fondo."
Io mi trovai sì confusa e sorpresa che non sapeva che risponderle; se ne accorse Miledy, non volle farmi arrossir d'avvantaggio; chiamò le sue donne, fece portare il tè, si passò ad altri propositi indifferenti, e più non mi parlò della lettera di suo cognato, aspettando forse il di lui ritorno per parlarmene con maggiore fondamento.
Eravamo allora alla metà dell'estate. Il nome di milord Arundel risuonava per tutta la Gran Bretagna. La truppa ch'ei comandava, invincibile sotto la sua direzione, s'impadronì di due importanti piazze, e ogni giorno era contrassegnato dai considerabili avvantaggi ch'ei riportava; ma il colmo della gloria del Conte fu una marchia sorprendente, un attacco vivo, non preveduto, che fe' stupir il nemico, e salvò dieci mille Inglesi in un posto male scielto, ove il terreno angusto e fangoso rendeva inutile il loro valore.
La fortuna costante delle nostre armi durante il corso di quella campagna, ne terminò di buon'ora le operazioni, e Milord ripassò il mare, avanti la fine di settembre. Ritornato in patria, andò a visitare la sua sposa; ella dimorava venti miglia distante da Londra in una terra deliziosa, provveduta di tutto ciò che poteva contribuire al miglioramento del di lei stato; la trovò intieramente ristabilita. Ella godeva di una salute perfetta, ma priva come prima di discernimento.
Ritornato milord Arundel a Londra, si abbandonò ad una nera melancolia, che lungi di diminuire in mezzo al tumulto del mondo e dei divertimenti della stagione, aumentava di giorno in giorno. Tristo ed inquieto amava la solitudine, si chiudeva nel fondo del suo appartamento; ma s'ei perdette la sua giovialità ordinaria, conservò la dolcezza naturale del suo carattere. Incapace di gustare alcun piacere, si occupò sempre della felicità di tutti quelli che lo avvicinavano.
La contessa d'Anglesey, teneramente attaccata a milord Arundel, era a parte delle di lui pene, senza mostrar di conoscerne la sorgente. Mi accorsi col tempo, che avevano fra di loro delle conferenze secrete, alle quali non mi lasciavano intervenire.
La condotta di Milord a mio riguardo non era totalmente cambiata; egli non solo non mi evitava, ma rivedevami sempre con aria di amicizia e di satisfazione; sfuggiva però le occasioni di parlarmi; trovandomi per avventura sola con esso lui, s'io era la prima a parlargli non rispondeva che con dei monosillabi; attento a' miei movimenti, tutte le mie azioni mostravano interessano, ma se lo pressava di confidarmi il soggetto della sua agitazione, si turbava, abbassava gli occhi, sospirava, e partiva.
La di lui riserva, quella della Contessa, e le continue mie osservazioni mi fecero credere ch'io fossi l'oggetto della tristezza e dell'uno e dell'altra.
Mi sovvenne la lettera di Milord, pensai al di lui attaccamento per me, ai progetti che traspiravano in mio vantaggio nel di lui foglio, ed al ristabilimento della di lui sposa, che traversava forse tutti i di lui disegni. Quest'idea s'impresse fortemente nel mio spirito, ben presto essa divenne un supplizio insopportabile per il mio cuore. Continuamente applicata a scoprire se io m'ingannava, o se io mi apponeva al vero, mi accostai una sera all'appartamento di Miledy, m'arrestai alla porta, sentendola ad alta voce parlare, e l'intesi pronunciar vivamente questi accenti per me terribili, quantunque non ben compresi:
"No, cognato mio dilettissimo, no, miss Jenny non potrà acconsentirvi, ella non mi abbandonerà mai volontariamente."
Colpita da tali espressioni passai la notte nella più trista inquietudine. Agitata, fuori di me stessa, corsi la mattina seguente a gettarmi fra le braccia della Contessa:
"Eh parlate," le dissi piangendo "parlatemi liberamente; io deggio lasciarvi, lo so, non ne posso più dubitare, voi temete di dirmelo; una generosa compassione v'impedisce forse di annunziarmi il mio crudele destino. Deh! non mi celate di che si tratta, il mio cuore accostumato all'amarezza sosterrà con costanza ogni nuovo disastro; l'unica cosa che soffrir non potrebbe, sarebbe la certezza d'esservi importuna, di cagionarvi qualche pena o qualche imbarazzo."
Miledy mi strinse teneramente al seno, le di lei lacrime si meschiarono colle mie:
"Lasciarmi?" diss'ella. "Voi, mia cara amica, lasciarmi, mentre trovo in voi sola la mia consolazione? Come mai potete voi temere di divenire importuna in una casa dove siete amata teneramente? Che diverrebbe milord Arundel, se più non avesse il piacere di qui vedervi? Vi soffrirebbe il cuore di lasciarlo immerso nell'afflizione? Lo privereste dell'innocente satisfazione di vedervi...
"Io," dissi interrompendola "io, madama? Che posso io fare per lui?..."
"Tutto!" vivamente rispose "egli vi ama, egli vi adora, ecco il secreto; il timore ed il dolore me lo strappano dalle labbra, mi fanno trascurare le di lui preghiere, e tradire la di lui confidenza."
Non posso esprimere il movimento interno che mi cagionò questa inaspettata dichiarazione. Una palpitazione violenta commosse tutti miei sensi. Rivenuta qualche momento dopo in me stessa:
"Ah! come," esclamai piangendo "come potete voi asserire ch'io non deggio lasciarvi, se le vostre asserzioni medesime mi sforzano di staccarmi da questa casa? Le bontà di milord Arundel per la mia persona sono state sin ora generose e innocenti; ma lady Sofia può riacquistare il senno, come riacquistata ha la salute del corpo, e l'attaccamento di Milord per me macchierebbe il di lui onore, ed il mio."
"Non vi affliggete" riprese la Contessa "con tali immagini tristi, compatitemi, mal concepite. Dubitate voi della nobiltà del di lui e della purezza de' suoi pensieri? Potete voi concepire una idea sì contraria al carattere ed ai costumi dell'uomo il più saggio, il più circospetto del mondo? Compiangetelo piuttosto, e compiangete me stessa, che fui la causa innocente delle sue pene e de' suoi rammarichi. Milord vi ama, ma vi rispetta egualmente, saprà continuare ad amarvi senza speranza, e ci fareste un torto eccessivo se dubitaste di lui, se dubitaste di me."
Le parole di miledy d'Anglesey, il calore con cui pronunziate le aveva, la sincerità conosciuta del di lei cuore, le lagrime finalmente ch'ella trattener non poteva, commossero il mio cuore; condannai i miei vani timori, arrossii d'averli fatti conoscere.
"Disponete del mio destino," le dissi "guidate i miei passi; la mia viva riconoscenza vi assicura di un cuore rassegnato e sommesso; permettetemi, che in mezzo alle consolazioni che voi mi recate, vi faccia parte di un rammarico che mi molesta; voi lo condannerete, può essere, ma pazienza; come ho giurato a me stessa di niente celarvi, mi credo in debito di tutto comunicarvi. Milord mi ha colmata di benefizi e di doni; ho creduto poterli ricevere com’effetti di una liberalità eccitata dall'amicizia e dalla compassione; ma se l'autore di tali prodigalità non fu che l'amore...
"No, mia cara Jenny," disse interrompendomi la Contessa "no, voi non dovete niente all'amore. Le prime attenzioni di milord Arundel non ebbero per oggetto che il desio di sottrarvi dalle mani di un vil seduttore; se poi le vostre qualità hanno penetrato il di lui cuore, passò molto tempo prima ch'egli osasse di confessarlo a se medesimo. Le sollecitudini importune di Nevil diedero delle inquietudini al cuor di milord Arundel, e si accorse allora ch'egli vi amava. La speranza lusingò l'amor suo durante la malattia perigliosa di lady Arundel, e ricaduto nell'impossibilità apparente di possedervi, non fu più a tempo di scancellarvi dal di lui cuore; malgrado tutto ciò, la sua passione lo tormenta, ma non lo accieca; siate tranquilla, ritenete per vero, per infallibile, per immancabile, quanto a riguardo suo vi ho già detto."
"Non temete ch'io ne dubiti," le risposi "ne sono certa, certissima; sento rinascer nel mio cuore la gioia, e spero che la vostra non sarà minore della mia."
"Lo sarebbe senza dubbio, amica mia dilettissima," riprese la Contessa "se un avvenimento recente non venisse ad imbarazzarmi, e nuovi rammarichi non apportasse al cuore sensibile di mio cognato. Voi siete interessata in quel ch'io sono per dirvi, e vi conosco abbastanza per indovinare il partito che mi consigliereste di prendere.
Ma prima d'innoltrarmi, desidero che voi mi facciate una confidenza. Cara Miss, depositate i secreti del vostro cuore nel mio; parlatemi con quella vera amicizia ch'io ho sempre cercato di meritare da voi, e di cui sempre mi sono lusingata. Se milord Arundel divenisse padron di se stesso, se lady Sofia cedesse alfine alla violenza delle sue frequenti indisposizioni, avreste voi qualche ripugnanza di accettar la mano di mio cognato? Ricusereste voi di accordargli la vostra, e di rendere questo degno amico felice?"
"Renderlo felice?" replicai intenerita. "Milord Arundel... il generoso mio protettore... Ah lo volesse il cielo!"
Non osai continuare; un movimento ignoto mi fece abbassare gli occhi, sospirar, e nascondere il mio volto nel seno di Miledy.
"Ah! voi amate mio cognato," esclamò ella con trasporto di giubilo "si, voi lo amate, e vi è grande apparenza che voi non tarderete ad essere la di lui sposa. La povera lady Arundel fece una violente caduta, di cui le conseguenze annunziano il fine de' giorni suoi; mando tutti i giorni ad informarmi del di lei stato; ella sempre peggiora. Ho tenuta sin ora nascosta la di lei situazione a Milord, conoscendo la di lui sensibilità, ma ora che mi offrite per lui de' motivi di consolazione, posso incoraggiarmi ad istruirlo del pericolo imminente dell'infelice sua moglie, e non tarderò a farlo, sollecitata da quell'avvenimento di cui aveva cominciato parlarvi.
La novità di cui deggio istruirvi, v'interessa particolarmente. Miledy duchessa di Rutland...
Aprendosi in quell'istante la porta, entrò milord Arundel, si assise a canto di noi, e dopo aver fissato gli occhi sopra di me, volgendosi verso la Contessa:
"Ebbene," le disse "a che miss Jenny si determina ella?"
"Non l'ho ancora istruita," rispose Miledy "ho creduto doverla preparare ad ascoltarmi; spiacendomi di ritrovarmi nella dura necessità di parlare di milord Danby, ho voluto..."
"Di milord Danby?" interruppi violentemente "voi dovreste parlarmi di lui?"
"Non posso dispensarmi" riprese ella. "La duchessa di Rutland non vive più; ed era per dirvelo, quando il Conte è entrato. Milord Danby, erede universale de' di lei beni, vi offre di dividerli con voi, ei domanda la mano di miss Jenny, come un bene a lui appartenente; ma ascoltatelo egli stesso."
Così dicendo mostrò due lettere, e malgrado la mia resistenza, fui forzata di soffrir la lettura dell'una e dell'altra. Ecco la prima.
LETTERA DI MILORD CONTE DANBY
A MILORD CONTE D'ARUNDEL
La memoria dei giusti rimproveri che ho da voi meritati, Milord, dovrebbe farmi temere di non trovarvi ora favorevole a' miei disegni, ma parendomi di essere in grado attualmente di riparare i miei torti e di rendere giustizia al merto ed all'innocenza, sono certo della vostr'approvazione e della vostra amichevole interposizione; posso finalmente convincere miss Jenny che il solo amore mi rese colpevole, e rinnovare sotto de' più felici auspici i giuramenti che a lei mi legavano. Miss Jenny è sotto la protezion vostra, Milord. L'asilo che voi con bontà le avete accordato, fa ch'io la riguardi come una persona da voi dipendente e da miledy d'Anglesey; rivolgomi dunque ad entrambi per ottenere la di lei mano; degnatevi passarle la lettera che includo per lei nella vostra, ed aggiungere i vostri generosi uffizi alle mie ardenti preghiere. L'avvenimento che mi permette di assicurarla della costante mia tenerezza, estinguer dovrebbe il di lei odio inverso di me; parmi, anzi lo credo fermamente, che il sacrifizio de' suoi risentimenti sia necessario, se non per le ragioni dell'amicizia, per quelle almen dell'onore.
Ho domandato il mio ritorno assoluto alla Corte, o almeno un congedo di qualche mese. Al mio arrivo costì tutto sarà in pochi giorni disposto per la nostra unione, e sarò pienamente felice, se ricevendo dalla vostra mano una moglie adorata, posso lusingarmi di ritrovar in voi quell'amico tenero ed indulgente, che mi foste per lo passato.
P.S. Vi prego per tutto quello che vi è di più sacro, fate che miss Jenny mi risponda sollecitamente.
"Rispondergli!" esclamai "io rispondergli? Questo non sarà mai. Come! non mi avevate voi promesso, Miledy, non mi avevate voi assicurata, Milord, che sarei stata esente in questo sacro asilo dalle persecuzioni di quell'indegno impostore?"
"Durante la vita della duchessa di Rutland" disse il conte d'Arundel "mi son creduto in una spezie di obbligazione di sottrarvi alle ricerche di milord Danby, ma ora egli è libero, Miss; egli vi offre un cuore costante, un titolo onorevole, un risarcimento al vostro decoro, una compensazione alle vostre pene; poss'io oppormi alla giustizia ch'ei vi vuoi rendere, ed al desiderio ch'ei nutre di formare la sua e la vostra felicità. Il destino di milord Danby è nelle vostre mani; le disposizioni interne del vostro cuore devono decidere. Egli fu colpevole, è vero, ma quanto soffrì, quanto ebbe occasione di pentirsi! Ah, miss Jenny, mi fa pietà un uomo che vi ha amata anche senza speranza.
Queste espressioni nelle quali scoprivasi una passione che milord Arundel voleva nascondere, mi penetrarono vivamente, e trassermi dagli occhi delle lacrime di tenerezza. La Contessa non penetrò, come io penetrato aveva nel cuore di suo cognato.
"Perché questi pianti?" mi disse. "Non siete voi padrona della vostra volontà, delle vostre risoluzioni? Milord Danby non può condurvi ad onta vostra all'altare, non ha sopra di voi che quei diritti che voi vorrete accordargli. Niente può costringervi a leggere la lettera che vi scrive, se temete ch'ella v'intenerisca, rimandatela senz'aprirla."
"No," ripigliò Milord "questo procedere sarebbe duro e indecente. Non posso dal canto mio rifiutare a milord Danby il servigio che istantemente mi chiede, e ardisco esigere dalla compiacenza di miss Jenny ch'ella ascolti la lettura della di lui lettera, se non può determinarsi a leggerla ella stessa."
"Vediamo dunque" disse Miledy straziando il sigillo "com'egli crede giustificare una condotta sì bassa, e impegnare miss Jenny a perdonargliela." Eseguì il progetto, e lesse ad alta voce il foglio.
Alzai gli occhi, e scoprendo ne' suoi l'inquietudine e la confusione:
LETTERA DI MILORD DANBY A MISS JENNY DI SALISBURY
Osservai il silenzio penoso che mi avete imposto; l'osservai senza lagnarmi. Ho sofferto da voi lontano, ho rispettata la giusta vostra collera; ma ora che sono in grado di appropriarmi legittimamente un titolo di cui aveva abusato, mi sarà egli permesso disperare il vostro perdono? di farvi sovvenire di un infelice, che voi avete trattato con tanto disprezzo? Ah, rendetemi quella sposa vezzosa che non mi amava, e di cui la menoma compiacenza bastava per rendermi contento e felice.
Se tre anni di rimorsi di amarezze e di pene, se la privazione totale della vostra corrispondenza, se il rammarico atroce di vedervi preferire dei soccorsi stranieri a quelli di un amante sommesso non hanno bastevolmente espiata la mia colpa, continuate a punirmi, ma cessate di odiarmi, cessate di disprezzarmi. Acconsentite a ricevere la mia fede. Ah! Jenny, siate generosa, perdete la memoria del passato. È un cuore fedele, è un amante sincero, è uno sposo appassionato, che implora la pietà vostra. Ah! perdonatemi; tutto deve parlarvi in favor mio, il mio amore, la mia costanza, il mio fallo medesimo, se voi degnate esaminarne il principio. Ah, mia cara Jenny! Voi potete nel tempo medesimo scancellar la mia colpa, e rendermi perfettamente felice.
P.S. Affrettatevi di scrivermi, ve ne scongiuro. Grande Iddio! Con quale agitazione aspetterò la vostra risposta, qual dolce speranza... Avreste voi la crudeltà di distruggerla?
"Quest'uomo," disse la Contessa terminando di leggere "certamente nato sotto una costellazione maligna, i di cui influssi lo rendono degno di compassione, capace di nutrire per sì lungo tempo i medesimi desideri, come mai ha egli potuto sacrificare l'oggetto che li aveva fatti nascere?"
Io piangeva; il conte d'Arundel tenendomi per la mano:
"Che deggio pensare del vostro intenerimento, cara Miss?" mi disse "perdonate voi a milord Danby? Accettate voi le sue offerte? Gli scriverete voi? Quale risposta mi permettete ch'io gli faccia?"
"Che mi consigliereste voi di fare?" gli dissi.
"Dispensatemi di consigliarvi," rispose con un sospiro interrotto "non mi sento la libertà di spirito necessaria per pesare con equità i diritti di milord Danby."
"Ebbene, Milord" ripresi "ecco la mia decisione. Non vo' più vedere, né sentir parlare di milord Danby."
Nel pronunciar tali accenti vidi spargersi il sereno e la gioia sul volto di milord Arundel: prese una mano della Contessa, l'avvicinò alla mia, ch'egli teneva ancora fra le sue.
"Oh! donne amabili, donne per me preziose," diss'egli di un tuono intenerito "voi dunque vivrete insieme, avrò la consolazione di sempre vedervi unite; attendeva da miss Jenny questa nobile severità. No, l'uomo che ha potuto offendervi non è degno di possedervi. Compiango milord Danby, ma è giustamente punito, e avreste mostrato più di debolezza che di generosità, se perdonato gli aveste."
Accostandosi indi Milord ad una finestra, osservò nel cortile un servo di lady Sofia, lo chiamò, lo fece salire, s'informò dello stato dell'ammalata, e miledy d'Anglesey si trovò costretta a svelargli lo stato in cui da molti giorni ritrovavasi la di lui consorte. Milord la rimproverò dolcemente di averglielo celato, si scusò ella di una maniera che giustificava la di lei condotta, e gli presentò due lettere di madama Monfort: la prima conteneva l'avviso di un accidente da cui lady Arundel era stata attaccata, la seconda l'avvertiva che questa sventurata dama ad ogni momento lo domandava e desiderava vederlo. Milord intenerito:
"Sventurata Sofia!" replicò più volte "io non desidero la tua morte, il cielo mi è testimonio ch'io non la desidero; no, malgrado la situazione del mio cuore, le devo delle attenzioni. Cognata," ripigliò egli "parto in questo momento; la salverò se i soccorsi dell'arte e le mie cure ponno renderla alla vita"; e volgendosi a me, prendendo la mia mano e baciandola: "Ricevete i miei consigli, cara Miss;" mi disse "vi lascio penetrato di un sentimento di venerazione; figlia amabile," riprese egli di un tuono appassionato "possa questa mano essere un giorno il prezzo di una stima sincera, di un'amicizia viva e pura." Indi abbassando la voce: "Possa un amante felice" diss'egli "ottenerla dal vostro cuore, possa egli riconoscere il dono della vostra inclinazione." Sospirò, ed abbandonandosi con una spezie di confusione: "No," aggiunse egli "sarei troppo ardito se osassi formare dei desideri".
Miledy d'Anglesey correndo a lui, e abbracciandolo teneramente:
"Deh! perché, perché" gli disse "temete voi di formare dei desideri per la vostra felicità, per la mia, per quella di miss Jenny? Pensate voi ch'ella ignori i vostri sentimenti? Ah! ritornate libero, ed il suo cuore sarà d'accordo col vostro."
"Ella conosce i miei sentimenti!" riprese il Conte arrossendo. "Che? Miledy, avreste voi potuto tradirmi?... Ah! miss Jenny, che vi ha ella detto?"
"Niente" risposi "che vaglia ad aumentare la stima, l'amicizia, la riconoscenza ch'io deggio a milord Arundel. Le mie disavventure non mi hanno avvilita a segno di farmi diffidare di tutti, né a confondere dei caratteri opposti: molto meno a dubitare di un cuor generoso, e di un amico nobile e virtuoso. Lungi, lungi da me ogni ingiusta diffidenza, e se l'avvenimento risponde ai voti di Miledy, spero che un giorno..." non osai dir di più.
"Continuate, continuate!" esclamò il Conte, cadendo a' miei piedi "questo è il primo momento in cui il mio cuore s'apre dinanzi a voi... e sarà l'ultimo, se la mia posizione non cambia. Deh! miss Jenny, profittiamo di questo momento felice; non arrossite di quel candore, di quella nobile semplicità con cui parevate disposta a rispondermi; parlate, ditemi francamente; se posso offrirmi a voi, degnerete voi d'esser mia?"
"Sì, Milord," ripigliai senza esitare "sì, vi acconsentirò; ma ciò non basta: prometto, giuro a milord Arundel di conservare tutto il tempo della mia vita la memoria della sua generosa tenerezza, di riguardarmi come una moglie eletta dal suo cuore, e che se il cielo non mi destina all'onore di essere un giorno la di lui compagna, giammai la mia mano sarà di un altro; adempirò la mia promessa, i miei impegni; la mia condotta giustificherà la vostra stima, porterò la mia riconoscenza sino al sepolcro, e vi discenderò degna di voi."
Il Conte partì soddisfatto del mio cuore; ed il mio si ritrovò come in un nuovo mondo.
Partito appena milord Arundel, una nuova avventura venne ad alterare la tranquillità di miledy d'Anglesey, e la mia. Mi credo obbligata, madama, di mettervi a parte di quest'aneddoto, perché mi pare non indifferente al corso della storia della mia vita.
La duchessa di Surrey, avanzata in età, ma estremamente amabile, era legata moltissimo in amicizia con miledy d'Anglesey: si compiacque di chiamarla sua figlia, e la riprendeva sovente per la sua ostinazione a non volersi rimaritare; aveva ella un nipote, figliuolo di una di lei sorella, divenuto capo della famiglia per la morte di suo fratello maggiore. L'ottavo giorno dopo la partenza di milord Arundel, questo giovine, che fatto aveva il giro dell'Europa, ritornò in Londra. La Duchessa ne fece parte a miledy d'Anglesey, e lo condusse la stessa sera a farle una visita.
Milord Edmond era naturalmente serioso, e in quel momento pareva imbarazzato. La Contessa gli domandò qual era il paese ch'ei preferiva fra le varie regioni ch'egli aveva scorse, quali erano le meraviglie che più meritata avevano la sua attenzione. Egli fissati aveva gli occhi sopra di me; tardò a rispondere; la Contessa replicandogli la questione medesima:
"La mia patria" diss'egli "mi presenta degli oggetti sì degni della mia ammirazione, che hanno già scancellata l'impressione di tutti gli altri."
Un complimento che pareva suggerito dalla semplice politezza, che non mi era addirizzato particolarmente, non avrebbe dovuto riuscirmi né straordinario, né lusinghevole; ciò non ostante mi fece un'impressione sensibile, e credo che l'amor proprio me lo abbia reso più interessante.
Milord Arundel passava dei tristi giorni presso di lady Sofia, negl'intervalli in cui era meno agitata, ella teneva dei discorsi sensati; fissava gli occhi sopra Milord, lo prendeva per la mano, lo ringraziava delle sue attenzioni, della bontà che aveva per lei; lo supplicava di non lasciarla. Egli mi scriveva ogni giorno, ma senza impiegar alcun termine che oltrepassasse i limiti dell'amicizia. Mi fece parte che scritto aveva a milord Danby, e che gli pareva non esser questo determinato ad abbandonare le sue pretensioni, le sue speranze.
Miledy d'Anglesey rendeva a Milord un conto esatto di tutte le nostre azioni; si sforzava di divertirlo con dei racconti piacevoli, e, durante molti giorni, le feste che dava la Duchessa per celebrare il ritorno di suo nipote, fornivano il soggetto di una piacevole corrispondenza.
Milord Arundel conosceva a poco presso milord Edmond, ma non era istruito dell'attuale sua posizione né della necessità in cui era di dipendere da sua zia. L'estrema negligenza di suo fratello maggiore, la di lui malattia, la cattiva amministrazione di quelli che reggevano i di lui beni, avevano sbilanciati gli affari della famiglia. Milord Clare doveva, quando morì, più di quello ch'ei possedeva. Il cadetto fu in necessità di rinunziare la successione ai beni del primogenito. Erede unicamente del titolo, non gli restava che la speranza nei soccorsi della Duchessa sua zia, che lo amava teneramente. Infatti ella si incaricò intieramente dello stato e della fortuna di suo nipote; ma volontaria e capricciosa gl'imponeva delle leggi, alle quali era forzato di sottomettersi suo malgrado.
Di tutto ciò miledy d'Anglesey si compiaceva informare milord Arundel, ma dove ella si estese con più esattezza, e col brio naturale del suo spirito e della sua penna, fu nel dipingergli il carattere e i sentimenti di questo amabile viaggiatore.
Voi conoscete personalmente, madama, milord Edmond. La lettera ch'egli da qui vi ha scritta, può darvi un'idea del di lui spirito; io vi dirò qualche cosa della sua persona. Non vi è al mondo uomo più amabile e più interessante di lui; i suoi occhi neri e vivaci, i lineamenti regolari e delicati del di lui volto, prevengono al primo istante in di lui favore. Istruito nelle belle arti e nelle scienze cavalleresche, fa uso de' suoi talenti nelle società senz'affettazione, senza pedanteria, e sa rendersi grato alle persone anche le più difficili.
Niente deggio nascondervi, madama, e come voi dovete esser giudice delle mie azioni, mi credo obbligata di palesarvi una mia debolezza che mi farebbe arrossire, se non avessi sollecitato il rimedio per superarla.
Di tutti gli uomini che si presentarono alla mia vista, questi è il solo che avrebbe potuto toccarmi il cuore e soggiogare la mia indifferenza; ma troppo io doveva a miledy d'Anglesey, troppo caso faceva dell'onore, dell'amicizia, della riconoscenza, per lasciarmi acciecare da una inclinazione che mi parve sì dolce nel concepirla, e mi costò qualche lacrima nel soffocarla.
Contenta di me medesima, mi applaudiva di quando in quando del mio trionfo; persuasa che milord Edmond non fosse indifferente a riguardo mio, cercava di evitarlo quanto mi era possibile, ma cercava altresì di non meschiarmi e non interessarmi nel progetto di matrimonio fra lui e miledy d'Anglesey.
Una lettera di milord Arundel venne a turbare la mia tranquillità: eccone il contenuto.
LETTERA DI MILORD ARUNDEL A MISS JENNY
La fiducia che ho sempre avuta giustamente nel vostro spirito e nel vostro cuore, mi anima a parlarvi di un progetto formato da molto tempo fra la duchessa di Surrey e me. Voi potete, amabile amica, rendervi utile alle persone che sono in ciò interessate. Voi conoscete Milord Edmond, voi avete avuto il tempo di esaminarlo, e di giudicare delle di lui qualità e del di lui merito, lo credete voi degno di mia cognata? La vostra risposta deciderà della mia condotta presso miledy d'Anglesey.
Due sono i voti ch'io formo attualmente, vi ho parlato del primo, voi potete indovinare il secondo... compiangete lo stato di Sofia, ella è vicina al suo ultimo istante. La sua riconoscenza per i miei deboli ed inutili servigi mi lacera il cuore... Ma perché affliggervi con queste tristi particolarità? Addio. Pensate qualche volta ad un amico il di cui cuore vi è teneramente attaccato.
Confesso il vero, madama, questa scoperta non mi afflisse, ma mi sorprese; malgrado il sacrifizio ch'io fatto aveva della mia passione nascente, si trovò il mio amor proprio mortificato, sentendo ardere per miledy d'Anglesey il cuore di Edmond, ch'io credeva acceso unicamente per me; ma rivenuta ben presto in me stessa, vidi con satisfazione la mia presunzione punita, e non pensai che a rispondere a milord Arundel, rendendo giustizia alla verità ed all'amicizia.
Impiegai una parte della notte a formare un ritratto fedele di milord Edmond; non risparmiai gli elogi in di lui favore, assicurai milord Arundel che miglior partito non poteva scegliere per sua cognata, lo consigliai e giunsi fino a pregarlo di non tardar queste nozze. Terminai la lettera e l'inviai coraggiosamente a Milord.
Qualche giorno dopo entrò nella mia camera miledy d'Anglesey con aria più lieta che all'ordinario, invitandomi ad esserlo come lei, poiché il piacere ch'ella in quel momento provava, non proveniva che dalla gioia alla quale io doveva prepararmi; mi fece vedere un foglio scritto per ordine di milord Arundel, e da lui sottoscritto. Sofia aveva finito di penare e di vivere.
Sorpresa, commossa, non potei rispondere; delle lacrime involontariamente caddero da' miei occhi, lacrime eccitate, può essere, da' miei rimorsi, e interpretate da miledy d'Anglesey come un effetto naturale dell'umanità.
"Finalmente" riprese ella "vedrò mio cognato contento, vedrò voi felice. Vado immediatamente a raggiungere Milord. Non ho mai voluto presentarmi alla sventurata Sofia; mi sovveniva di averla oltraggiata, e non doveva espormi a provocare i suoi sentimenti; ma ora che ha cessato di vivere, non posso dispensarmi dall'obbligo in cui mi credo di cercar ogni via di consolare un uomo che in questi momenti deve essere afflitto. Quando avrà egli adempito ai funesti doveri dell'attaccamento e dell'uso, lo condurrò ai piedi della mia cara Jenny." Mi abbracciò nuovamente, e un momento dopo partì.
Alla nuova di questo avvenimento preveduto ed atteso da molto tempo, doveva sentir veramente nel seno mio quella gioia che miledy d'Anglesey mi annunziava: ma rimasta sola, e facendo tutte le riflessioni che potevano contribuire a farmi credere felice, non ne trovai pur una che valesse a scuotere la mia indifferenza. Temetti per qualche tempo che l'immagine di Edmond si nascondesse ancora in qualche angolo del mio cuore; mi concentrai in me stessa, rinnovellai le passate mie riflessioni; mi assicurava sempre più che il nuovo foco erasi estinto in me con quella stessa facilità colla quale si era acceso.
Da che procedeva dunque la mia freddezza all'avvicinamento di un uomo che mi adorava? Non tardai ad accorgermi di una verità che non avrei voluto scoprire: promesso aveva a Milord il mio cuore, la mia mano, promesso aveva di non essere che di lui: avvalorai le mie promesse col giuramento, ma non era che la riconoscenza che mi faceva agire e l'amore non aveva parte alcuna nel sacrifizio a cui m'impegnava. Studiava giorno e notte tutte le vie possibili per convertire la mia compiacenza in un tenero affetto, ma le passioni non si cambiano a volontà, ed il cuore dispone di noi assolutamente, e sovente a dispetto nostro.
La duchessa di Surrey mandò l'indomani a ricercar mie nuove. Mi hanno domandato da parte sua se la di lei visita mi sarebbe d'incomodo; non era possibile di rifiutare l'onore ch'ella destinava di farmi, e senza pena mi determinai a riceverla. Ella venne nel giorno medesimo; dopo i complimenti usitati, mi mostrò una lettera di milord Arundel: lessi l'approvazione ch'egli accordava alla ricerca di milord Edmond, vidi ch'egli si offeriva altresì di appoggiarlo alla corte con tutto il potere della di lui mediazione, e consigliava miledy Surrey di aprirsi meco sopra i di lui disegni, e d'impegnarmi a favorirli presso la contessa d'Anglesey.
"Io non avrei atteso il consiglio di milord Arundel" disse la Duchessa "per pregarvi di entrare nelle nostre viste, poiché tale era il mio disegno, e ve ne avrei da lungo tempo pregata, se una estrema delicatezza, o per meglio dire una fantasia di Edmond, non me lo avesse impedito. Trovo le sue idee romanzesche; sovente lo sgrido, ma lo amo, e forzata sono qualche volta di compiacerlo; ei non vuol niente dovere alle mediazioni de' suoi amici; desidera ottener la mano di miledy d'Anglesey da una tenera inclinazione, e si lusinga di farla nascere in lei col tempo. La sua ostinazione a non dichiarare i suoi sentimenti, a scongiurarmi di non pressar cos'alcuna, mi darebbe dell'inquietudine sopra le disposizioni del di lui cuore, se tutto non mi assicurasse ch'egli è appassionatamente innamorato; pare ch'egli non viva, ch'ei non respiri quando è lontano da miledy d'Anglesey; attende il momento di rivederla con impazienza, ma senza dubbio egli è poco contento de' suoi progressi sopra il di lei cuore, poiché da qualche giorno è divenuto serio e pensoso. Parlatemi sinceramente:" continuò ella "so che la vostra amica non vi nasconde i di lei pensieri: sembra a voi ch'ella miri Edmond con indifferenza? Credete voi ch'ella preferisca il piacere insipido di conservare la sua libertà?"
Compresi senza fatica, dal discorso della Duchessa, che milord Edmond era innamorato, m'accorsi sempre più ch'ei non lo era di miledy d'Anglesey, e temei di esserne io la cagione innocente; qualche risposta doveva rendere alla Duchessa: dissi che poche confidenze mi aveva fatte l'amica mia su l'articolo di cui si trattava; promisi d'internarmi nella scoperta ch'ella desiderava, e di contribuire alla riuscita di un progetto, che per tutti i titoli meritava attenzione.
La nostra conversazione insensibilmente cambiò d'oggetto, si parlò della morte di lady Sofia, della sensibilità di milord Arundel, e della libertà ch'egli aveva ricuperata.
La duchessa di Surrey, facendo gli elogi delle qualità di Milord, delle grazie naturali della sua persona, e della nobiltà dell'animo suo generoso, mi riguardava con tal finezza e con tal artifizio, che pareva indovinar volesse quel ch'io pensava riguardo alla persona di cui mi parlava; io l'ascoltava tacendo, e nulla potendo ella apprendere dal mio silenzio:
"In verità," diss'ella "non comprendo la vostra riserva, voi mostrate ascoltarmi con indifferenza; però la morte di lady Sofia non è un avvenimento in cui voi abbiate a prendere sì poca parte; e, se non m'inganno, la vezzosa amica di miledy d'Anglesey è destinata ad occupare uno de' posti più riguardevoli dell'Inghilterra. Onoratemi della vostra fiducia;" soggiunse ella stendendomi la mano di un'aria ridente "milord Arundel vi ama, lo so; siate sincera, confessate che voi pure l'amate."
Questa inaspettata questione m'interdì, m'inquietò: non osava rispondere, pensava che se miledy d'Anglesey le aveva fatta la confidenza, io non doveva smentirla; essa Duchessa parlava a caso, temeva di esporre il secreto di milord Arundel, avanti ch'egli stesso lo pubblicasse; risposi alfine, ma in una maniera sì poco intelligibile, che non so come il mio discorso avrebbe finito, se continuato lo avessi. Mentre io balbettando parlava, entrò nella camera un servo della Duchessa, ed annunziò che la carrozza di milord Edmond era alla porta, e ch'egli domandava la permission di salire. La Duchessa si alzò impetuosamente, ordinò al servo di prevenire Edmond ch'era sul punto di discendere, e che l'attendesse; io mi credetti in debito di rappresentarle che suo nipote prenderebbe in mala parte una spezie di ripulsa al suo desiderio; rispose ella con un sorriso affettato:
"No, Miss, l'ora è importuna, mio nipote è uno stordito"; e, senza dirmi addio partì nel momento stesso.
Le questioni che la Duchessa fatte mi aveva, mi diedero luogo a sospettare ch'ella penetrato avesse nel cuore di milord Edmond a riguardo mio, e ch'ella mi credesse disposta in di lui favore; e la guisa poco usitata e poco amichevole con cui mi lasciò, mi confermò d'avvantaggio nel mio sospetto, e credetti, non senza fondamento, ch'ella voluto avesse impedire una vista che le pareva essere pericolosa. Non potei condannare assolutamente i sospetti della Duchessa, poiché la condotta di milord Edmond doveva avergliene dati degli eccitamenti, ed io forse, io medesima poteva malgrado mio aver fatto scorgere l'interna passione che per qualche tempo dominata mi aveva. Spiacevami infinitamente non poter disingannarla riguardo al tempo passato, e mi proposi di darle tutte le prove convincenti della mia indifferenza, per l'avvenire.
Ritornò il giorno dopo miledy d'Anglesey, accompagnata da milord Arundel; al primo incontro, fissando questi gli occhi sopra di me, prendendo la mia mano e baciandola:
"Cara Miss," mi disse "mi è dunque permesso di rivedervi, di offrirvi un puro omaggio, e di abbandonarmi a tutti quei sentimenti che voi m'ispirate; niun ostacolo può ora impedirmi di parlarvi dell'amor mio sì lungamente combattuto; quanto mi è dolce potervelo ripetere, potervene assicurare, ma posso io esser certo che voi con bontà mi ascoltiate, che voi abbiate per me la stessa compiacenza ch'altre volte dimostrata mi avete? Ah cara Miss, la promessa che fatta mi avete, è stata l'unica mia consolazione nei tristi giorni delle mie afflizioni."
Intenerita da tali espressioni mi abbandonai intieramente al piacere di rivedere Milord, di assicurarlo dell'amor mio, e finii di perdere intieramente di vista quell'oggetto che presentavasi di quando in quando alla mia memoria.
Noi partimmo la sera stessa per Suttoncourt col disegno di colà trattenerci tutto quel tempo che la convenienza doveva frapporre fra la morte di miledy Arundel, e i secondi sponsali del di lei marito.
Milord non trascurò in questo tempo di parlare più di una volta a miledy d'Anglesey in favore di milord Edmond; le fece leggere alcune lettere della duchessa di Surrey, e mise in opera tutta la sua eloquenza e tutto il suo attaccamento per convincere sua cognata che il progetto le conveniva per tutti i titoli, e ch'egli sarebbe estremamente contento se effettuarlo vedesse; miledy d'Anglesey opponendo delle ragioni frivole, ma reiterate, faceva conoscere che non disprezzava Edmond, ma che non lo amava. Milord, meschiando gli scherzi ameni alle riflessioni seriose, sostenne che l'amore poteva succedere all'indifferenza, e la pregò di permettere a Edmond di vederla, e di renderle qualche attenzione. A ciò non si oppose, e promise riceverlo nella società, come un altro.
Milord Arundel, contento della di lei compiacenza, scrisse alla duchessa di Surrey; la invitava a venir a partecipare della nostra solitudine, e la pregava di condurre Edmond. L'indomani arrivarono tutti e due a Suttoncourt.
Non potei rivedere milord Edmond senza qualche leggera commozione; insensibilmente arrivai a sopportare la sua presenza con tranquillità; può essere che il cambiamento della di lui condotta verso di me mi abbia aiutata a sostenere le mie risoluzioni: la rimembranza della di lui prima amicizia mostrava essersi scancellata dalla di lui memoria, egli affettava una tal negligenza riguardo mio, che pareva eccitata più dal dispetto che dall'indifferenza, e avrei potuto crederla gelosia, se non fossi stata assicurata del di lui allontanamento verso di me; e non lasciava di darmi di quando in quando degli indizii evidenti che non mi aveva intieramente scordata; questi intervalli, che doveano riuscirmi aggradevoli, mi spaventavano piucché le apparenze della sua avversione; la piaga che fatta egli avea nel mio cuore risanata era, egli è vero, ma sentiva mio malgrado la cicatrice non del tutto rimarginata. Mi applicai con maggiore studio ad evitare il pericolo di riaprirla, e sostenni coraggiosamente l'interno combatttmento sino al fine della nostra villeggiatura.
Ritornai a Londra dopo un mese di assenza, ricevetti le congratulazioni de' miei amici per il felice nodo che unirmi doveva a milord Arundel; questo degno ammirabile cavaliere mi diede una novella prova della sua generosa attenzione. Sapeva egli ch'io teneva una giornaliera corrispondenza con mister Peters, verso del quale infinite erano le mie obbligazioni. Milord, credendo questo buon ecclesiastico meritevole di quella riconoscenza ch'io non era in grado di dimostrargli, gli faceva passar tutti gli anni una somma bastevole per il mantenimento di una famiglia modesta e ben governata, proponendosi di provvederlo alla prima occasione di un benefizio considerabile.
Venne egli da me una mattina, e trovandosi in caso d'eseguire il di lui progetto, mi pregò di scrivere a mister Peters di rinunziare la cura ch'ei governava, avendolo provveduto di un'altra con seicento sterline di rendita. Questa bontà, questa tenera ricordanza di un uomo, al quale mi sentiva veramente obbligata, mi penetrò di riconoscenza; mi affrettai ad annunziare questa notizia a mister Peters, e aspettava ad ogni momento il piacere di rivedere questo degno ministro, quando un ecclesiastico si presentò alla mia casa, ricusò di dire il suo nome, e domandò istantemente di parlarmi; persuasa che questi doveva essere mister Peters, ordinai di farlo entrare e corsi ad incontrarlo, ma una figura molto della sua differente si offrì a' miei sguardi, e riconobbi con sorpresa, nella persona che mi veniva presentata, mister Williams, il cappellano di milord Alderson. Raccapricciai alla vista di quest'uomo; essa mi ricordò il momento doloroso della mia partenza da Windsor, e non potendo indovinare il motivo che a me lo conduceva, lo pregai dirmi s'egli erasi congedato da milord Alderson, e s'io poteva lusingarmi d'essergli di qualche utilità.
"Permettetemi, Miss, di assicurarvi" diss'egli "che ho tuttavia l'onore di appartenere a milord Alderson, che sono stato scelto da lui per comunicarvi delle proposizioni onorifiche ed avvantaggiose."
"Milord Alderson" dissi sorpresa, maravigliata v’invia a comunicarmi delle proposizioni onorifiche ed avvantaggiose!"
"Sì, mia signora," ripres’egli "e mi ha ordinato per preliminare di quello che io sono per dirvi, di salutarvi per parte sua col nome di miss Salisbury.
"Salisbury!" esclamai, attonita di sentirlo pronunziar questo nome. "Confessa egli dunque, che scacciando dalla sua presenza una giovine sventurata, caricandola d'insulti e di disprezzi, ei maltrattava in essa la figlia di lady Sara Alderson? Come può egli presentemente..."
"Scordate, scordate i rigori di Milord;" soggiunse mister Williams "il cielo cambiò il di lui cuore, gl'ispirò il desiderio di vedervi, di riconoscervi per sua figliuola, di ricolmarvi di ricchezze, di onori. Ah! perdete la memoria di un tempo già lontano da noi, e non ponete degli ostacoli alla vostra felicità; voi non sapete qual destino brillante vi è preparato dalle attenzioni di milord Alderson."
"Il vano splendore delle grandezze" risposi "non m'interessa; e se l'ambizione m'interessasse, sarei attualmente nel caso di vedere tutti i miei desideri compiti senza le grazie e le beneficenze di Milord Alderson."
"Vi trovo ben cambiata, Miss," diss'egli "da quel ch'eravate un giorno. Mi sovviene che a Windsor voi amavate allora Milord, voi cercavate tutte le vie di piacergli, e di dargli tutte le più tenere dimostrazioni d'amore e di rispetto. Voi piangeste a canto di lui veggendolo nel suo letto da dolori oppresso; le di lui sofferenze penetravano il vostro cuore. Vi ha egli poi dispiaciuto, lo accordo, ma il suo ritorno verso di voi non può farvi perdere la memoria di quei momenti odiosi, che detesta ora egli stesso? Pensatevi bene, Milord è un padre che vi stende le braccia, e vuol meritare il vostro affetto e la vostra riconoscenza."
Io mi sentii commossa:
"Un padre?" replicai piangendo. "Ah! signore, quanto ho desiderato un padre! Quanto dolce mi sarebbe stato sentirmi stringere al seno da un padre tenero, da un padre amoroso."
"Ebbene, Miss, questa felicità vi attende:" disse mister Williams "seguitemi, e voi l'avrete al fin ritrovata."
"Io ricomparire innanzi milord Alderson?" replicai. "No, non ho coraggio di espormi. L'ho amato senza dubbio, rispettato ho in lui l'avolo mio materno; io lo serviva, desiderava ardentemente di divenirgli cara, il mio cuore era sempre pronto ad aprirsi innanzi di lui: perché? ah! perché il suo si chiuse alle mie preghiere? A quante disavventure mi espose la sua crudeltà? Quale lunga serie di disastri mi cagionò il suo abbandono? Ah mister Williams, quante lacrime ho io versate dopo la nostra separazione! Il tardo pentimento di milord Alderson non potrebbe mai scancellar dal mio cuore la memoria di quelle pene ch'ei mi ha fatte soffrire."
"Voi mi affliggete, Miss, voi m'imbarazzate;" riprese tristementete mister Williams "sperava riuscire con miglior fortuna nella commissione di cui era incaricato. Milord mi aveva data per voi una lettera, ma non doveva consegnarvela che dopo essermi assicurato delle disposizioni favorevoli del vostro cuore: Milord non vuol esporsi a un rifiuto, il suo amor proprio si crederebbe offeso. Avrò io la mortificazione di meco riportar questa lettera, e di veder rese inutili le mie doglianze? Soffrite, Miss, soffrite che vi preghi ancora una volta di meditar seriosamente sopra la scelta del vostro destino. Si sa che il conte di Arundel vi ama, che siete vicina a divenire sua sposa, ma ricevendo tutto da lui per un effetto d'amore, di compiacenza, e forse di compassione, dovrete sottomettervi a quelle leggi che sarà egli malgrado suo costretto d'imporvi. Paragonate questa condizione a quella di esser voi presentata all'altare da milord Alderson, avolo vostro materno, col nome di miss Salisbury, con una delle più ricche doti d'Inghilterra, e con tutti gli avvantaggi possibili di titoli illustri e di prerogative speziose. In nome del cielo, Miss, non vi determinate leggermente," continuò egli "ponderate maturamente i vostri veri interessi. Io non intraprenderò di giustificare il procedere di Milord; ei vi trattò aspramente, lo confesso; ma quando voi siete comparsa a Windsor, non avevate con voi persona che tutelar potesse le vostre pretese. Lidy, mistriss Hammon, non erano testimoni capaci di fare impressione sopra il di lui spirito.
Voi avete oggi in favor vostro un uomo ch'esige fede e rispetto; quest'uomo è stimabile per la nascita, per il grado e per la ricchezza; vi conosce, vi ama, vi desidera per isposa, si addirizza a vostro avolo per ottenervi, e combinandosi in voi le ricchezze dell'uno e dell'altro, voi sarete una delle più fortunate lady della Gran Bretagna."
Le parole di mister Williams cominciarono a intenerirmi; gli chiesi la lettera con animo di rispondere con quella sommissione ch'io doveva al padre della mia genitrice; apersi il foglio, e con estremo dolore lo trovai vergato di questi sensi per me orribili ed inaspettati.
LETTERA DI MILORD ALDERSON A MISS SALISBURY
Se miss Salisbury vuol trovare in me un padre, se ella desidera che la mia benedizione, la mia tenerezza ed i beni miei sieno il di lei patrimonio, ch'ella parta immediatamente dal luogo qualunque siasi dov'ella si trova, ch'ella seguiti mister Williams che ho incaricato di accompagnarla, ch'ella rinunzi per sempre a qualunque progetto, e non osi disponer di se stessa senza il mio consentimento.
Che Miss si sovvenga ch'ella deve la sua mano ed il suo cuore ad un uomo che può aver qualche torto verso di lei ma che ha espiate abbastanza le di lui colpe, e le ordino di rendere giustizia alla passione costante di milord Danby. Tutto mi è noto, approvo la condotta presente di questo Lord. L'onore di miss Jenny, il di lei avvantaggio e la mia volontà decidono in favore di questo matrimonio indispensabile. Se ella è disposta ad obbedirmi, io lo sono a riconoscere in lei la mia figliuola, e la mia erede.
Fui tentata di lacerar questa lettera in faccia di colui che me l'aveva recata; ma un momento di ragione mi fu mandato dal cielo in favore di milord Alderson, che doveva essere stato ingannato dal mio seduttore. Pregai il cappellano di non partire senza la risposta ch'io destinava di dargli; gli feci conoscere ch'io desiderava di restar sola, ed egli sortì contento di me.
Trovandomi in libertà di sfogare il mio sdegno contro il perturbatore della mia pace, aggiunsi alla lettera quegl'insulti di cui avrei voluto poter caricare sir James lui stesso.
Milord Arundel entrò nel mio gabinetto mentre io era immersa nelle mie agitazioni. La mia situazione gli diede dell'inquietudine; lo feci a parte del colloquio tenuto con il cappellano di milord Alderson; gli presentai la lettera, e gli feci comprendere che il nome di milord Danby era l'oggetto della mia indignazione e della mia collera. Il Conte lesse la lettera, sospirò leggendola; indi:
"Non posso condannare gli esperimenti di milord Danby;" diss'egli "essi tendono a ricuperare un bene prezioso, un bene la di cui perdita lo mette alla disperazione; egli è attualmente in Londra, e deve ritornar incessantemente a Vienna. Il motivo della sua venuta in Inghilterra fu senza dubbio per conciliarsi la benevolenza del vostro avolo. Ho penetrato ch'egli domandava alla corte il titolo di duca per milord Alderson, grazia che l'uomo ambizioso da molto tempo desiderava. Ricusando di riconoscere un padre in milord Alderson, voi distruggete l'ultima speranza di un amante. Compiango sir James:" egli riprese "fu amico mio, non lo è più al presente, non lo stimo, ma non lo odio; mi troverei più contento se la mia felicità non lo affliggesse. Egli crede che senza di me avrebbe toccato il vostro cuore con la sua perseveranza. Voi sapete, Miss, se ho mai cooperato a renderlo odioso. Come milord Danby potrebbe egli accusare un altro d'ispirarvi quel giusto risentimento che suscitò egli stesso nel vostro cuore?..."
L'arrivo della duchessa di Surrey fe' cessare il ragionamento di milord Arundel.
Otto giorni dopo partimmo tutti per Suttoncourt, ove dovevasi celebrare la doppia unione. Milord Edmond e Arundel davano colà a vicenda delle feste superbe. La gioia brillava sopra il volto delle persone invitate a godere de' nostri piaceri, ed io scancellato aveva dal mio cuore tutto ciò che poteva farmi risovvenire della mia passata tristezza. Determinata era ad abbandonarmi intieramente alla gioia; ma il destino, che cessato ancor non aveva di perseguitarmi, fece cambiare in un tratto l'apparato festoso in una scena lugubre.
Trovandomi in giardino, vidi appressarsi un uomo che, tirando in disparte milord Arundel, gli presentò una lettera; la lesse Milord non senza qualche leggera commozione; dopo letta, la lacerò destramente, ne gettò i pezzi in una peschiera; parlò piano al portator della lettera, e ritornò ad unirsi alla compagnia con un'aria d'indifferenza che mi parve affettata.
L'indomani alle ore otto della mattina Milord entrò nel mio appartamento; la di lui visita intempestiva mi sorprese, e giudicai che qualche cosa di straordinario doveva a me condurlo a quell'ora; non m'ingannai nella mia supposizione.
"Cara Jenny," diss'egli con una ilarità forzata "un affare di somma importanza mi chiama a Londra, deggio partire immediatamente; spero che domani ci rivedremo."
Gli feci conoscere l'inquietudine che doveva cagionarmi una partenza così precipitata.
"Siate tranquilla," mi disse "milord Edmond viene meco a Londra; egli è a parte della ragione che mi allontana da voi; vorrei comunicarvela, ma mi manca il tempo." Mi prese per la mano, la strinse teneramente, e sortì.
La compagnia con cui egli partiva, fece dileguar dal mio spirito ogni trista apprensione. Immaginai che andassero l'uno e l'altro per affari riguardanti il matrimonio di milord Alderson, non ritrovai di disgustoso per me in quel foglio che l'interesse che prendeva mio avolo in favore di milord Danby; tutto il resto della lettera era per me consolante e onorifico. Mi riconosceva egli per miss Salisbury, mi esibiva l'affetto suo, il nome di sua figlia, e l'eredità de' suoi beni. Senza il progetto di sposarmi a Danby, questa lettera mi presentava l'aspetto della maggior fortuna ch'io potessi desiderare; e senza essere ingrata a milord Arundel, poteva combinarsi l'affetto dell'uno colla benevolenza dell'altro.
Risolsi dunque di disingannar sollecitamente mio avolo della buona opinione ch'egli aveva del mio nemico. Passai parte del giorno e l'intiera notte ad epilogare la storia de' suoi tradimenti e delle mie sofferenze. Consegnai il piego accompagnato da una mia lettera a mister Williams, perché lo recasse a Milord suo padrone.
Eseguita la mia spedizione, riposai lo spazio di due ore in circa; pensai, risvegliandomi, che in quella mattina dovean ritornare i due amici da Londra, e sortii dal mio appartamento per trasportarmi a quello di miledy d'Anglesey, e concertar con essa, se ella lo credeva a proposito, che andassimo l'una e l'altra ad incontrarli con la carrozza: traversando il cortile, sentii un mormorio di voci confuse, e vidi un movimento straordinario nelle persone della bassa famiglia, che mi misero in qualche apprensione; incontrai nella galleria la duchessa di Surrey agitata e piangente; veggendomi ella diretta verso l'appartamento di mìledy d'Anglesey, mi prese per la mano, e mi condusse in un altro: là mi narrò confusamente che suo nipote era già ritornato, che milord Arundel si era battuto nel parco di Londra con milord Danby; che questi, scaricando il primo la sua pistola, ferito aveva milord Arundel, ma che questi, sostenendosi in piedi malgrado la sua ferita, tirò il suo colpo, e gettò morto a terra il suo avversario.
Confesso il vero, madama, questo ultimo annunzio mi fece scordare per un momento l'umanità; tutti altri che milord Danby avrebbe eccitato il mio cuore alla compassione, e mi avrebbe fatto versar delle lacrime. Piansi, è vero, ma più per il pericolo in cui veder mi pareva milord Arundel, che per la morte di un impostore che subita aveva la pena de' suoi delitti. Pensai nel medesimo tempo all'afflizione in cui doveva ritrovarsi miledy d'Anglesey, incerta dello stato di suo cognato. Voleva correre a consolarla, a meschiar le mie lacrime colle sue. La duchessa di Surrey mi assicurò che i miei passi sarebbero inutili; che Miledy si era rinchiusa nel suo gabinetto, che non vedeva, che non ascoltava nessuno, avendo rifiutato l'ingresso a milord Edmond, che aveva bastanti titoli per essere ricevuto. Malgrado le asserzioni della Duchessa, presi da lei congedo; entrai nell'anticamera delle donne di miledy d'Anglesey; mi fu detto da una di esse che la di lei porta era chiusa per tutti fuor che per me, e fui introdotta senza farmi annunziare. Istruita prima di me dell'avvenimento funesto fra i due rivali, non vi fu bisogno fra di noi di reciproche narrazioni. Ci abbandonammo entrambe al dolore che eccitava in noi l'interesse che ci legava a milord Arundel, e fra i timori e gli affanni cols'ella un istante per complimentarmi su la cessazione totale delle mie inquietudini riguardo a milord Danby; parlandomi, benché di volo, su questo articolo, non poteva dispensarmi di far comparire sul mio volto qualche segno di consolazione. L'amica mia se ne accorse; ma afflitta com'ella era, mi pregò di lasciarla sola per qualche istante, bisogno avendo di riposare.
A ciascun'ora del giorno e della notte si ricevevan nuove di milord Arundel; eran queste talora buone, ma più sovente tristi ed afflittive. Il colpo fatale aveva penetrato nel fianco sinistro, la palla non era sortita; far si doveva sopra di lui un'operazione pericolosa; finalmente, dopo sei giorni di spasimi e di angoscie, si seppe che milord Arundel cessato aveva di vivere.
È inutile ch'io vi dipinga, madama, la desolazione in cui tutti qui ci trovammo. Miledy d'Anglesey era fra gli altri sì afflitta e desolata che faceva temere della sua vita. La Duchessa e suo nipote non sapevano quale partito prendere, ed io dolente più per la perdita di un amico a cui tanto doveva, che per quella di uno sposo non scelto dal cuore, forza aveva bastante per consolare me stessa, e insinuar il coraggio e la rassegnazione negli altri.
Lo stesso giorno, verso il tramontar del sole, comparve a Suttoncourt milord Morgan, l'intimo amico di milord Arundel; era stato addirizzato dal defunto con una sua lettera a miledy d'Anglesey; non potendo questa riceverlo nello stato in cui si trovava, fece chiedere a me la permissione di vedermi. Le commissioni di cui doveva egli essere incaricato, mi fecero pensare che non mi conveniva di abboccarmi con esso lui prima di miledy d'Anglesey. Trovando egli ragionevole il mio rifiuto, andò a ricovrarsi nell'appartamento della duchessa di Surrey, ove passò la notte.
Miledy d'Anglesey, cedendo finalmente alle leggi della natura, si assopì verso l'aurora; risvegliatasi qualche ora dopo, e trovando l'eccesso del suo dolore calmato, si determinò ad occuparsi degli affari seriosi che ci riguardavano; interessata forse più per me che per lei medesima, fece ella sapere a milord Morgan che sarebbe stata in grado di riceverlo verso il mezzogiorno; mandò indi a pregare la duchessa di Surrey di passar da lei il più presto che le fosse possibile, e mi fece avvertire di andarvi io medesima, tosto che la Duchessa fosse di là sortita. Eseguii esattamente gli ordini dell'amica. La nostra conversazione consistette in lacrime ed in singulti per qualche tempo; calmatosi a poco a poco l'affanno che ci opprimeva egualmente, dissemi ch'ella attendeva fra pochi istanti milord Morgan, e che dovendosi trattare probabilmente delle ultime volontà di un amico che ci amava entrambe teneramente, la mia presenza doveva essere per tutti i titoli necessaria.
Voleva io sfogar il mio cuore in dimostrazioni di riconoscenza, di affetto; m'interruppe ella per informarmi del colloquio che avuto aveva colla duchessa di Surrey.
"Invitata da me questa dama," disse miledy d'Anglesey "comparve ella nella mia anticamera con suo nipote, mi fece chiedere la permissione d'introdurlo nel mio gabinetto. Le feci rispondere che non poteva riceverlo in quel momento, e che io la pregava di entrar sola, o di differire ad un altro tempo l'onore della di lei visita. Entrò sola la Duchessa, ma con aria che dimostrava di essere di me malcontenta; mi salutò gravemente, mi complimentò su la perdita ch'io fatta aveva; e mi chiese, senza sedersi, che cosa aveva da dirle. Finsi non accorgermi del cattivo umore in cui la vedeva, la pregai e ripregai di sedersi, e veggendola ostinata a restare in piedi: 'Ebbene,' le dissi 'per non tenervi lungamente in disagio, restringerò in pochi accenti quello ch'io sono forzata di dirvi. Milord Arundel non esiste più: miss Jenny ed io non sappiamo ancora il nostro destino, ma qualunque siasi, noi non possiamo nelle circostanze attuali convivere sotto il medesimo tetto con un giovane forastiere...' 'Come?'disse vivamente la duchessa. 'Milord Edmond non deve egli essere vostro sposo?' Quando lo sarà,' risposi 'queste difficoltà cesseranno.' 'E quando lo sarà egli?' replicò la duchessa. 'Non lo so:' dissi seriamente 'promisi a milord Arundel di sposarlo, non saprei mancare alla mia parola; ma come non si è fissato il tempo, conviene attendere...' 'Che' disse ella interrompendomi 'che l'inclinazione del vostro cuore succeda all'indifferenza? Vi ho capito:' soggiuns'ella 'mio nipote non è nel caso di mendicare un accasamento; partirà egli di qui ben presto, e vi solleverò dell'incomodo unitamente con lui.' Sortì bruscamente, ed ecco come finì la nostra conversazione.
Meravigliata di una novità sì strana ed inaspettata:
"Come?" dissi a Miledy "voi non amate dunque Edmond?"
"No," risposemi ella "non l'ho sofferto che per compiacenza, sperando poter convincer col tempo milord Arundel, che questo giovine da lui protetto non meritava il sacrifizio della mia libertà; le sue disattenzioni me lo provavano bastantemente: giudicai ch'egli avesse il cuor prevenuto...
"Aveva il cuor prevenuto?" dissi macchinalmente, e quasi senz'avvedermene.
"No," soggiunse l'amica "non posso dirlo assolutamente, ma aveva ragione di temerlo, ed ho creduto ben fatto di non tardare a rendergli la sua libertà per assicurarmi la mia."
L'agitazione del mio cuore aumentavasi ad ogn'istante: fortunatamente per me milord Morgan si fece annunziare; fu introdotto immediatamente, ed ebbi agio di nascondere que' movimenti ch'erano in me eccitati da' miei timori e da' miei rimorsi.
Milord Morgan veniva in qualità di esecutore testamentario a farci parte delle disposizioni fatte in favor nostro da milord Arundel. Il testamento era ancor sigillato, e non doveva aprirsi che a Londra; ma avendolo egli scritto di mano sua per commissione del testatore, ne aveva fatta memoria in un foglio a parte, ed erasi trasportato a Suttoncourt per istruirci del contenuto.
Una quantità di legati precedeva l’istituzione dell'erede. Milord Arundel non si era scordato di alcuno de' suoi congiunti, né de' suoi amici, né de' suoi servitori, e istituiva eredi universali di tutti i suoi beni mobili, stabili, ori, argenti e gioie miledy d'Anglesey sua cognata, e miss Jenny Glanville, l'amica del suo cuore, che doveva essere fra pochi giorni sua consorte. Pregava il testatore le due amiche e coeredi di amarsi sempre e di vivere insieme; e se mai ciò non potesse verificarsi, ordina egli che la sua eredità divisa sia per metà, e che ciascheduna delle coeredi goda liberamente della sua porzione, e possa a sua voglia disporne.
"No, non sarà mai vero" gridai "che io sia a parte di un bene che tutto dee appartenere a miledy d'Anglesey."
Voleva ella rispondere; milord Morgan interruppe il corso alle prove vicendevoli di nostra vera amicizia, consigliandoci di partir subito per la capitale. Miledy trovavasi imbarazzata, non sapendo quando la duchessa di Surrey e suo nipote sarebbero di partenza. Milord Morgan ci assicurò ch'erano già partiti, e che la Duchessa l'avea incaricato di farle di lei scuse e quelle di milord Edmond colle due dame, giudicando bene di non importunarle in tempo che occupar si dovevano in affari della più grande importanza.
Non tardammo noi pure ad allestirci per la nostra partenza. La carrozza di milord Morgan bisogno non aveva di alcuna restaurazione; ci servimmo di quella, partimmo dopo di aver pranzato, ed arrivammo la sera alla capitale.
Subito che la mia cameriera mi vide nel mio appartamento, mi presentò un foglio che per me confidato le aveva milord Edmond prima ch'egli da noi si allontanasse, non prevedendo forse le nostre mosse così vicine.
Il mio primo pensiere fu di non aprirlo senza prevenire l'amica, ma temendo che il giovine malcontento di lei non isfogasse meco la sua passione, o la sua collera, pensai meglio di assicurarmene, e bene mi avvisai ditale precauzione, poiché trovai inaspettatamente il foglio di queste righe vergato.
LETTERA DI MILORD EDMOND A MISS JENNY GLANVILLE
Il mio crudel destino mi costringe a partire senza il piacere di vedervi, spero che non sarete per me invisibile a Londra; spero che essendo voi libera, ed io padrone di me medesimo, potrò dirvi senza riguardi, e senza mistero, che vi ho amata dal primo giorno che vi ho veduta, e vi amerò sin ch'io vivo.
Qual sorpresa fu la mia! Madama, da quante differenti passioni fui agitata! Pensai subito a cautelarmi da quei pericoli ai quali poteva espormi la mia debolezza. Feci valere un leggero mal di capo, che realmente cagionato mi aveva il moto violento di una corsa forzata. Feci pregare miledy d'Anglesey di lasciarmi in riposo. Restai sola con Betzi, la più affidata delle mie serventi, e feci chiuder la porta del mio appartamento.
Aumenterei soverchiamente il volume della mia storia, se dipingere vi volessi, madama, quali e quanti furono in questa notte fatale i miei progetti, le mie risoluzioni, i miei pentimenti; talora lo spirito distruggeva i consigli dei cuore; il cuor talora resisteva all'insinuazion dello spirito. Tenera amante, e perfetta amica come io era, sentivami da tutte le parti combattuta, agitata e vicina a perire.
In vano mi suggeriva la passione che, avendo l'amica mia da sé allontanato un pretendente ch'ella non amava, passare io non poteva per sua rivale. La mia delicatezza mi fece sovvenire dei sospetti di miledy d'Anglesey, e temeva con ragione di esservi complicata.
Passò la notte, il nuovo sole mi ritrovò dove mi aveva lasciata; entrò Betzi nel mio gabinetto. Miledy d'Anglesey mandato aveva a domandare delle mie nuove; mi preveniva che le visite cominciavano a presentarsi alla porta, che ve ne dovevano essere di natura di non poter rifiutarsi, e mi pregava di non lasciarla sola nel suo appartamento, o di permetterle di condurre le amiche e le parenti nel mio. Mi costò de' sforzi mortali il condiscendere alle sue preghiere. Betzi m'ispirò quel coraggio di cui non mi credeva capace, e posta in pochi minuti in grado di potermi presentare decentemente, mi lasciai condurre in una sala ripiena di mondo che credeva piacermi, e mi annoiava eccessivamente.
Fu in questa notte memorabile, e per me gloriosa, che dopo aver lottato contro la più violenta passione, la superai finalmente. Considerai milord Edmond come un oggetto amabile per tutt'altri, e per me sola pericoloso. Non era questa la prima volta che io proposta mi era di scancellarlo dal cuore e dalla memoria; ma veggendo che questa inclinazione, concepita senza consiglio e senza prudenza nutrita, poteva farmi perdere tutto il merito delle mie sofferenze e della mia costanza, considerando ch'io poteva divenire un oggetto d'ingratitudine agli occhi della mia incomparabile amica, giurai a me stessa di soffrire, e morire vittima della virtù, dell'onore e della riconoscenza.
Tremava ancora sovvenendomi della passata mia debolezza, ma il cielo non tardò a mettere la mia costanza alla prova, e ad assicurarmi di una fermezza di cui non mi credeva ancora capace. Alle ore dieci venne Betzi ad annunziarmi l'arrivo in Londra di mister Williams con una lettera di milord Alderson. Disabbigliata com'era, non poteva riceverlo; lo feci pregar di rivenire più tardi, e che intanto si compiacesse di mandarmi il foglio; non tardai ad averlo nelle mie mani, lo apersi, e vi trovai con estrema sorpresa le note che seguono.
LETTERA DI MILORD ALDERSON A MISS JENNY SALISBURY
La vostra lettera mi ha colmato di orrore. Milord Danby è un traditore che ha abusato della vostra innocenza; se non avesse egli pagata la pena de' suoi delitti, l'avrei sagrificato io stesso alla vendetta vostra e alla mia. Eccovi liberata da un uomo che io credeva vostro amante, e non era che vostro persecutore.
Milord Arundel perì egualmente; lo compiango; non l'ho odiato, ma non lo amava. Voi siete ora isolata! Se volete ascoltarmi; se volete ubbidirmi; nulla manchera' alla vostra fortuna ed alla vostra felicità.
Milord Edmond vi ama, mi chiede il mio assenso, e la mia protezione, per possedervi promette egli di conformarsi alle leggi che io gli prescriverò; prenderà egli il mio nome, voi avrete l'intiera mia eredità, e miledy Alderson sara una delle più ricche dame di Londra. Se acconsentite, chiamatemi padre, se rifiutate, ogni corrispondenza cesserà fra di noi.
Grande Iddio! in quale imbarazzo mi sarei ritrovata, se questa lettera mi fosse stata un giorno prima recata! Calda ancora delle mie riflessioni e de' miei propositi, non tardai a rispondere all'avolo, che aveva sempre avuta la sfortuna di spiacermi. Feci noti gl'impegni di milord Edmond con miledy d'Anglesey, vi aggiunsi l'esatta narrazione degli obblighi miei verso quest'amica tenera, generosa, costante; lo ringraziai della buona disposizione in cui egli era di beneficarmi, e finiva assicurandolo ch'io non aveva bisogno d'altre ricchezze, e non mi restava a desiderare, per essere pienamente felice, che la benevolenza di un avolo che ho sempre rispettato ed amato.
Consegnata ho la mia lettera al cappellano, senza trattenermi seco in ragionamenti, e corsi lieta e contenta di me medesima a satisfare il cuore, che bisogno aveva di consolazione colla vista dell'amabile amica. Veggendomi ella entrare nel suo appartamento con una ilarità insolita, mi strinse teneramente fra le sue braccia, e dissemi che non le rimaneva, per essere pienamente contenta, che veder terminato fra noi l'affar della successione ai beni del nostro comune amico defunto, in esecuzione del di lui testamento; soggiunse che quest'oggetto l'occupava intieramente, ch'ella aveva già pensato alla scelta delle persone che potevano intraprendere una spezie di divisione che non poteva trovare dal canto nostro veruna difficoltà. Veggendo che la mia resistenza non faceva che inquietarla, cedetti finalmente al desio ch'ella aveva di divider meco i doni del testatore, a condizione però che i frutti unicamente dell'eredità sarebbero fra noi comuni; ma l'eredità resterebbe indivisa, e noi resteremmo inseparabili sino alla fine de' giorni nostri.
Mi abbracciò ancor più strettamente "Cara amica," gridando "questo era il progetto che aveva formato io stessa; si aumenta il piacer mio veggendomi da voi prevenuta. Tutto è finito, tutto è da questo momento terminato e concluso."
Sono ormai quattr'anni, madama, che questa unione, cominciata per amicizia e continuata e consolidata per contratto, non fa che aumentare di giorno in giorno la nostra comune felicità, ed evvi luogo a sperare che nulla potrà cambiarla o diminuirla, costanti essendo l'una e l'altra ad evitare ogni altro legame, contente estremamente del nostro.
Eccovi, madama, una narrazione completa e sincera delle peripezie da me incontrate, sofferte e superate. Non mi resta, per compiere la mia contentezza, che l'approvazione ch'io mi lusingo da voi ottenere alla mia condotta, e l'amichevole compatimento alle mie debolezze inseparabili dalla natura umana.
Fine della terza ed ultima parte
Thanks:-)
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