Avevo la percezione di un castello.
Non lo vedevo, ne avevo solo la percezione.
E giravo vorticosamente in tondo.
Giravo giravo e mi prudevano le ali e non avevo nessuna intenzione di planare anche se sentivo che qualcosa mi attirava verso il centro.
Il castello era su una collina (che era una perfetta mezza sfera) e aveva mura alte e merli e torrette.
Al centro stava il giardino.
Al centro del giardino il pozzo.
Al centro del pozzo un "buio". Un piccolo "buio" come l'occhio di un gufo.
A questo pensiero mi resi conto di cos'ero, o di cosa potevo essere.
Potevo essere un gufo.
L'idea non mi sorrise.
Cercai di ricordare tutto quello che avevo appreso sui gufi, ma tutto ciò che mi veniva alla mente era un gran senso di inutilità e di schifo.
-Chi ha detto che i gufi sono inutili??!-
Vicino a me ce n'era un altro.
Volava vicino, ma non m'ero accorto di lui finchè non aveva emesso quel suono, quel suono che interpretai come "Chi ha detto che i gufi sono inutili?"
Lo fissai di sottecchi.
Il fatto che fosse un gufo non mi assicurava certo che lo fossi anch'io. Perciò gli risposi.
-Stattene nel tuo brodo, fanfarone- pensai - Parli bene tu, che sei convinto di sapere chi sei. Io che convinto non sono non mi metto a sputare sentenze-
L'idea di sputare però mi divertiva.
Provai con successo.
Vidi (anzi percepii) che lo sputo scendeva-cadeva-crollava come un proiettile verso il basso (quell'enorme vuoto sotto di me) e il "plot" che mi parve di avvertire mi raccontò la fine della corsa.
Cerchi concentrici sul filo dell'acqua del pozzo.
Molto bene.
Avevo trovato un gioco divertente.
Improvvisamente scoppiò una bufera.
Pensai che fosse una bufera perchè me l'aspettavo (infondo ne avevo tanto sentito parlare e parlare non è come evocare?)
Riuscii a salvarmi, a non essere trascinato via perchè mi aggrappai disperatamente.
Non so a cosa mi aggrappai perchè per tutto il tempo tenni tutto chiuso (naso bocca occhi ed ogni orifizio mi fosse possibile).
Probabilmente mi aggrappai a quell'altro.
L'altro non disse nulla perciò non posso esserne sicuro.
Mi lasciò fare e non si lamentò anche se penso di essermi agitato parecchio (chi non lo farebbe in mezzo a una bufera?) e ad ogni modo quando finì lasciai la presa e mi ritrovai nella mia solita orbita, con la mia solita sensazione e il mio solito prurito.
Era tutto talmente "solito" che pareva non fosse accaduto niente.
Passò un po' di tempo.
Dopo mille anni o un secondo (in certi casi è difficoltoso quantizzare una fetta di tempo, forse anche perchè il tempo non è una torta e comunque non sono io ad avere il coltello dalla parte del manico), dicevo: dopo un po' di tempo mi svegliai in una stanza e uso il verbo "svegliare" perchè la sensazione che ne ebbi fu quella, e la stanza era ricoperta di specchi tranne una parete che aveva al centro un'apertura a metà tra soffitto e pavimento.
Naturalmente volai in quella direzione.
Passai l'apertura e mi trovai in un'altra stanza identica alla prima.
Passai oltre.
Ne trovai una terza, e una quarta, e una quinta.
Alla tredicesima mi fermai a riposare.
Tutti quegli specchi mi avevano frastornato.
C'era una poltrona e un tavolino con una rivista e un bicchiere.
Mi lasciai cadere sulla poltrona.
Lessi la rivista e bevvi il liquido rosso cercando di vincere il senso di nausea che mi aveva preso lo stomaco e la gola.
Il liquido sembrava sangue, ma mi dissetò.
Mi fece anche digerire perchè frizzava come moscato.
Pensai al prete che mi aveva battezzato e che non voleva che il mio nome fosse mio.
-Nome russo.Dove andremo a finire?-
Chissà cosa avrebbe detto adesso se avesse visto che ero un gufo.
Probabilmente avrebbe imputato il tutto a un'espediente politico.
Gettai la rivista e mi stirai sbadigliando. Il liquido mi aveva messo sonnolenza ma non volevo addormentarmi prima di aver raggiunto il mio scopo.
E il mio scopo si trovava in fondo al pozzo.
Questo lo avevo sempre saputo anche se avevo sempre preferito non pensarci.
Passai l'ultima apertura e per un lungo istante mi sembrò che qualcosa m'immobilizzasse.
Non c'erano più stanze.
Mi trovavo in un bosco.
Un bosco di candele (l'odore di cera fusa era insopportabile).
Poi venni come catapultato in un laghetto limpido al quale si dissetava un agnello bianco come il latte.
Uscii dal lago completamente asciutto ma sbattei ugualmente le ali.
Pensai all'istinto degli animali e lo paragonai con quello degli uomini.
L'agnello aveva un muso simpatico.
Mi portai alla sua destra e rimasi a osservarlo finchè voltò la testa di lato.
-Da quanto sei qui?- disse. O meglio mi parve.
Era così sciocca quella domanda.
Doveva saperlo che in realtà non ero mai andato via.
-Il pozzo è qui vicino- aggiunse, sorridendo.
Girai lo sguardo.
L'agnello doveva essere matto: non c'erano pozzi.
Annuii per farlo contento.
Poi per ingannare l'attesa bevvi dal laghetto un sorso d'acqua, quell'acqua profumata che non bagnava.
E allora capii.
Il pozzo non dovevo "vederlo" ma bastava che lo percepissi.
Aspettai con fiducia.
E infatti avvenne.
Mi prese un convulso di risa mentre l'agnello poggiava il muso sul mio ventre.
Certamente che il pozzo era lì.
Ero io.
Il pozzo è un racconto di Sergio Scorzillo
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