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martedì 18 gennaio 2011

L’importanza del portamento della testa nell’estasi dionisiaca

I flauti, i timpani o tamburelli, che accompagnano le danze delle menadi nelle Baccanti e nelle pitture vascolari greche erano per i Greci gli strumenti orgiastici per eccellenza e venivano usati in tutti i grandi culti danzanti, da quelli dell’asiatica Cibele, a quelli di Rea cretese, oltre a quello di Dioniso. Potevano provocare la pazzia, e in dosi omeopatiche potevano anche guarirla. Duemila anni dopo, nel 1518, quando i danzatori folli di San Vito attraversarono l’Alsazia ballando, una melodia analoga (tamburi e flauti) servì ancora una volta allo stesso duplice scopo: provocare la pazzia e guarirla: ci sono rimasti i verbali del Consiglio Municipale di Strasburgo che si occupò di questo argomento. Anche il portamento della testa delle Baccanti ha un ruolo importante nell’estasi dionisiaca. Le Baccanti vi insistono spesso (vv. 150, 241, 930); parimenti Cassandra, posseduta dal nume "agita le sue ciocche d’oro quando il dio infonde il vento prepotente della chiaroveggenza" (Ifigenia in Aulide, 758). Lo stesso tratto compare nella Lisistrata di Aristofane ("scuotendo i capelli come le baccanti", v. 1312) e torna costantemente descritto con minore vivacità negli autori più tardi: le menadi continuano ad "agitare il capo" in Catullo, in Ovidio, in Tacito (Cat., Attis, 23; Ov., Metam. 3, 726; Tac., Ann. 11, 31). Rivediamo la testa gettata all’indietro e il collo inclinato verso l’alto nelle antiche opere d’arte. Ma quel gesto non è una semplice convenzione della poesia e dell’arte greca; dovunque e in ogni tempo caratterizza questo tipo particolare di isterismo religioso. Ecco tre distinte descrizioni moderne: "il continuo scattare della testa all’indietro, che faceva attorcigliare i loro lunghi capelli neri rendeva ancor più selvaggio il loro aspetto" (Frazer, Golden Bough, V, I,19); "i loro lunghi capelli erano agitati dal rapido movimento in avanti o indietro della testa" (Frazer, op. cit., V, I,21); "la testa era agitata da destra a sinistra o gettata molto all’indietro, sopra la gola gonfia e sporgente" (P. Richer, Etudes cliniques sur la grande hystérie, 441). La prima citazione è presa dalla descrizione fatta da un missionario, di una danza di cannibali nella Colombia Britannica, terminata con lo smembramento e il pasto di un corpo umano; la seconda descrive la danza sacra dei divoratori di capre del Marocco; la terza è tolta dalla descrizione clinica di un medico francese a proposito di un caso di isterismo ossessivo. E questa non è l’unica analogia che collega questi vari tipi. Le danzatrici estatiche di Euripide "portavano fuoco sulla testa e non le scottava" (757). Altrove, i danzatori estatici fanno la stessa cosa. Nella Colombia Britannica ballano tenendo in mano carboni ardenti e ci giocano temerariamente e se li mettono persino in bocca; lo stesso fanno nel Siam, nell’Africa del Sud, a Sumatra ed in Siberia dichiarano di essere invulnerabili finché il dio resta dentro di loro, appunto come erano invulnerabili le danzatrici sul Citerone (Baccanti, 761). E i medici europei hanno trovato la spiegazione nelle loro cliniche: durante gli attacchi, le isteriche sono spesso analgesiche e ogni sensibilità al dolore è soppressa. Una relazione interessante sull’uso, al tempo stesso terapeutico di danza e musica estatiche (tromba, tamburo e cornamusa) in Abissinia, al principio del secolo scorso, si trova in "The Life and Adventures of Nathaniel Pearce, written by himself during a Residence in Abyssinia from the years 1810 to 1819", I, 290 e sgg., relazione che ha molti punti in comune con la descrizione di Euripide. Nel punto culminante della danza, la paziente "fuggì tanto rapidamente che il più veloce corridore non l’avrebbe raggiunta (Baccanti 748, 1090) e alla distanza di duecento metri circa, cadde all’improvviso come una fucilata" (Baccanti, 136). La moglie indigena del Pearce, contagiata dalla mania, ballava e saltava "più come un cervo che come un essere umano" (Baccanti 866 ss. e 166 ss.). E ancora "le ho viste, in questi accessi, ballare con una bottiglia di vino di granoturco sulla testa, senza che cadesse o si versasse il liquido, benché assumessero le posizioni più stravaganti" (Baccanti, 775 ss.; Nonno di Panopoli 45, 294 ss.). Questo genere di cose sono, senza dubbio, proprie di una società rimasta ad uno stadio di organizzazione che la Grecia del V secolo aveva già superato da molto tempo, ma la leggenda e il rituale possono averne conservato il ricordo, ed Euripide può averne fatta diretta osservazione in Macedonia. Un rito che almeno in parte è sopravvissuto e quello che anche ai nostri giorni si può osservare nelle pratiche delle maschere di Viza: "in generale, dice il Dawkins, qualunque oggetto lasciato incustodito può essere preso come pegno e dovrà poi essere riscattato; le Koritzia (in greco moderno "ragazze") in particolare, portano via in questo modo i bambini in fasce". Queste ragazze non sono forse le dirette discendenti delle menadi rapitrici di bambini delle Baccanti (v. 754) che compaiono anche in Nonno ed in pitture vascolari?



[E.R. Dodds, I Greci e l'irrazionale, La Nuova Italia, Firenze, 1987]

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