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domenica 6 febbraio 2011

Ad un calunniatore P. Volpini barnabita di Alessandro Manzoni


Quanto i colombi amici son del nibbio
tale di te son io
o tu che sotto l'indomabil adipe
nascondi un cor sì rio.
Se son con vani segni, e sol con l'opere
biasmo, ed onor si merca
a che ti val la venerata tunica
e la mistica cherca?
Già non cela la fetida libidine
che t'arde le midolle,
e il molto bromio, che indigesto e fumido
nelle vene ti bolle.
Costui, che il cielo irride e che degli uomini
fa così rio trastullo,
costui, cui tanta in cor siede superbia
è schiavo d'un fanciullo;
e la ragione infante, e gli anni teneri,
e l'innocenza abusa,
e o vergogna ... Ma i turpi fatti, e sordidi
taci pudica musa.
Ed il pudore esalta, e il cielo assedia
con bugiarde preghiere
novel tartuffo; or tene il formidabile
flagello di mogliere.
Gelata il nero cor gli rode invidia,
e per amor di cristo,
con l'empia lingua il buon morde e perseguita
e favorisce il tristo.
Ben chi nome ti diè mala nè pocula
conobbe tua natura,
verso i potenti mansueta e timida,
verso l'imbelli dura.
Ma vieni contro a me, versata adopera
la disfrenata froda
tendi le insidie, ed in tuo danno callida
vi lascierai la coda.
Con l'apollinea verga la pinguedine
ti scuoterai dal dosso,
e solcato dai colpi aspri e terribili
ne rimarrebbe l'osso.
E vedrà la temuta luce e l'aria
quel ch'era in pria sepulto,
e in che t'affidi o stolto, a me non celasi
quel che ene di più occulto.


scritto da Alessandro Manzoni nel 1801, all'età di 16 anni,
quando era studente del Collegio dei Nobili di Milano.

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