Quanto i colombi amici son del nibbio
tale di te son io
o tu che sotto l'indomabil adipe
nascondi un cor sì rio.
Se son con vani segni, e sol con l'opere
biasmo, ed onor si merca
a che ti val la venerata tunica
e la mistica cherca?
Già non cela la fetida libidine
che t'arde le midolle,
e il molto bromio, che indigesto e fumido
nelle vene ti bolle.
Costui, che il cielo irride e che degli uomini
fa così rio trastullo,
costui, cui tanta in cor siede superbia
è schiavo d'un fanciullo;
e la ragione infante, e gli anni teneri,
e l'innocenza abusa,
e o vergogna ... Ma i turpi fatti, e sordidi
taci pudica musa.
Ed il pudore esalta, e il cielo assedia
con bugiarde preghiere
novel tartuffo; or tene il formidabile
flagello di mogliere.
Gelata il nero cor gli rode invidia,
e per amor di cristo,
con l'empia lingua il buon morde e perseguita
e favorisce il tristo.
Ben chi nome ti diè mala nè pocula
conobbe tua natura,
verso i potenti mansueta e timida,
verso l'imbelli dura.
Ma vieni contro a me, versata adopera
la disfrenata froda
tendi le insidie, ed in tuo danno callida
vi lascierai la coda.
Con l'apollinea verga la pinguedine
ti scuoterai dal dosso,
e solcato dai colpi aspri e terribili
ne rimarrebbe l'osso.
E vedrà la temuta luce e l'aria
quel ch'era in pria sepulto,
e in che t'affidi o stolto, a me non celasi
quel che ene di più occulto.
scritto da Alessandro Manzoni nel 1801, all'età di 16 anni,
quando era studente del Collegio dei Nobili di Milano.
quando era studente del Collegio dei Nobili di Milano.
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