le prime cinque pagine del romanzo, per gentile concessione dell'editore Adelphi
A Windsor quella sera c’era il banchetto ufficiale,
e mentre il presidente francese si affiancava a
Sua Maestà la famiglia reale si schierò alle loro
spalle, e la processione si avviò lentamente verso
la sala Waterloo.
«Adesso che possiamo parlarle a quattrocchi,»
disse la regina sorridendo a destra e a sinistra
mentre avanzavano fra gli ospiti sfolgoranti « vorremmo
tanto chiederle la sua opinione sullo
scrittore Jean Genet ».
«Ah» disse il presidente. «Oui».
La Marsigliese e l’inno nazionale li costrinsero a
interrompersi, ma una volta seduti Sua Maestà riprese
da dove era rimasta.
«Omosessuale e avanzo di galera... ma era davvero
come l’hanno dipinto? E il suo talento» e
sollevò il cucchiaio da consommé «era davvero
così straordinario?».
Non essendo stato ragguagliato sul glabro drammaturgo e romanziere, il presidente si guardò attorno
stravolto in cerca del ministro della Cultura.
Ma costei era immersa in conversari con l’arcivescovo
di Canterbury.
«Jean Genet,» ripeté premurosa la regina «vous
le connaissez? ».
«Bien sûr » disse il presidente.
«Il nous intéresse » ribadì Sua Maestà.
«Vraiment? ».
Il presidente posò il cucchiaio. Lo attendeva
una lunga serata.
Fu tutta colpa dei cani. Di norma, dopo aver
scorrazzato in giardino salivano da veri snob i gradini
dell’ingresso principale, e generalmente li faceva
entrare un valletto in livrea.
E invece quel giorno, per qualche ragione, si
precipitarono di nuovo giù dai gradini, girarono
l’angolo e la regina li sentì abbaiare a squarciagola
in uno dei cortili.
La biblioteca circolante del distretto di Westminster,
un grande furgone come quelli dei traslochi,
era parcheggiata davanti alle cucine. Era
un’ala del palazzo che a Sua Maestà non era molto
familiare, e certo non aveva mai visto la biblioteca
parcheggiata lì, vicino ai bidoni della spazzatura,
e neppure l’avevano mai vista i cani, il che
spiegava tutto quel baccano; così la regina, non
essendo riuscita a zittirli, salì gli scalini del furgone
per andare a scusarsi.
L’autista, seduto di spalle, stava attaccando
un’etichetta su un libro, e sembrava che l’unico
frequentatore della biblioteca fosse un ragazzo
magrolino coi capelli rossi e un grembiule bianco, che leggeva rannicchiato nel passaggio. Poiché
nessuno dei due aveva notato la nuova arrivata,
lei tossicchiò e disse:
«Mi spiace per questo tremendo chiasso». Al
che l’autista si alzò di scatto e batté la testa contro
lo scaffale dei Dizionari, mentre il ragazzo balzò a
sua volta in piedi ribaltando Fotografia & Moda.
La regina si affacciò allo sportello. « Zitte, sciocche
creature» disse; una mossa mirata a dare all’autista-
bibliotecario il tempo di ricomporsi e al
ragazzo di raccogliere i libri, come puntualmente
accadde. Poi aggiunse:
«Non l’abbiamo mai vista da queste parti, signor...
».
«Hutchings, Maestà. Tutti i mercoledì, signora».
«Davvero? Ne eravamo all’oscuro. Viene da lontano?
».
«Solo da Westminster, Maestà».
«E lei...?» domandò rivolta al ragazzo.
«Norman, Maestà. Seakins».
«E dove lavora?».
«Nelle cucine, Maestà».
«Oh. Lei ha molto tempo per leggere?».
«Non proprio, Maestà».
«Nemmeno noi, sa. Anche se adesso che siamo
qui, immaginiamo sia il caso di prendere in prestito
un libro ».
Il signor Hutchings sorrise con aria premurosa.
«Ci saprebbe dare un consiglio? » disse la regina.
«Cosa le piace, Maestà?».
La regina esitò, perché a dire il vero non lo sapeva.
Non aveva mai avuto molto interesse per la
lettura. Leggeva, naturalmente, ma la passione
per i libri la lasciava agli altri. Era un hobby e lanatura del suo mandato non prevedeva hobby. Il
jogging, il giardinaggio, gli scacchi, l’alpinismo,
l’aeromodellismo, la decorazione delle torte...
No. Gli hobby implicavano predilezioni e le predilezioni
andavano evitate; prediligere significava
anche escludere. Quindi lei non prediligeva. Il
suo mandato le richiedeva di manifestare interesse,
non di provarlo. Inoltre, leggere non era agire,
e lei era una donna d’azione. Così perlustrò
con lo sguardo il furgone tappezzato di libri e
temporeggiò. «Occorre una tessera per prendere
libri in prestito? ».
«Non c’è problema» disse il signor Hutchings.
«Noi siamo in pensione» dichiarò la regina,
non sapendo bene se facesse differenza.
«Può prendere in prestito fino a sei libri, Maestà
».
«Sei? Oh, santo cielo!».
Intanto il ragazzo coi capelli rossi aveva fatto la
sua scelta e diede il libro al bibliotecario perché
timbrasse le schede all’interno. Sempre per prendere
tempo, la regina guardò il volume.
«Cos’ha scelto, signor Seakins?» aspettandosi,
be’, non sapeva cosa – ma non quello. «Oh. Cecil
Beaton. L’ha conosciuto?».
«No, Maestà».
«Già, certo, lei è troppo giovane. Veniva sempre
qui a fare foto. Un po’ prepotente. Si metta lì, si
metta là. Clic, clic. E adesso c’è un libro su di lui? ».
«Diversi, Maestà».
«Davvero? Si vede che prima o poi scrivono un
libro su tutti quanti ».
Lo sfogliò. «Ci sarà un mio ritratto da qualche
parte. Eccolo qui. Però lui non faceva solo il fotografo, disegnava anche scenografie. Oklahoma, cose
del genere».
«Penso che fosse My Fair Lady, Maestà».
«Ah sì?» disse la regina, poco avvezza a esser
contraddetta.
«Dove ha detto che lavora, lei?». Rimise il libro
nelle manone arrossate del ragazzo.
«Nelle cucine, Maestà».
La regina non aveva ancora risolto il suo problema;
andandosene a mani vuote, temeva di dare
al signor Hutchings l’impressione che la biblioteca
fosse in qualche modo carente. Poi, su uno
scaffale di volumi piuttosto consunti, vide un nome
che ricordava. «Ivy Compton-Burnett! Posso
leggere questo». Prese il libro e lo diede al bibliotecario
perché lo timbrasse.
«Che bellezza!». Prima di aprirlo lo tenne in
mano senza convinzione. «Oh. L’ultimo prestito
risale al 1989 ».
«Non è un’autrice popolare, Maestà».
«E come mai? L’ho nominata Dama».
Il signor Hutchings si trattenne dal dire che
non era necessariamente quella la via per arrivare
al cuore del pubblico.
La regina guardò la foto sulla quarta di copertina.
«Sì. Mi ricordo quella pettinatura, come la
crosta di una torta che le cingeva la testa ». Sorrise
e il signor Hutchings capì che la visita era terminata.
«Arrivederci».
Il bibliotecario chinò il capo come gli avevano
detto di fare nel caso si fosse presentata una simile
evenienza, e la regina si diresse verso il giardino
mentre i cani riprendevano ad abbaiare furiosamente....
Traduzione di Monica Pavani
A Windsor quella sera c’era il banchetto ufficiale,
e mentre il presidente francese si affiancava a
Sua Maestà la famiglia reale si schierò alle loro
spalle, e la processione si avviò lentamente verso
la sala Waterloo.
«Adesso che possiamo parlarle a quattrocchi,»
disse la regina sorridendo a destra e a sinistra
mentre avanzavano fra gli ospiti sfolgoranti « vorremmo
tanto chiederle la sua opinione sullo
scrittore Jean Genet ».
«Ah» disse il presidente. «Oui».
La Marsigliese e l’inno nazionale li costrinsero a
interrompersi, ma una volta seduti Sua Maestà riprese
da dove era rimasta.
«Omosessuale e avanzo di galera... ma era davvero
come l’hanno dipinto? E il suo talento» e
sollevò il cucchiaio da consommé «era davvero
così straordinario?».
Non essendo stato ragguagliato sul glabro drammaturgo e romanziere, il presidente si guardò attorno
stravolto in cerca del ministro della Cultura.
Ma costei era immersa in conversari con l’arcivescovo
di Canterbury.
«Jean Genet,» ripeté premurosa la regina «vous
le connaissez? ».
«Bien sûr » disse il presidente.
«Il nous intéresse » ribadì Sua Maestà.
«Vraiment? ».
Il presidente posò il cucchiaio. Lo attendeva
una lunga serata.
Fu tutta colpa dei cani. Di norma, dopo aver
scorrazzato in giardino salivano da veri snob i gradini
dell’ingresso principale, e generalmente li faceva
entrare un valletto in livrea.
E invece quel giorno, per qualche ragione, si
precipitarono di nuovo giù dai gradini, girarono
l’angolo e la regina li sentì abbaiare a squarciagola
in uno dei cortili.
La biblioteca circolante del distretto di Westminster,
un grande furgone come quelli dei traslochi,
era parcheggiata davanti alle cucine. Era
un’ala del palazzo che a Sua Maestà non era molto
familiare, e certo non aveva mai visto la biblioteca
parcheggiata lì, vicino ai bidoni della spazzatura,
e neppure l’avevano mai vista i cani, il che
spiegava tutto quel baccano; così la regina, non
essendo riuscita a zittirli, salì gli scalini del furgone
per andare a scusarsi.
L’autista, seduto di spalle, stava attaccando
un’etichetta su un libro, e sembrava che l’unico
frequentatore della biblioteca fosse un ragazzo
magrolino coi capelli rossi e un grembiule bianco, che leggeva rannicchiato nel passaggio. Poiché
nessuno dei due aveva notato la nuova arrivata,
lei tossicchiò e disse:
«Mi spiace per questo tremendo chiasso». Al
che l’autista si alzò di scatto e batté la testa contro
lo scaffale dei Dizionari, mentre il ragazzo balzò a
sua volta in piedi ribaltando Fotografia & Moda.
La regina si affacciò allo sportello. « Zitte, sciocche
creature» disse; una mossa mirata a dare all’autista-
bibliotecario il tempo di ricomporsi e al
ragazzo di raccogliere i libri, come puntualmente
accadde. Poi aggiunse:
«Non l’abbiamo mai vista da queste parti, signor...
».
«Hutchings, Maestà. Tutti i mercoledì, signora».
«Davvero? Ne eravamo all’oscuro. Viene da lontano?
».
«Solo da Westminster, Maestà».
«E lei...?» domandò rivolta al ragazzo.
«Norman, Maestà. Seakins».
«E dove lavora?».
«Nelle cucine, Maestà».
«Oh. Lei ha molto tempo per leggere?».
«Non proprio, Maestà».
«Nemmeno noi, sa. Anche se adesso che siamo
qui, immaginiamo sia il caso di prendere in prestito
un libro ».
Il signor Hutchings sorrise con aria premurosa.
«Ci saprebbe dare un consiglio? » disse la regina.
«Cosa le piace, Maestà?».
La regina esitò, perché a dire il vero non lo sapeva.
Non aveva mai avuto molto interesse per la
lettura. Leggeva, naturalmente, ma la passione
per i libri la lasciava agli altri. Era un hobby e lanatura del suo mandato non prevedeva hobby. Il
jogging, il giardinaggio, gli scacchi, l’alpinismo,
l’aeromodellismo, la decorazione delle torte...
No. Gli hobby implicavano predilezioni e le predilezioni
andavano evitate; prediligere significava
anche escludere. Quindi lei non prediligeva. Il
suo mandato le richiedeva di manifestare interesse,
non di provarlo. Inoltre, leggere non era agire,
e lei era una donna d’azione. Così perlustrò
con lo sguardo il furgone tappezzato di libri e
temporeggiò. «Occorre una tessera per prendere
libri in prestito? ».
«Non c’è problema» disse il signor Hutchings.
«Noi siamo in pensione» dichiarò la regina,
non sapendo bene se facesse differenza.
«Può prendere in prestito fino a sei libri, Maestà
».
«Sei? Oh, santo cielo!».
Intanto il ragazzo coi capelli rossi aveva fatto la
sua scelta e diede il libro al bibliotecario perché
timbrasse le schede all’interno. Sempre per prendere
tempo, la regina guardò il volume.
«Cos’ha scelto, signor Seakins?» aspettandosi,
be’, non sapeva cosa – ma non quello. «Oh. Cecil
Beaton. L’ha conosciuto?».
«No, Maestà».
«Già, certo, lei è troppo giovane. Veniva sempre
qui a fare foto. Un po’ prepotente. Si metta lì, si
metta là. Clic, clic. E adesso c’è un libro su di lui? ».
«Diversi, Maestà».
«Davvero? Si vede che prima o poi scrivono un
libro su tutti quanti ».
Lo sfogliò. «Ci sarà un mio ritratto da qualche
parte. Eccolo qui. Però lui non faceva solo il fotografo, disegnava anche scenografie. Oklahoma, cose
del genere».
«Penso che fosse My Fair Lady, Maestà».
«Ah sì?» disse la regina, poco avvezza a esser
contraddetta.
«Dove ha detto che lavora, lei?». Rimise il libro
nelle manone arrossate del ragazzo.
«Nelle cucine, Maestà».
La regina non aveva ancora risolto il suo problema;
andandosene a mani vuote, temeva di dare
al signor Hutchings l’impressione che la biblioteca
fosse in qualche modo carente. Poi, su uno
scaffale di volumi piuttosto consunti, vide un nome
che ricordava. «Ivy Compton-Burnett! Posso
leggere questo». Prese il libro e lo diede al bibliotecario
perché lo timbrasse.
«Che bellezza!». Prima di aprirlo lo tenne in
mano senza convinzione. «Oh. L’ultimo prestito
risale al 1989 ».
«Non è un’autrice popolare, Maestà».
«E come mai? L’ho nominata Dama».
Il signor Hutchings si trattenne dal dire che
non era necessariamente quella la via per arrivare
al cuore del pubblico.
La regina guardò la foto sulla quarta di copertina.
«Sì. Mi ricordo quella pettinatura, come la
crosta di una torta che le cingeva la testa ». Sorrise
e il signor Hutchings capì che la visita era terminata.
«Arrivederci».
Il bibliotecario chinò il capo come gli avevano
detto di fare nel caso si fosse presentata una simile
evenienza, e la regina si diresse verso il giardino
mentre i cani riprendevano ad abbaiare furiosamente....
Traduzione di Monica Pavani
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