di ITALO SVEVO
Fantasia in un atto
PERSONAGGI: CLELIA, IL MARITO, L'AMANTE
L'atto si svolge in un salotto finemente ammobiliato. Si vede però ch'è poco usato. Le sedie sono accumulate in un canto a destra dello spettatore. Nell'altro canto, pure fuori di posto, un sofà. Al proscenio a destra una poltrona club. Due porte: Una di fondo ed una a sinistra dello spettatore.
SCENA PRIMA
IL MARITO e L'AMANTE
Il marito e l'amante. Ambedue sui trent’anni circa e tutt'e due vestiti a lutto.
IL MARITO. La cena non era male.
L'AMANTE (poco d'accordo). Si mangia tuttavia.
IL MARITO. Anche le ore passate saranno per me indimenticabili. Ella non era con noi, ma la speranza di rivederla bastava a dar luce a quella solitudine. (Guarda l'orologio.) Ho mangiato un po' troppo presto e me ne risento. Mi pareva che mangiando presto facevo camminare piú celermente il tempo.
L'AMANTE (stringendosi nelle spalle). Come vivi nelle tue illusioni. Io, davvero, t'invidio.
IL MARITO. Illusioni? Sappi che io ho la certezza ch'essa verrà. Non ti raccontai ancora tutto. Dopo la lettura di quel libro, iersera subito, mi misi ad evocarla. Anelavo di rivederla. Le domandai un segno tangibile ch'essa mi stava accanto. La pregai: Toccami il braccio… qui, e designai esattamente il posto ove volevo ch'essa toccasse. Ebbene: Dopo pochi istanti d'intensa meditazione ricevetti proprio su quel punto un colpo che per poco non mi fece perdere l'equilibrio.
L'AMANTE. Si sente raccontare ogni giorno di casi d'illusioni simili.
IL MARITO. Illusioni? Guarda qui. (Denuda il braccio.) Vedi che botta? Ha tutti i colori dell'iride.
L'AMANTE. Sarai caduto, ti sarai fatto male su uno dei tuoi mobili mastodontici.
IL MARITO. Ma no! Ne sono certo!
L'AMANTE. E si limitò a darti quella legnata? Non arrivaste a parlarvi?
IL MARITO. Noi due siamo amici da tanti anni che voglio essere sincero con te. Io invocavo con tutta tranquillità lo spettro di mia moglie, ma è certo che il mio coraggio era dovuto alla convinzione di fare opera vana. Quando mi giunse quel messaggio anche troppo chiaro ch'essa sarebbe venuta… vuoi crederlo?… ebbi paura. (L'amante ride.) Non ridere te ne prego!
L'AMANTE (ridendo sgangheratamente). Scusa… solo un momento. E tua moglie… starebbe tranquilla nella tomba… ma tu la chiami… essa viene… e tu hai paura. Che idea si sarà fatta del tuo affetto. Ammettendo anche, per un istante, ch'essa fosse stata in procinto di venire, ora, offesa, non verrà piú.
IL MARITO. Io credo che i morti capiscano tutto. Da viva aveva anch'essa tanta paura degli spettri. Guarda! Ricordo persino che una volta scherzando le dissi che dopo morto sarei venuto a trovarla e ch'essa divenne subito pallida a quell'idea. Volle che sul serio le promettessi di lasciarla in pace quando fossi morto prima di lei. Dunque dinanzi a lei non ho da vergognarmi della mia paura. Mi perdonerà! (Guarda per la seconda volta l'orologio e lo ripone.) Io credo che se tu mi resti da canto io non avrò paura. Pensai a te perché per te era quasi una sorella.
L'AMANTE (con tristezza). Certo, certo! Io la consideravo quale una sorella. Purtroppo non so avere la fede che hai tu. I morti sono morti e dànno ancora meno peso a noi di quanto noi diamo loro.
IL MARITO. Non discutiamo ora che siamo in procinto di provare. Da te non domando altro che serietà. Hai capito bene le istruzioni? Di qui a dieci minuti siederemo ai due canti della stanza. Prenderemo ambedue una posizione comoda come se volessimo dormire e penseremo invece intensamente a lei. Le istruzioni dicono di non dirigerle alcun ordine. No! Penseremo, vivremo come se essa fosse qui. Io me la figurerò come se la tenessi qui sul mio cuore. Tu te la figurerai… (L'amante presta grande attenzione.) Anche tu te la figurerai fra le mie braccia.
L'AMANTE. Io non l'ho mai vista fra le tue braccia.
IL MARITO. Ebbene! Mi farai il piacere di pensarla cosí.
L'AMANTE. Non ti fa niente ch'io me la rappresenti come ero uso di vederla fra noi due quando ci offriva il caffè dopo pranzo? Mi sarebbe piú facile di pensare a lei cosí.
IL MARITO. No! La prova riuscirà piú facilmente evocandola col pensiero ad un istante piú serio della sua vita. Ricordi quando fui ammalato ed ella in tua presenza mi passava la mano sulla testa scottante?
L'AMANTE (commosso). Ricordo, ricordo quell'epoca. Tu eri esiliato in un letto. Ricordo, ricordo…
IL MARITO. Ebbene! Figuratela cosí accanto al mio letto di dolore.
L'AMANTE. Ti toccava la testa per vedere se avevi la febbre.
IL MARITO. Sí! Devi figurartela in quel momento tanto serio della sua vita. Puoi immaginare che in quel momento il suo cuore di moglie amante batteva all'idea di vedermi ammalare. Il suo spirito sarà potentemente evocato a quel ricordo.
L'AMANTE (un po' spazientito). Insomma farò in modo di pensarla in un momento serio della sua vita. Non in quello che dici tu perché ricordo ch'essa trovò fresca la tua testa e subito rise e ti derise.
IL MARITO. Dovresti, almeno, dirmi in quale posizione vuoi figurartela perché se tu non puoi aiutare il mio pensiero io possa almeno collaborare al tuo.
L'AMANTE (imbarazzato). E dev'essere una posizione seria? È una cosa difficile perché - a dire il vero - fino alle smorfie che le fece fare l'agonia, io la vidi sempre ridere e sorridere. Fu la gioia della tua vita e anche di tutti coloro che frequentavano questa casa. Però ciò ridonda a tutto tuo onore.
IL MARITO. Tu non la ricordi bene! Il suo fondo era sempre serio. La superficie soltanto rideva e sorrideva.
L'AMANTE. Ma perché discutere? Io sono qui per esserti utile. Dunque penserò tua moglie nel modo che vuoi, fra le tue braccia.
IL MARITO. Grazie! Cosí la prova non può fallire. Essa sa che dopo due mesi io sono ancora tutto col pensiero a lei. Sa che ogni giorno dopo Borsa vado al cimitero a salutarla.
L'AMANTE (con slancio). E non faresti meglio di accontentarti di quella pietra e non fare questa prova che mi pare persino offensiva per lei? (Disdegnato.) Io me ne vado.
IL MARITO (spaventato). Hai paura anche tu?
L'AMANTE. Paura? Un certo genere di paura l'ho ed è di apparire ridicolo.
IL MARITO. Tu vuoi ingannarmi! Hai paura! Vuoi sottrarti alla prova con miseri pretesti. Come potresti apparire ridicolo per avermi aiutato in una prova mia? Il ridicolo può colpire me soltanto.
L'AMANTE (scosso). È vero! Io non c'entro.
IL MARITO. Dunque resta! Se tu te ne vai io non resto qui solo. Vado a dormire in un albergo. Non saprei restare in una casa ove attesi uno spirito. E per colpa tua tutte le ansie che oggi soffersi sarebbero vane e dovrei domani ricominciare da capo.
L'AMANTE. Povero amico mio! Il dolore ti ha fatto dar di volta al cervello. Non ti accorgi da te che farnetichi?
IL MARITO. E sia! Farnetico! Ma tu mi devi tolleranza anche se farnetico. Me la devi. Finché in questa casa c'era la gioia tu ne eri partecipe. Io e lei, la povera Clelia, non avevamo l'occasione di un solo passatempo senza pensare a te. Talvolta essa mi diceva: Ma perché invitarlo? Non possiamo star soli una buona volta?
L'AMANTE (con stizza). Davvero diceva cosí?
IL MARITO (bonario). Non che ti volesse male, sai. Anzi, tutt'altro. Te lo assicuro. Ma un celibe come te non può sapere come si desideri talvolta fra marito e moglie restare soli. Capirai!
L'AMANTE. Io ho sempre sentito dire che il male del matrimonio è precisamente il contrario cioè che marito e moglie restino soli troppo spesso e troppo a lungo.
IL MARITO (amaramente). Troppo spesso e troppo a lungo!
L'AMANTE (commosso). Via, calmati!
IL MARITO (guarda l'orologio). Com'è lenta questa macchina. (Attaccandosi al braccio dell'amico.) E mi prometti di restar serio fino in ultimo? Se la cosa è fatta con serietà deve riuscire! Ho piacere che anche tu sia in lutto… Scusa! Un parente forse?
L'AMANTE. Sí! ma lontanissimo!
IL MARITO. T'ha lasciati dei denari?
L'AMANTE. Miserie!
IL MARITO (ritornando alla sua idea dominante). Dunque serietà? Me lo prometti?
L'AMANTE. Ma sí! Giacché lo vuoi! S'intende che lo faccio senza convinzione e solo per compiacerti. Di me, perciò, non si potrà mai ridere.
IL MARITO. Chi potrà riderne, chi ne saprà qualche cosa? Se essa non viene certo non ne parleremo con nessuno. E se essa viene… Ma che pensi? Ti pare ch'essa stessa si faccia beffe di noi?
L'AMANTE (seccato). Ma non dico questo! Se anche l'avessi creduta capace di farsi beffe di noi da viva… Che diamine! La morte rende serii!
IL MARITO (con stizza). Te lo ripeto! Tu non la conoscevi! Per convincerti quanto essa fosse in fondo seria, avresti dovuto conoscerla nei primi anni del nostro matrimonio. Era tanto giovine eppure era anche troppo seria. La mia posizione non era ancora bene stabilita. Avevo dei pensieri di cui la rendevo partecipe. Ebbi torto e me ne accorgo.
L'AMANTE. Perché vai a rammaricarti cosí? Sei stato un ottimo marito, tu! Vorrei poter dire altrettanto di me… se fossi stato sposato ed ora fossi vedovo.
IL MARITO. Quante eventualità!
L'AMANTE. Lo dico per rattristarmi e mettermi nello stato d'animo che occorre alla tua esperienza.
IL MARITO. Vi sei già! Io ti trovo serio, anzi triste! Quasi eccessivamente! Finirai coll'impressionarmi anche di piú!
L'AMANTE. Certo! Se io fossi vedovo, sono sicuro che dovrei avere dei rimorsi. Io le donne non le posso soffrire. Parlo naturalmente di quelle che conosco io. Quando le attendi non vengono mai e quando son venute non vanno mai via. Di' la verità! Con me puoi essere sincero! Mai ti avvenne di augurarti che tua moglie da una dolce forza imperiosa che non le torcesse un capello fosse trasportata lontano da te, per esempio sul Monte Bianco?
IL MARITO. Come sei crudele! Un simile augurio! Mai e poi mai!
L'AMANTE. Protesti cosí perché hai paura dello spettro di tua moglie.
IL MARITO. Te ne prego, non dire cosí. Giuro che non desiderai giammai che mia moglie si fosse allontanata da me!
L'AMANTE. Perciò sei fatto in modo diverso di me. È quello che sospettavo. Io, vedi, amo talvolta di avere la mia donna a cena. Ma averla ogni giorno con me, anche a pranzo…
IL MARITO. Tu, disgraziato, non hai conosciuto che certe donne!
L'AMANTE (pensieroso). Già, soltanto certe donne. Credo però che tutte per me somiglierebbero un poco. Non parlo naturalmente della povera signora Clelia, tua moglie.
IL MARITO (agitatissimo). Io ti leggo fino in fondo all'anima: eccettui Clelia perché hai paura del suo spettro.
L'AMANTE (rassegnato). Sí, solo per questo!
IL MARITO. E allora, se ambedue abbiamo paura, te ne prego, lasciami stare. Io credevo che tu fossi piú coraggioso!
L'AMANTE. Non credere ch'io abbia paura. Ora insisto io di fare quest'esperimento. Sto scrivendo qualche cosa per cui tale esperienza può essermi utile. Andiamo!
IL MARITO. Ma sarai coraggioso? Eventualmente mi difenderai?
L'AMANTE. Non t'ho assistito sempre quando ho potuto?
IL MARITO (dopo di aver guardato l'orologio). Ecco l'ora. Tu siederai su quella poltrona. Io mi sdraierò su quel sofà. (Si getta sul sofà in fondo alla scena; chiude gli occhi e resta immobile. Dopo qualche secondo apre le braccia.) Qui! Clelia!
L'AMANTE (resta lungamente a guardarlo sdegnoso. Poi si sdraia sulla poltrona. Dopo qualche tempo chiude anche lui gli occhi e mormora). Oh! Clelia!
IL MARITO (si erge spaventato). Chi ha parlato?
L'AMANTE (resta immobile a sognare mentre il marito in piedi resta a guardarlo. Quando il marito sta per avviarsi al suo sofà, l'amante spalancando le braccia grida). Ma insomma, Clelia, vieni, vieni!
IL MARITO (esterrefatto). Che dici?
L'AMANTE (ritorna in sé). Chi è?
IL MARITO. Tu sei pazzo!
L'AMANTE (totalmente rinvenuto). Che cosa ho detto?
IL MARITO (fuori di sé). Oh! Basta! Basta! L'esperimento è finito.
L'AMANTE. Ma vediamo! Saresti ora geloso di uno spettro e per di piú di uno spettro che non viene?
IL MARITO. Taci! Non parlarmene piú. Usciamo di qui?
L'AMANTE. Hai paura?
IL MARITO. No! No! Voglio dimenticare quello che ho udito. Mi fece troppo male! (Quasi piangendo.)
L'AMANTE (veramente accorato). Via! A quelle mie parole non devi dare un peso che non meritano. Evocavo! Evocavo con tanta… coscienziosità che alla fine mi parve di evocare per conto mio. Già, quando si chiama nel buio risponde chi c'è e talvolta chi non c'è. A me rispose una donna mia, ben mia e purtroppo non c'era neppure lei. Si chiama non Clelia, ma Clara. Se dissi il nome di tua moglie ciò avvenne perché nella mia incoscienza ero sempre accompagnato dal proposito di evocare per conto tuo.
IL MARITO. Non ti credo! (Poi, dopo una pausa.) Di' la verità: tu desideravi Clelia. Confessalo! Se l'hai già confessato.
L'AMANTE. Mi sembrerebbe di offenderti negandolo. Del resto io desidero molte donne, direi anzi quasi tutte. È il modo mio di odiarle perché me ne danno motivo. (Con esagerata umiltà.) Non ne vogliono sapere di me.
IL MARITO. Ora capisco l'invincibile avversione che Clelia aveva per te. Era inutile ch'io le parlassi delle tue buone qualità. Essa non ne voleva sapere di te. Sentiva il tuo turpe desiderio e ne era offesa. Non me lo disse mai, te lo assicuro! Ma ora intendo perché tanto fece per allontanarti da noi. Le facevi schifo!
L'AMANTE (offeso). Schifo? Via esageri un po'!
IL MARITO (sempre piú accanito). Sí! Schifo! Ed io, imbecille, che lottavo per toglierle un'avversione che ritenevo non fondata.
L'AMANTE (è in procinto di parlare, poi si pente e, piú calmo, dice). Già ai morti si possono attribuire gli odii e gli amori che si vogliono. Essi non ci sono e non possono protestare.
IL MARITO. Ma io posso darti le prove di quanto ti dico. Ho delle lettere di Clelia da cui trapela chiara la sua antipatia per te. Domani te le farò vedere.
L'AMANTE (beffardo). Puoi tenerle per te!
IL MARITO. Giacché non mi credi vado a prenderle subito. (Si avvia.)
SCENA SECONDA
Apparisce CLELIA e DETTI
Lampo di polvere di resina.
CLELIA (a voce alta). Vergognatevi!
IL MARITO. Che è ciò? Clelia! Lo spettro! Noi non ti chiamavamo piú! (Cerca di fuggire, arriva al sofà in fondo e vi cade svenuto.)
L'AMANTE. Non lasciarti truffare. È un trucco! Ma fatto tanto bene che non so adirarmene.
CLELIA. Ascoltami te ne prego. Egli è svenuto e vorrei parlare con te prima ch'egli rinvenga.
L'AMANTE (ridendo). Prendi la tua parte proprio sul serio! Anch'io, sai, non rido. Che tu sia o non sia Clelia… (L'attira affannosamente a sé. Poi, dolorosamente.) Aria… aria. Sola aria… vestita.
CLELIA (con tristezza). Si! Amavo tanto i vestiti ed ora non ho piú che quelli.
L'AMANTE (si riprende a stento. Rasserenato parla con maggiore freddezza). Povera Clelia! Sono però tanto lieto di rivederti. (Va per abbracciarla e si ricrede.) Chissà? Forse il fatto di averti rivista cosí basterà a darmi la quiete.
CLELIA. È perciò che sono venuta.
L'AMANTE. Già! Adesso appena so che quello che desideravo non esiste piú. Certo me ne deriverà la tranquillità. Eppoi… eppoi m'ha fatto piacere di rivederti. Perché fra noi due c'era anche l'amicizia. Una vera, grande amicizia. Mi fa piacere di ritrovarti in buona salute… se cosí si può dire. Se sapessi quale disastro è stata per me la tua morte! Addio casa, addio famiglia…
CLELIA. Famiglia altrui!
L'AMANTE. E corro le vie della città in cerca di un'idea, di un interesse…
CLELIA. Di una donna.
L'AMANTE. Non sei uno spettro tu? Non vedi nel mio cuore? E non sai perciò ch'io ancora oggi non penso che a te?
CLELIA. Lo sento, lo sento… poverino!
L'AMANTE (resta imbarazzato a guardare Clelia come se studiasse quello che potrebbe farne. Poi, con un sospiro va al marito). Che sia morto anche lui?! Sarebbe un'adunanza allegra.
CLELIA. No! No! È soltanto svenuto.
L'AMANTE (accanto al sofà). Un po' d'acqua lo farebbe rinvenire. Non vuoi parlare con lui?
CLELIA. Te ne prego, non litigare con mio manto ora che io non ci sono piú.
L'AMANTE (guardandola con curiosità). È per questo che sei venuta?
CLELIA. Sí! È per questo!
L'AMANTE. Non sono mica stato io ad iniziare il litigio. Lui che voleva farmi credere ch'io ti abbia ispirato schifo. È lui che devi tenere in riga.
CLELIA (con tristezza). Ambedue! Finché io ero viva la tua discrezione era tanto grande! Ricordi che ci fu un'epoca in cui io volevo dividermi da lui per restare sempre, sempre con te? Fosti tu che me ne dissuadesti.
L'AMANTE. Egli non sa quanto mi deve. Faglielo intendere tu perché non sia tanto pretensioso.
CLELIA. Sí! Voi uomini avete sempre diritto alla riconoscenza di tutti. Figurati che appena arrivata all'altro mondo trovai Augusto…
L'AMANTE (amareggiato). Ah! Sei con lui?
CLELIA (seccata). Uff! (Poi.) Voleva farmi credere che quell'altro mondo l'avesse riparato tutto lui da capo a fondo e che prima non ci si poteva stare.
L'AMANTE. E tu credesti a quel fatuo?
CLELIA. Ma se siete fatti tutti cosí voialtri uomini. Il mio paradiso l'hai fatto tu, l'ha fatto lui. E lui non sa che il suo paradiso caldo, comodo, sarebbe stato sufficiente a farmi morire di noia se non ci fossi stato tu. E tu non ricordi ch'eri fatto in modo che mi ricevevi come una dea e mi congedavi come una ancella.
L'AMANTE. Sí! Perché dicevi sempre delle cose che ripugnavano all'uno o all'altro dei miei delicatissimi sensi.
CLELIA. Sí! I tuoi sensi! Proprio quelli! Ma quando me ne andavo da te trovavo pure un po' di conforto nell'affetto calmo, uguale, benché un po' brontolone di mio marito. Egli non vedeva in me né la dea né l'ancella. Qualche volta penso che avrei fatto meglio di restare onesta.
L'AMANTE (gridando). Saresti morta lo stesso. La tua morte è stata la grande, la sola disgrazia. Si andava tanto bene innanzi…
CLELIA. Sarei morta, ma dopo morta sarei stata piú tranquilla. Ecco che se non accorro tu annebbi la mia dolce figura nell'animo di mio marito ed egli la guasta nel tuo. Ad una donna nelle mie condizioni non è dunque neppur permesso di morire?
L'AMANTE. Magari non lo fosse! Ed io serbo rancore a costui anche perché ti lasciò morire. Poteva stare piú attento. Tutti dicono che la tua morte sia stata provocata da un'infreddatura che ti fece prendere per avarizia. Non volle prendere una vettura dopo un ballo…
CLELIA. Non è vero! Lo giuro.
L'AMANTE. E allora non posso averla che con te perché sei morta. Potevi badare un po' meglio alla tua salute. Che cosa non ho fatto io per dimenticarti! E finora la sofferenza è sempre la stessa. Ricordi che ti dicevo di aver cominciato un romanzo, il mio capolavoro! Non sarà finito mai… se tu non ritorni tutta, intera.
CLELIA. Eppure il Petrarca divenne poeta piú alto ancora dopo la morte di Laura.
L'AMANTE. Io da buon letterato italiano non lessi mai il Petrarca, ma conoscevo il fatto. Sembra che per lui Laura fosse tutt'altra cosa. Di me so che sto per giornate intere dinanzi alle mie cartelle e fumo, fumo, fumo. Eppoi ho da sopportare quel tuo marito che crede d'essere stato il solo a perdere per la tua morte…
CLELIA. E che fa a te? Lasciagli quest'illusione.
L'AMANTE. Non posso! Non posso! È piú forte di me. Questa gelosia è ormai stupida. Ti mantiene ora lui, forse? Io lo evito! Perché mi ricerca? E finirò con lo scoppiare (Abbassa la voce perché gli pare che il marito si mova) e col raccontargli tutto. Ne avrò un grande alleggerimento, un'illusione che mi farà rivivere! Mi sembrerà d'essere stato scoperto in flagrante.
CLELIA. Non farlo! Te ne prego!
L'AMANTE. T'importa tanto? E allora dammi tu un'illusione maggiore. Come sei ritornata cosí in apparenza, (Supplice) ritorna intera. Dammi la vita e la quiete e la possibilità del lavoro. Scommetto che lo puoi… Fallo! Fallo!
CLELIA. Sei pazzo!
L'AMANTE. Non vuoi? E allora qui, in tua presenza, come rinviene, gli schiaffo tutta la verità in faccia.
CLELIA. Se si potesse, tu, volentieri, mi faresti uccidere.
L'AMANTE. Adesso ho due ragioni di rancore con te. La prima è che sei morta e la seconda che vieni a stuzzicarmi in tale stato.
CLELIA (accorata). Cosí non mi ti dimostrasti mai.
L'AMANTE (furente). Né tu a me.
CLELIA (dopo un istante di esitazione). Vorrei parlare con mio marito.
IL MARITO (rinvenendo). Dove sono?
CLELIA. Fra persone che ti amano.
L'AMANTE (ridendo rabbiosamente). Sí! Fra persone - se persone possono dirsi - che ti amano. Io vi lascio soli! Fra moglie e marito… (S'avvia.)
IL MARITO (rinvenendo del tutto). Te ne prego, amico mio, non lasciarmi solo. Me l'hai promesso!
L'AMANTE. Ma di che hai paura? Essa piuttosto passò un brutto quarto d'ora. Se morivi dallo spavento ritornavi sul serio con lei. Vuoi vedere come io tratti con questo spettro? (S'avvicina a Clelia, la prende per una mano e le dice a bassa voce.) Senti! Se vuoi rimettere la pace fra di noi, ritorna intera… col tuo cadavere. (Via.)
SCENA TERZA
IL MARITO e CLELIA
IL MARITO (tuttavia molto timido). Se sapessi quanto piacere m'ha fatto di rivederti dopo tanto tempo. Hai visto! È dal piacere che sono svenuto.
CLELIA. Sí! Poverino! Mi dispiace di averti fatto paura. Come sono fatte le cose umane. Chi t'avrebbe detto che avresti potuto aver paura di me?
IL MARITO (anche piú spaventato). Hai da lagnarti di me? Io t'ho trattata sempre col massimo riguardo. Ed ora non ho paura.
CLELIA. Tu m'hai trattata sempre benissimo e non avresti alcuna ragione di aver paura. Mi pare però che tuttavia tremi. Vuoi che me ne vada? lo non sono mica venuta per farti soffrire.
IL MARITO. Qui è molto oscuro. Ti darebbe fastidio se accendessi qualche altra fiamma?
CLELIA. Accomodati.
IL MARITO (eseguisce). Cosí tu non sei come quegli altri spiriti che spariscono alla luce? Ciò mi piace. Noi di famiglia siamo stati sempre sinceri e amanti della luce. Mi pare di sentirmi meglio. (Sempre balbettando dalla paura.) Anelavamo tanto di rivederci e… finalmente… ci rivediamo.
CLELIA (impaziente). Il tempo corre! Presto devo andarmene.
IL MARITO. Davvero sei finalmente occupata? (Clelia ride.) Ridi? Dunque non c'è da aver paura (Veramente rinfrancato.)
CLELIA (sorridendo). Mi ricorda il nostro primo incontro. Anche allora tremavi.
IL MARITO. Sí. Lo ricordo anch'io.
CLELIA. Poi ti rinfrancasti. In ultimo divenisti un po' imperioso. Parlasti anche di menagère cosí che quando te ne andasti dovetti ricorrere al vocabolario.
IL MARITO. Sai! Voialtre donne ci fate un po' di paura quando dobbiamo sposarvi. Con te non ci sarebbe stato bisogno di tante raccomandazioni, ma io allora non ti conoscevo.
CLELIA (guardandolo con curiosità). Curioso che dovetti morire per essere giudicata cosí da te.
IL MARITO. No! Io sempre pensai cosí di te. Se non te lo dissi è che speravo sempre di renderti migliore. Non si è mai contenti del bene e se tu non fossi morta tanto prematuramente chissà quanto buona saresti divenuta.
CLELIA. Pare insomma che dopo la mia morte tu hai fatto delle tristi esperienze.
IL MARITO (esitante). Già! (Lieve pausa.) Devo dirlo però. In complesso si spende meno. Molto, ma molto meno.
CLELIA. Stimo io. C’è anche una persona di meno.
IL MARITO. Magari si spendesse il doppio e tu fossi qui con me. Ma si spende tanto di meno come se dalla casa fossero sparite molte ma molte persone.
CLELIA. Eh! Via!
IL MARITO. Vuoi vedere i conti? Li ho chiusi iersera.
CLELIA. No! No! Grazie! Ma spendendo di meno starai anche peggio.
IL MARITO. Certo! Si mangia male! Si spende poco ed io tuttavia ho la convinzione di essere derubato. Non ci baderei se ti avessi accanto. Cosí, invece, m'adiro.
CLELIA. Vedi che non c'è modo di contentarti. Io sospetto che quella povera Giovanna che dirige la casa non sappia fare i conti e ti regali del suo. Quasi, quasi le apparirei per avvertirla.
IL MARITO (del tutto rinfrancato). Fammi il piacere di non ingerirti in cose che piú non ti riguardano.
CLELIA (offesa). Sto già ingerendomi di cose che piú non mi riguardano. (S'avvia.)
IL MARITO. No! Te ne prego Clelia. Perdonami. Non volevo offenderti. Sai, sono tuttavia agitato all'idea di parlare con uno spettro e forse perciò non uso le parole adatte.
CLELIA. M'indirizzasti una parola che mi ricordò molto il modo come venivo trattata quando ancora non ero uno spettro.
IL MARITO. Se sempre ti adorai!
CLELIA (rabbonita). Sí! sí! Le cose piccole sono dimenticate. In complesso quasi sempre ebbi tutto quello che volli.
IL MARITO. E i miei rari rifiuti erano fatti a fine di bene.
CLELIA. Non ne ebbi un grande vantaggio.
IL MARITO. Già, come tutte le donne, tu giudichi dal risultato. Ma figurati che, come sarebbe stato giusto perché sono piú vecchio di te, fossi morto io pel primo e ti avessi lasciata vedova! Non ti sarebbero state bene le mie lezioni di economia?
CLELIA. Erano alquanto rudi quelle lezioni.
IL MARITO (avvilito). Capisco che m'hai amato poco. Io, invece, vado ogni giorno al cimitero per ricordarti sempre, sempre.
CLELIA. Lo so! Sei molto gentile! Ma io come potrei dimostrarti il mio affetto? Potrei augurarti la morte per essere subito riunita a te!
IL MARITO (come respingendo uno scongiuro). No! No!
CLELIA. Vedi ch'è meglio io sia alquanto indifferente.
IL MARITO (ipocrita). Non è mica per me, sai! La vita di un uomo è molto piú importante che quella di una donna! Se io morissi ne risulterebbe la rovina di tutti coloro che vivono e lavorano intorno a me. Sarebbe un disastro, te l'assicuro. Un vero, un grande disastro che mi fa rabbrividire. Certo per me sarebbe un grande piacere di venire con te. Ma che ne direbbero gli altri? Tu non sai quale sviluppo abbiano preso i miei affari. Sono il maggiore importatore di caffè del Regno.
CLELIA. Guadagni molto?
IL MARITO (con importanza). In questa città vi sono pochissime case che facciano dei bilanci come il mio. Naturalmente… acqua in bocca. L'agente delle imposte non ne sa nulla.
CLELIA. Ed io ne so solo ora che sono morta. Quando morii la mia anima correva traverso lo spazio e m'imbattei nei pensieri che tu avesti nei pochi giorni in cui durò la mia malattia.
IL MARITO. Come? I miei pensieri giacciono cosí aperti nello spazio? Quale indiscrezione!
CLELIA. Sí! Ma non temere! Nessuno li guarda e, inosservati, poi dileguano. Il dottore ti aveva detto: Pericolo non credo ci sia, ma ne avremo per alcuni mesi. Sarà un affare lunghissimo. Tu subito pensasti: La piccola bestiola… (Il marito protesta.) Proprio cosí: La piccola bestiola ammalata per tanto tempo! Vorrà avere ogni giorno un letto nuovo e quello alla ultima moda.
IL MARITO. Non essere ingiusta, Clelia. Non ricordi come poi ti ho assistita?
CLELIA. Sí! Anche quell'asino di dottore quando ritornò dovette accorgersi che il cuore della bestiola era troppo debole e non poteva reggere a tanto affanno. Te lo disse ed è vero che allora avresti pagati diversi letti pur di non perdermi.
IL MARITO. E trovasti nello spazio anche tutta la mia disperazione.
CLELIA. Sí! La via ne era addirittura ingombra.
IL MARITO. E posso credere che almeno in vita m'amavi o almeno amavi solo me.
CLELIA. Che vuoi dire?
IL MARITO (scandendo le sillabe). Sai, dalla tua morte mi derivarono due dolori: Il mio e quello di quel mio grande amico.
CLELIA. M'hai chiamata qui per offendermi?
IL MARITO. Quell'uomo lí ha un contegno stranissimo. Sembrerebbe che la moglie l'abbia perduta lui. T'invocava con le braccia aperte come s'invoca una moglie o una amante.
CLELIA. Io non lo sentii. Accorsi solo alla tua chiamata. Rimasi stupita di trovarlo qui.
IL MARITO. Queste sue manifestazioni mi stupirono. Pareva che tu non lo avessi amato molto. Dicevi che ti faceva schifo.
CLELIA. È vero! Me ne pento, però! Il poverino ch'era tanto affezionato a noi due si sarebbe meritato un trattamento migliore da parte mia.
IL MARITO. E perché mette ora il lutto? Dice ch'è per quel suo lontano parente. Dove s'è visto piangere cosí un lontano parente che gli lasciò pochissimi denari? Chissà se poi questo lontano parente sia mai esistito!
CLELIA. Di questo puoi essere sicuro. Lo vidi io… dall'altra parte.
IL MARITO. M'aveva inquietato anche il fatto che dacché tu sei morta, egli che m'aveva dimostrato tanto attaccamento finché c'eri tu, bruscamente non si fece piú vivo. Dovetti pregarlo per farlo intervenire a questa seduta spiritistica e ci venne a malincuore.
CLELIA. Si capisce che in questa casa tenuta con tanta economia nessuno venga volentieri. Dovresti sposarti e vedresti come ritornerebbe a te. Mi duole di vederti in lizza col tuo miglior amico. Quello che al di là non si perdona è di seminare zizzania. Ecco che senza mia colpa voi litigate causa mia e di ciò mi si serba rancore.
IL MARITO. Davvero? Io non lo sapevo. Se avessi saputo che i miei litigi ti danneggiavano io mai avrei litigato. Povera bestiola mia! Causa mia non avrai da soffrire mai piú. Io corro ad abbracciarlo.
CLELIA (tendendogli la mano). Addio! Io me ne vado.
IL MARITO. Un momento, te ne prego; un solo momento. Adesso che a te mi sono abituato… Che cosa fai tutto il santo giorno? Adesso non hai piú né pelle né unghie da nettare. Dici che sei occupata. Dirigi il mondo, tu?
CLELIA. Io guardo!
IL MARITO. E guardando tu vedi tutto, tutto?
CLELIA (con tristezza). Molto, molto!
IL MARITO. Senti, Clelia. Hai visto con quale prontezza io mi sia deciso di accondiscendere alla tua domanda e di fare la pace con quel mio grande amico perché tu non ne abbia danno. Non mi costa mica poco! È uno sforzo che non posso fare che per amore tuo. Non ti pare che io meriti un premio?
CLELIA. Certo! Di tempo in tempo verrò a trovarti.
IL MARITO. Grazie! Mille grazie! Ma giusto oggi mi sarebbe di un'utilità enorme un'altra cosa. A te non costerebbe nulla mentre a me potrebbe mutare addirittura la vita. Sai se avremo a subire un ulteriore aumento del caffè?
CLELIA. Aumento? Ce n'è già piú di prima?
IL MARITO (iroso). Neppure dopo morta non capisci niente di affari? Sei davvero un bello spettro tu! Lascia che ti spieghi e poi ti sarà facile di prendere delle informazioni. Devi sapere che la valorizzazione del caffè dipende esclusivamente…
CLELIA (dolcemente). Lasciami andare!
IL MARITO. Ma sei testarda! Cerca d'intendermi. Hai conservato quel caratteraccio che finché fosti viva formò la mia infelicità. Il prezzo del caffè è un fatto che dipende dal valore di pochi… (A Clelia che s'avvia.) Stammi a sentire! Da te dipende ora la fortuna di tutta la nostra famiglia.
CLELIA. Famiglia costituita da un individuo solo!
IL MARITO. E non mi consigliasti tu stessa di prendere moglie? (Clelia esce ridendo clamorosamente; il suo riso echeggia lungamente e sparisce per la lontananza.)
SCENA QUARTA
IL MARITO e L'AMANTE
IL MARITO (dopo un'esitazione si rimette e va ad aprire la porta di fondo). Sei stato a sentire?
L'AMANTE (triste). No! Me ne sarei andato se, per uscire, non avessi dovuto passare per di qua e disturbarvi.
IL MARITO. Io le domandai un piacere semplicissimo. Me lo rifiutò e se ne andò ridendosi di me. Queste sono le mogli del giorno d'oggi.
L'AMANTE. Le domandasti il prezzo di domani del caffè?
IL MARITO. Come lo sai?
L'AMANTE. Me lo immagino. Anch'io la pregai d'un piacere.
IL MARITO. D'affari?
L'AMANTE. No! D'arte, naturalmente.
IL MARITO. Rifiutò? Rifiutò persino consigli che non hanno importanza? Che caratteraccio! Sai che se noi lo vogliamo possiamo costringerla di fare il nostro volere? Mi disse che le premeva enormemente che noi due si andasse d'accordo. Io sospetto sia accorsa solo per metter pace fra noi. Pare non si perdoni a chi ha provocati litigi. Pigliamola per quella parte. Facciamola soffrire. Dovrà pur finire col venire e fare il nostro volere.
L'AMANTE (ammirato). Come siete intraprendenti voialtri commercianti! Che vuoi fare?
IL MARITO. Siamo subito decisi. Picchiamoci!
L'AMANTE. Se non vuoi altro. (Si prendono a pugni.)
IL MARITO. Ahi! Tu picchi sodo! (In lontananza si sente echeggiare il riso dello spettro.) Malvagia creatura! Mi deridi dopo quello che ho fatto per te. Ma io in cimitero non ci vado piú!
CALA LA TELA
Fantasia in un atto
PERSONAGGI: CLELIA, IL MARITO, L'AMANTE
L'atto si svolge in un salotto finemente ammobiliato. Si vede però ch'è poco usato. Le sedie sono accumulate in un canto a destra dello spettatore. Nell'altro canto, pure fuori di posto, un sofà. Al proscenio a destra una poltrona club. Due porte: Una di fondo ed una a sinistra dello spettatore.
SCENA PRIMA
IL MARITO e L'AMANTE
Il marito e l'amante. Ambedue sui trent’anni circa e tutt'e due vestiti a lutto.
IL MARITO. La cena non era male.
L'AMANTE (poco d'accordo). Si mangia tuttavia.
IL MARITO. Anche le ore passate saranno per me indimenticabili. Ella non era con noi, ma la speranza di rivederla bastava a dar luce a quella solitudine. (Guarda l'orologio.) Ho mangiato un po' troppo presto e me ne risento. Mi pareva che mangiando presto facevo camminare piú celermente il tempo.
L'AMANTE (stringendosi nelle spalle). Come vivi nelle tue illusioni. Io, davvero, t'invidio.
IL MARITO. Illusioni? Sappi che io ho la certezza ch'essa verrà. Non ti raccontai ancora tutto. Dopo la lettura di quel libro, iersera subito, mi misi ad evocarla. Anelavo di rivederla. Le domandai un segno tangibile ch'essa mi stava accanto. La pregai: Toccami il braccio… qui, e designai esattamente il posto ove volevo ch'essa toccasse. Ebbene: Dopo pochi istanti d'intensa meditazione ricevetti proprio su quel punto un colpo che per poco non mi fece perdere l'equilibrio.
L'AMANTE. Si sente raccontare ogni giorno di casi d'illusioni simili.
IL MARITO. Illusioni? Guarda qui. (Denuda il braccio.) Vedi che botta? Ha tutti i colori dell'iride.
L'AMANTE. Sarai caduto, ti sarai fatto male su uno dei tuoi mobili mastodontici.
IL MARITO. Ma no! Ne sono certo!
L'AMANTE. E si limitò a darti quella legnata? Non arrivaste a parlarvi?
IL MARITO. Noi due siamo amici da tanti anni che voglio essere sincero con te. Io invocavo con tutta tranquillità lo spettro di mia moglie, ma è certo che il mio coraggio era dovuto alla convinzione di fare opera vana. Quando mi giunse quel messaggio anche troppo chiaro ch'essa sarebbe venuta… vuoi crederlo?… ebbi paura. (L'amante ride.) Non ridere te ne prego!
L'AMANTE (ridendo sgangheratamente). Scusa… solo un momento. E tua moglie… starebbe tranquilla nella tomba… ma tu la chiami… essa viene… e tu hai paura. Che idea si sarà fatta del tuo affetto. Ammettendo anche, per un istante, ch'essa fosse stata in procinto di venire, ora, offesa, non verrà piú.
IL MARITO. Io credo che i morti capiscano tutto. Da viva aveva anch'essa tanta paura degli spettri. Guarda! Ricordo persino che una volta scherzando le dissi che dopo morto sarei venuto a trovarla e ch'essa divenne subito pallida a quell'idea. Volle che sul serio le promettessi di lasciarla in pace quando fossi morto prima di lei. Dunque dinanzi a lei non ho da vergognarmi della mia paura. Mi perdonerà! (Guarda per la seconda volta l'orologio e lo ripone.) Io credo che se tu mi resti da canto io non avrò paura. Pensai a te perché per te era quasi una sorella.
L'AMANTE (con tristezza). Certo, certo! Io la consideravo quale una sorella. Purtroppo non so avere la fede che hai tu. I morti sono morti e dànno ancora meno peso a noi di quanto noi diamo loro.
IL MARITO. Non discutiamo ora che siamo in procinto di provare. Da te non domando altro che serietà. Hai capito bene le istruzioni? Di qui a dieci minuti siederemo ai due canti della stanza. Prenderemo ambedue una posizione comoda come se volessimo dormire e penseremo invece intensamente a lei. Le istruzioni dicono di non dirigerle alcun ordine. No! Penseremo, vivremo come se essa fosse qui. Io me la figurerò come se la tenessi qui sul mio cuore. Tu te la figurerai… (L'amante presta grande attenzione.) Anche tu te la figurerai fra le mie braccia.
L'AMANTE. Io non l'ho mai vista fra le tue braccia.
IL MARITO. Ebbene! Mi farai il piacere di pensarla cosí.
L'AMANTE. Non ti fa niente ch'io me la rappresenti come ero uso di vederla fra noi due quando ci offriva il caffè dopo pranzo? Mi sarebbe piú facile di pensare a lei cosí.
IL MARITO. No! La prova riuscirà piú facilmente evocandola col pensiero ad un istante piú serio della sua vita. Ricordi quando fui ammalato ed ella in tua presenza mi passava la mano sulla testa scottante?
L'AMANTE (commosso). Ricordo, ricordo quell'epoca. Tu eri esiliato in un letto. Ricordo, ricordo…
IL MARITO. Ebbene! Figuratela cosí accanto al mio letto di dolore.
L'AMANTE. Ti toccava la testa per vedere se avevi la febbre.
IL MARITO. Sí! Devi figurartela in quel momento tanto serio della sua vita. Puoi immaginare che in quel momento il suo cuore di moglie amante batteva all'idea di vedermi ammalare. Il suo spirito sarà potentemente evocato a quel ricordo.
L'AMANTE (un po' spazientito). Insomma farò in modo di pensarla in un momento serio della sua vita. Non in quello che dici tu perché ricordo ch'essa trovò fresca la tua testa e subito rise e ti derise.
IL MARITO. Dovresti, almeno, dirmi in quale posizione vuoi figurartela perché se tu non puoi aiutare il mio pensiero io possa almeno collaborare al tuo.
L'AMANTE (imbarazzato). E dev'essere una posizione seria? È una cosa difficile perché - a dire il vero - fino alle smorfie che le fece fare l'agonia, io la vidi sempre ridere e sorridere. Fu la gioia della tua vita e anche di tutti coloro che frequentavano questa casa. Però ciò ridonda a tutto tuo onore.
IL MARITO. Tu non la ricordi bene! Il suo fondo era sempre serio. La superficie soltanto rideva e sorrideva.
L'AMANTE. Ma perché discutere? Io sono qui per esserti utile. Dunque penserò tua moglie nel modo che vuoi, fra le tue braccia.
IL MARITO. Grazie! Cosí la prova non può fallire. Essa sa che dopo due mesi io sono ancora tutto col pensiero a lei. Sa che ogni giorno dopo Borsa vado al cimitero a salutarla.
L'AMANTE (con slancio). E non faresti meglio di accontentarti di quella pietra e non fare questa prova che mi pare persino offensiva per lei? (Disdegnato.) Io me ne vado.
IL MARITO (spaventato). Hai paura anche tu?
L'AMANTE. Paura? Un certo genere di paura l'ho ed è di apparire ridicolo.
IL MARITO. Tu vuoi ingannarmi! Hai paura! Vuoi sottrarti alla prova con miseri pretesti. Come potresti apparire ridicolo per avermi aiutato in una prova mia? Il ridicolo può colpire me soltanto.
L'AMANTE (scosso). È vero! Io non c'entro.
IL MARITO. Dunque resta! Se tu te ne vai io non resto qui solo. Vado a dormire in un albergo. Non saprei restare in una casa ove attesi uno spirito. E per colpa tua tutte le ansie che oggi soffersi sarebbero vane e dovrei domani ricominciare da capo.
L'AMANTE. Povero amico mio! Il dolore ti ha fatto dar di volta al cervello. Non ti accorgi da te che farnetichi?
IL MARITO. E sia! Farnetico! Ma tu mi devi tolleranza anche se farnetico. Me la devi. Finché in questa casa c'era la gioia tu ne eri partecipe. Io e lei, la povera Clelia, non avevamo l'occasione di un solo passatempo senza pensare a te. Talvolta essa mi diceva: Ma perché invitarlo? Non possiamo star soli una buona volta?
L'AMANTE (con stizza). Davvero diceva cosí?
IL MARITO (bonario). Non che ti volesse male, sai. Anzi, tutt'altro. Te lo assicuro. Ma un celibe come te non può sapere come si desideri talvolta fra marito e moglie restare soli. Capirai!
L'AMANTE. Io ho sempre sentito dire che il male del matrimonio è precisamente il contrario cioè che marito e moglie restino soli troppo spesso e troppo a lungo.
IL MARITO (amaramente). Troppo spesso e troppo a lungo!
L'AMANTE (commosso). Via, calmati!
IL MARITO (guarda l'orologio). Com'è lenta questa macchina. (Attaccandosi al braccio dell'amico.) E mi prometti di restar serio fino in ultimo? Se la cosa è fatta con serietà deve riuscire! Ho piacere che anche tu sia in lutto… Scusa! Un parente forse?
L'AMANTE. Sí! ma lontanissimo!
IL MARITO. T'ha lasciati dei denari?
L'AMANTE. Miserie!
IL MARITO (ritornando alla sua idea dominante). Dunque serietà? Me lo prometti?
L'AMANTE. Ma sí! Giacché lo vuoi! S'intende che lo faccio senza convinzione e solo per compiacerti. Di me, perciò, non si potrà mai ridere.
IL MARITO. Chi potrà riderne, chi ne saprà qualche cosa? Se essa non viene certo non ne parleremo con nessuno. E se essa viene… Ma che pensi? Ti pare ch'essa stessa si faccia beffe di noi?
L'AMANTE (seccato). Ma non dico questo! Se anche l'avessi creduta capace di farsi beffe di noi da viva… Che diamine! La morte rende serii!
IL MARITO (con stizza). Te lo ripeto! Tu non la conoscevi! Per convincerti quanto essa fosse in fondo seria, avresti dovuto conoscerla nei primi anni del nostro matrimonio. Era tanto giovine eppure era anche troppo seria. La mia posizione non era ancora bene stabilita. Avevo dei pensieri di cui la rendevo partecipe. Ebbi torto e me ne accorgo.
L'AMANTE. Perché vai a rammaricarti cosí? Sei stato un ottimo marito, tu! Vorrei poter dire altrettanto di me… se fossi stato sposato ed ora fossi vedovo.
IL MARITO. Quante eventualità!
L'AMANTE. Lo dico per rattristarmi e mettermi nello stato d'animo che occorre alla tua esperienza.
IL MARITO. Vi sei già! Io ti trovo serio, anzi triste! Quasi eccessivamente! Finirai coll'impressionarmi anche di piú!
L'AMANTE. Certo! Se io fossi vedovo, sono sicuro che dovrei avere dei rimorsi. Io le donne non le posso soffrire. Parlo naturalmente di quelle che conosco io. Quando le attendi non vengono mai e quando son venute non vanno mai via. Di' la verità! Con me puoi essere sincero! Mai ti avvenne di augurarti che tua moglie da una dolce forza imperiosa che non le torcesse un capello fosse trasportata lontano da te, per esempio sul Monte Bianco?
IL MARITO. Come sei crudele! Un simile augurio! Mai e poi mai!
L'AMANTE. Protesti cosí perché hai paura dello spettro di tua moglie.
IL MARITO. Te ne prego, non dire cosí. Giuro che non desiderai giammai che mia moglie si fosse allontanata da me!
L'AMANTE. Perciò sei fatto in modo diverso di me. È quello che sospettavo. Io, vedi, amo talvolta di avere la mia donna a cena. Ma averla ogni giorno con me, anche a pranzo…
IL MARITO. Tu, disgraziato, non hai conosciuto che certe donne!
L'AMANTE (pensieroso). Già, soltanto certe donne. Credo però che tutte per me somiglierebbero un poco. Non parlo naturalmente della povera signora Clelia, tua moglie.
IL MARITO (agitatissimo). Io ti leggo fino in fondo all'anima: eccettui Clelia perché hai paura del suo spettro.
L'AMANTE (rassegnato). Sí, solo per questo!
IL MARITO. E allora, se ambedue abbiamo paura, te ne prego, lasciami stare. Io credevo che tu fossi piú coraggioso!
L'AMANTE. Non credere ch'io abbia paura. Ora insisto io di fare quest'esperimento. Sto scrivendo qualche cosa per cui tale esperienza può essermi utile. Andiamo!
IL MARITO. Ma sarai coraggioso? Eventualmente mi difenderai?
L'AMANTE. Non t'ho assistito sempre quando ho potuto?
IL MARITO (dopo di aver guardato l'orologio). Ecco l'ora. Tu siederai su quella poltrona. Io mi sdraierò su quel sofà. (Si getta sul sofà in fondo alla scena; chiude gli occhi e resta immobile. Dopo qualche secondo apre le braccia.) Qui! Clelia!
L'AMANTE (resta lungamente a guardarlo sdegnoso. Poi si sdraia sulla poltrona. Dopo qualche tempo chiude anche lui gli occhi e mormora). Oh! Clelia!
IL MARITO (si erge spaventato). Chi ha parlato?
L'AMANTE (resta immobile a sognare mentre il marito in piedi resta a guardarlo. Quando il marito sta per avviarsi al suo sofà, l'amante spalancando le braccia grida). Ma insomma, Clelia, vieni, vieni!
IL MARITO (esterrefatto). Che dici?
L'AMANTE (ritorna in sé). Chi è?
IL MARITO. Tu sei pazzo!
L'AMANTE (totalmente rinvenuto). Che cosa ho detto?
IL MARITO (fuori di sé). Oh! Basta! Basta! L'esperimento è finito.
L'AMANTE. Ma vediamo! Saresti ora geloso di uno spettro e per di piú di uno spettro che non viene?
IL MARITO. Taci! Non parlarmene piú. Usciamo di qui?
L'AMANTE. Hai paura?
IL MARITO. No! No! Voglio dimenticare quello che ho udito. Mi fece troppo male! (Quasi piangendo.)
L'AMANTE (veramente accorato). Via! A quelle mie parole non devi dare un peso che non meritano. Evocavo! Evocavo con tanta… coscienziosità che alla fine mi parve di evocare per conto mio. Già, quando si chiama nel buio risponde chi c'è e talvolta chi non c'è. A me rispose una donna mia, ben mia e purtroppo non c'era neppure lei. Si chiama non Clelia, ma Clara. Se dissi il nome di tua moglie ciò avvenne perché nella mia incoscienza ero sempre accompagnato dal proposito di evocare per conto tuo.
IL MARITO. Non ti credo! (Poi, dopo una pausa.) Di' la verità: tu desideravi Clelia. Confessalo! Se l'hai già confessato.
L'AMANTE. Mi sembrerebbe di offenderti negandolo. Del resto io desidero molte donne, direi anzi quasi tutte. È il modo mio di odiarle perché me ne danno motivo. (Con esagerata umiltà.) Non ne vogliono sapere di me.
IL MARITO. Ora capisco l'invincibile avversione che Clelia aveva per te. Era inutile ch'io le parlassi delle tue buone qualità. Essa non ne voleva sapere di te. Sentiva il tuo turpe desiderio e ne era offesa. Non me lo disse mai, te lo assicuro! Ma ora intendo perché tanto fece per allontanarti da noi. Le facevi schifo!
L'AMANTE (offeso). Schifo? Via esageri un po'!
IL MARITO (sempre piú accanito). Sí! Schifo! Ed io, imbecille, che lottavo per toglierle un'avversione che ritenevo non fondata.
L'AMANTE (è in procinto di parlare, poi si pente e, piú calmo, dice). Già ai morti si possono attribuire gli odii e gli amori che si vogliono. Essi non ci sono e non possono protestare.
IL MARITO. Ma io posso darti le prove di quanto ti dico. Ho delle lettere di Clelia da cui trapela chiara la sua antipatia per te. Domani te le farò vedere.
L'AMANTE (beffardo). Puoi tenerle per te!
IL MARITO. Giacché non mi credi vado a prenderle subito. (Si avvia.)
SCENA SECONDA
Apparisce CLELIA e DETTI
Lampo di polvere di resina.
CLELIA (a voce alta). Vergognatevi!
IL MARITO. Che è ciò? Clelia! Lo spettro! Noi non ti chiamavamo piú! (Cerca di fuggire, arriva al sofà in fondo e vi cade svenuto.)
L'AMANTE. Non lasciarti truffare. È un trucco! Ma fatto tanto bene che non so adirarmene.
CLELIA. Ascoltami te ne prego. Egli è svenuto e vorrei parlare con te prima ch'egli rinvenga.
L'AMANTE (ridendo). Prendi la tua parte proprio sul serio! Anch'io, sai, non rido. Che tu sia o non sia Clelia… (L'attira affannosamente a sé. Poi, dolorosamente.) Aria… aria. Sola aria… vestita.
CLELIA (con tristezza). Si! Amavo tanto i vestiti ed ora non ho piú che quelli.
L'AMANTE (si riprende a stento. Rasserenato parla con maggiore freddezza). Povera Clelia! Sono però tanto lieto di rivederti. (Va per abbracciarla e si ricrede.) Chissà? Forse il fatto di averti rivista cosí basterà a darmi la quiete.
CLELIA. È perciò che sono venuta.
L'AMANTE. Già! Adesso appena so che quello che desideravo non esiste piú. Certo me ne deriverà la tranquillità. Eppoi… eppoi m'ha fatto piacere di rivederti. Perché fra noi due c'era anche l'amicizia. Una vera, grande amicizia. Mi fa piacere di ritrovarti in buona salute… se cosí si può dire. Se sapessi quale disastro è stata per me la tua morte! Addio casa, addio famiglia…
CLELIA. Famiglia altrui!
L'AMANTE. E corro le vie della città in cerca di un'idea, di un interesse…
CLELIA. Di una donna.
L'AMANTE. Non sei uno spettro tu? Non vedi nel mio cuore? E non sai perciò ch'io ancora oggi non penso che a te?
CLELIA. Lo sento, lo sento… poverino!
L'AMANTE (resta imbarazzato a guardare Clelia come se studiasse quello che potrebbe farne. Poi, con un sospiro va al marito). Che sia morto anche lui?! Sarebbe un'adunanza allegra.
CLELIA. No! No! È soltanto svenuto.
L'AMANTE (accanto al sofà). Un po' d'acqua lo farebbe rinvenire. Non vuoi parlare con lui?
CLELIA. Te ne prego, non litigare con mio manto ora che io non ci sono piú.
L'AMANTE (guardandola con curiosità). È per questo che sei venuta?
CLELIA. Sí! È per questo!
L'AMANTE. Non sono mica stato io ad iniziare il litigio. Lui che voleva farmi credere ch'io ti abbia ispirato schifo. È lui che devi tenere in riga.
CLELIA (con tristezza). Ambedue! Finché io ero viva la tua discrezione era tanto grande! Ricordi che ci fu un'epoca in cui io volevo dividermi da lui per restare sempre, sempre con te? Fosti tu che me ne dissuadesti.
L'AMANTE. Egli non sa quanto mi deve. Faglielo intendere tu perché non sia tanto pretensioso.
CLELIA. Sí! Voi uomini avete sempre diritto alla riconoscenza di tutti. Figurati che appena arrivata all'altro mondo trovai Augusto…
L'AMANTE (amareggiato). Ah! Sei con lui?
CLELIA (seccata). Uff! (Poi.) Voleva farmi credere che quell'altro mondo l'avesse riparato tutto lui da capo a fondo e che prima non ci si poteva stare.
L'AMANTE. E tu credesti a quel fatuo?
CLELIA. Ma se siete fatti tutti cosí voialtri uomini. Il mio paradiso l'hai fatto tu, l'ha fatto lui. E lui non sa che il suo paradiso caldo, comodo, sarebbe stato sufficiente a farmi morire di noia se non ci fossi stato tu. E tu non ricordi ch'eri fatto in modo che mi ricevevi come una dea e mi congedavi come una ancella.
L'AMANTE. Sí! Perché dicevi sempre delle cose che ripugnavano all'uno o all'altro dei miei delicatissimi sensi.
CLELIA. Sí! I tuoi sensi! Proprio quelli! Ma quando me ne andavo da te trovavo pure un po' di conforto nell'affetto calmo, uguale, benché un po' brontolone di mio marito. Egli non vedeva in me né la dea né l'ancella. Qualche volta penso che avrei fatto meglio di restare onesta.
L'AMANTE (gridando). Saresti morta lo stesso. La tua morte è stata la grande, la sola disgrazia. Si andava tanto bene innanzi…
CLELIA. Sarei morta, ma dopo morta sarei stata piú tranquilla. Ecco che se non accorro tu annebbi la mia dolce figura nell'animo di mio marito ed egli la guasta nel tuo. Ad una donna nelle mie condizioni non è dunque neppur permesso di morire?
L'AMANTE. Magari non lo fosse! Ed io serbo rancore a costui anche perché ti lasciò morire. Poteva stare piú attento. Tutti dicono che la tua morte sia stata provocata da un'infreddatura che ti fece prendere per avarizia. Non volle prendere una vettura dopo un ballo…
CLELIA. Non è vero! Lo giuro.
L'AMANTE. E allora non posso averla che con te perché sei morta. Potevi badare un po' meglio alla tua salute. Che cosa non ho fatto io per dimenticarti! E finora la sofferenza è sempre la stessa. Ricordi che ti dicevo di aver cominciato un romanzo, il mio capolavoro! Non sarà finito mai… se tu non ritorni tutta, intera.
CLELIA. Eppure il Petrarca divenne poeta piú alto ancora dopo la morte di Laura.
L'AMANTE. Io da buon letterato italiano non lessi mai il Petrarca, ma conoscevo il fatto. Sembra che per lui Laura fosse tutt'altra cosa. Di me so che sto per giornate intere dinanzi alle mie cartelle e fumo, fumo, fumo. Eppoi ho da sopportare quel tuo marito che crede d'essere stato il solo a perdere per la tua morte…
CLELIA. E che fa a te? Lasciagli quest'illusione.
L'AMANTE. Non posso! Non posso! È piú forte di me. Questa gelosia è ormai stupida. Ti mantiene ora lui, forse? Io lo evito! Perché mi ricerca? E finirò con lo scoppiare (Abbassa la voce perché gli pare che il marito si mova) e col raccontargli tutto. Ne avrò un grande alleggerimento, un'illusione che mi farà rivivere! Mi sembrerà d'essere stato scoperto in flagrante.
CLELIA. Non farlo! Te ne prego!
L'AMANTE. T'importa tanto? E allora dammi tu un'illusione maggiore. Come sei ritornata cosí in apparenza, (Supplice) ritorna intera. Dammi la vita e la quiete e la possibilità del lavoro. Scommetto che lo puoi… Fallo! Fallo!
CLELIA. Sei pazzo!
L'AMANTE. Non vuoi? E allora qui, in tua presenza, come rinviene, gli schiaffo tutta la verità in faccia.
CLELIA. Se si potesse, tu, volentieri, mi faresti uccidere.
L'AMANTE. Adesso ho due ragioni di rancore con te. La prima è che sei morta e la seconda che vieni a stuzzicarmi in tale stato.
CLELIA (accorata). Cosí non mi ti dimostrasti mai.
L'AMANTE (furente). Né tu a me.
CLELIA (dopo un istante di esitazione). Vorrei parlare con mio marito.
IL MARITO (rinvenendo). Dove sono?
CLELIA. Fra persone che ti amano.
L'AMANTE (ridendo rabbiosamente). Sí! Fra persone - se persone possono dirsi - che ti amano. Io vi lascio soli! Fra moglie e marito… (S'avvia.)
IL MARITO (rinvenendo del tutto). Te ne prego, amico mio, non lasciarmi solo. Me l'hai promesso!
L'AMANTE. Ma di che hai paura? Essa piuttosto passò un brutto quarto d'ora. Se morivi dallo spavento ritornavi sul serio con lei. Vuoi vedere come io tratti con questo spettro? (S'avvicina a Clelia, la prende per una mano e le dice a bassa voce.) Senti! Se vuoi rimettere la pace fra di noi, ritorna intera… col tuo cadavere. (Via.)
SCENA TERZA
IL MARITO e CLELIA
IL MARITO (tuttavia molto timido). Se sapessi quanto piacere m'ha fatto di rivederti dopo tanto tempo. Hai visto! È dal piacere che sono svenuto.
CLELIA. Sí! Poverino! Mi dispiace di averti fatto paura. Come sono fatte le cose umane. Chi t'avrebbe detto che avresti potuto aver paura di me?
IL MARITO (anche piú spaventato). Hai da lagnarti di me? Io t'ho trattata sempre col massimo riguardo. Ed ora non ho paura.
CLELIA. Tu m'hai trattata sempre benissimo e non avresti alcuna ragione di aver paura. Mi pare però che tuttavia tremi. Vuoi che me ne vada? lo non sono mica venuta per farti soffrire.
IL MARITO. Qui è molto oscuro. Ti darebbe fastidio se accendessi qualche altra fiamma?
CLELIA. Accomodati.
IL MARITO (eseguisce). Cosí tu non sei come quegli altri spiriti che spariscono alla luce? Ciò mi piace. Noi di famiglia siamo stati sempre sinceri e amanti della luce. Mi pare di sentirmi meglio. (Sempre balbettando dalla paura.) Anelavamo tanto di rivederci e… finalmente… ci rivediamo.
CLELIA (impaziente). Il tempo corre! Presto devo andarmene.
IL MARITO. Davvero sei finalmente occupata? (Clelia ride.) Ridi? Dunque non c'è da aver paura (Veramente rinfrancato.)
CLELIA (sorridendo). Mi ricorda il nostro primo incontro. Anche allora tremavi.
IL MARITO. Sí. Lo ricordo anch'io.
CLELIA. Poi ti rinfrancasti. In ultimo divenisti un po' imperioso. Parlasti anche di menagère cosí che quando te ne andasti dovetti ricorrere al vocabolario.
IL MARITO. Sai! Voialtre donne ci fate un po' di paura quando dobbiamo sposarvi. Con te non ci sarebbe stato bisogno di tante raccomandazioni, ma io allora non ti conoscevo.
CLELIA (guardandolo con curiosità). Curioso che dovetti morire per essere giudicata cosí da te.
IL MARITO. No! Io sempre pensai cosí di te. Se non te lo dissi è che speravo sempre di renderti migliore. Non si è mai contenti del bene e se tu non fossi morta tanto prematuramente chissà quanto buona saresti divenuta.
CLELIA. Pare insomma che dopo la mia morte tu hai fatto delle tristi esperienze.
IL MARITO (esitante). Già! (Lieve pausa.) Devo dirlo però. In complesso si spende meno. Molto, ma molto meno.
CLELIA. Stimo io. C’è anche una persona di meno.
IL MARITO. Magari si spendesse il doppio e tu fossi qui con me. Ma si spende tanto di meno come se dalla casa fossero sparite molte ma molte persone.
CLELIA. Eh! Via!
IL MARITO. Vuoi vedere i conti? Li ho chiusi iersera.
CLELIA. No! No! Grazie! Ma spendendo di meno starai anche peggio.
IL MARITO. Certo! Si mangia male! Si spende poco ed io tuttavia ho la convinzione di essere derubato. Non ci baderei se ti avessi accanto. Cosí, invece, m'adiro.
CLELIA. Vedi che non c'è modo di contentarti. Io sospetto che quella povera Giovanna che dirige la casa non sappia fare i conti e ti regali del suo. Quasi, quasi le apparirei per avvertirla.
IL MARITO (del tutto rinfrancato). Fammi il piacere di non ingerirti in cose che piú non ti riguardano.
CLELIA (offesa). Sto già ingerendomi di cose che piú non mi riguardano. (S'avvia.)
IL MARITO. No! Te ne prego Clelia. Perdonami. Non volevo offenderti. Sai, sono tuttavia agitato all'idea di parlare con uno spettro e forse perciò non uso le parole adatte.
CLELIA. M'indirizzasti una parola che mi ricordò molto il modo come venivo trattata quando ancora non ero uno spettro.
IL MARITO. Se sempre ti adorai!
CLELIA (rabbonita). Sí! sí! Le cose piccole sono dimenticate. In complesso quasi sempre ebbi tutto quello che volli.
IL MARITO. E i miei rari rifiuti erano fatti a fine di bene.
CLELIA. Non ne ebbi un grande vantaggio.
IL MARITO. Già, come tutte le donne, tu giudichi dal risultato. Ma figurati che, come sarebbe stato giusto perché sono piú vecchio di te, fossi morto io pel primo e ti avessi lasciata vedova! Non ti sarebbero state bene le mie lezioni di economia?
CLELIA. Erano alquanto rudi quelle lezioni.
IL MARITO (avvilito). Capisco che m'hai amato poco. Io, invece, vado ogni giorno al cimitero per ricordarti sempre, sempre.
CLELIA. Lo so! Sei molto gentile! Ma io come potrei dimostrarti il mio affetto? Potrei augurarti la morte per essere subito riunita a te!
IL MARITO (come respingendo uno scongiuro). No! No!
CLELIA. Vedi ch'è meglio io sia alquanto indifferente.
IL MARITO (ipocrita). Non è mica per me, sai! La vita di un uomo è molto piú importante che quella di una donna! Se io morissi ne risulterebbe la rovina di tutti coloro che vivono e lavorano intorno a me. Sarebbe un disastro, te l'assicuro. Un vero, un grande disastro che mi fa rabbrividire. Certo per me sarebbe un grande piacere di venire con te. Ma che ne direbbero gli altri? Tu non sai quale sviluppo abbiano preso i miei affari. Sono il maggiore importatore di caffè del Regno.
CLELIA. Guadagni molto?
IL MARITO (con importanza). In questa città vi sono pochissime case che facciano dei bilanci come il mio. Naturalmente… acqua in bocca. L'agente delle imposte non ne sa nulla.
CLELIA. Ed io ne so solo ora che sono morta. Quando morii la mia anima correva traverso lo spazio e m'imbattei nei pensieri che tu avesti nei pochi giorni in cui durò la mia malattia.
IL MARITO. Come? I miei pensieri giacciono cosí aperti nello spazio? Quale indiscrezione!
CLELIA. Sí! Ma non temere! Nessuno li guarda e, inosservati, poi dileguano. Il dottore ti aveva detto: Pericolo non credo ci sia, ma ne avremo per alcuni mesi. Sarà un affare lunghissimo. Tu subito pensasti: La piccola bestiola… (Il marito protesta.) Proprio cosí: La piccola bestiola ammalata per tanto tempo! Vorrà avere ogni giorno un letto nuovo e quello alla ultima moda.
IL MARITO. Non essere ingiusta, Clelia. Non ricordi come poi ti ho assistita?
CLELIA. Sí! Anche quell'asino di dottore quando ritornò dovette accorgersi che il cuore della bestiola era troppo debole e non poteva reggere a tanto affanno. Te lo disse ed è vero che allora avresti pagati diversi letti pur di non perdermi.
IL MARITO. E trovasti nello spazio anche tutta la mia disperazione.
CLELIA. Sí! La via ne era addirittura ingombra.
IL MARITO. E posso credere che almeno in vita m'amavi o almeno amavi solo me.
CLELIA. Che vuoi dire?
IL MARITO (scandendo le sillabe). Sai, dalla tua morte mi derivarono due dolori: Il mio e quello di quel mio grande amico.
CLELIA. M'hai chiamata qui per offendermi?
IL MARITO. Quell'uomo lí ha un contegno stranissimo. Sembrerebbe che la moglie l'abbia perduta lui. T'invocava con le braccia aperte come s'invoca una moglie o una amante.
CLELIA. Io non lo sentii. Accorsi solo alla tua chiamata. Rimasi stupita di trovarlo qui.
IL MARITO. Queste sue manifestazioni mi stupirono. Pareva che tu non lo avessi amato molto. Dicevi che ti faceva schifo.
CLELIA. È vero! Me ne pento, però! Il poverino ch'era tanto affezionato a noi due si sarebbe meritato un trattamento migliore da parte mia.
IL MARITO. E perché mette ora il lutto? Dice ch'è per quel suo lontano parente. Dove s'è visto piangere cosí un lontano parente che gli lasciò pochissimi denari? Chissà se poi questo lontano parente sia mai esistito!
CLELIA. Di questo puoi essere sicuro. Lo vidi io… dall'altra parte.
IL MARITO. M'aveva inquietato anche il fatto che dacché tu sei morta, egli che m'aveva dimostrato tanto attaccamento finché c'eri tu, bruscamente non si fece piú vivo. Dovetti pregarlo per farlo intervenire a questa seduta spiritistica e ci venne a malincuore.
CLELIA. Si capisce che in questa casa tenuta con tanta economia nessuno venga volentieri. Dovresti sposarti e vedresti come ritornerebbe a te. Mi duole di vederti in lizza col tuo miglior amico. Quello che al di là non si perdona è di seminare zizzania. Ecco che senza mia colpa voi litigate causa mia e di ciò mi si serba rancore.
IL MARITO. Davvero? Io non lo sapevo. Se avessi saputo che i miei litigi ti danneggiavano io mai avrei litigato. Povera bestiola mia! Causa mia non avrai da soffrire mai piú. Io corro ad abbracciarlo.
CLELIA (tendendogli la mano). Addio! Io me ne vado.
IL MARITO. Un momento, te ne prego; un solo momento. Adesso che a te mi sono abituato… Che cosa fai tutto il santo giorno? Adesso non hai piú né pelle né unghie da nettare. Dici che sei occupata. Dirigi il mondo, tu?
CLELIA. Io guardo!
IL MARITO. E guardando tu vedi tutto, tutto?
CLELIA (con tristezza). Molto, molto!
IL MARITO. Senti, Clelia. Hai visto con quale prontezza io mi sia deciso di accondiscendere alla tua domanda e di fare la pace con quel mio grande amico perché tu non ne abbia danno. Non mi costa mica poco! È uno sforzo che non posso fare che per amore tuo. Non ti pare che io meriti un premio?
CLELIA. Certo! Di tempo in tempo verrò a trovarti.
IL MARITO. Grazie! Mille grazie! Ma giusto oggi mi sarebbe di un'utilità enorme un'altra cosa. A te non costerebbe nulla mentre a me potrebbe mutare addirittura la vita. Sai se avremo a subire un ulteriore aumento del caffè?
CLELIA. Aumento? Ce n'è già piú di prima?
IL MARITO (iroso). Neppure dopo morta non capisci niente di affari? Sei davvero un bello spettro tu! Lascia che ti spieghi e poi ti sarà facile di prendere delle informazioni. Devi sapere che la valorizzazione del caffè dipende esclusivamente…
CLELIA (dolcemente). Lasciami andare!
IL MARITO. Ma sei testarda! Cerca d'intendermi. Hai conservato quel caratteraccio che finché fosti viva formò la mia infelicità. Il prezzo del caffè è un fatto che dipende dal valore di pochi… (A Clelia che s'avvia.) Stammi a sentire! Da te dipende ora la fortuna di tutta la nostra famiglia.
CLELIA. Famiglia costituita da un individuo solo!
IL MARITO. E non mi consigliasti tu stessa di prendere moglie? (Clelia esce ridendo clamorosamente; il suo riso echeggia lungamente e sparisce per la lontananza.)
SCENA QUARTA
IL MARITO e L'AMANTE
IL MARITO (dopo un'esitazione si rimette e va ad aprire la porta di fondo). Sei stato a sentire?
L'AMANTE (triste). No! Me ne sarei andato se, per uscire, non avessi dovuto passare per di qua e disturbarvi.
IL MARITO. Io le domandai un piacere semplicissimo. Me lo rifiutò e se ne andò ridendosi di me. Queste sono le mogli del giorno d'oggi.
L'AMANTE. Le domandasti il prezzo di domani del caffè?
IL MARITO. Come lo sai?
L'AMANTE. Me lo immagino. Anch'io la pregai d'un piacere.
IL MARITO. D'affari?
L'AMANTE. No! D'arte, naturalmente.
IL MARITO. Rifiutò? Rifiutò persino consigli che non hanno importanza? Che caratteraccio! Sai che se noi lo vogliamo possiamo costringerla di fare il nostro volere? Mi disse che le premeva enormemente che noi due si andasse d'accordo. Io sospetto sia accorsa solo per metter pace fra noi. Pare non si perdoni a chi ha provocati litigi. Pigliamola per quella parte. Facciamola soffrire. Dovrà pur finire col venire e fare il nostro volere.
L'AMANTE (ammirato). Come siete intraprendenti voialtri commercianti! Che vuoi fare?
IL MARITO. Siamo subito decisi. Picchiamoci!
L'AMANTE. Se non vuoi altro. (Si prendono a pugni.)
IL MARITO. Ahi! Tu picchi sodo! (In lontananza si sente echeggiare il riso dello spettro.) Malvagia creatura! Mi deridi dopo quello che ho fatto per te. Ma io in cimitero non ci vado piú!
CALA LA TELA
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